Guerra civile in Francia

 


 

Guerra civile in Francia

 

La Guerra Civile in Francia - Karl Marx 1871

 

Introduzione di Engels all'edizione tedesca del 1891 [1]

 
L'invito di preparare una nuova edizione dell'Indirizzo del Consiglio generale dell'Internazionale sulla Guerra civile in Francia, e di accompagnarlo con una introduzione, mi è giunto inaspettato. Non posso quindi che accennar qui brevemente ai punti più importanti.
Faccio precedere il lavoro suddetto, più lungo, dai due Indirizzi, più brevi, del Consiglio generale sulla guerra franco-tedesca. In primo luogo perché al secondo, che a sua volta non può essere capito perfettamente senza il primo, si accenna nella Guerra civile. In secondo luogo, poi, perché questi due indirizzi, redatti del pari da Marx, sono, non meno della Guerra civile, notevoli esempi di quella meravigliosa facoltà dell'autore, di cui dette prova la prima volta nel 18 brumaio di Luigi Bonaparte, di afferrare chiaramente il carattere, la portata e le conseguenze necessarie di grandi avvenimenti storici nel tempo in cui questi avvenimenti stanno ancora sviluppandosi sotto i nostri occhi si sono compiuti di recente. E infine perché noi, in Germania, dobbiamo soffrire ancor oggi per le conseguenze di quegli avvenimenti che Marx aveva preannunziato.
Non è forse accaduto ciò che si dichiara nella prima circolare, cioè che se la guerra difensiva della Germania contro Luigi Bonaparte avesse degenerato in una guerra di conquista contro il popolo francese, sarebbero riapparse con rinnovata violenza tutte le sciagure piombate sulla Germania dopo le cosiddette guerre di liberazione? Non abbiamo forse avuto altri vent'anni di governo di Bismarck, e le leggi eccezionali e la campagna contro i socialisti al posto delle persecuzioni dei demagoghi, con le stesse misure arbitrarie della polizia e letteralmente con la stessa raccapricciante interpretazione della legge?
E non si è verificata alla lettera la predizione che l'annessione dell'Alsazia-Lorena avrebbe "gettato la Francia in braccio alla Russia" [2], e che dopo questa annessione la Germania o sarebbe diventata apertamente lo strumento della Russia, o avrebbe dovuto, dopo una breve tregua, armarsi per una nuova guerra e precisamente per "una guerra contro le razze alleate degli slavi e dei latini"? L'annessione delle province francesi non ha forse gettato la Francia in braccio alla Russia? Bismarck non ha forse cercato inutilmente per ben vent'anni di cattivarsi il favore dello zar, e cercato di cattivarselo con servizi ancora più bassi di quelli che la piccola Prussia, non ancora diventata la "prima potenza europea", era solita rendere ai piedi della Santa Russia? E non pende forse quotidianamente sul nostro capo la spada di Damocle di una guerra, nel primo giorno della quale tutte le alleanze ufficiali fra i principi andranno disperse come polvere; di una guerra di cui nulla è certo eccetto l'assoluta incertezza del suo esito; di una guerra di razze, che sottoporrà la Europa intiera alla devastazione da parte di quindici o venti milioni di uomini armati, e che se già non imperversa è solo perché persino il più forte dei grandi Stati militari è preoccupato per la totale impossibilità di calcolare il risultato finale?
Tanto maggiore è quindi il nostro dovere di rendere nuovamente accessibili agli operai tedeschi questi brillanti documenti, ora in parte dimenticati, dell'acuta preveggenza della politica operaia internazionale nel 1870.
Ciò che è vero per questi due Indirizzi, lo è altresì per quello sulla Guerra civile in Francia. Il 28 maggio gli ultimi combattenti della Comune soccombevano a forze preponderanti sulla collina di Belleville, e non più di due giorni dopo, il 30, Marx leggeva al Consiglio generale lo scritto nel quale l'importanza storica della Comune di Parigi è espressa in tratti concisi, potenti e soprattutto così veri, come non si è più riusciti a fare in tutta la enorme letteratura su questo argomento.
Grazie allo sviluppo economico e politico della Francia dal 1789, per cinquant'anni la posizione di Parigi era stata tale che nessuna rivoluzione poteva scoppiarvi senza assumere un carattere proletario; il che vuol dire senza che il proletariato, avendo conquistato la vittoria a prezzo del suo sangue, non presentasse dopo la vittoria le sue proprie rivendicazioni. Queste rivendicazioni erano più o meno imprecise e perfino confuse, in relazione con il grado di sviluppo raggiunto in quel momento dagli operai di Parigi; in ultima istanza esse tendevano tutte all'abolizione del contrasto di classe tra i capitalisti e gli operai. E' vero che nessuno sapeva come questo si dovesse realizzare; la rivendicazione stessa, per quanto fosse ancora indeterminata nella sua formulazione, conteneva un pericolo per l'ordinamento sociale vigente. Gli operai che l'avevano avanzata erano ancora armati; per i borghesi che si trovavano al governo dello Stato il disarmo degli operai era quindi una necessità primordiale. Ecco quindi sorgere dopo ogni rivoluzione vinta dagli operai una nuova lotta, la quale finisce con la disfatta degli operai.
Questo accadde per la prima volta nel 1848. I liberali borghesi dell'opposizione parlamentare tennero dei banchetti per esigere una riforma elettorale che doveva assicurare la supremazia al loro partito. Costretti sempre più, nella lotta col governo, a fare appello al popolo, essi dovettero a poco a poco permettere che le frazioni radicali e repubblicane della borghesia prendessero la direzione del movimento. Ma alle spalle di queste frazioni si trovavano gli operai rivoluzionari, i quali dal 1830 avevano acquistato una indipendenza politica più grande di quel che non sospettassero la borghesia e gli stessi repubblicani. Nel momento della crisi fra il governo e l'opposizione, gli operai dettero battaglia nelle strade; Luigi Filippo scomparve e con lui scomparve la riforma elettorale; in vece loro sorse la repubblica, e precisamente una repubblica che gli stessi operai vittoriosi chiamarono repubblica "sociale". Ciò che si dovesse intendere con questa "repubblica sociale", nessuno lo sapeva chiaramente, e gli operai nemmeno. Ma adesso essi avevano in mano delle armi, e rappresentavano una potenza nello Stato. Non appena però i repubblicani borghesi al potere sentirono in certo qual modo d'avere sotto i piedi terra ferma, il loro primo scopo fu di disarmare gli operai. Questo venne fatto spingendoli alla insurrezione del giugno 1848 con un atto fedifrago, con una provocazione aperta, e tentando di confinare i disoccupati in una provincia remota. Il governo aveva preso misure per avere una schiacciante superiorità di forze. Dopo cinque giorni di lotta eroica gli operai furono sconfitti. E ne seguì un vero massacro dei prigionieri inermi, quale non si era veduto dal tempo delle guerre civili che prelusero al tramonto della Repubblica romana. Fu la prima volta che la borghesia mostrò a quale dissennata crudeltà essa può venir spinta nella sua sete di vendetta, non appena il proletariato osa levarsi davanti ad essa come classe indipendente, con interessi propri e con proprie rivendicazioni. Eppure il 1848 non fu che giuoco di ragazzi, in confronto con la furia del 1871.
La punizione fu immediata. Se il proletariato non poteva ancora governare la Francia, la borghesia non poteva più governarla. Non in quel momento, almeno, in cui la maggior parte di essa era ancora di sentimenti monarchici, era divisa in tre partiti dinastici [3], e in un quarto partito repubblicano. Le sue discordie interne permisero all'avventuriero Luigi Bonaparte di impadronirsi di tutte le leve di comando del potere - esercito, polizia, meccanismo amministrativo -, e di far saltare in aria, il 2 dicembre 1851 [4], l'ultima cittadella della borghesia, l'Assemblea nazionale. Il Secondo Impero [5] dette inizio al saccheggio della Francia da parte di una banda di avventurieri della politica e della finanza, ma nel tempo stesso anche a uno sviluppo industriale che non sarebbe mai stato possibile sotto il regime ristretto e timoroso di Luigi Filippo, e con l'esclusivo dominio solo di una piccola parte della grande borghesia. Luigi Bonaparte tolse ai capitalisti il potere politico col pretesto di proteggerli: di proteggere la borghesia contro gli operai, e d'altra parte, di proteggere gli operai contro i borghesi: ma in compenso il suo governo favorì la speculazione e l'attività industriale; in una parola, favorì l'incremento e l'arricchimento della borghesia nel suo assieme, in modo fino allora sconosciuto. In proporzione anche maggiore, è vero, si svilupparono la corruzione e il furto in massa, che avevano il loro centro nella corte imperiale e che ricavavano le loro alte percentuali dall'arricchimento della borghesia.
Ma il Secondo Impero fu l'appello allo sciovinismo francese, fu la pretesa di riavere i confini del Primo Impero perduti nel 1814, o almeno quelli della prima repubblica. Un impero francese nei confini della vecchia monarchia, e persino in quelli ancor più ristretti del 1815, era una cosa per un lungo periodo di tempo impossibile. Di qui la necessità di guerre periodiche e di una estensione dei confini. Nessuna estensione di confini abbagliava però potentemente la fantasia degli sciovinisti francesi come l'estensione sino alla sponda sinistra, tedesca, del Reno. Un miglio quadrato sul Reno valeva per loro assai più che dieci miglia sulle Alpi o in qualsiasi altro luogo. Data l'esistenza del Secondo Impero, la richiesta di restituzione della sponda sinistra del Reno, tutta in una volta o a pezzi, non era che una questione di tempo. E il tempo venne con la guerra austro-prussiana del 1866. Preso in trappola dall'"indennizzo territoriale" promosso da Bismarck, e dalla sua stessa politica troppo sottile ed esitante, a Bonaparte, non rimase altro che la guerra, la quale scoppiò nel 1870, e che lo sbalzò prima a Sedan, e di là a Wilhelmshöhe.
Conseguenza inevitabile fu la rivoluzione di Parigi del 4 settembre 1870. L'impero crollò come un castello di carte e la repubblica fu di bel nuova proclamata. Ma il nemico era alle porte. Gli eserciti dell'impero erano rinchiusi senza speranze in Metz, o prigionieri in Germania. In questo frangente, il popolo concesse ai deputati parigini del vecchio Corpo legislativo di costituirsi in "governo di difesa nazionale". La cosa fu concessa tanto più facilmente in quanto a scopo di difesa tutti i parigini atti alle armi erano entrati nella Guardia nazionale ed erano armati, di guisa che gli operai formavano ora la grande maggioranza. Ma ben presto il contrasto tra il governo, composto quasi esclusivamente di borghesi, e il proletariato armato scoppiò in conflitto aperto. Il 31 ottobre battaglioni di operai diedero l'assalto all'Hotel de Ville e fecero prigionieri una parte dei membri del governo; il tradimento, la mancanza di parola del governo e il sopraggiungere di alcuni battaglioni di piccolo-borghesi ridettero loro la libertà, e per evitare lo scoppio di una guerra civile nell'interno di una città già assediata da una potenza straniera si lasciò in carica il governo di prima.
