San Nicola

 


 

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San Nicola

 

Ricerca storica sulla figura di San Nicola

 

Premessa

La ricerca sulla diffusione del culto di San Nicola in Valnerina e della motivazione che ha spinto in questa direzione chiarisce il collegamento che una comunità attiva e vitale come quella di Monteleone di Spoleto individua tra la festa del Santo e il farro, innalzato a “ prodotto bandiera, risorsa per la valorizzazione integrata del potenziale locale, della propria storia e della propria identità”.
Scavando nella agiografia del vescovo di Myra, divenuto poi protettore di Bari, e successivamente esportato nei paesi nordici per approdare fino oltre Atlantico ed assumere le vesti di Babbo Natale, appare con tutta evidenza la sua funzione di elargitore di doni, di protettore dei poveri e dei bisognosi, che in  una terra come la Valnerina non poteva non identificarsi tanto da diventare il Santo che “ha dato il farro ai poveri”.
E giustamente il comune di Monteleone come altre realtà della Valnerina hanno compreso come “solo spostando l’attenzione dai fattori produttivi dell’economia classica quali la terra, il capitale, il lavoro, a fattori di tipo più immateriale, quali quelli appartenenti alla tradizione produttiva e alla cultura locale, si può creare il contesto competitivo giusto per consentire spazi ed opportunità per lo sviluppo a livello locale, il mantenimento del reddito delle popolazioni, frenare lo spopolamento, migliorare la qualità della vita delle persone”.
Ecco dunque che le tradizioni legate al culto del Santo risultano fortemente connesse all’attività produttiva della terra in cui si sono radicate ed hanno dato vita a feste a forte valenza religiosa ma anche sociale, rituali incentrati sulla distribuzione del cibo e sulla sua consumazione collettiva.
Di tutto ciò non può non tenere conto chi mira a sostenere lo sviluppo produttivo di un territorio mantenendo e contestualmente innovando le varie e multiformi espressioni della cultura e delle tradizioni che immancabilmente  vi si accompagnano, soprattutto nelle aree rurali.

 

