Origine della vita

 


 

Origine della vita

 

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L’ORIGINE DELLA VITA

 

Antichità

Sino dall’antichità l’uomo si è posto il problema dell’origine della vita. Per gli organismi di cui è noto il ciclo vitale è facile riconoscere l’origine a partire dai genitori; non altrettanto avviene invece con gli organismi per i quali, a causa delle piccole dimensioni oppure delle condizioni di vita, il ciclo vitale non risulta evidente. Nella Cina antica, ad esempio, la gente pensava che dai bambù si generassero spontaneamente alcuni insetti, documenti sacri dell'India testimoniano invece della nascita spontanea di mosche dal sudore e dalla sporcizia, mentre secondo i babilonesi il fango dei canali generava vermi. La teoria secondo la quale dalla materia inanimata possono nascere esseri viventi prende il nome di generazione spontanea. Nel IV° secolo avanti cristo Aristotele raccolse su questo argomento le idee dei filosofi che vissero prima di lui, sintetizzandole in una teoria secondo cui gli organismi viventi nascono, in genere, da altri organismi a loro simili, però a volte possono anche scaturire dalla materia inerte. Nella sua Storia Naturale Plinio, parlando dell’anguilla, dà una fantasiosa interpretazione riguardo la sua riproduzione: il filosofo naturalista latino scrive infatti che le anguille, strofinandosi sulle rocce, liberano frammenti di pelle da cui avrebbero successivamente origine nuove anguille. La teoria della generazione spontanea passò indenne attraverso il Medioevo e il Rinascimento. Nel XVI secolo vi era ancora qualcuno disposto a credere che le oche nascessero da alcuni alberi che si trovavano a contatto con le acque dell'oceano o che gli agnelli si formassero all'interno di meloni, come andavano raccontando alcuni viaggiatori al ritorno da lunghi viaggi in Oriente.


Nel XVII secolo finì l'epoca delle leggende e iniziarono le prime sperimentazioni a sostegno della teoria della generazione spontanea. Il medico fiammingo Jean Baptiste Van Helmont annunciò (seriamente) di avere condotto un esperimento mettendo a contatto chicchi di frumento e una camicia sporca, in seguito al quale, dopo 21 giorni, sarebbero nati dei topi. Secondo Van Helmont il sudore umano avrebbe rappresentato il principio attivo necessario per spingere la materia inerte a trasformarsi in materia vivente. Non dobbiamo del resto dimenticare che, a cavallo tra ‘600 e ‘700,  la generazione spontanea fu sostenuta anche da illustri pensatori come Newton e Cartesio.

 

L’esperienza di Francesco Redi

 

Il primo studioso ad effettuare ricerche rigorose su questo argomento fu Francesco Redi (1626-1698), membro dell'Accademia del Cimento, che operò a Firenze sotto la protezione del granduca di Toscana. Redi si proponeva di verificare se "ogni fradiciume di cadavere corrotto, ed ogni sozzura di qualsiasi altra cosa putrefatta, ingenera i vermi e gli produce". Le sue "Esperienze intorno alla generazione spontanea degli 'insetti", pubblicate nel 1668, rappresentano una brillante soluzione del problema. Egli inizio i suoi esperimenti mettendo in un recipiente aperto una fetta di carne, che in pochi giorni fu ricoperta di vermi. Dopo 19 giorni notò che i vermi cominciavano a diventare immobili e ad avvolgersi in piccole palle dure. Trasferì le palline in un altro recipiente; dopo 8 giorni, da ogni pallina uscì una mosca. Era forse questa una conferma della generazione spontanea? Era necessario approfondire il problema. L'esperimento conclusivo è importante perché per la prima volta viene introdotto il metodo comparativo, mediante l'uso sistematico di campioni di controllo. Otto flaconi furono riempiti di vari tipi di carne; quattro vennero lasciati all'aria aperta e quattro furono sigillati ermeticamente. Solo nei flaconi aperti, nei quali le mosche avevano potuto deporre le uova, si formarono larve che dettero origine a nuove mosche. La carne nei flaconi sigillati divenne anch'essa putrida e si decompose, ma senza produrre alcuna forma di vita visibile ad occhio nudo. Il risultato rappresentava un forte argomento contro la generazione spontanea. I sostenitori di :


".. Io cominciai a dubitare, se per fortuna tutti i bachi delle carni dal seme delle sole mosche derivassero, e non dalle carni stesse imputridite; e tanto più mi confermava nel mio dubbio, quanto che in tutte le generazioni da me fatte nascere sempre avea io veduto sulle carni, avanti che inverminassero posarsi mosche della stessa specie di quelle che poscia ne nacquero. Ma vano sarebbe stato il dubbio, se l'esperienza confermato non l'avesse. Imperciocché... in quattro fiaschi di bocca larga misi una serpe, alcuni pesci di fiume quattro anguillette d'Arno ed un taglio di vitella di latte; e poscia, serrate benissimo le bocche con carta e spago e benissimo sigillate, in altrettanti fiaschi posi altrettante delle suddette cose, e lasciai le bocche aperte: né molto passò di tempo, che i pesci e le carni di questi secondi vasi diventarono verminose, ed in essi vasi vedevansi entrare ed uscir le mosche a lor voglia. Ma ne' fiaschi serrati non ho mai veduto nascere un baco, ancorché sieno scorsi molti mesi dal giorno che in essi quei cadaveri furono serrati..."


