Spettacolo

 

 

 

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Lo spettacolo

 

LE ORIGINI: DA ATTO DI CULTO A RITO A SPETTACOLO

Prima del teatro, la più antica e nobile forma di spettacolo, esistevano altre forme, formule e riti che ne furono progenitori e che rimandavano alla dimensione del mito più che a quella della storia. Il loro senso risiedeva nel ricongiungimento con l’atto di culto originario della collettività che si esprimeva in un tempo socialmente forte: il tempo della festa.

In esse emergeva il rapporto che il gruppo sociale coltivava col sacro e prendeva forma la religio, cioè l’insieme delle conoscenze e convinzioni che costituiva la cultura caratterizzante del gruppo.

Questo periodo pre-teatrale dura molto di più di quello della pur millenaria storia del teatro e dello spettacolo, e si congiunge ad essa attraverso un percorso di progressiva laicizzazione delle forme di culto.

Il termine spettacolo deriva dal latino spectare, cioè guardare. Quanto convenzionalmente riconosciamo oggi come spettacolo affronta nei millenni un percorso complesso di trasformazioni formali e di senso che si snoda lungo un asse culto-rito-spettacolo: prima di arrivare a guardare da spettatori molte modifiche si realizzano. Esso prende forma originariamente da istanze religiose collettive. Ogni individuo che compone il gruppo porta in esso le esperienze, le sue memorie personali e familiari. Queste diventano patrimonio di ogni altro componente della tribù sino a costituirsi come patrimonio collettivo, nasce così una cultura del piccolo gruppo fatta di elementi spirituali e materiali: il comune possesso di questi elementi determina la cultura e quindi la specificità sociale della tribù. Tutto questo costituiva il sistema del culto della tribù arcaica, cioè il suo patrimonio di relazione col sacro; il sacro risponde al significato di separato dalla condizione quotidiana dell’uomo. L’atto di culto diviene l’espressione caratterizzante di una convivenza sociale e si rivela come la prima manifestazione dell’uomo a nn nutrire uno scopo immediatamente pratico. Al gruppo si pone il problema della individuazione di un tempo collettivo in cui sia possibile dare vita alle forme del proprio culto: il tempo della preghiera. Il piccolo gruppo intorno al fuoco invoca le proprie divinità, canta le proprie memorie, racconta le proprie storie; entra in contatto con dimensioni differenti dalla propria vita quotidiana: il sacro e la memoria. Ciò significa essenzialmente mettersi in rapporto col mito, cioè con quella dimensione che cronologicamente viene prima della storia e che è frutto di una trasmissione particolare delle conoscenze e delle esperienze, come il canto o la poesia. Questo resta a lungo un atto collettivo, un atto di culto, e in esso ogni componente del gruppo è indifferentemente protagonista dell’evocazione e della testimonianza. Ciò fino a che l’atto nn venga in qualche modo a istituzionalizzarsi: la tribù avverte la necessità di individuare al proprio interno uno o più soggetti in grado di presiedere alle forme del proprio rapporto col sacro. A questo punto l’atto di culto diventa rito e una sorta di sacerdote provvede a garantirne le regole ergendosi a tramite del rapporto del gruppo col sacro. L’allargamento del gruppo, e progressivamente la costituzione di una società complessa, prevede l’esistenza di una ideologia dominante al proprio interno e prevede occasioni in cui i contenuti di questa ideologia si manifestino: le occasioni erano i riti religiosi o civili. Questo avviene quando nn sono più i singoli individui che legittimano l’esistenza del gruppo ma è il gruppo che legittima l’appartenenza a sé degli individui, cioè quando la cultura del gruppo sussiste e viene tramandata indipendentemente da chi sono i suoi componenti. E’ l’epoca dei grandi popoli-nazione: esistono delle ritualità nazionali in corrispondenza della solidificazione politica e culturale di quei popoli. Il rito si effettua per grandi numeri di persone; è necessario quindi che sia ripetibile più volte e sempre allo stesso modo. Con la trasformazione da atto di culto a rito ci si deve porre un problema di spazio-tempo: dove e quando si officia il rito. Nasce così ad opera dell’ideologia dominante un tempo collettivo legato per lo più al trascorrere delle stagioni, che individua nell’anno un certo numero di feste. La festa è il tempo dedicato alle divinità maggiori e quindi presuppone il riposo; si contrappone alla feria, il tempo dedicato agli dei minori, che consente l’attività lavorativa. Numerose saranno le feste delle differenti divinità, cmq legate al trascorrere del tempo atmosferico. Il capodanno viene individuato come una porta del tempo. Quello della festa diventa il momento di autoconvocazione della collettività e quindi quello in occasione del quale si dà luogo all’effettuazione del rito. In questa fase (quella del rito) la figura che più interessa è quella di colui che si rende garante della correttezza del suo svolgimento, che si erge a tramite tra la collettività e il soggetto evocato: il sacerdote. Il rito era una cerimonia di evocazione. Il sacerdote sarà colui che, in nome degli altri, parlerà con gli dei, e che da loro riceverà risposta alle domande del gruppo. Egli sarà una sorta di esperto nell’interpretazione dei segni provenienti dalle altre dimensioni, sollecitati da attese collettive. Nel rito arcaico una sola voce si levava ed era la sua, un solo individuo del gruppo entrava in rapporto col soggetto evocato ed era lui: era una specie di professionista del rapporto col sacro. Ad un certo punto si manifesta la necessità di far si che tutto il gruppo senta e intenda le parole e i segni provenienti da dimensioni diverse dalla propria. La prima voce che si manifesta nella storia della pratica rituale, oltre a quella del sacerdote, è quella del coro: nel momento in cui il sacerdote parla, interpretando la voce della collettività, e il coro gli risponde, interpretando la voce del soggetto evocato, nasce il teatro, la forma più antica e nobile di spettacolo, viva e vitale ancora oggi. Questo avviene nella polis greca circa 5-6 mila anni prima di Cristo. Nasce quindi il drama, cioè l’azione scenica, che potrà avere le caratteristiche di commedia o di tragedia: con esso la drammaturgia, cioè quella particolare forma di poesia letteraria che si utilizza nel teatro per dare vita a una realtà mimetica. Mimesi è imitazione della realtà. Con la nascita del teatro moderno nasce anche lo spettacolo, forma di comunicazione che mette gli astanti nella condizione di spectare, cioè guardare, quanto avviene sulla scena, luogo privilegiato dell’azione-evocazione. Lentamente al sacerdote e al coro si aggiungono altre figure, la cui interazione dà vita all’azione drammatica. In sintesi il teatro è uno dei primi frutti della natura interrogativa dell’uomo e lo spettacolo nasce dal rapporto dell’uomo col sacro.