Finalmente, il 28 gennaio 1871, Parigi, affamata, capitolò; ma con onori senza precedenti nella storia delle guerre. I forti furono consegnati, le trincee disarmate, le armi dei reggimenti di linea e della guardia mobile consegnate, ed essi considerati come prigionieri di guerra. Ma la Guardia nazionale mantenne le sue armi e i suoi cannoni, e di fronte ai vincitori si considerò in stato di armistizio, mentre questi non osavano entrare in Parigi in trionfo. Soltanto un piccolo angolo di Parigi, consistente in parte, per giunta, in parchi pubblici, essi osarono occupare; e anche questo solo per alcuni giorni! e durante questo tempo essi, che avevano stretto d'assedio Parigi per 131 giorni, furono a loro volta assediati dagli operai parigini armati, i quali vigilavano accuratamente perché nessun "prussiano" varcasse i ristretti confini di quel pezzo di terreno ceduto ai conquistatori stranieri. Tale era il rispetto che gli operai parigini ispiravano all'esercito davanti al quale tutte le truppe dell'impero avevano deposto le armi; e i grandi proprietari fondiari prussiani, che erano venuti per prendersi la loro rivincita nel centro stesso della rivoluzione, dovettero starsene pieni di riguardo, e fare il saluto proprio alla rivoluzione armata!
Durante la guerra, gli operai parigini si erano limitati a reclamare che la lotta venisse proseguita con energia. Ma adesso che era ritornata la pace dopo la capitolazione di Parigi, adesso Thiers, il nuovo capo del governo, dovette convincersi che il predominio delle classi abbienti - grandi proprietari fondiari e capitalisti -, era in continuo pericolo finché gli operai di Parigi avevano le armi nelle loro mani. Suo primo atto fu il tentativo di disarmarli. Il 18 marzo egli mandò delle truppe di linea con l'ordine di rubare alla Guardia nazionale l’artiglieria che le apparteneva, che era stata fabbricata durante l'assedio di Parigi e pagata con una sottoscrizione pubblica. Il colpo andò a vuoto; Parigi scese in campo per difendersi come un sol uomo, e la guerra tra Parigi e il governo francese residente a Versailles fu dichiarata. Il 26 marzo fu eletta e il 28 proclamata la Comune di Parigi. Il Comitato centrale della Guardia nazionale, che fino ad ora si era fatto carico del governo, dette le sue dimissioni alla Guardia nazionale stessa, dopo aver decretato la soppressione della scandalosa "polizia dei costumi" di Parigi. Il 30 marzo la Comune abolì la coscrizione e l'esercito permanente e proclamò che la Guardia nazionale, nella quale dovevano arruolarsi tutti i cittadini atti alle armi, sarebbe stata la sola forza armata. Essa dichiarò una moratoria di tutte le pigioni per le case di abitazione dall'ottobre 1870 fino all'aprile, stabilendo che gli affitti già pagati si dovessero computare in acconto delle pigioni future; e sospese ogni vendita di oggetti impegnati al Monte di pietà. Lo stesso giorno gli stranieri eletti a far parte della Comune furono confermati nella loro carica, perché "la bandiera della Comune è la bandiera della repubblica mondiale".
Il primo aprile venne deciso che lo stipendio più elevato di un impiegato della Comune, compreso dunque quello dei suoi stessi membri, non dovesse superare 6.000 franchi. Il giorno seguente la Comune decretò la separazione della Chiesa dallo Stato e l'abrogazione di tutti i versamenti dello Stato a scopi religiosi, come pure la trasformazione di tutti i beni ecclesiastici in patrimonio nazionale; in seguito a ciò l'8 aprile fu deciso di dare il bando dalle scuole a tutti i simboli religiosi, immagini, dogmi, preghiere, insomma a "tutto ciò che appartiene al campo della coscienza individuale", e la misura venne a poco a poco applicata. Il giorno 5, in risposta alle fucilazioni, che si rinnovavano ogni giorno, dei combattenti della Comune fatti prigionieri dalle truppe di Versailles, fu emanato un decreto circa l'arresto di ostaggi, ma non venne mai eseguito. Il 6 fu tirata fuori la ghigliottina con l'aiuto del 137° battaglione della Guardia nazionale, e bruciata in pubblico tra alte grida di giubilo popolare. Il 12 la Comune decise di abbattere la colonna della vittoria di Piazza Vendôme, fusa dopo la guerra del 1809 con i cannoni presi da Napoleone, ed eretta come simbolo dello sciovinismo e dell'odio tra i popoli. La cosa venne fatta il 16 maggio. Il 16 aprile la Comune ordinò una statistica delle fabbriche lasciate inoperose dagli industriali, e la elaborazione di progetti per l'esercizio di queste fabbriche a mezzo degli operai fino allora occupati in esse, da riunirsi ora in società cooperative, e per l'organizzazione di queste società in una grande unione. Il 20 essa abolì il lavoro notturno dei fornai, come pure la registrazione degli operai esercitata a partire dal Secondo Impero esclusivamente per mezzo di soggetti nominati dalla polizia, autentici sfruttatori degli operai. La registrazione venne affidata ai municipi dei venti mandamenti di Parigi.
Il 30 aprile ordinò l'abolizione delle case di pegno, che non erano se non uno sfruttamento privato degli operai, in contraddizione col diritto degli operai ai loro strumenti di lavoro e al credito. Il 5 maggio decretò la demolizione della cappella espiatoria costruita in ammenda della esecuzione capitale di Luigi XVI.
Così a partire dal 18 marzo balza fuori preciso e netto quel carattere di classe del movimento parigino, che fino allora era stato respinto nella penombra dalla lotta contro l'invasione straniera. Come nella Comune vi erano quasi solo operai o rappresentanti riconosciuti degli operai, così anche le loro deliberazioni avevano una marcata impronta proletaria. O decretavano riforme che la borghesia repubblicana aveva trascurato soltanto per viltà, ma che rappresentavano una base necessaria per la libertà d'azione della classe operaia, come l'applicazione del principio che di fronte allo Stato la religione non è che un semplice affare privato; oppure emettevano deliberazioni nell'interesse diretto della classe operaia, e talvolta anche in profondo dissidio con l'antico ordinamento sociale. Tutto questo però, in una città assediata, poteva conseguire tutt'al più un inizio di realizzazione. E dal principio di maggio la lotta contro la sempre crescente massa di armati adunata dal governo di Versailles assorbì tutte le forze.
Il 7 aprile i versagliesi si erano impadroniti del passaggio della Senna presso Neuilly, sul fronte occidentale di Parigi; vennero però sanguinosamente respinti il giorno 11, in un attacco sul fronte meridionale condotto dal generale Eudes. Parigi fu bombardata senza interruzione, e proprio da coloro stessi che avevano stigmatizzato il bombardamento della stessa città per opera dei prussiani come una profanazione di cosa sacra. Questi stessi uomini andavano ora elemosinando dal governo prussiano la pronta restituzione dei soldati francesi fatti prigionieri a Sedan e a Metz, i quali avrebbero dovuto riconquistar loro Parigi.
Il graduale concentramento di tutte queste truppe dette ai versagliesi, dal principio di maggio in poi, un sopravvento deciso. E questo si manifestò fin da quando il 23 aprile Thiers ruppe le trattative a proposito dello scambio, offerto dalla Comune, dell'arcivescovo di Parigi e di tutta una schiera di altri ecclesiastici tenuti in ostaggio a Parigi, per il solo Blanqui, che era stato eletto due volte a far parte della Comune, ma era prigioniero a Clairvaux. Più ancora questo sopravvento si manifestò nel mutato linguaggio di Thiers; fino adesso riservato e ambiguo, egli divenne a un tratto insolente, minaccioso, brutale. Sul fronte meridionale i versagliesi presero il 3 maggio il ridotto di Moulin Saquet; il 9 maggio il forte d'Issy ridotto in completa rovina dalle bombe; il 14 quello di Vanves. Sul fronte occidentale avanzavano a poco a poco fino al vallo principale, espugnando i numerosi villaggi e gli edifici che si estendevano fino alle mura di cinta; il 21 riuscì loro grazie a un tradimento e in seguito alla negligenza della Guardia nazionale comandata a quel posto, a penetrare nella città. I prussiani, che occupavano i forti settentrionali e orientali, permisero ai versagliesi di avanzare attraverso il terreno vietato dall'armistizio a nord della città, e con ciò di attaccare su un largo fronte che i parigini avevano ragione di credere protetto dall'armistizio e che perciò non avevano occupato che debolmente. In conseguenza di ciò la resistenza nella metà occidentale di Parigi, cioè nella vera città aristocratica, non poté che esser debole; diventò più tenace e più dura quanto più le truppe avanzanti si avvicinarono alla metà orientale, alla vera città operaia. Soltanto dopo una lotta di otto giorni gli ultimi difensori della Comune caddero sulle alture di Belleville e di Ménilmontant; e l'eccidio degli uomini inermi, delle donne, dei fanciulli, che infuriò con rabbia crescente per tutta la settimana, raggiunse qui il suo punto più alto. Il fucile a ripetizione non uccideva più abbastanza rapidamente; i vinti vennero trucidati collettivamente a centinaia dalle mitragliatrici. Il "Muro dei federati" nel cimitero del Père Lachaise, dove fu consumato l'ultimo eccidio in massa, rimane ancor oggi come un muto ma eloquente documento della furibonda follia di cui è capace la classe dominante, non appena il proletariato osa farsi innanzi per far valere i suoi diritti. Vennero quindi gli arresti in massa quando si riconobbe impossibile il macello di tutti si ebbe la fucilazione di vittime scelte arbitrariamente tra le file dei prigionieri, e il trasporto di tutti i rimanenti in grandi campi dove essi aspettavano di essere tradotti davanti ai tribunali di guerra. Le truppe prussiane, che stringevano d'assedio la parte nord-est di Parigi, avevano l'ordine di non lasciar passare nessun fuggiasco; ciò nondimeno gli ufficiali chiudevano un occhio quando i soldati obbedivano più alle leggi dell'umanità che agli ordini del comando; in particolare spetta al Corpo d'armata sassone il merito di essersi comportato molto umanamente e di aver lasciato libero il passo a molti, la cui qualità di combattenti della Comune era evidente.