Al termine delle sue ricerche Redi poteva dunque concludere che la carne in decomposizione genera "vermi" solo quando vi si posano insetti che vi depongono le uova; dai "vermi" nascono insetti della stessa specie di quelli che hanno deposto le uova. In sintesi: la carne da sola non genera i vermi. Lo studio di Redi sulla generazione spontanea rappresenta un momento cruciale nella storia della Biologia, sia per il rigore con cui vennero condotti gli esperimenti, che per l'audacia con cui questo mito venne confutato. Gli esperimenti di Redi rientravano in un programma di ricerca più vasto: lo studio e la descrizione dei parassiti delle specie animali più diverse: dall'uomo agli uccelli, ai rettili, ai pesci, ai molluschi, con grande attenzione all'interpretazione del loro ciclo vitale. La sconfitta della generazione spontanea lo obbligava, ma allo stesso tempo lo confortava, nella ricerca di una origine biologica dei parassiti. Pubblicò i risultati di questi studi nel 1684 in un opera intitolata “Osservazioni interne agli animali viventi che si trovano negli animali viventi”. Rimanevano tuttavia alcuni casi di generazione che non riusciva a spiegare: i vermi intestinali ed altri parassiti, così come la crescita delle galle di quercia.


Più o meno nello stesso tempo in cui Redi compiva i suoi esperimenti, Anton Van Leeuwenhoek  osservò, per la prima volta, la presenza di microrganismi attraverso il rudimentale microscopio da lui stesso costruito. Le osservazioni al microscopio ben presto si moltiplicarono e la presenza di un numero tanto abbondante di microrganismi all'interno di tutte le sostanze esaminate stimolò nuove ricerche, in quanto dimostravano l’esistenza di un universo fino a quel momento sconosciuto, popolato di "animaletti" ubiquitari e in grado di moltiplicarsi ad un ritmo vertiginoso. Da dove venivano? Come si riproducevano? I microrganismi sembravano inoltre fornire il collegamento, a lungo ricercato, fra gli organismi visibili e la natura inanimata. Si riapriva quindi la disputa fra teoria della biogenesi (la vita deriva dalla vita) e teoria della abiogenesi  o generazione spontanea (la vita si origina da sostanze non viventi), che si spostava dal mondo macroscopico dei vermi e delle mosche, a quello microscopico, ove le esperienze di Redi non avevano alcuna efficacia: bastava infatti collocare del fieno secco in acqua e, dopo alcuni giorni, compariva una miriade di organismi microscopici a cui venne dato il nome di infusori.

 

John Needham (1713 – 1781) e Lazzaro Spallanzani (1729 – 1799)

 

Circa mezzo secolo dopo le osservazione di Leeuwenhoek, sull'origine degli infusori si sviluppò una delle più celebri dispute scientifiche del '700: quella fra il prete cattolico inglese John Needham e il prete cattolico italiano Lazzaro Spallanzani. Nel 1748 Needham eseguì una serie di esperienze consistenti nel mettere in un vaso del brodo di carne, sigillarlo, a suo dire, ermeticamente e riscaldarlo, ponendolo per alcuni minuti sulla cenere calda. I vasi venivano poi tenuti a temperatura ambiente. Dopo qualche giorno il brodo era pieno di “animaletti”, secondo Needham nati in maniera spontanea dal brodo stesso, grazie all’azione di una “forza produttrice”, visto che il calore avrebbe dovuto distruggere ogni forma di contaminazione dall’esterno. La stessa tesi venne ripresa anche da George Leclerc de Buffon, il quale sostenne che le molecole organiche derivanti dal disfacimento dei corpi possono riunirsi in modo spontaneo per dare origine a nuovi organismi. 


Nel 1768 Spallanzani ripeté le esperienze di Needham, aumentando però fino a 45 minuti i tempi di esposizione al calore e serrando i contenitori in modo ermetico: il risultato fu la non comparsa dei microrganismi nel brodo. Needham criticò la durezza dei metodi dell’abate italiano: il calore eccessivo avrebbe distrutto la forza produttrice delle sostanze infuse, rendendo quindi impossibile la generazione di nuova vita. Inoltre, sempre a causa dell’eccessivo calore, l’aria sarebbe stata corrotta, perdendo quell’elasticità indispensabile per garantire la sopravvivenza di un essere vivente. Quest’ultima critica venne in seguito sostenuta anche da Guy Lussac, il quale dimostrò che i cibi conservati dall’industriale Nicolas Appert , secondo i principi di Spallanzani, erano si indenni da ogni deterioramento, ma ciò era dovuto semplicemente la fatto che non avevano traccia di ossigeno e quindi era resa impossibile la presenza di qualunque tipo di vita.