     La figura di S. Nicola:
      vita, agiografia, patronati, culto e iconografia

Forse non tutti sanno che il nostro S. Nicola di Bari, santo veneratissimo in Puglia e notevolmente diffuso nel mondo, in realtà è di origine Turca in quanto nacque a Patara nella Licia, in Asia Minore, intorno alla metà del III secolo e fu condotto postumo in Italia. La storia del suo arrivo a Bari è la storia di una vera e propria trafugazione di spoglie voluta dalla città marittima per attribuire gloria al proprio nome, assicurarsi un cospicuo numero di pellegrini, vista la fama mondiale del Santo, e, non per ultimo, sottrarre un Santo cristiano agli infedeli. Se ripercorriamo la sua vita, apprendiamo che San Nicola dovette essere un forte difensore della cristianità in un epoca di alternanze di culti e di credenze come fu quella della Roma imperiale. Infatti ragioni storiche confermano la sua elezione a vescovo di Myra precedente la sua consacrazione a sacerdote e la sua partecipazione al concilio di Nicea del 325 d.C. dove si discuteva sulla natura del Cristo, in cui Nicola ebbe un ruolo determinante sul conto del quale girano molte leggende. Una delle quali è quella del mattone,dalla cui triplice composizione di terra,acqua e fuoco, il vescovo di Myra, dimostrò l’uguaglianza della natura di Dio e del Cristo: il che stava a significare che la divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo non collideva con la verità fondamentale che Dio è uno. Si narra che mentre illustrava questa verità, una fiammella si levò dalle sue mani, alcune gocce caddero a terra e nelle sue mani restò soltanto terra secca. Ancor più nota a livello popolare fu quella dello schiaffo ad Ario a cui lo scisma si attribuiva.
Da questi eventi San Nicola acquistò fama di strenuo difensore dell’ortodossia e della cristianità tanto da spingere un gruppo di marinai baresi nel 1087 a recuperare il corpo del Santo e portarlo in patria perché fosse degnamente venerato. L’impresa, una vera e propria missione politico – religiosa, fu coordinata da Elia, abate del monastero benedettino di Bari, e si concluse con il rientro in città dei marinai e delle spoglie del Santo domenica 9 maggio 1087, acclamati da una folla festante la quale pretese la  costruzione di un imponente cattedrale in onore di Nicola  là dove sorgeva il palazzo del rappresentante di Costantinopoli. Secondo  alcuni autori le reliquie vennero trovate in un pozzo immerse nel liquido miracoloso che da loro emana e che continua ad uscire ancora oggi seppure in misura minore: è la cosiddetta manna di San Nicola. La manna viene raccolta una volta all’anno in occasione della festa di maggio. Dopo la messa serale del giorno 9, presieduta dall’arcivescovo di Bari, il priore della comunità per mezzo di una cannula estrae il liquido versandolo in delle ampolle. La quantità non è considerevole, per cui è invalsa l’usanza di conservare parte di questa “manna pura” per chiese ove particolarmente vivo è il culto del Santo o per motivazioni ecumeniche. La parte restante è unita ad acqua benedetta in modo da poterla poi offrire ai pellegrini che vengono a venerare il Santo nella sua Basilica. Da qui deriva la funzione del Santo dispensatore di doni, un Santo piuttosto generoso, soprattutto verso i poveri e gli oppressi, che gli ha favorito la diffusione del culto in tutta Europa e successivamente in tutto il mondo.
La fama del vescovo di Myra, durante la sua vita, è legata a degli episodi notevolmente intrisi di leggenda e difficilmente accertabili visto che la prima biografia del Santo risale a parecchi secoli successivi alla sua morte, ma talmente caratterizzanti da ispirare l’iconografia di tutti i tempi e tale da rendere inconfondibile il riconoscimento di  San Nicola; è l’episodio della dote alle fanciulle: Nicola, già adulto, ma non ancora vescovo, venne a sapere un giorno che un vicino di casa si era impoverito e non potendo procurare la dote alle tre figlie, che non riusciva a mantenere, pensava di avviarle alla prostituzione. Egli in gran segreto decise di salvarle senza rendere noto il suo gesto. Per tre notti successive gettò il denaro raccolto in un panno, nella finestra della casa del vicino, ma la terza volta il padre delle fanciulle, inseguì e raggiunse il benefattore per ringraziarlo di avere permesso così di poter sposare le tre ragazze. Nicola benefattore e dispensatore di beni si ritrova anche nel miracolo con cui procurò il grano per la sua popolazione convincendo un capitano alessandrino a farne dono ai suoi cittadini, il quale trovò il carico intatto al cospetto dell’imperatore a cui era destinato.