 

LO SPETTACOLO E’ UN GIOCO?

Il teatro si può fare per gioco ma non si fa mai per finta, tent’è che in esso lo spettatore condivide il rischio dell’attore. TURNER a proposito del gioco dice: “il gioco è diventato una faccenda più seria con il declino del rito ed il restringersi della sfera religiosa nel cui ambito la gente era abituata a diventare moralmente riflessiva, confrontando la propria vita con i valori trasmessi dalla religione. Il quadro del gioco in cui gli avvenimenti sono esaminati nei momenti liberi del processo sociale, ha in una certa misura ereditato la funzione del quadro rituale. I messaggi che trasmette sono spesso seri; pensiamo ad alcuni drammi teatrali contemporanei. Il Carnevale è una forma di gioco. Le teorie formulate da antropologi e da altri studiosi possono aiutarci a comprendere”. HUIZINGA ha scritto HOMO LUDENS in cui ha detto che il gioco è un’azione libera, che si impone dall'interno delle regole da seguire. Ogni azione compiuta dall'uomo si deve considerare ludica. Gli studi di Huizinga sono stati rielaborati da Caillois, che sviluppò una complessa e completa teoria del gioco, facendolo sviluppare inizialmente su 2 assi: uno originario (paidia) e uno successivo (Ludus), il primo si riferisce a un principio comune di divertimento, turbolenza, di libera improvvisazione e spensieratezza, attraverso cui si manifesta una fantasia incontrollata. Il ludus introduce delle convinzioni arbitrarie e imperative ed ostacolanti allo scopo di rendere più difficile il raggiungimento del risultato. In un passaggio ulteriore Caillois introduce nella paidia e nel ludus altri 4 concetti incrociandoli con essi, tendenti a determinare il senso del gioco e una sua classificazione. Questi concetti sono AGON (contesa, gara), ALEA (gioco d'azzardo, la fortuna), MIMICRY ( attore, imitatore), ILINX (nel senso di vortice, ossia una situazione tesa a modificare la percezione della realtà).