Agli inizi dell’800 tra i fautori della generazione spontanea troviamo anche Lamarck (1744-1829), il quale nel 1802 sosteneva che, affinché "i corpi viventi siano effettivamente prodotti di natura, la natura deve aver avuto, e deve ancora possedere, la capacità di produrre alcuni di essi in modo diretto". E nel 1809 scriverà: "La natura ha cominciato, e ricomincia ancora tutti i giorni, col formare i corpi organici più semplici: essa forma direttamente solo questi, e cioè i primi abbozzi di organizzazione, che designiamo con l'espressione di generazioni spontanee."

 

Louis Pasteur (1822 – 1895)

Il problema verrà ripreso, nella seconda metà dell' 800, da Pasteur. La produzione di bevande alcoliche, antica di migliaia di anni, era ancora sconosciuta, nel secolo scorso, dal punto di vista scientifico. Si sapeva che la fermentazione dell'uva poteva prendere una strada imprevista, e allora il vino si trasformava in aceto, (i produttori parlavano di "malattia del vino"), così come il latte poteva inacidire. Dopo aver studiato la fermentazione alcolica, ed essersi convinto dell’origine biologica del fenomeno, legato all’azione dei fermenti, Pasteur passa a studiare l’irrancidimento del burro (1857). Osservando campioni di burro rancido al microscopio osserva un microrganismo mobile (i fermenti erano immobili), di cui intuisce il metabolismo in assenza di ossigeno (tale elemento era fino ad allora ritenuto da tutti indispensabile alla vita, mentre adesso mostra una azione tossica). Conia quindi i termini aerobiosi (vita in presenza di ossigeno) ed anaerobiosi (vita in assenza di ossigeno), tuttora utilizzati e fonda la microbiologia.


Essendo convinto che i fermenti si trovino nell’aria e che da questa si depositino sulle sostanze che poi trasformano, Pasteur si trovò coinvolto nel dibattito che si svolgeva alla metà dell’800 sulla generazione spontanea. All’epoca nessuno sosteneva più che gli esseri viventi visibili ad occhio nudo potessero sorgere in modo improvviso e senza la presenza di un genitore. Il problema rimaneva invece aperto per quel che riguardava i microrganismi, cioè gli esseri talmente piccoli da potersi osservare solo al microscopio, che erano responsabili del deperimento degli alimenti e della putrefazione.
Nel 1859 il naturalista Felix-Archimede Pouchet (1800-1872), pubblicava una lunga opera dal titolo Hétérogénie ou traité de la géneration spontanée, il cui scopo dichiarato era dimostrare la generazione spontanea sulla base di esperimenti inconfutabili. Nuovi organismi viventi possono, secondo Pouchet, derivare dalla materia che era stata vivente. La riproposizione di questo problema spinse I 'Académie des Sciences ad istituire nel 1860 un premio per il migliore tentativo "realizzato con esperimenti ben condotti, di gettare nuova luce sulla questione della cosiddetta generazione spontanea". L'esperimento svolto al riguardo da Pasteur impiegò un apparato molto semplice, ma geniale, costruito in modo tale da non poter più dar adito a dubbi sulla possibilità che il principio attivo possa essere distrutto dal calore o soffocato per mancanza di aria.
Precedenti esperimenti gli avevano infatti rivelato che dei microrganismi possono derivare da particolari cellule chiamate spore. Egli fece allora l’ipotesi che le piccolissime spore siano trasportate assieme al pulviscolo dell’aria: finché esse restano nell’aria sono inattive, ma non appena vengono a trovarsi in un ambiente contenente le sostanze indispensabili alla crescita, ad esempio in un’infusione, ridiventano attive e danno origine a microrganismi, che si moltiplicano poi rapidamente. Pasteur pensò quindi che, per dimostrare che anche nel caso dei microrganismi non vi era generazione spontanea, occorreva impedire che le spore venissero a contatto con l’infusione. I suoi avversari insistevano però sul fatto che, affinché i risultati ottenuti avessero valore, era necessario che l’aria potesse raggiungere rapidamente l’infusione. Si trattava perciò per Pasteur di risolvere un non facile problema pratico, quello di lasciare entrare nel recipiente contenente l’infusione l’aria ma non le spore.
Egli costruì personalmente dei contenitori di vetro con un lungo collo ricurvo (detti, per la loro forma, "palloni a collo di cigno"), all'interno dei quali veniva riposta la soluzione nutritiva, che era fatta bollire per più di un'ora, lasciando che il vapore uscisse liberamente dall'orifizio terminale del collo ricurvo. In tal modo tutti i microrganismi presenti nell’infusione sarebbero stati uccisi, e inoltre il vapore d’acqua che si sviluppava durante l’ebollizione avrebbe ucciso le spore eventualmente presenti sulle pareti interne della boccia e del collo di vetro. Naturalmente l’aria che sarebbe entrata liberamente nella boccia, quando questa si fosse raffreddata, avrebbe potuto contenere spore frammiste al pulviscolo: tuttavia Pasteur previde che tali spore sarebbero rimaste intrappolate nella parte iniziale, ricurva, del collo e non sarebbero riuscite a penetrare fin nella boccia. Infatti anche a distanza di diversi mesi l'infuso si conservò limpido, a dimostrazione che non erano presenti germi di alcun genere, mentre sul tratto più esterno del collo si poteva notare la presenza di polveri e microrganismi, evidentemente entrati fin lì dall'apertura terminale.
L'esperimento di Pasteur era semplice e completo, proprio come dovrebbero essere gli esperimenti per apparire convincenti, e rispondeva in modo chiaro e inequivocabile alle obiezioni avanzate dai sostenitori dell'abiogenesi. Questi infatti sostenevano che, bollendo il brodo per lungo tempo, veniva distrutto il principio attivo e la vita non avrebbe più potuto svilupparsi. Pasteur dimostrò invece che un eventuale principio attivo presente nella materia non veniva danneggiato dal lungo e intenso riscaldamento. Infatti, rompendo con un secco colpo il collo ritorto, e ponendo il liquido nutritivo a diretto contatto con l’aria, dopo poche ore lo stesso si intorbidiva per la presenza di spore e germi che poi avrebbero continuato a svilupparsi. Inoltre Pasteur, come già detto, lasciando aperto il suo recipiente con il collo ricurvo e consentendo all'aria di entrare e uscire liberamente, seppure attraverso un lungo e tortuoso percorso, spense sul nascere le obiezioni di coloro i quali sostenevano che il principio attivo, senza aria, era impedito nella sua attività.
Caddero cosi le ultime obbiezioni dei suoi avversari e rimase dimostrato senza ombra di dubbio che, come tutti gli altri esseri viventi, anche i microrganismi non derivano da materia non vivente. Fu cosi scartata definitivamente l’ipotesi della possibilità di una generazione spontanea, mentre si affermò la già citata teoria della biogenesi, secondo la quale, nelle condizioni attuali della Terra, tutti gli esseri viventi hanno origine da altri esseri viventi.