Questo miracolo è all’origine non solo di tanti quadri che lo raffigurano, ma anche di tante tradizioni popolari legate al pane di S. Nicola e al suo patronato sul mondo dei contadini. A Bari, ai pellegrini che giungono nel mese di maggio vengono date collane di taralli, tenuti insieme da una funicella.
Molti altri sono i miracoli attribuiti al nostro Santo tra cui quello in cui salva tre generali innocenti dalla decapitazione, o quello dei generali liberati dalla prigione, o quello della riduzione delle tasse, della nave che sarebbe affondata se egli non avesse placato l’ira del mare ecc., che hanno creato il mito di San Nicola benefattore di tutti i bisognosi e ai primi posti nella gerarchia dei Santi. Il suo culto si diffuse in tutto l’Impero Bizantino, tramite l’Italia raggiunse l’Europa centrale e le terre slave come il “pronto soccorritore”, il benefattore del popolo, il taumaturgo per eccellenza. In Russia dove il Santo è veneratissimo, ancora oggi si pensa che nei momenti cruciali, basta chiamarlo e lui arriva a soccorrere il bisognoso. Era considerato una specie di vice di Dio, come testimonia una scherzosa storia ucraina in cui un contadino domanda ad un altro: “ E se Dio muore, che succede?”. “C’è sempre San Nicola, no?” risponde l’amico.
Ugualmente indicativa della diffusione nella credenza popolare del patronato di San Nicola sul mondo rurale , dei poveri e degli oppressi è sempre una divertente fiaba di origine russa dove, addirittura, il nostro santo disobbedisce persino a Gesù. Così narra la storia: “Una volta, essendo venuto a Gesù il desiderio di visitare la terra, pensò che il compagno ideale fosse San Nicola, colui che più capiva la povera gente. Una sera bussarono alla casa di una povera vedova con i suoi bambini. Quando chiesero da mangiare, la vedova ebbe un momento di esitazione pensando ai suoi bambini e sapendo che la mucca non dava latte perché stava per figliare. Poi accondiscese e, con sua grande sorpresa, il panino che mise a tavola,  appena era addentato da Gesù e da Nicola, ricompariva integro sulla tavola. Anzi trovò anche la farina nel granaio e all’alba preparò per loro delle frittelle. Quindi Gesù  e Nicola ripresero il cammino fra i campi verdeggianti. Un po’ stanchi, passarono vicino a un mulino, ma il padrone arrogante li cacciò: Andate via mangiaufo e fannulloni. E li fece allontanare dai suoi servi. Giunti quindi al limitare di un bosco, si stesero per terra a riposare un po’. Ed ecco accorrere verso di loro un lupo grigio affamato: Signore io voglio mangiare; sono tre giorni che giro senza trovare da mangiare. E Gesù: Vai dalla vedova del soldato. Ha una mucca bianca. Sbranala e mangiala. Nicola non riuscì a trattenersi: Ma Signore, è così povera e ci ha accolto bene! Ma Gesù fece accenno al lupo che partì in gran carriera. Quando Gesù chiese a Nicola di raccogliere un po’ di rami secchi e accendere il fuoco, Nicola entrò nel bosco e…come un fulmine cominciò a correre, arrivando alla casetta prima del lupo. Gettò fango sulla mucca, tanto da farla sembrare nera. Tornò quindi, sempre di corsa, da Gesù per accendere il fuoco. Intanto giunto alla casetta anche il lupo, quando vide una mucca nera e non bianca, come aveva detto Gesù, non se la sentì di mangiarla. Al mattino Gesù e Nicola ripresero il cammino, ed ecco di nuovo il lupo: Signore c’è soltanto una mucca nera?! E Gesù: E allora mangia la nera. Nicola avrebbe voluto vanificare l’ordine di Gesù e accorrere in aiuto della donna. Ma si trattenne. Durante la notte infatti aveva sognato di una botticella piena di monete d’oro che rotolava giù dalla collina. Signore, aveva detto, diamola alla povera donna con i bambini che piangono. E Gesù: No Nicola, questa è destinata al padrone del mulino. Ed infatti questi la ricevette, esclamando: Peccato che la botticella sia una sola, sarei stato felice che fossero state una decina! Avvertendo la sete Nicola si avvicinò ad un pozzo ma, quale non fu la sorpresa quando vide che questo brulicava di serpenti e all’orlo era legato il padrone del mulino tra sofferenze atroci. Finalmente più avanti trovò un altro pozzo pieno di acqua fresca e pura. La donna coi bambini giocava felice nel prato. Ad un tratto sentì Gesù che lo chiamava: Nicola perché stai lì tutto questo tempo? E Nicola: Come sarebbe, sono stato tre minuti! E Gesù di rimando: Non tre minuti, ma tre anni.