Se ora, dopo vent'anni, rivolgiamo lo sguardo all'attività e all'importanza storica della Comune di Parigi del 1871, troveremo che alla esposizione datane nella Guerra civile in Francia si deve fare qualche aggiunta.
I membri della Comune si dividevano in una maggioranza, in blanquisti, i quali avevano predominato anche anteriormente nel Comitato centrale della Guardia nazionale, e in una minoranza, composta di membri della Associazione internazionale degli operai, seguaci in prevalenza della scuola socialista di Proudhon. I blanquisti erano allora nella maggioranza socialisti soltanto per istinto rivoluzionario proletario; pochi solamente erano arrivati a una maggior chiarezza di principi grazie a Vaillant, che conosceva il socialismo scientifico tedesco. Così si comprende come nel campo economico furono trascurate parecchie cose che secondo la nostra concezione odierna, la Comune avrebbe dovuto fare. Più che mai difficile a comprendersi rimane ad ogni modo il sacro rispetto col quale ci si arrestò con devota soggezione davanti alle porte della Banca di Francia. Questo fu anche un grande errore politico. La Banca in mano della Comune valeva più che diecimila ostaggi. Significava la pressione di tutta la borghesia francese sul governo di Versailles per spingere alla pace con la Comune. Ma ciò che è ancor più mirabile sono le molte cose giuste compiute malgrado tutto dalla Comune, composta di blanquisti e di proudhoniani. Naturalmente, dei decreti economici della Comune, per i loro aspetti gloriosi e per i loro aspetti ingloriosi, responsabili sono in prima linea i proudhoniani; come per gli atti e per le omissioni politiche sono responsabili i blanquisti. E in entrambi i casi l'ironia della storia volle - come avviene di solito quando dei dottrinari arrivano al potere -, che gli uni e gli altri facessero precisamente il contrario di quello che prescriveva la loro dottrina scolastica.
Proudhon, il socialista del piccolo contadino e dell'artigiano, odiava l'associazione d'un odio positivo. Diceva che essa conteneva in sé più male che bene, che era di sua natura improduttiva e persino dannosa, perché era una catena messa alla libertà dell'operaio; che essa era un puro dogma, infruttuoso e oneroso, in contrasto tanto con la libertà del lavoratore quanto col risparmio del lavoro, e che i suoi svantaggi crescevano più rapidamente che i vantaggi; che in contrapposto ad essa la concorrenza, la divisione del lavoro e la proprietà privata erano forze economiche positive. Solo per i casi eccezionali - come li chiama Proudhon, della grande industria e delle grandi organizzazioni di locomozione, per esempio le ferrovie, l'associazione dei lavoratori sarebbe stata conveniente (V. "Idée génerale de la Révolutione", 3° étude [6]).
Nel 1871 la grande industria aveva già cessato di essere un caso eccezionale anche a Parigi, sede centrale dell'artigianato artistico, e in tal guisa che il decreto di gran lunga più importante della Comune ordinava un'organizzazione della grande industria e perfino della manifattura, la quale non doveva fondarsi soltanto sull'associazione degli operai in ogni fabbrica, ma doveva anche riunire in una grande unione tutte queste società; in breve, un'organizzazione la quale, come ben giustamente dice Marx nella Guerra civile, doveva alla fine portare al comunismo, cioè all'opposto diretto della teoria proudhoniana. Perciò la Comune fu la tomba della scuola proudhoniana del socialismo. Questa scuola è ora scomparsa dai circoli degli operai francesi; in essi predomina incontrastata, fra i possibilisti, non meno che fra i "marxisti", la teoria di Marx. Solo fra la borghesia "radicale" ci sono ancora dei proudhoniani.
Né migliore fu la sorte dei blanquisti. Educati alla scuola della cospirazione, tenuti assieme dalla rigida disciplina ad essa corrispondente, essi partivano dal principio che un numero relativamente piccolo di uomini risoluti e bene organizzati fosse la condizione, in un dato momento favorevole, non solo per impadronirsi del potere, ma anche per mantenerlo spiegando una grande energia, priva d'ogni riguardo, fino a che fosse loro riuscito lanciare la massa del popolo nella rivoluzione e raggrupparla intorno alla piccola schiera dei dirigenti. Per questo occorreva prima di tutto l'accentramento più energico, dittatoriale, di ogni potere nelle mani del nuovo governo rivoluzionario. E che fece la Comune, la quale era in maggioranza composta appunto di questi blanquisti? In tutti i suoi proclami ai francesi della provincia essa li chiamava a costituire una federazione libera di tutti i comuni francesi con Parigi; una organizzazione nazionale, che per la prima volta doveva essere creata dalla nazione stessa. Invece proprio questo potere repressivo del precedente governo centralizzato, dell'esercito, della polizia politica, della burocrazia, che Napoleone aveva creato nel 1798 e che da allora in poi ogni nuovo governo aveva accettato come un comodo strumento e sfruttato contro i suoi avversari, proprio questo potere doveva dappertutto cadere, come già era caduto a Parigi.
La Comune dovette riconoscere sin dal principio che la classe operaia, una volta giunta al potere, non può continuare a governare la vecchia macchina dello Stato, che la classe operaia, per non perdere di nuovo il potere appena conquistato, da una parte deve eliminare tutta la vecchia macchina repressiva già sfruttata contro di essa, e dall'altra deve assicurarsi contro i propri deputati e impiegati, dichiarandoli senza nessuna eccezione e in ogni momento revocabili. In che cosa consisteva sino allora la proprietà caratteristica dello Stato? La società, per la tutela dei propri interessi comuni, si era provveduta di organi propri, originariamente per mezzo di una semplice divisione di lavoro. Ma questi organi, alla cui testa è il potere dello Stato, si erano col tempo trasformati, al servizio dei propri interessi speciali, da servitori della società in padroni della medesima. Il che per esempio è evidente non solo nella monarchia ereditaria, ma anche nella repubblica democratica. In nessun paese i "politici" formano una sezione della nazione così separata e così potente come nell'America del nord. Ognuno dei due grandi partiti che si scambiano a vicenda il potere viene alla sua volta governato da gente per cui la politica è una professione, che specula tanto sui seggi nelle assemblee legislative dell'Unione quanto su quelli dei singoli Stati, o che per lo meno vive dell'agitazione per il suo partito e dopo la sua vittoria viene compensata con dei posti. E' noto come gli americani tentano da trent'anni di scuotere questo giogo diventato insopportabile e come, a dispetto di ciò, affondano sempre più profondamente nella palude di questa corruzione. Proprio in America possiamo vedere nel miglior modo come si compia questa separazione e contrapposizione del potere dello Stato alla società, di cui in origine esso era destinato a non essere altro che uno strumento. Qui non esiste dinastia, non nobiltà, non esercito permanente all'infuori di un manipolo d'uomini per la vigilanza degli indiani, non burocrazia con impiego stabile e con diritto a pensione. E con tutto questo, abbiamo qui due grandi bande di speculatori politici che alternativamente entrano in possesso del potere, e lo sfruttano coi mezzi più corrotti e ai più corrotti scopi; e la nazione è impotente contro queste due grandi bande di politici, che apparentemente sono al suo servizio, ma in realtà la dominano e la saccheggiano.
Contro questa trasformazione, in tutti gli Stati finora inevitabile, dello Stato e degli organi dello Stato da servitori della società in padroni della società, la Comune applicò due mezzi infallibili. In primo luogo, assegnò per via di elezione, con diritto generale di voto da parte degli interessati, e col diritto costante di revoca da parte di questi stessi interessati, tutti gli impieghi, amministrativi, giudiziari, educativi. In secondo luogo, per tutti i servizi, alti e bassi, pagava solo lo stipendio che ricevevano gli altri operai. Il più alto assegno che essa pagava era di 6.000 franchi. In questo modo era posto un freno sicuro alla caccia agli impieghi e al carrierismo, anche senza i mandati imperativi per i delegati ai Corpi rappresentativi, che furono aggiunti per soprappiù.
Questa distruzione del potere dello Stato esistente e la sostituzione ad esso di un nuovo potere, veramente democratico, è esaurientemente descritta nel terzo capitolo della Guerra civile. Era però necessario ritornar qui brevemente sopra alcuni tratti di essa, perché precisamente in Germania la superstizione dello Stato si è trasportata dalla filosofia nella coscienza generale della borghesia e perfino di molti operai. Secondo la concezione filosofica, lo Stato è la "realizzazione dell'Idea", ovvero il regno di Dio in terra tradotto in linguaggio filosofico, il campo nel quale la verità e la giustizia eterna si realizza o si deve realizzare. Di qui una superstiziosa idolatria dello Stato e di tutto ciò che ha relazione con lo Stato, idolatria che si fa strada tanto più facilmente in quanto si è assuefatti fin da bambini a immaginare che gli affari e gli interessi comuni a tutta la società non possano venir curati altrimenti che come sono stati curati fino ad ora, cioè per mezzo dello Stato e dei suoi bene istallati funzionari. E si crede d'aver già fatto un passo estremamente audace, quando ci si è liberati alla fede nella monarchia ereditaria e si giura nella repubblica democratica. In realtà però lo Stato non è che una macchina per l'oppressione di una classe da parte di un'altra, e ciò nella repubblica democratica non meno che nella monarchia; e nel migliore dei casi un male che viene lasciato in eredità al proletariato riuscito vittorioso nella lotta per il predominio di classe e i cui lati peggiori non potrà fare a meno, subito, di eliminare nella misura del possibile, come fece la Comune, finché una nuova generazione, cresciuta in condizioni sociali nuove, libere, non sia in grado di scrollarsi dalle spalle tutto il vecchiume dello Stato.
Il filisteo socialdemocratico recentemente si è sentito preso da un salutare terrore sentendo l'espressione: dittatura del proletariato. Ebbene, signori, volete sapere come è questa dittatura? Guardate la Comune di Parigi. Questa era la dittatura del proletariato.
FRIEDRICH ENGELS
nel ventesimo anniversario della Comune di Parigi,
18 marzo 1891.