Teatro e spettacolo sono classificati tra le attività ludiche superiori, trattandosi di attività imitative rispondenti a regole interne e sociali. Me se esiste una professione dello spettacolo e del teatro non possiamo pensare che tutto ciò avvenga per gioco, per quanto si sia visto che esso assume una connotazione assolutamente “seria”, riflessiva e profonda in una indagine a ritroso della macchina rituale dei millenni. Turner sostiene che le attività cultuali possono essere agenti di cambiamento. Sono eseguite in spazi e tempi privilegiati, distinti dalle aree riservate al lavoro, al cibo, al sonno. L'intero sistema dei processi rituali segna il limite tra il vivere sacro e il vivere profano e per percepire questa sacralità mettiamo in azione strumenti che ci consentono una ulteriore approssimazione al concetto passato e presente di spettacolo. Un terreno comune in cui si può trovare la definizione di fare spettacolo e il rapporto materiale tra attore e spettatore, nell'analisi dei sensi impegnati a percepire l'azione scenica e nella loro accessibilità sociale.

Levy Strauss parla al proposito di CODICI SENSORI per indicare come attraverso i sensi ognuno sia impegnato nella formulazione di una grammatica attraverso cui percepire i msg.

Lo spettacolo impegna LA VISTA E L'UDITO al punto che convenzionalmente si usa il termine spettacolo anche per indicare cose belle e brutte di cui siamo stati spettatori, quelli in cui ci siamo imbattuti, abbiamo visto ed udito. Lo spettacolo si contraddistingue per la sua componente rituale: IL RITO è UN’AZIONE SOSTANZIALMENTE PRIVA DI SCOPO MA ASSOLUTAMENTE RICCA DI SENSO. Lo spettacolo rimanda alla GRATUITA' DEL DONO e all’ assenza di finalità che non siano l'autoriconoscimento del gruppo che lo realizza e vi prende parte.

 

TEMPO E LUOGO DELLO SPETTACOLO

Organizzare spettacoli, in particolare teatro, è un mestiere che rimanda ad un sapere articolato e complesso; soprattutto rimanda ad una condizione di partenza che comporta una motivazione intellettuale molto forte. Alla base di questa motivazione ci devono essere diversi elementi, tra cui dei dati semi-oggettivi che possono essere percepiti solo con il trascorrere del tempo. Una consiste nell'assenza della ALIENAZIONE. Marx sostiene che il produttore viene espropriato del proprio prodotto. Quello del teatro è un LAVORO ARTIGIANALE che impone a chiunque vi operi di conoscere l'intero prodotto, il suo senso e la sua forma, anche se ne cura solo una parte. Qualunque funzione, anche quella apparentemente più marginale, è decisiva nella produzione dello spettacolo. Il teatro non è e nn potrà mai essere un prodotto di logica industriale, cioè seriale: in esso ogni addetto potrà vedere il suo compito realizzato, finito, bene o  male che sia. Un altro elemento consiste nella GRATIFICAZIONE INTELLETTUALE. Ogni passaggio di uno spettacolo teatrale è frutto di un’idea. La divaricazione tra gratificazione economica e gratificazione intellettuale è una costante delle società moderne di ispirazione materialista, ciò non toglie che molti giovani vogliano lavorare nel teatro. LO SPETTACOLO SI MANIFESTA QUANDO DEGLI UOMINI SI RITROVANO IN UN TEMPO E IN UN LUOGO PRECISI A RACCONTARE UNA STORIA CHE RIGUARDA TUTTI. QUINDI DEGLI UOMINI, UN TEMPO, UN LUOGO, UNA STORIA E TUTTI SONO LE CATEGORIE CONCETTUALI DELLO SPETTACOLO.