Erano di nuovo in paradiso”.
Tutti questi episodi hanno inciso sul folklore dando luogo a cerimonie tradizionali in tutto il mondo. Ma la leggenda che più di tutte è stata fonte di usanze ancora vive e significative è quella dei tre ragazzi fatti risorgere dai barili di salamoia dove li aveva tuffati l’oste assassino. Questo episodio, assai popolare in Francia dal XII sec., ha stretto fra il Santo e i fanciulli uno straordinario legame che poi è andato perfezionandosi e trasformandosi in modi impensati nel corso del tempo, ma che resta attuale anche nel costume moderno.
La coincidenza della festa di San Nicola con i giorni pre – natalizi, giorni di doni e di affetti familiari, l’ha resa quasi un gioioso anticipo del Natale per l’infanzia di molti paesi.
Nell’Europa orientale e in alcune zone d’Italia, il 6 dicembre, festa di San Nicola, è accolto come altrove la Befana. La distribuzione dei doni avviene nella notte tra il 5 e il 6  mentre soffia il vento e scendono lentamente grandi fiocchi di neve. Nei paesi nordici innumerevoli sono i cortei che accompagnano con fiaccole, luci e suoni il caratteristico e simpatico personaggio, a volte paludato nei festosi abiti vescovili; a volte in costume più sobrio, ma pittoresco, seguito da una specie di folletto, il genio di uno spazzacamino, al quale è affidato il compito di punire quei bambini che, nella magica notte, non attendono dolci e balocchi.
Per poter spiegare la protezione dei bambini e la successiva trasformazione del vescovo di Myra nel più colorato e sicuramente commerciale Babbo Natale bisogna tornare a lontanissime usanze pre-cristiane collegate al solstizio d’inverno e alla loro cristianizzazione in età medievale. Infatti la dispensazione dei doni è la formula cristiana della rifondazione del cosmo che, in epoca romana, avveniva per opera di Saturno, il quale durante il solstizio d’inverno, con la sua forza, rinnovava l’anno e  in un certo senso “donava” il futuro: “Che per distribuire doni ai nostri bambini si scomodino un incolore Babbo Natale o  invece un burbero Knecht Rupprecht o san Nicola o il Pelzickel” ha scritto la storica delle religioni Margarethe Riemschneider “dietro a tutte queste figure sta sempre l’invernale Saturno…Se oggi ancora i bambini pongono davanti alla porta una scarpa, un piatto o qualche altro oggetto affinché il Santo porti loro furtivamente mele o noci, è perché esse costituiscono l’immagine infantile della buona fortuna”.
Quanto la mitologia doveva influire sulla fantasia dei popoli dediti all’agricoltura ed esserne essa stessa plasmata si nota andando  a scomodare il mito romano. Si narra che il misterioso Giano, il dio italico considerato il buon creatore, regnava sul Lazio quando dal mare vi giunse Saturno. Giano l’ospitò imparandone l’arte dell’agricoltura e “migliorando così il sistema dell’alimentazione che prima della scoperta delle messi era selvaggio e rozzo” scrive Macrobio e aggiunge: “il periodo del suo regno, si dice, fu molto felice sia per l’abbondanza dei prodotti sia perché non esisteva ancora alcuna discriminazione tra liberi e schiavi durante i Saturnali”. Era la mitica età dell’oro, quando gli uomini vivevano pacificamente, senza guerre né conflitti sociali.
Scomparso il dio all’improvviso, Giano chiamò in suo onore Saturnia la regione sottoposta al suo potere e gli consacrò un altare con riti sacri, i Saturnali, durante i quali ci si scambiavano candele di cera: esse rammentavano, sempre secondo Macrobio, che “grazie a quel principe ci elevammo da una vita informe e oscura alla luce e alla conoscenza delle arti liberali”.
Seppure la data dei saturnali non coincide con la festa di San Nicola, è vero che nella cristianizzazione di feste pagane non sono rari gli adattamenti anche calendariali.
Non casualmente l’atmosfera dei saturnali, periodo carnascialesco, si riscontra in un’usanza medievale che s’iniziava il 6 dicembre, quando i seminaristi eleggevano fra di loro un vescovello con i suoi cappellani che sarebbero stati tutti insieme i protagonisti, nella successiva festa dei Santi Innocenti, il 28 dicembre, di una grottesca cerimonia. L’episcopello imberbe indossava i paramenti e, salito in cattedra, reggeva il coro e impartiva la benedizione persino all’autentico vescovo ridotto in quell’occasione a semplice prete. Poi seminaristi e sacerdoti in abiti da mascherata danzavano e cantavano fra lazzi e canzoni. I “saturnali cristiani” che vennero a poco a poco espunti durante il medioevo dalle chiese, testimoniavano la presenza di Saturno mentre l’episcopello era una specie di  interrex, simile a quello dei carnascialeschi riti romani.