Note
1. Scritta in tedesco. Pubblicata per la prima volta, con il consenso di Engels, nella rivista Die Nue Zeit (n. 28, a. IX, vol. II, 1890-1891) e successivamente in volume.
2. Citazione dal secondo Indirizzo del Consiglio generale circa la guerra franco-prussiana. Marx prevedeva che dopo la perdita dell'Alsazia-Lorena la Francia avrebbe cercato un alleato contro la Germania in primo luogo nella Russia zarista. Il I settembre 1870 egli scrisse a Sorge: "La guerra attuale - e gli asini prussiani non lo capiscono -, conduce alla guerra tra la Germania e la Russia con la stessa necessità con cui la guerra del 1866 condusse alla guerra tra la Prussia e la Francia... Inoltre questa guerra N. 2 sarà la levatrice dell'inevitabile rivoluzione sociale in Russia".
3. In Francia i monarchici si dividevano in tre partiti: legittimisti partigiani della monarchia "legittima" dei Borboni; orleanisti partigiani della dinastia degli Orléans, e bonapartisti di Luigi Bonaparte.
4. Il 2 dicembre 1851 Luigi Bonaparte, presidente della repubblica francese, effettuò un colpo di Stato, sciolse con la forza l'Assemblea nazionale e dopo un anno si proclamò imperatore.
5. Si chiama secondo impero quello di Luigi Bonaparte, Napoleone III (1852-1870), per distinguerlo dal primo impero di Napoleone I (1804-1814).
6. Engels si richiama qui al libro di PROUDHON: Idea generale della rivoluzione nel secolo XIX, Saggio 3°, Parigi 1851.