 


Dobbiamo ricordare che agli inizi del ‘600 Van Helmont aveva condotto importanti esperimenti sui gas, termine che lui stesso introdusse per primo.

C. Singer  Breve storia del pensiero scientifico

Servendosi dei metodi di sterilizzazione inventati da Spallanzani, Appert, su richiesta di Napoleone, che doveva risolvere il problema della conservazione delle derrate alimentari durante le lunghe campagne di guerra, inventò un metodo di conservazione dei cibi tuttora in uso col nome di appertizzazione.

La fermentazione è un processo anaerobio, durante il quale l’acido piruvico prodotto dalla glicolisi, processo anch’esso anaerobio, viene trasformato in etanolo e CO2 (fermentazione alcolica) oppure in acido lattico (fermentazione lattica) Curtis, Barnes Invito alla biologia pag. 123

 

Autore: non indicato nel documento di origine del testo
Fonte:http://www.liceodavincifi.it/_Rainbow/Documents/L%27ORIGINE%20DELLA%20VITA.doc:

 


 

ORIGINE E PREISTORIA DELLA VITA


La Terra si é originata circa 4.5 miliardi di anni fa. Non abbiamo dirette conoscenze del primo periodo seguente l'origine del nostro pianeta poiché non sono state ritrovate rocce più vecchie di 3.9 miliardi di anni. [L'età  di un roccia viene stabilita con notevole precisione misurando il grado  di decadimento spontaneo degli isotopi radioattivi  imprigionati nella roccia in oggetto quando questa si è formata].
L'intervallo di tempo compreso tra l'origine della Terra ed il formarsi delle rocce più antiche attualmente conosciute, rappresenta la sub-era "Hadean" dell'era Archeozoica.
Il problema dell'origine della vita é tutt'altro che semplice. Si possono ipotizzare 4 diverse possibilità:
(i) la prima forma di vita potrebbe essere stata molto diversa da quella esistente attualmente, priva anche di un'organizzazione cellulare. La vita, come la intendiamo noi, potrebbe essere una forma secondaria derivante da una primaria le cui origini ci sono ignote e lo saranno nel futuro poiché ne sono state perse le tracce definitivamente.