Gli uomini sono gli attori, i registi, i drammaturghi...

La storia è quanto si narra, si evoca e si ripropone sulla scena; è una storia di tutti, appartenente a tutti. Lo spettacolo deve essere infatti per tutti, perchè il pubblico è composto da tutti:adulti, bambini, ricchi e poveri. Il processo di identificazione del pubblico con quanto accade in scena è una componente arcaica decisiva del processo spettacolare; l'ARCAICITA' consiste nel fatto che il soggetto evocato altri non è se non la versione mitica di colui che guarda lo spettacolo, dello spettatore.

Resta il problema del tempo e quello del luogo. Cinema e TV hanno vincoli tecnici molto forti: risulta paradossale parlare di un loro luogo, qualsiasi ambiente può essere attrezzabile. Per quanto concerne il teatro proviamo ad approntare una risposta partendo dalla sua storia: nella società arcaica (la tribù) il luogo era il CERCHIO DEGLI UOMINI ATTORNO AL FUOCO; le fiamme lo determinavano e lo rendevano sacro; quello della tribù era uno spazio fortemente contraddistinto dalla sacralità. Nella società ateniese il luogo del teatro aveva caratteristiche simili a quello arcaico: si trattava anche allora di un luogo sacro, attrezzato per accogliere un pubblico più numeroso. Con Roma lo spazio si laicizza: la teatralità si attua in LUOGHI APPOSITI che presentano un rapporto con la sacralità solo simbolico; pensiamo, ad esempio, alla forma dell'anfiteatro. Nel Medioevo il processo di sacralizzazione dell'evento procede di pari passo con la laicizzazione del luogo: esso diventa la PIAZZA, il luogo dove la colletività si ritrova; dove nn c’era la piazza era l’aia. La messa invece si tiene in chiesa, luogo sacro per eccellenza. Il teatro dei buffoni, le forme antiche di teatro evangelico si tengono in qualsiasi luogo si presti ad accogliere il max delle persone possibili senza dovere spiegare troppo dove esso si trovi: si sceglie di esibirsi dove la gente di ritrova abitualmente. Si rammenti che il periodo successivo è ancora quello di un TEATRO FUORI DAI TEATRI: ormai il linguaggio ed i temi si sono laicizzati, ma anche nella sua collocazione fisica il teatro rispetta quella componente di sacralità che ne ha accompagnato sin qui la storia.

Dall'inizio del suo uso sociale il teatro ha utilizzato ambienti contraddistinti da una caratterizzazione sociale e religiosa fortissima, in cui l'aspetto tecnico era secondario (la scena, le tribune..). Solo da quest'epoca il teatro pone il problema di un LUOGO SPECIALISTICO. Quando il cinema arriva trova assolutamente normale presentarsi in un ambiente chiuso e separato.

Dal '700 il TEATRO SI FA NEI TEATRI. Fa eccezione la FESTA e quelle esperienze del '900 che tendono a riaccreditare lo spettacolo teatrale en plein air,  come elemento di recupero di una originalità che si è manifestata e si  manifesta necessaria dal punto di vista del senso da attribuire alla pratica teatrale. Il teatro musicale pone poi delle questioni tecniche che nn permettono più la collocazione della scena dove si vuole. Quindi dal luogo sacro o sacralizzato al tempio laico dell’edificio teatrale: questo è il percorso compiuto dall’attività della scena dalle sue origini sino ad oggi.