 

http://www.antoniogramsci.org/Engels-introduzione%20a%20La%20guerra%20civile%20in%20Francia%20di%20Marx.doc

 

Guerra civile in Francia

KARL MARX

 

 

 

LA GUERRA CIVILE IN FRANCIA

 

redatto tra  aprile/maggio 1871


Karl Marx

 

La Guerra Civile in Francia

 

 

  1. Il 4 settembre 1870, quando gli operai di Parigi proclamarono la repubblica, la quale venne quasi subito acclamata in tutta la Francia senza una sola voce discorde, una cricca di avvocati in cerca di carriera - Thiers era il loro uomo di Stato e Trochu il loro generale - prese possesso dell'Hotel de Ville. Costoro erano allora imbevuti di una fede così fanatica nella missione di Parigi di rappresentare la Francia in tutti i periodi di crisi storiche che, per leggittimare l'usurpato titolo di governanti della Francia, pensavano fosse sufficiente rappresentare il loro mandato scaduto di deputati di Parigi.
  2. Nel nostro secondo indirizzo sull'ultima guerra, cinque giorni dopo l'ascesa di questi uomini, vi spiegammo chi erano 1. Ma Parigi, nel turbamento della sorpresa, mentre i veri capi della classe operaia erano ancora nelle prigioni di Bonaparte e i prussiani già marciavano sulla città, tollerò che assunsero il potere, alla condizione espressa che questo sarebbe stato adoperato esclusivamente ai fini della difesa nazionale. Però non era possibile difendere Parigi senza armare i suoi operai, senza organizzarli in una forza armata effettiva, senza allenarli alla guerra attraverso il combattimento stesso. Ma Parigi in armi era la rivoluzione in armi. Una vittoria di Parigi sull'oppressore prussiano sarebbe stata una vittoria dell'operaio francese sul capitalista francese e i suoi parassiti statali. In questo conflitto tra il dovere nazionale e l'interesse di classe, il Governo della Difesa Nazionale non esitò un momento a trasformarsi in Governo del Tradimento Nazionale.
  3. Il primo passo che fece questo governo fu di mandare Thiers in pellegrinaggio presso tutte le corti d'Europa a mendicare una mediazione offrendo di barattare la repubblica con un re. Quattro mesi dopo dell'assedio, quando si ritenne giunto il momento per cominciare a parlare di capitolazione, Trochu, in presenza di Jules Favre e di altri suoi colleghi, apostrofò i sindaci di Parigi riuniti con le parole seguenti:
  4. "La prima domanda rivoltami dai miei colleghi la sera stessa del 4 settembre fu questa: Parigi può sostenere un assedio dell'esercito prussiano con qualche probabilità di successo? Non esitai a rispondere negativamente. Alcuni dei miei colleghi qui presenti garantiranno che dico il vero e che ho sempre avuto questa opinione. Dissi loro, con queste parole, che data la situazione, il tentativo da parte di Parigi di resistere a un assedio dell'esercito prussiano sarebbe stata follia. Certo, aggiunsi, sarebbe stata follia eroica; ma niente di più... Gli avvenimenti [diretti da lui stesso] non hanno smentito la mia previsione."
  5. Questo ammirevole discorsetto di Trochu venne reso pubblico in seguito dal signor Corbon, uno dei sindaci presenti.
  6. Dunque la sera stessa della proclamazione della repubblica era noto ai colleghi di Trochu che il "piano" di Trochu era la capitolazione di Parigi. Se la difesa nazionale fosse stata qualcosa di più che un pretesto per il governo personale di Thiers, Favre e C., gli avventurieri del 4 settembre avrebbero abdicato il giorno 5, avrebbero reso noto al popolo di Parigi il "piano" di Trochu e gli avrebbero proposto o di arrendersi subito o di prendere la propria sorte nelle proprie mani. Invece di far questo, quegli infami impostori decisero di curare l'eroica follia di Parigi con un regime di fame e di bastone, e d'ingannarla nel frattempo con loro roboanti manifesti, in cui si diceva che Trochu, "governatore di Parigi, non capitolerà mai" e che Jules Favre, ministro degli esteri, "non cederà mai un pollice del nostro territorio, non una pietra delle nostre fortezze".
  7. In una lettera a Gambetta, lo stesso Jules Favre confessa che coloro contro cui stavano "difendendosi" non erano soldati prussiani, ma gli operai di Parigi. Per tutta la durata dell'assedio, i banditi bonapartisti a cui Trochu saggiamente aveva affidato il comando dell'esercito di Parigi, si beffarono in modo vergognoso nella loro corrispondenza privata della farsa evidente della difesa (si veda, per esempio, la corrispondenza di Alphonse Simon Guiod, comandante supremo dell'artiglieria dell'esercito della difesa di Parigi e gran croce della Legion d'onore, a Susane, generale di divisione d'artiglieria, pubblicata dal Journal Officiel della Comune). La maschera della impostura venne infine lasciata cadere il 28 gennaio 1871 [2]. Col vero eroismo di chi si avvilisce fino all'ultimo grado, il Governo della Difesa Nazionale, nel capitolare, si presentò come il governo francese dei prigionieri di Bismarck: parte così ignobile che lo stesso Luigi bonaparte, a Sedan, aveva arretrato di fronte a essa. Nella loro fuga disperata a Versailles dopo i fatti del 18 marzo [3], i capitulards abbandonarono nelle mani di Parigi la prova documentata del loro tradimento, per distruggere la quale, dice la Comune nel suo manifesto alle provincie, "essi non avrebbero esitato a fare di Parigi un mucchio di rovine bagnate da un mare di sangue".
  8. Alcuni dei membri più autorevoli del Governo della Difesa avevano, inoltre, ragioni molto peculiari di carattere personale, che li spingevano a consumare tale impresa.
  9. Poco dopo la conclusione dell'armistizio, il signor Milliere, uno dei deputati di Parigi all'Assemblea nazionale, ora fucilato per ordine espresso di Jules Favre, pubblicò una serie di documenti legali autentici, i quali provavano come Jules Favre, vivendo in concubinato con la moglie di un ubriacone residente ad Algeri, era riuscito, grazie a una mistura oltremodo sfacciata di falsificazioni succedutesi per una lunga serie di anni, a carpire, in nome dei figli del suo adulterio, una pingue eredità, che aveva fatto di lui una persona facoltosa, e come, in un processo intentatogli dagli eredi legittimi, era riuscito a sfuggire allo scandalo solo grazie alla connivenza dei tribunali bonapartisti. Poichè non era possibile sbarazzarsi di questi secchi documenti legali con nessuna quantità di cavalli-vapore della retorica, per la prima volta nella sua vita Jules Favre non aprì bocca, aspettando tranquillamente lo scoppio della guerra civile, per poi scagliare rabbiosamente sul popolo di Parigi l'accusa di essere una banda di evasi dalle galere, in rivolta dichiarata contro la famiglia, religione, l'ordine e la proprietà. Questo stesso falsario era appena salito al potere, dopo il 4 settembre, quando per senso di solidarietà fece mettere in libertà Pic e Taillefer, condannati per falso, perfino sotto l'impero, nello scandaloso affare dell'Etendard. Uno di costoro, Taillefer avendo avuto la temerarietà di rientrare a Parigi durante la Comune, fu immediatamente ricacciato in galera: dopo di che Jules Favre gridò, dalla tribuna dell'Assemblea nazionale, che Parigi metteva in libertà tutti gli inquilini delle sue prigioni!
  10. Ernest Picard, il Joe Miller del Governo della Difesa Nazionale, che si era autonominato ministro delle finanze della repubblica dopo aver tentato invano di diventare ministro degli interni dell'impero, è fratello di un certo Arthur Picard, individuo espulso dalla Bourse di Parigi come truffatore (si veda il rapporto della Prefettura di polizia del 31 luglio 1867), e per sua confessione condannato per furto di 300.000 franchi, mentre era direttore di una delle filiali della Sociètè generale, rue Palestro n.5 (si veda il rapporto della Prefettura di polizia dell'11 dicembre 1868). Questo Arthur Picard fu nominato da Ernest Picard direttore del suo giornale, L'Electeur libre. Mentre la Comune genia degli speculatori di borsa veniva tratta in inganno dalle menzogne ufficiali di questo giornale finanziario ministeriale, Arthur correva avanti e indietro tra il ministero delle finanze e la Bourse, dove convertiva in contanti le disfatte dell'esercito francese. Tutta la corrispondenza d'affari di questa coppia di degni fratelli è caduta nelle mani della Comune.