  • La vita é stata importata da un altro pianeta tramite una infezione extraterrestre di spore.
  • Le forme viventi sono il risultato di un atto creativo da parte di forze soprannaturali.
  • La vita si é evoluta da materia inanimata per associazione di materiali che hanno portato a gradi di complessità sempre maggiori. In tale caso, la forza responsabile della comparsa della vita é stata la selezione; cambiamenti nelle molecole complesse che incrementavano la loro stabilità favorendone una più lunga persistenza sono state favorite dalla selezione. 

Noi prenderemo in considerazione la quarta ipotesi, non perché le altre siano meno probabili, bensì per il fatto che questa risulta essere aggredibile sperimentalmente e dunque potenzialmente capace di dare spiegazioni scientifiche.

 

ORIGINE DELLE MOLECOLE ORGANICHE
Mentre la Terra si formava per solidificazione di un magma in ebollizione, molti gas si saranno sprigionati dal suo nocciolo interno per attività vulcanica. L'atmosfera intorno alla terra primitiva doveva essere costituita da N2, H2O, CO2, H2S, NH3 e CH4.
Data la verosimile presenza di una grande quantità di H2, l'atmosfera primitiva doveva essere fortemente riducente. Poco o niente O2 doveva essere presente; mentre oggi la presenza di questo gas è addirittura il 21%, rendendo l'atmosfera un ambiente altamente ossidante. 
Le prime molecole complesse si sono dunque formate in presenza di un'atmosfera sostanzialmente riducente.
A quell'epoca la Terra doveva essere inondata da una grande quantità di energia sotto forma di: (i) radiazioni solari, (ii) scariche elettriche, (iii) eruzioni vulcaniche violente con liberazione di energia sotto forma di calore, (iiii) calore derivante dal decadimento radioattivo, (iiiii) raggi ultravioletti che raggiungevano la Terra in abbondanza essendo questa priva di ogni protezione fornita dallo strato di Ozono, (iiiiii) raggi cosmici.
L'ambiente carico di energia avrà favorito la reazione dei succitati gas, dando origine ad associazioni complesse di molecole. Queste immagazzinavano energia nei loro legami covalenti, trasformando così l'energia libera nell'ambiente in energia chimica. Quali tipi di molecole complesse si saranno formate nelle condizioni che verosimilmente esistevano agli inizi della formazione della Terra?
I risultati di una serie di esperimenti forniscono una risposta a questa domanda.
Esperimento di Stanley L. MILLER e Harold C. UREY (cercare figura su qualche libro):

  • Nell'apparato venivano introdotti i seguenti gas: CH4, NH3, H2, H2O (sotto forma di vapore.
  • Induzione di scariche elettriche.
  • Installazione di un sistema di raffreddamento per causare una condensazione.

  Dopo alcuni giorni risultavano prodotti 20 diversi tipi di  molecole tra le quali 4 aminoacidi (Acido Aspartico, Acido Glutammico, Alanina, Glicina).
Successivi esperimenti portarono alla formazione di circa 30 diversi tipi di molecole che comprendevano altri aminoacidi (rispetto a quelli surriferiti) oltre che, cosa molto più importante, il nucleotide Adenina: una delle unità costituenti gli acidi nucleici, DNA e RNA.
Questi esperimenti indicano che, nelle condizioni esistenti verosimilmente all'inizio della storia della Terra, potevano formarsi molecole fondamentali per l'origine della vita.

 

ORIGINE DELLE PRIME CELLULE
Abbiamo già parlato dei coacervati i quali presentano le seguenti caratteristiche: (i) presentano una membrana esterna che assomiglia ad una membrana biologica (lunghe molecole fosfolipidiche), (ii) possono accrescersi inglobando altre subunità rappresentate da molecole lipidiche, (iii) possono riprodursi per gemmazione, (iiii) possono contenere aminoacidi ed usarli per compiere una varietà di reazioni acido-base, inclusa la decomposizione del glucosio.
Il russo Oparin sosteneva che le prime protocellule erano coacervati di molecole lipidiche. Dato che é difficile immaginare un'evoluzione di un tal tipo di coacervati, l'ipotesi ha trovato sempre meno sostenitori.
Secondo Fox ed altri, i coacervati costituenti le protocellule (protobionti) dovevano essere microsfere di "protenoidi" formatesi per spontanea aggregazione di aminoacidi e di altre molecole. Una tale associazione sarebbe avvenuta fuori dall'ambiente acquatico poiché il processo comporta una deidratazione e dunque la presenza dell'acqua l'avrebbe ostacolato.
Comunque stiano le cose, un gran numero di coacervati dovevano popolare i primi oceani; si formavano spontaneamente, persistevano per un certo periodo di tempo, ed infine si disintegravano.
Alcuni, per caso, comprendevano sia lipidi che aminoacidi, una combinazione che favorisce il verificarsi di un processo catalitico nei confronti di reazioni (degradazione di glucosio) che favoriscono  la crescita. Possono assorbire dal mondo esterno molecole in maniera differenziata, possono sviluppare un potenziale elettrico attraverso la loro superficie, possono accrescerisi ed anche dividersi. Questi coacervati, in seguito all'acquisizione di tali proprietà, avranno avuto una maggiore probabilità di persistenza.
Un passo successivo potrebbe essere stato la "selezione" di quei coacervati capaci di accrescersi regolarmente fino a dividersi dando origine a coacervati "figli" simili ai "genitori". Quando ciò accadde, un "processo ereditario" si era verificato, gettando, dunque, le basi per la comparsa della vita.
Tutto quanto è stato surriferito può risultare logico, probabile, ma pur sempre un'ipotesi. Recentemente, Thomas CECH e Sidney ALTMAN dell'Università del Colorado, lavorando su di un protista ciliato, Tetrahymena pyriformis, hanno dimostrato che l'RNA può funzionare anche come enzima per espletare funzioni catalitiche oltre che trasportatore di informazione. Ricordiamoci che come risultato dell'esperimento ideato da Miller-Urey si possono formare anche nucleotidi, cioè i costituenti gli acidi nucleici.
Le tappe verso la cellularità potrebbero essere state le seguenti: (i) formazione di molecole di RNA, (ii) formazione seguita da pressione selettiva favorevole verso molecole di RNA sempre più complesse e stabili, (iii) stabilità ulteriormente incrementata dall'inclusione del RNA nei coacervati.