Lo spostamento della ricorrenza di San Nicola al 6 dicembre, in epoca medievale, rese un primo colpo alla festa a cui ne seguì un altro per opera del protestantesimo. Infatti, Lutero pur annotando nel suo diario la nota delle spese per i regali ai bambini e ai domestici per la festa di San Nicola, abolendo ogni forma di tradizione e di culto verso i santi , trasferì questa usanza nella figura di Cristo, nel vicino Natale, e i doni prima portati da San Nicola furono attribuiti a Gesù Bambino e così, anche l’albero di Natale, che prima era connesso alla figura di San Nicola, come dimostra una incisione del 1749 in cui risulta un particolare iconografico: all’alberello sono attaccate delle scalette che ricordano la “scaletta” usata da san Nicola per lanciare dalla finestra della casa le tre borse alle tre fanciulle bisognose. Gli alberelli di San Nicola vennero anch’essi trasferiti al Cristo “albero di luce”. La materializzazione di quest’ultimo concetto teologico portò successivamente alla concreta e familiare illuminazione dell’albero attraverso le mille  candeline, attestata da un’altra antica incisione. In essa san Nicola, con un berretto a metà di cuoio e a metà di vescovo si avvicina per contemplare l’albero della luce sfarzosamente illuminato.
Fu proprio il legame istaurato nei secoli e la penetrazione profonda, del nostro santo, nel cuore dei bambini e degli scolari, divenuti i prediletti e beneficiari di doni, la causa della difficoltà che il protestantesimo incontrò nel debellare il culto di san Nicola.
La guerra a san Nicola fu particolarmente dura in Olanda, ma furono proprio gli olandesi a trasportare il suo culto oltreoceano, trapiantandovi la festa dedicata ai doni natalizi. Poi all’inizio dell’ottocento san Nicola, il cui nome storpiato già dagli olandesi, si era trasformato nell’inglese Santa Klaus, subì l’ultima metamorfosi: il suo mantello vescovile si trasformò in una zimarra ornata di pelliccia e la mitra in un cappuccio. Scese infine dal cavallo bianco, col quale giungeva nelle case dei bambini olandesi, e salì su una slitta trainata da renne: era diventato il Babbo Natale che sarebbe rientrato in Europa nel dopoguerra sull’onda della colonizzazione commerciale.
Ciononostante in Italia e nel mondo permane in alcune comunità la tradizione culturale della funzione nicolaiana. In Puglia il 6 dicembre i bambini aspettano san Nicola per ricevere regali. Secondo la tradizione san Nicola viene dal mare, a ricordo dell’arrivo a Bari nel 1087, su una nave carica di ogni ben di Dio ed entra nelle case dei bambini per distribuire dolci e giochi, dentro le scarpe posizionate la sera della vigilia accanto al fuoco.
In Sicilia, san Nicola viene rappresentato sotto forma di coccinella a cui i bambini chiedono un regalo per ogni dente da latte caduto.
In Valnerina, il 6 dicembre rappresentava una data legata alla distribuzione dei doni ai bambini, non solo a Monteleone di Spoleto, ma anche a Cerreto di Spoleto, di cui san Nicola è patrono, dove gli scolari si esibivano in recite e ne ottenevano premi, e a Scheggino, dove era il parroco a distribuire doni ai bambini.
Altra espressione della caratterizzazione infantile di questa festa, sempre a Monteleone, fino all’immediato dopoguerra, era la distribuzione di castagne, lessate o arrostite, da parte degli insegnanti ai bambini.
Oggi tale rituale costituisce, per i suoi diretti destinatari, i bambini, un’occasione di uscita, slegata, ormai al senso originale, mentre per gli adulti rimane una festa sottratta a spinte consumistiche e commerciali, una forma di devozione che l’onda commerciale rischia di appiattire, se non di spazzare via, in una società che ha conservato quasi integre le sue tradizioni, anche alimentari, se pensiamo all’importanza della coltivazione del farro per Monteleone, e che fino a pochi decenni fa vi identificava la fonte primaria di sopravvivenza. In questo contesto san Nicola, il santo elargitore che aveva “dato il farro ai poveri” non poteva che essere considerato, come in altre zone del mondo, una specie di vice di Dio, ecco quindi la notevole diffusione di cappelle a lui dedicate in Valnerina.