  11. Jules Ferry avvocato squattrinato prima del 4 settembre, riuscì come sindaco di Parigi durante l'assedio, a spremersi un patrimonio dalla carestia. Il giorno in cui dovesse rispondere della sua mala amministrazione sarebbe il giorno della sua condanna.
  12. Uomini di questo stampo potevano trovare solo tra le rovine di Parigi i loro tickets-of-leave [4]: erano proprio gli uomini di cui aveva bisogno Bismarck. Mescolate un poco le carte, Thiers, fino ad allora ispiratore segreto del governo, apparve d'un tratto alla sua testa, con i ticket-of-leave men come ministri.
  13. Thiers, questo nano mostruoso, ha affascinato la borghesia francese per quasi mezzo secolo, perchè è l'espressione intellettuale più perfetta della sua corruzione di classe. Prima di diventare un uomo di Stato aveva già dato prova come storico delle sue capacità di mentire. La cronaca della sua vita pubblica è la storia delle sventure della Francia. Unito, prima del 1830, coi repubblicani, sotto Luigi Filippo si intrufolo' in un posto di ministro, tradendo il suo protettore Laffitte. Entrò nelle grazie del re provocando sommosse di plebe contro clero, durante le quali furono saccheggiati la chiesa di Sant-Germain l'Auxerrois e l'Arcivescovado e facendo in pari tempo il ministro spia e l'accoucheur [5] carcerario della duchessa de Berry. Il massacro dei repubblicani nella rue Transnonain e le successive infami leggi di settembre contro la stampa e il diritto di associazione furono opera sua. Riapparso a capo del ministero nel marzo 1840, fece stupire la Francia col suo progetto di fortificare Parigi. Ai repubblicani che denunciavano questo progetto come un sinistro complotto contro la libertà di Parigi, egli rispose dalla tribuna della Camera dei deputati:
  14. "Come Immaginare che delle fortificazioni possono mai essere un pericolo per la libertà! Prima di tutto, voi calunniate ogni possibile governo col supporre che esso possa un giorno tentare di mantenersi al potere bombardando la capitale... ma un governo simile sarebbe dopo la sua vittoria cento volte più impossibile di prima."
  15. Certo, nessun governo avrebbe mai osato bombardare Parigi dai forti, tranne quel governo che prima aveva consegnato questi forti ai prussiani.
  16. Quando re Bomba [6] fece le sue prove con Palermo nel gennaio 1848, Thiers, che da un pezzo non era più ministro, di nuovo si levò alla Camera dei deputati:
  17. "Voi sapete, signori, egli disse, quello che sta succedendo a Palermo. Voi tutti, fremete [in senso parlamentare] nell'apprendere che una grande città è stata bombardata per quarantott'ore. E da chi? Da un nemico straniero, che applicasse diritti di guerra? No signori; dal suo proprio governo. E perchè? Perchè l'infelice città reclamava i suoi diritti. Ebbene, per aver reclamato i suoi diritti si prese quarantott'ore di bombardamento... Permettetemi di far appello all'opinione pubblica d'Europa. E' rendere un servizio all'umanità levarsi e far echeggiare, da quella che è forse la tribuna più alta d'Europa, alcune parole [soltanto parole, in verità] di sdegno contro atti simili...”
  18. Quando il reggente, Esartero, che pure aveva reso dei servizi al suo paese [il che Thiers non ha mai fatto], volle borbardare Barcellona per reprimere quell'insurrezione, da ogni parte del mondo si levò un generale grido di sdegno.
  19. Diciotto mesi più tardi il signor Thiers era tra i più accaniti difensori del borbardamento di Roma da parte di un esercito francese [7]. A quanto pare, l'errore di un re Bomba era dunque consistito solo nell'aver limitato il bombardamento a quarantott'ore.
  20. Pochi giorni prima della rivoluzione di febbraio, irritato dal lungo allontanamento dal potere e dagli imbrogli, al quale Guizot l'aveva condannato, e fiutando nell'aria l'odore di un prossimo sollevamento popolare, Thiers, in quello stile pseudoeroico che gli aveva valso il nomignolo di Mirabeau-Mouche [8], dichiarò alla Camera dei deputati:
  21. "Io sono del partito della rivoluzione, non solo in Francia, ma in Europa. Faccio voti che il governo della rivoluzione rimanga in mano a uomini moderati... ma se questo governo dovesse cadere in mano a spiriti ardenti, e perfino radicali, non per questo diserterei la mia causa. Io sarò sempre del partito della rivoluzione."
  22. Venne la rivoluzione di febbraio, ma invece di sostituire al gabinetto Guizot un gabinetto Thiers, come l'omicciattolo aveva sognato, sostituì a Luigi Filippo la repubblica. Il primo giorno della vittoria popolare egli si tenne accuratamente nascosto, dimenticando il disprezzo degli operai lo salvava dal loro odio, pure, col suo leggendario coraggio, continuò a evitare la pubblica scena fino ai massacri di giugno non l'ebbero resa libero per il suo tipo di attività. Allora divenne la mente direttiva del "partito dell'ordine" e della sua repubblica parlamentare, quel periodo di anonimo interregno in cui le fazioni rivali della classe dominante cospiravano tutte assieme allo scopo di schiacciare il popolo, e cospirarono l'una contro l'altra per restaurare ognuna la propria monarchia. Allora, come adesso, Thiers denunziava nei repubblicani il solo ostacolo al consolidamento della repubblica; allora, come adesso, egli diceva alla repubblica come boia a Don Carlos: "ti ucciderò, ma per il tuo proprio bene". Adesso, come allora, egli dovrà esclamare il giorno dopo la sua vittoria: l'Empire est fait, l'Impero e' pronto.
  23.  Nonostante le sue ipocrite omelie circa le libertà necessarie e il suo risentimento personale contro Luigi Bonaparte, che si era fatto beffe di lui e aveva dato lo sgambetto al parlamentismo - e fuori l'atmosfera artificiale di questo, l'omiciattolo sa benissimo che egli svanisce nel nulla - Thiers ebbe la mano in tutte le infamie del II impero,dall'occupazione di Roma da parte delle truppe francesi fino alla guerra contro la Prussia alla quale incitò con i suoi attacchi violenti contro l'unità della Germania, non in quanto maschera del dispotismo prussiano, ma in quanto violazione del diritto ereditario della Francia a mantenere la Germania disunita. Mentre si piccava di brandire in faccia all'Europa, con le sue braccia da pigmeo, la spada del primo Napoleone di cui era diventato il lustrascarpe storico, la sua politica estera ha sempre portato la più profonda umiliazione della Francia, dalla convenzione di Londra del 1840 alla capitolazione di Parigi nel 1871 e alla presente guerra civile, in cui, con la speciale autorizzazione di Bismarck aizza contro Parigi i prigionieri di Metz e di Sedan [9].