 

STORIA DELLA VITA PRIMITIVA
I fossili [creature che hanno lasciato impronte nelle rocce] forniscono testimonianze del nostro passato biologico. Le testimonianze fossili della vita hanno creato per molto tempo un forte imbarazzo poiché indicavano una brusca comparsa degli esseri viventi in tempi relativamente recenti, cioè nel Cambriano (circa 590 milioni di anni fa). [Recentemente fossili di invertebrati dal corpo molle sono stati rinvenuti anche in rocce la cui formazione risale a 630 milioni di anni fa, un' età sempre relativamente recente].
L'imbarazzo è venuto meno quando ci siamo accorti che anche rocce molto più vecchie di 630 milioni di anni contenevano fossili, solo che questi erano microscopici.
I più vecchi fossili microscopici sono stati trovati nel 1977 in rocce sedimentarie del Sudafrica (Fig Tree Series) e dell’Australia occidentale (Warrawoona group) le quali risalgono a 3.5 miliardi di anni fa, cioè circa 1 miliardo di anni dopo la formazione della Terra. Non si può escludere che forme viventi fossero esistite anche prima di 3.5 miliardi di anni fa. Attualmente non conosciamo rocce appropriate in cui ricercare le prove dell'esistenza di tali forme viventi. Va ricordato che siamo vicini all'età delle rocce più antiche attualmente conosciute (3.9 miliardi di anni), le Isua Formation della Groenlandia occidentale. Queste sembrano non contengano fossili. Di origine sedimentaria, sono state modificate in rocce metamorfiche dal calore e dalla pressione (esistenti al momento della loro formazione avvenuta in corrispondenza degli albori dell'origine della Terra), per cui i fossili sarebbero stati distrutti, ammesso che li contenessero.

  • Cosa si può dire delle forme di vita primitive?
  • Per la maggior parte della sua storia, la vita è stata rappresentata da creature molto semplici, simili ai batteri attuali, piccoli, unicellulari, con strutture interne scarse, se mai esistenti, e senza appendici esterne.
  • Forme di vita più complicate -protisti-  comparvero circa 1.3 miliardi di anni fa, non prima, comunque, di 1.5 miliardi di anni.

    Per circa 2 miliardi di anni, cioè la metà della storia della Terra stessa, i batteri hanno dunque rappresentato l'unica forma di vita esistente. A dispetto della loro uniformità, comunque, importanti cambiamenti sono intervenuti al loro interno. Noi possiamo dedurre tutto questo dagli effetti che essi ebbero sul mondo circostante.

 

I PRIMI AUTOTROFI
Sulla base delle osservazioni di seguito riportate si può affermare che i primi esseri viventi (verosimilmente simili ai batteri attuali) comparsi sulla terra erano  autotrofi.
Esistono due tipi di isotopi del Carbonio, 12C e 13C, i quali differiscono per la massa atomica; il 13C contiene un protone in più rispetto al 12C. Il 12C è l'isotopo componente la molecola di CO2. Gli esseri viventi che compiono la fotosintesi utilizzano la CO2 il cui carbonio viene di conseguenza incorporato nelle proteine, zuccheri ecc. Ne consegue che gli esseri viventi sono più ricchi di 12C rispetto all'atmosfera.    In rocce che risalgono a 3.4 miliardi di anni fa è stato trovato del materiale organico con una concentrazione di 12C pari a quella presente nei tessuti degli esseri viventi contemporanei. Tale arricchimento indica che prima della formazione delle suddette rocce esistevano esseri viventi che utilizzano il carbonio proveniente dalla CO2 atmosferica disciolta nell'H2O  -e forse anche CH4- e dunque non erano dipendenti da molecole carboniose di origine geochimica. Questi esseri viventi eseguivano un processo di fotosintesi anaerobica, cioè un tipo di fotosintesi in cui viene usato l'H2S come sorgente di H+ per la produzione di molecole organiche, producendo zolfo come prodotto di "scarto" e non O2, come fanno le piante attuali. Ciò giustifica l'aggettivo qualificativo "anaerobica" attribuito al processo, mentre  "Fotosintesi" deriva dal fatto che l'energia utilizzata era quella luminosa.
[Autotrofi sono esseri viventi capaci  di sintetizzare tutte le complesse molecole organiche necessarie usando soltanto semplici sostanze inorganiche semplici ed una sorgente di energia quale la luce].