 

San Nicola e la Valnerina

 

In Valnerina, dove il culto di San Nicola ha trovato notevole diffusione, forse grazie al fatto che i benedettini hanno origine a Norcia, tanto che numerose chiese, ad Agriano di Norcia, Acquapremula di Sellano, Cerreto di Spoleto, Manigi di Cascia, Roccatamburo di  Poggiodomo, Rocchetta di Cerreto di Spoleto, Scheggino, oltre a Monteleone di  Spoleto il giorno della vigilia.
Si tratta di un rituale che si presenta oggi come incentrato sulla distribuzione di una minestra di farro alla popolazione, in forme analoghe a quelle che vengono ricordate dagli  informatori anziani.

Cottura del farro nella canonica di Monteleone di Spoleto il 5 dicembre

 

Tutto il rituale è gestito dal parroco che si occupa della predisposizione egli ingredienti e sovrintende alla preparazione e distribuzione della minestra con l’aiuto di alcune donne. Il farro viene cotto nella canonica della chiesa parrocchiale di San Nicola in un grande caldaio sul focolare. All’acqua bollente, circa 80 litri, vengono aggiunti otto chili di farro che viene cotto, rimestandolo lungamente per circa due ore. Mezz’ora prima di toglierlo dal fuoco viene aggiunto il sugo di magro, con pomodoro, sedano, cipolla, carota, olio, peperoncino, preparato il giorno prima.
Dopo avervi aggiunto abbondante formaggio grattugiato, viene infine servito a mezzogiorno quando cominciano ad arrivare nella chiesa i parrocchiani e soprattutto gli scolari festanti con i loro cucchiai e piatti per mangiare la minestra e per suonare allegramente come strumenti musicali. Dopo la breve funzione religiosa, in cui si ricordano i miracoli di San Nicola e il significato di aggregazione comunitaria del consumare il pasto in comune si gusta il prelibato piatto un tempo considerato dono di San Nicola ai poveri, consentendo dunque la ripetizione dell’evento mitico. Nella festa di Monteleone si ritrovano i due tratti caratteristici con i quali si individua e riconosce San Nicola: il patronato sui bambini, gli adolescenti  e gli scolari, e la funzione di elargizione del cibo, egualitaria, perequativa, giustificata dalla figura di San Nicola, per eccellenza, santo elargitore. La funzione della distribuzione del cibo, a Monteleone assume le peculiarità della distribuzione del farro, ma  in tutta la Valnerina e non solo, si connota di usanze particolari e di elementi comuni: le forme utilizzate, le occasioni, i significati attribuiti, i soggetti impegnati sono di volta in volta differenti. A queste feste è importante fare riferimento per capire i tratti comuni e di differenza rispetto al rituale di san Nicola, per capire la permanenza nel tempo e le connessioni sociali che si possono cogliere estrapolato l’elemento mitico.
L’analisi di cui parliamo è stata accuratamente fatta da Cristina Papa nel suo contributo sul farro nel Primo Quaderno del CEDRAV. Scrive l’autrice: “E’ possibile anzitutto osservare come queste distribuzioni riguardano principalmente i cibi a base di cereali, soprattutto sotto forma di pane e di dolci. Vi sono ricorrenze calendariali, come quella del 17 gennaio che coincide con la festa di S. Antonio abate, in cui in modo diffuso nel territorio della Valnerina, in analogia a quanto avviene in altre regioni italiane, vengono prodotti e distribuiti pani speciali a cui sono spesso attribuite funzioni protettive e terapeutiche per uomini e animali. Il 17 gennaio, a Cascia, la confraternita di S. Antonio abate distribuisce ciambelline infilate l’una accanto all’altra a formare coroncine, che vengono nel giorno della festa indossate come collane ed infine mangiate; a Norcia nelle frazioni di Nottoria, S. Marco e Pescia, erano distribuite un tempo pagnottelle di pane, che,a Pescia assumevano la forma di animali domestici e venivano date da mangiare anche agli animali con una funzione di protezione. Ad Ancarano vengono ancora oggi distribuiti dai santesi fichi secchi e vino all’uscita della messa. A Monteleone di Spoleto per la festività di S. Antonio Abate il parroco benedice gli animali da soma (cavalli, muli ed asini) carichi della legna donata per riscaldare la canonica e distribuisce ai proprietari una pagnotta di pane, un bicchiere di vino ed un lunario.
A Poggiodomo, invece, si festeggia S. Antonio da Padova nella quarta domenica di Agosto, prima della partenza dei pastori per la transumanza; il venerdì che precede la festa sono distribuite dai santesi piccole pagnotte all’uscita della chiesa. Lo stesso S. Antonio da Padova, venerato in Valnerina come uno dei santi prediletti per la carità verso i poveri, viene celebrato con distribuzioni rituali, come ad esempio ad Ancarano di Norcia dove vengono distribuite delle ciambelline dolci.
Piccoli pani rotondi, con su impressa l’effige della Madonna, preparati collettivamente dalle ragazze del posto, sono distribuiti in occasione della festa della Madonna della Pietà, la domenica successiva all’8 settembre nella chiesa parrocchiale di Ferentillo, e vengono poi conservati ed utilizzati con una funzione terapeutica. Una funzione protettiva è attribuita anche ai biscotti che vengono preparati a Villamagina di Sellano, il 3 maggio o il sabato successivo, in occasione della ricorrenza della festa della Santa Croce. I “biscottini”, fatti con le raccolte della questua, vengono distribuiti a tutti i presenti ed inviati a tutti gli abitanti che non hanno potuto prendere parte alla festa; fino a pochi anni fa uno dei santesi s’incaricava personalmente della consegna.