La pratica del teatro non è industriale, il teatro non è un prodotto che può sussistere indipendentemente dalla presenza di coloro che lo fanno. Lo spettacolo teatrale è un PROCESSO di esplicitazione e visualizzazione di una o tante idee ricondotte a unità. Il TEMPO DEL TEATRO CORRISPONDE, nella maggior parte dei suoi passaggi, A QUELLO DELLA FESTA. Certamente l'organizzazione di tipo industriale che il teatro moderno si è dato esclude abbastanza la possibilità che quello del teatro sia un tempo speciale: una sala teatrale deve lavorare tra le 200 e le 250 sere l'anno. Questa pratica è una grave insidia alla natura del teatro. Il teatro è costretto ad occupare quello spazio della giornata dedicato alle attività non produttive, tutti i giorni, giorno dopo giorno, nascondendo questa condizione di precarietà dietro l'esercizio del libero arbitrio, dietro la scelta dell'individuo di usufruire quella sera di una proposta teatrale, mettendolo quindi sul piano elementare del consumo. Il teatro non può non evidenziare una condizione di diversità profonda rispetto ad ogni utilizzo della mediaticità o della socialità e che forse farlo sopravvivere anche nelle forme che meglio ne interpretano il senso e lo sviluppo sarebbe un fatto molto positivo.

 

SPETTACOLO DAL VIVO, SPETTACOLO DAL VERO

Varia il rapporto col tempo: se il teatro conserva in senso assoluto con il tempo una relazione liberissima, in senso narrativo ha invece un rapporto molto vincolante con quello che ha a disposizione. Tra la scena e gli spettatori esiste un patto per cui la scena deve mettere a disposizione degli spettatori, nel rispetto convenzionale dell'unità di tempo e di luogo, tutti gli elementi per comprendere ciò che accade. Diverso è il cinema. Qui lo statuto di intesa tra medium e spettatore è diverso: anche se non vede, lo spettatore collega, in virtù di un meccanismo psicologico, la scena precedente con quella successiva e accetta come completamente vera (ma nn viva) l'intera sequenza. Lo sceneggiatore avrà necessità di scrivere un numero inferiore di battute da far dire ai personaggi.

Ciò si spiega con questa distinzione: IL TEATRO è SPETTACOLO DAL VIVO, che è una categoria che comprende anche il vero ma non si esaurisce in esso; il vivo impone che ogni passaggio del mutamento di un oggetto in un altro oggetto debba essere precisamente percorso, ossia che rispetti i tempi reali della sua trasformazione.

IL CINEMA invece è SPETTACOLO DAL VERO nel senso che in un dato tempo e luogo le due attrici si sono sedute a tavola davanti agli spaghetti, hanno parlato tra loro; ma se, dal vivo, si sono sporcate il vestito di sugo, la scena è stata interrotta e si è permesso loro di cambiarsi; è certo che quando un film giunge nelle sale gli attori non sono lì di persona ma solo in immagine. Quindi il cinema traduce sullo schermo solo la verità ricostruita sul set e non la vita: ESSO è VEROSIMILE, NON VIVO.

Tra l'attore e lo spettatore teatrale non esiste alcun medium, si tratta della vita che osserva la vita. Nel cinema la realtà è mediata dalla visione soggettiva registica della macchina da presa. La scena teatrale può cambiare, in teoria, ogni sera, per intervento del regista, per improvvisazione degli attori, a seconda delle differenti reazioni del pubblico, proprio in quanto è sempre spettacolo dal vivo, cioè sottoposto ai rischi che la vita ed il vivere propongono nella realtà. Non può mutare invece lo spettacolo cinematografico, la cui dimensione della verità è collegata ad un tempo preciso e definito, per poi riprodursi e giungere a noi nella serialità.

Chi osserva il teatro condivide con l'attore lo stesso tempo narrativo e lo stesso spazio; nel cinema il tempo è traslato e lo spazio scenico è bidimensionale.

 

Fonte:

http://www.scienzeturismo.it/wp-content/uploads/2008/09/spettacolo-festa-e-territorio.doc

Sito web da visitare: http://www.scienzeturismo.it/

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