 

ETEROTROFI
Gli esseri viventi che si originarono dopo i "batteri fotosintetici" erano rappresentati da individui i quali utilizzavano l'energia chimica contenuta nei legami (chimici) covalenti di molecole organiche prodotte dall'attività di altri organismi, invece dell'energia luminosa; da cui la qualifica "eterotrofi". 
Esistono evidenze della comparsa di due tipi di eterotrofi.
[Bisogna ricordare che la maggioranza della comunità scientifica è propensa a credere che i primi esseri viventi utilizzassero le molecole organiche che si formavano spontaneamente sia come unità da costruzione sia come sorgenti di energia. In un senso formale erano, dunque, eterotrofi.  Ciò può essere vero, ma non abbiamo nessuna evidenza di questo. Tale assenza può essere spiegata con la definitiva perdita di tracce rilevabili dell'esistenza di questi eterotrofi. La prima evidenza diretta in nostro possesso riguardano invece esseri viventi autotrofi].
Un primo tipo di eterotrofi sono rappresentati dai Metanogeni i quali riducevano la CO2 in CH4 usando H+ derivanti da molecole organiche prodotte da altri organismi. Questi esseri viventi svolgono processi simili a quelli svolti dagli attuali "Metano batteri" attuali. Alcuni considerano i Metanogeni come rappresentanti di tipi di batteri già noti. Il microbiologo Woese ed il suo gruppo dell'Università dell'Illinois (1977) hanno invece dimostrato che i Metanogeni rappresentano un gruppo con una propria identità, cioè un gruppo tassonomico con una linea evolutiva distinta, separata da quella dei batteri e delle alghe azzurre.
Un altro tipo di eterotrofi è rappresentato dai "solfato batteri" (chemioautotrofi): esseri viventi ritrovati in rocce vecchie di 2.7 miliardi di anni, i quali riducevano i solfati inorganici (SO4) in H2S producendo energia chimica a seguito del processo riduttivo, utilizzando atomi di H+ provenienti da materiale organico prodotto da altri esseri viventi. Testimonianza di questo è fornita dal ritrovamento di materiale organico nelle suddette rocce, ricco dell'isotopo (leggero) 32S di origine organica; l'isotopo "pesante è rappresentato dal 34S. Nessun processo geochimico produce un tale arricchimento, soltanto la riduzione solforica riesce a farlo. Questo processo può essere definito una "respirazione solfata" che presenta parecchie somiglianze con il processo svolto dai Metanogeni, solo che viene usato SO4 invece della CO2 come agente ossidante. Sia i Metanogeni che i riduttori di solfato sono eterotrofi poiché essi derivano la loro energia non dal sole bensì dai legami covalenti delle molecole organiche.

 

L'AVVENTO DELL'OSSIGENO ATMOSFERICO
All'era Arcaica è stato attribuita una durata di circa 2 miliardi di anni. Questo periodo si identifica come il dominio degli autotrofi (fotosintetizzatori) ed eterotrofi (Metanogeni e Solfato riduttori), tutti esseri viventi semplici, simili agli attuali batteri.
In rocce vecchie di 2.5 miliardi di anni è stato ritrovato qualcosa di nuovo.
Si sa che nell'era Arcaica gli oceani erano molto ricchi  di Fe++ (ioni ferrosi) i cui composti sono solubili in acqua. Circa 2.5 miliardi di anni fa tutto o quasi il ferro disciolto negli oceani scomparve per precipitazione sui fondali. La precipitazione fu la conseguenza dell'ossidazione degli ioni ferrosi Fe++ in ioni Fe+++ i cui composti non sono solubili in H2O e precipitarono come ossido di ferro. Causa di tutto ciò fu la comparsa di grandi quantità di O2 prodotto da esseri viventi capaci di espletare una "fotosintesi aerobica", cioè capace di generare O2. Questo tipo di esseri viventi si originarono proprio circa 2.5 miliardi di anni fa. Essi si procuravano gli atomi di idrogeno necessari per produrre i composti di carbonio rompendo le molecole di H2O -utilizzando   energia luminosa-, un processo che portava alla liberazione di O2 gassoso. Da questi esseri viventi si sarebbero originati un tipo di batteri chiamati cianobatteri. L'O2 formato da questi ultimi avrebbe saturato gli oceani e da qui passato nell'atmosfera diventandone uno dei costituenti principali. Questo evento segna il termine dell'era Arcaica. Durante il miliardo di anni seguente (cioè fino a 1.5 miliardi di anni fa, circa a metà dell'era Proterozoica) i microfossili cambiano pochissimo. Erano organismi uniti insieme formando filamenti, le loro cellule erano piccole e semplici con pareti sottili ed assenti di -o con semplici- strutture interne.
A circa metà dell'era Proterozoica comparvero cellule che avevano perso le capacità fotosintetiche le quali si procuravano gli atomi di carbonio da altri organismi. Questi rappresentarono una nuova forma di eterotrofi, ottenendo energia per sottrazione di idrogeni da molecole di origine organica e combinandoli con l'ossigeno per formare H2O ("respirazione aerobica). Gli animali attualmente esistenti derivano da questi antenati.