La festa del patrono coincide spesso con queste distribuzioni di cibo. E’ quanto avviene il 13 marzo a Pescia, per la festa del patrono S. Ansuino. In quest’occasione il parroco distribuisce pane, alici e vino a tutti, cibo di magro che segna l’osservanza della Quaresima anche nel giorno della festa del patrono. Analogamente, il 20 maggio, giorno della festa di S. Bernardino, in un piccolo convento francescano che si trova nel comune di Montefranco, vengono distribuite ciambelline dolci fatte preparare dai santesi con il ricavato della questua, mentre la sera precedente si distribuiscono pezzetti di pane a ricordo di un miracolo effettuato dal Santo in quella località. Sempre con il ricavato di una questua sono preparate delle ciambelline all’anice, distribuite con il caffè fuori della chiesa campestre di Santa Lucia a Monterivoso di Ferentillo, nel giorno della festa.
Un’altra occasione per la distribuzione di pane, diffusa in molti paesi della Valnerina, è la ricorrenza dei Morti. Ad Agriano di Norcia, fino a non molto tempo fa, dopo la funzione religiosa in suffragio dei defunti, si distribuivano, fuori della chiesa, pane e vino a tutti gli intervenuti. Fino a non molti anni orsono nel comune di Cerreto di Spoleto le famiglie benestanti (gli Argentieri nel capoluogo, i Casiccio a Ponte del Piano, i Laurenzi a Bugiano, gli Ergasti a Ponte, i Cavalletti a Fergino), distribuivano grandi quantità di pane ai poveri del paese che in cambio recitavano preghiere in suffragio dei defunti, in particolare il “dies irae”, che recitato tre volte, secondo la tradizione, equivaleva ad una Messa.
Anche la famiglia Fantucci a Vallo di Nera e le famiglie benestanti a Forsivo di Norcia distribuivano una pagnotta di pane rotonda, su cui era disegnata una croce, a tutti coloro che venivano a chiedere la “carità dei morti” in cambio di preghiere.
Ancora oggi a Scheggino, in occasione del giorno dei Morti, viene distribuito un filone di pane da un chilo a ciascuna famiglia, da parte della famiglia più ricca del paese, gli Urbani, perpetuando un “lascito” della famiglia Amici degli Elci, rilevato con l’acquisto della proprietà. Anche in questo caso, come in quelli precedenti, un privato che ha più degli altri attua una forma di redistribuzione in un’occasione ritualmente importante, spesso per obbligo testamentario.
Anche se la distribuzione di pane per la festa dei Morti è la forma più diffusa, sono presenti anche altre forme di elargizione che derivano da obbligazioni di varia natura. Il 2 maggio, in una località di montagna nel comune di Preci, agli intervenuti alla processione che muove dall’Abbazia di S. Eutizio, sosta poi a Valle nella chiesa di S. Macario per raggiungere infine la Madonna delle Icone dove si recitano le “rogazioni”, vengono distribuite delle pagnotte di pane, vino e ciambelle con uvetta, acquistati con il ricavato di una questua effettuata nei paesi della Guaita di S. Eutizio e delle rendite dei terreni della chiesa di S. Macario per assolvere ad un obbligo testamentario. In modo analogo, a Campi, nel comune di Norcia, il giorno di S. Nicola l’affittuario di un terreno della Chiesa ha l’obbligo, sancito nel contratto d’affitto, di distribuire al termine della messa una certa quantità di fave secche e una pagnotta di pane denominata “la colenna” a tutti gli intervenuti.
Diverso è il caso della distribuzione del latte cagliato, denominato “giuncata”: un intero gruppo sociale come quello dei pastori distribuisce uno dei prodotti del proprio lavoro alle tre componenti della collettività. E’ quanto avviene in alcune frazioni dei comuni di Cascia e di Poggiodomo il giorno dell’Ascensione o di S. Antonio da Padova. In questo caso la redistribuzione non assolve soltanto ad una funzione egualitaria, ma rappresenta anche una forma di “controdono” offerto a coloro che, non avendo bestiame proprio, concedono ai pastori i diritti di passaggio e di pascolo sui propri terreni; un dono che si estende a tutti i membri della comunità in quanto proprietaria delle terre comuni destinate al pascolo.
Nei primi decenni di questo secolo molti degli abitanti della Valnerina si sono trasferiti nella capitale per esercitare attività commerciali: soprattutto “norcinerie” e negozi commerciali, ma anche bar. Pur in un mutato contesto, la conservazione delle tradizioni della zona di origine si manifestava, fino a non molto tempo fa, con l’offerta ai migliori clienti della “giuncata”, preparata appositamente per il giorno dell’Ascensione.
Una funzione per lo più di celebrazione festiva assumono invece i “rinfreschi”, composti principalmente di dolci e vino e organizzati con il denaro derivato dalle questue, che gli organizzatori delle feste offrono in particolari occasioni come a carnevale o nel ciclo festivo mariano in maggio o in alcune festività patronali.
Durante i festeggiamenti del Carnevale, principalmente in occasione di feste da ballo, avvengono spesso distribuzioni di dolci tipici, preparati a Cammoro, Orsano e Pupaggi, frazioni del comune di Sellano, ma la pratica era diffusa in tutta la zona.
Durante tutto il mese di maggio, in molte località della Valnerina, si svolgono feste dedicate alla Madonna, organizzate dalle ragazze del paese, che, a turno, assumono in coppia la funzione di “santesi”, e dopo le funzioni religiose offrono rinfreschi con il ricavato della questua. Nella frazione di Ospedaletto del comune di Norcia, in occasione della festa di S. Rita, che in questa località si festeggia la prima domenica di luglio, le santesi offrono nel pomeriggio una merenda a tutte le ragazze del paese.