L'ALBA DEGLI EUCARIOTI
Gli esseri viventi di cui abbiamo trattato fino ad ora rappresentano i procarioti (esseri viventi senza nucleo). Esseri viventi unicellulari più grandi dei suddetti "batteri" con pareti spesse e membrane interne cominciano a comparire circa 1.5 miliardi di anni fa. Queste "nuove" cellule rappresentano i primi eucarioti (con un vero nucleo).
I primi eucarioti erano unicellulari. La comparsa degli esseri viventi multicellulari segna la fine dell'era Proterozoica e l'inizio della Fanerozoica. Il periodo Cambriano, il cui inizio coincide con la comparsa dei multicellulari, comincia circa 40 milioni di anni dopo l'inizio dell'era Fanerozoica. 

 

ESISTE LA VITA SU ALTRI MONDI?
Il "tipo" di vita che si è evoluto sulla Terra è stato condizionato dalle caratteristiche del nostro pianeta. Una maggiore o minore distanza della Terra dal Sole avrebbe influenzato le caratteristiche chimico-fisiche dei costituenti la materia vivente influenzandone lo svolgimento evolutivo. L'evoluzione dell'attuale forma di vita basata sul carbonio è probabilmente possibile soltanto entro gli stretti limiti di temperatura che esistono sulla Terra. Tali margini sono strettamente correlati alla distanza della Terra dal Sole.
Le dimensioni della Terra hanno determinato inoltre le caratteristiche dell'atmosfera. Una massa terrestre più piccola o più grande ne avrebbe determinato la scomparsa o una maggiore densità, rispettivamente. Situazioni queste incompatibili o con ben diversi effetti -rispetto agli attuali- sul processo evolutivo degli esseri viventi.
Ci si è chiesto, e tuttora ci si chiede se la vita è evoluta su altri mondi. E' stato calcolato che l'universo contiene circa 1020 stelle con le caratteristiche fisiche del "nostro" sole ed almeno il 10% di queste stelle presentano un sistema planetario. Se soltanto 1 su 10,000 pianeti presentasse le giuste dimensioni e fosse ad una distanza adeguata dal suo sole, mimando così le condizioni in cui la vita si è originata sulla Terra, allora l'esperimento vita avrebbe potuto compiersi 1015 volte. Da tutto questo si può ragionevolmente arguire che non siamo soli nell'universo.
Si deve tenere presente l'esistenza della possibilità che i processi caratterizzanti la vita potrebbero essere evoluti anche in modi differenti su altri pianeti. Sistemi genetici capaci di accumulare e replicare i cambiamenti subiti -e dunque di adattarsi- potrebbero evolvere, sotto altre condizioni, da altre molecole oltre quelle contenenti C, H, N, e O. Il silicio è molto simile al carbonio e l'NH3 è anche più polare dell'H2O. Ne consegue che in condizioni di temperatura e pressione del tutto diverse da quelle esistenti sulla Terra, tali sostituti potrebbero formare molecole così diverse e flessibili come quelle che il carbonio attualmente forma sulla Terra.
L'ultima domanda è se la vita ha un termine. E' stato osservato che con 1015 mondi su cui la vita potrebbe aver attecchito, la probabilità di aver ottenuto una qualche forma di "notizia" circa una sua esistenza extraterrestre, risulta essere piuttosto elevata, a meno che l'esperimento vita sia destinato a fallire in quanto esiste un'intrinseca tendenza all'autodistruzione. L'unica cosa che ci resta da fare è sperare che tutto questo non sia vero e che il progresso sia una possibilità perpetua.

 

 

 

 

 

 

Autore: non indicato nel documento di origine del testo
Fonte: http://www.bionat.unipi.it/270/tri_biotec/matdid/Dini_bioan/06-Origine%20della%20Vita-.doc

 

 

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