Nei paesi di Legogne di Norcia, Ocosce di Cascia e Castellone Alto di Ferentillo, in occasione della festa di S. Anna, il 26 luglio, a tutti i partecipanti viene offerto dalle santesi un rinfresco, con il ricavato delle relative questue.
Lo stesso avviene a S. Martino di Sellano, in occasione della ricorrenza della Madonne della Neve (5 agosto), celebrata la prima domenica del mese di agosto, e a Casale di Sellano in occasione della festa di S. Rocco il 16 agosto, mentre a Notoria di Norcia, per la festa della Madonna di Pompei o delle ragazze, che si svolge il 15 agosto, vengono distribuite grandi fette di cocomero.
Di recente istituzione è la distribuzione di pagnottelle ripiene di salumi insieme al vino, che avviene a Vallo di Nera, in occasione della festa del S. Crocifisso (30 marzo), celebrata nella domenica più vicina a questa data, a ricordo di uno scampato eccidio minacciato dalle truppe tedesche durante l’ultimo conflitto mondiale.
Nuove forme di redistribuzione di cibi, anche se non più rituali, o legate a feste calendariali, sono quelle recentemente istituite per valorizzare prodotti tipici, organizzate soprattutto dalle Pro – loco in occasione delle sagre che si svolgono principalmente nel mese di agosto in tutta la Valnerina e che vengono sponsorizzate dai vari produttori locali, come nel caso di Cortigno di Norcia, dove vengono offerti spaghetti al tartufo.
Sempre le Pro – loco, in occasione della Pasqua, organizzano in molte località la distribuzione di “pizze” pasquali, sia dolci che salate, per la colazione della mattina di Pasqua, come a S. Anatolia di Narco, oppure dopo l’uscita dalla messa, come a Vallo di Nera, ma anche il lunedì successivo, come a Ferentillo. Ad Ancorano di Norcia, la locale Pro – loco ha addirittura rilevato un vecchio lascito testamentario e la mattina di Pasqua distribuisce dei panini a tutti i componenti dei nuclei familiari.
Altra distribuzione di prodotti tipici, quali salumi, formaggi, polenta, lenticchie e funghi, anche se di recente istituzione, è quella che avviene in occasione delle celebrazioni rituali nella vigilia della festa di S. Benedetto, il 20 marzo a Norcia, sotto il portico delle “misure” a fianco della Basilica del Santo.
A Sellano, in occasione della festa del Ringraziamento, istituita non molti anni fa a cura del parroco e della Pro – loco, nell’ambito delle festività autunnali del ciclo agrario, nel pomeriggio dell’ultima domenica di ottobre si distribuiscono in piazza vino e castagne.
In analogia alle feste del fuoco autunnali, tradizionalmente diffuse in ambito europeo e legate a forme di divinazione della fortuna, si praticava a Scheggino e Ceselli la sera del 9 dicembre una forma di distribuzione di cibo ed insieme di assegnazione della sorte. In questa data si rievoca la traslazione della Santa Casa, trasportata dagli angeli in volo verso Loreto. Alla popolazione raccolta intorno ad un grande fuoco sulla piazza del paese veniva distribuito un pezzo di focaccia con la moneta. A Scheggino la preparazione avveniva nella casa del parroco, mentre a Ceselli si preparava un tempo nella sede della Confraternita e poi in case private.
In tutta la Valnerina permane l’antica usanza di accendere grandi fuochi, detti “focaracci”, “foconi della Venuta” o “faoni”, sia nei centri abitati come a Norcia, a Cascia, a Monteleone di Spoleto, a Poggiodomo, o a Roccatamburo, che nelle campagne ed in qualche famiglia si prepara ancora questa torta della “fortuna”, cotta sul camino e distribuita fra parenti ed amici. A Norcia, da alcuni anni, la festa dei “faoni” ha assunto le forme di una competizione fra i rioni che provvedono ad imbandire banchetti con cibi tradizionali a tutti gli intervenuti.
Tra tutte queste diverse forme di distribuzione di cibo a livello comunitario è possibile individuare alcuni tratti comuni che sono alla base della stessa festa: in genere, un soggetto collettivo dotato di autorità raccoglie una quantità di beni più o meno grande, una parte dei quali o la loro totalità viene ridistribuita in occasioni cerimoniali.
Il canale di concentrazione dei beni può essere di breve durata ed esplicitamente finalizzato ad un’occasione, come nel caso della questua effettuata dai santesi, appositamente sorteggiati o eletti tra la popolazione, oppure, in una forma ancora più istituzionalizzata, dai membri di una confraternita che gestisce la festa. In questo caso ciò che viene accumulato da pochi individui in un breve lasso di tempo viene ridistribuito alla collettività durante la stessa festa, per la quale era stato raccolto.
In altri casi, invece, la raccolta può essere messa in atto da organismi, come le Pro – loco, che effettuano concentrazioni di beni destinati ad iniziative redistributive di varia natura che si protraggono nel tempo e che  non vengono utilizzati per una sola occasione.  In altri casi ancora la concentrazione di beni può essere avvenuta in tempi e forme non direttamente finalizzati alla redistribuzione come è il caso della ricchezza accumulata da alcune famiglie oppure dalla stessa Chiesa. La festa rappresenta un’occasione di incontro per la celebrazione del rito, di cui la consumazione collettiva del pasto rappresenta una parte costitutiva”.

 

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Fonte: http://www.comune.monteleone-di-spoleto.pg.it/bassorilievo/Ricerca%20storica%20sulla%20figura%20di%20S.%20Nicola%20senza%20foto.doc

Sito web da visitare: http://www.comune.monteleone-di-spoleto.pg.it/turismo.asp

Autore del testo:

 

COMUNE DI MONTELEONE DI SPOLETO

(Provincia di Perugia)

      

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