  24. Nonostante la versatilità del suo ingegno e la mobilità dei suoi propositi, è stato legato per tutta la vita alla più fossile routine. E' evidentissimo che le correnti latenti più profonde della società moderna dovevano rimanergli per sempre celate; ma perfino i cambiamenti superficiali più palpabili erano inaccessibili a un cervello la cui vitalità si era tutta rifugiata nella lingua. Così, per esempio, non si è mai stancato di denunciare come sacrilegio ogni deviazione del vecchio sistema protezionista francese; come ministro di Luigi Filippo si era fatto beffe delle ferrovie come di un'assurda chimera; e quando fu all'opposizione sotto Luigi Bonaparte bollò come profanazione ogni tentativo di riforma del decrepito sistema militare francese. Mai, durante la sua lunga carriera politica, egli si è macchiato neppure di un solo provvedimento, sia pure dei più insignificanti, di qualche utilità pratica. L'unica sua coerenza è stata l'avidità di ricchezze e l'odio contro coloro che le producono. Entrato povero come Giobbe nel suo primo ministero, sotto Luigi Filippo, ne uscì milionario. Il suo ultimo ministero sotto lo stesso re (quello del 1 marzo 1840) lo espose a pubbliche accuse di mal vessazioni alla Camera dei deputati, alle quali si accontentò di rispondere con delle lacrime, articolo che egli tratta altrettanto liberamente quanto Jules Favre o qualsiasi altro coccodrillo. A Bordeaux [10] il primo provvedimento per salvare la Francia dall'imminente rovina finaziaria fu di attribuirsi un appannaggio di tre milioni all'anno, il che fu la prima e l'ultima parola di quella "repubblica economica", la cui prospettiva aveva aperta ai suoi elettori di Parigi nel 1869. Uno dei suoi antichi colleghi della Camera dei deputati del 1830, anch'egli capitalista, e ciononostante membro devoto della Comune di Parigi, il signor Beslay, ha testè rivolto a Thiers in un manifesto pubblico le parole seguenti:
  25. "L'asservimento del lavoro al capitale è sempre stato la pietra angolare della vostra politica, e dal primo giorno che avete visto la Repubblica del Lavoro installata nell'Hotel de Ville non avete cessato di gridare alla Francia: "Costoro sono dei criminali!"".
  26. Maestro di piccole truffe di Stato, virtuoso dello spergiuro e del tradimento, artista in tutti i bassi stratagemmi, nelle astuzie furbesche e nelle vili perfidie delle lotte di partito parlamentari; non avendo scrupolo, se fuori del potere, di attizzare una rivoluzione, né di soffocarla nel sangue una volta al timone dello Stato; con pregiudizi di classe al posto delle idee, e con la vanità al posto del cuore; con una vita privata altrettanto infame quanto è odiosa la sua vita pubblica; anche ora, che rappresenta la parte di un Silla francese, egli non può fare a meno di far risaltare la bruttura delle sue azioni col ridicolo della sua ostentazione.
  27. La capitolazione di Parigi, consegnando alla Prussia non solo Parigi, ma tutta la Francia, conclusa la lunga serie di intrighi col nemico e dei tradimenti che gli usurpatori del 4 settembre avevano incominciato, a detta dello stesso Trochu, in quello stesso giorno. D'altra parte, essa dette inizio alla guerra civile che costoro stavano per impegnare, con l'aiuto della Prussia, contro la repubblica e contro Parigi. La trappola era preparata nei termini stessi della capitolazione. In quel momento più di un terzo del paese era nelle mani del nemico. La capitale era tagliata dalle provincie. Tutte le comunicazioni erano disorganizzate. In quelle circostanze, eleggere una vera rappresentanza della Francia era impossibile, a meno di non disporre di molto tempo per la preparazione. In cosiderazione di ciò, la capitolazione stipulava che un'Assemblea Nazionale doveva essere eletta entro otto giorni, cosicchè in molte parti della Francia la notizia delle elezioni imminenti arrivò solamente alla vigilia del giorno stabilito. L'Assemblea, inoltre, per un esplicita clausola della capitolazione, doveva essere eletta solo allo scopo di decidere della pace e della guerra, e di concludere, eventualmente, un trattato di pace. La popolazione non poteva non sentire che i termini dell'armistizio rendevano impossibile la continuazione della guerra, e che per sancire la pace imposta da Bismarck i peggiori uomini della Francia erano i migliori. Ma non contento di queste precauzioni, Thiers, anche prima che il segreto dell'armistizio fosse trapelato a Parigi, partì per un viaggio elettorale nelle provincie, per ridare artificialmente vita al cadavere del partito legittimista, che ora, insieme con gli orleanisti, avrebbe dovuto prendere il posto dei bonapartisti, per il momento impossibili. Egli non ne aveva nessuna paura.Quale partito si prestava come strumento di controrivoluzione più di quello che, inconcepibile come forza dirigente della Francia moderna e trascurabile perciò come rivale, svolgeva un'azione che, secondo le parole dello stesso Thiers (Camera dei deputati del 5 gennaio 1833), "si era sempre ridotta a tre risorse; l'invasione straniera, la guerra civile e l'anarchia"? Ma i legittimisti credevano fermanente all'avvento del loro millennio retrospettivo lungamente atteso. Il tallone dell'invasione straniera calpestava la Francia; un impero era crollato e Napoleone era prigioniero; ed essi stessi erano sempre là. La ruota della storia era evidentemente tornata indietro per fermarsi alla Chambre introuvable [11] del 1816. Nelle assemblee della repubblica, dal 1848 al 1851, essi erano stati rappresentati dai loro capi parlamentari colti e inesperti; ora era il grosso del partito che si faceva avanti: tutti i Pourceaugnac [12] della Francia.
  28. Appena si riunì a Bordeaux questa assemblea di "rurali", Thiers le fece capire che i preliminari di pace dovevano essere ratificati subito, senza nemmeno gli onori di un dibattito parlamentare, perchè queste era la sola condizione alla quale la Prussia avrebbe permesso loro di aprire le ostilità contro la repubblica, e contro la sua cittadella, Parigi. E, in realtà la controrivoluzione non aveva tempo da perdere. Il II Impero aveva più che raddoppiato il debito nazionale e immerso tutte le grandi città in gravosi debiti municipali. La guerra aveva gonfiato le passività in modo spaventevole e devastato senza pietà le risorse della nazione. Per completare la rovina, lo Shylock [13] era là con la sua tratta per il mantenimento di mezzo milione dei suoi soldati sul suolo francese, la sua indennità di cinque miliardi e l'interesse del 5 per cento per le scadenze rinviate. Chi doveva pagare il conto? Solo con l'abbattimento violento della repubblica gli accaparratori della ricchezza potevano sperare di riversare sulle spalle dei suoi produttori il costo di una guerra che proprio essi, gli accaparratori, avevano provocato. La immensa rovina della Francia spronava dunque questi patriottici rappresentanti della terra e del capitale a inserire, sotto gli occhi stessi e sotto il patronato dell'invasore, nella guerra esterna una guerra civile, una rivolta di negrieri.
  29. Un grande ostacolo si levava sulla via di questo complotto: Parigi. Il disarmo di Parigi era la prima condizione di successo. A Parigi dunque Thiers ingiunse di deporre le armi. Quindi la città fu portata all'esasperazione dalle frenetiche manifestazioni antirepubblicane dell'Assemblea dei "rurali" e dalle equivoche manifestazioni personali di Thiers circa lo stato giuridico della repubblica; dalla minaccia di capitolare e di decapitalizzare Parigi; dalla nomina di ambasciatori orlealisti; dalle leggi di Dufaure circa le cambiali e le pigioni scadute, leggi che rovinano il commercio e l'industria degli artigiani; dalla imposta Pouyer-Quertier di due centesimi su ogni esemplare di qualsivoglia pubblicazione; dalla condanna a morte di Blanqui e di Flourens; dalla soppressione dei giornali repubblicani; dal trasferimento dell'Assemblea nazionale di Varsailles; dal rinnovo dello stato d'assedio proclamato da Palikao e spirato il 4 settembre; dalla nomina di Vinoy, il decembriseur, a governatore di Parigi, di Valentin, gendarme bonapartista, a prefetto di polizia e di D'Aurelle de Paladines, il generale gesuita, a comandante in capo della Guardia nazionale di Parigi.
  30. E ora abbiamo una domanda da rivolgere al signor Thiers e ai suoi tirapiedi, membri del governo di difesa nazionale. E' noto che, per mezzo del suo ministro delle finanze signor Pouyer-Quertier, Thiers aveva contratto un prestito di due miliardi. Orbene è vero o non è vero:

1) Che l'affare fu regolato in modo che una provvigione di qualche centinaio di milioni fosse assicurata per beneficio personale di Thiers, Jules Favre, Ernest Picard, Poyer-quertier e Jules Simon?
2) Che il denaro non doveva essere versato che dopo la "pacificazione" di Parigi?
In ogni modo, vi dovette essere qualche cosa di molto urgente a questo proposito, perchè Thiers e Jules Favre in nome della maggioranza dell'Assemblea di Bordeaux, sollecitassero senza vergogna l'occupazione immediata di Parigi da parte delle truppe prussiane. Questo però non entrava nel giuoco di Bismarck, come egli, sogghignando, raccontò in pubblico più tardi, al suo ritorno in Germania, agli ammirati filistei di Francoforte.

 

NOTE
1)Marx nel Secondo indirizzo sulla guerra franco-prussiana scrive che la repubblica francese "è nelle mani di un governo provvisorio composto in parte di orlealisti notori, in parte di repubblicani borghesi, in alcuni dei quali la rivoluzione del giugno 1848 ha lasciato un marchio indelebile".
2)Firma dell'armistizio fra Jules Favre e Bismarck che sancisce la capitolazione di Parigi.
3)Thiers aveva preparato un piano di aggressione militare contro la popolazione parigina per disarmarla. Ma, il 18 marzo, la resistenza popolare rese vano il suo piano, le truppe fraternizzarono con il popolo ed egli fu costretto a lasciare Parigi insieme al suo governo.
4)In inghilterra ai delinquenti che hanno già scontato la maggior parte della loro pena si danno alle volte fogli di licenza, coi quali possono vivere in libertà ma sotto la sorveglianza della polizia. Questi fogli si chiamano tickets-of-leave e i loro possessori ticket-of-leave-men.
5)Ostetrico.
6)Ferdinando II, re delle due Sicilie, soprannominato "re Bomba" per il borbardamento di Messina (7 novembre 1848).
7)Nel corso dell'intervento contro la repubblica romana del 1849.
8)Mirabeau-Mosca.
9)Si tratta dei soldati francesi fatti prigionieri dai tedeschi nelle battaglie di Mets e Sedan (1870).
10)Dove, in seguito alla sconfitta, si era rifugiata l'Assemblea nazionale.
11)Camera introvabile. Così era chiamato il parlamento dopo la restaurazione monarchica del 1815, data la sua assoluta inefficienza.
12)Pourceaugnac, protagonista dell'omonima commedia-balletto di Molière, tipico rappresentante della nobiltà di campagna.
13)Personaggio che, nel Mercante di Venezia di Shakespere, impersona l'avarizia.

 

II

  1. Parigi armata era l'unico ostacolo serio sulla via del complotto controrivoluzionario. Parigi, dunque, doveva essere disarmata. Su questo punto l'Assemblea di Bordeaux era la sincerità in persona. Se il ruggito declamatorio dei rurali non fosse stato abbastanza udibile, la consegna di Parigi da parte di Thiers al tenero arbitrio del triumvirato composto da Vinoy, il decembriseur, Valentin, gendarme bonapartista e D'Aurelle de Paladines, generale gesuita, avrebbe fatto sparire quest'ultima ombra di dubbio. Ma mentre ostacolavano con insolenza la loro vera intenzione nel disarmare Parigi, i cospiratori le chiesero di deporre le armi con un pretesto che era la più sfacciata, la più evidente delle menzogne. L'artiglieria della Guardia Nazionale di Parigi, affermò Thiers, apparteneva allo stato e doveva essere restituita allo stato. I fatti stavano così: dal giorno stesso della capitolazione con la quale i prigionieri di Bismarck avevano firmato la resa della Francia ma si erano riservata una numerosa guardia del corpo col proposito dichiarato di intimidire Parigi, Parigi era all'erta. La Guardia nazionale si era organizzata e aveva affidato il proprio controllo supremo a un Comitato centrale eletto da tutto il corpo eccetto alcuni resìdui delle vecchie formazioni bonapartiste. Alla vigilia dell'entrata dei prussiani a Parigi il Comitato centrale provvide a rimuovere da Montmartre, Belleville e La Villette i cannoni e le mitragliatrici abbandonati proditoriamente dai capitulards proprio entro e nei pressi dei quartieri della città che i prussiani stavano per occupare. Questa artiglieria era stata fornita con sottoscrizioni della Guardia Nazionale. Nella capitolazione del 28 gennaio era stata ufficialmente riconosciuta come proprietà privata di quest'ultima e a tal titolo era stata eccettuata dalla consegna generale al vincitore delle armi appartenenti al governo. E Thiers era così assolutamente sprovvisto di ogni pretesto, fosse pure il più insignificante, per iniziare la guerra contro Parigi, che dovette far ricorso alla sfacciata menzogna che l'artiglieria della Guardia Nazionale era proprietà dello stato!
  2. Il sequestro dell'artiglieria avrebbe dovuto servire evidentemente come preludio al disarmo generale di Parigi, e quindi della rivoluzione del 4 settembre. Ma questa rivoluzione era divenuto un regime legale della Francia. La repubblica, opera sua, era stata riconosciuta dal vincitore nei termini della capitolazione; dopo la capitolazione, fu riconosciuta da tutte le potenze straniere e nel suo nome fu convocata l'Assemblea nazionale. La rivoluzione degli operai di Parigi del 4 settembre era il solo titolo legale dell'Assemblea nazionale di Bordeaux e del suo esecutivo. Senza di essa, l'Assemblea nazionale avrebbe dovuto senz'altro lasciare il posto al Corps legislatif eletto nel 1869 a suffragio universale sotto un regime francese, e non prussiano, e sciolto con la forza dal braccio della rivoluzione. Thiers e i suoi ticket-of-leave men avrebbero dovuto chiedere, capitolando, dei salvacondotti firmati da Luigi Bonaparte che li avrebbero salvati dal viaggio a Caienna! L'Assemblea nazionale, con i suoi poteri notarili per fissare le condizioni della pace con la Prussia, non era che un episodio di quella rivoluzione, la cui vera incarnazione era pur sempre Parigi in armi, che l'aveva iniziata, aveva subìto per essa un assedio di cinque mesi con gli orrori della fame, e aveva fatto della sua resistenza, prolungata a dispetto del piano Trochu, la base di un'ostinata guerra di difesa nelle provincie. E ora Parigi doveva: o deporre le armi al comando insolente dei negrieri ribelli di Bordeaux, e riconoscere che la sua rivoluzione del 4 settembre non significava altro che il semplice passaggio del potere da Luigi Bonaparte ai principi suoi rivali; oppure affrontare il sacrificio come campione della Francia, di quella Francia che era impossibile salvare dalla rovina e rigenerare senza l'abbattimento rivoluzionario delle condizioni politiche e sociali che avevano generato il II impero, e che sotto la sua vigilante protezione erano maturate fino al completo infradiciamento. Parigi, stremata da una carestia di cinque mesi, non esitò un istante. Decise eroicamente di affrontare tutti i rischi della resistenza contro i cospiratori francesi, nonostante che i cannoni prussiani la minacciassero dai suoi stessi forti. Pure, nella sua avversione alla guerra civile in cui Parigi doveva essere trascinata, il Comitato centrale continuò a mantenersi in una posizione puramente difensiva, malgrado le provocazioni dell'Assemblea, le usurpazioni del potere esecutivo e la minacciosa concentrazione di truppe in Parigi e dintorni. Thiers aprì la guerra civile, mandando Viloy, a capo di una moltitudine di sergents de ville [1] e di alcuni reggimenti di fanteria, in spedizione notturna contro Montmartre, per impadronirsi di sorpresa dell'artiglieria della Guardia nazionale. E' noto come questo tentativo andasse a monte per la resistenza della Guardia nazionale e la fraternizzazione della fanteria col popolo. D'Aurelle de Paladines aveva stampato in anticipo il suo bollettino di vittoria e Thiers aveva pronti i manifesti che dovevano annunciare le sue misure da colpo di stato. Ora bollettino e manifesti dovevano venir sostituiti dagli appelli in cui Thiers era nota la sua magnanima decisione di lasciare la Guardia nazionale in possesso delle sue armi, con le quali diceva, essa si sarebbe sicuramente raccolta attorno al governo contro i ribelli. Su 300.000 guardie nazionali solo 300 risposero a questo appello di raccogliersi, contro se stesse, attorno al piccolo Thiers. La gloriosa rivoluzione operaia del 18 marzo stabilì su Parigi il suo dominio incontrastato. Il Comitato centrale fu il suo governo provvisorio. L'Europa parve per un istante dubitare se quei sensazionali spettacoli politici e militari avessero una qualche realtà o non fossero il sogno di un passato da lungo tempo scomparso.
  3. Dal 18 marzo fino all'ingresso delle truppe versigliesi a Parigi, la rivoluzione proletaria fu tanto immune dagli atti di violenza che abbondano nelle rivoluzioni, e ancor più nelle controrivoluzioni delle "classi superiori", che i suoi avversari non trovarono nessun fatto per urlare contro di essa, eccetto l'esecuzione dei generali Lecomte e Clement Thomas e l'episodio di place Vendome. Uno degli ufficiali bonapartisti che parteciparono al tentato attacco notturno contro Montmatre, il generale Lecomte, aveva ordinato quattro volte all'81° reggimento di fanteria di far fuoco su una folla inerme in place Pigalle e al rifiuto dei suoi uomini li aveva ferocemente insultati. Invece di sparare sulle donne e sui bambini i suoi soldati spararono su di lui. Le abitudini inveterate, aquistate dai soldati alla scuola dei nemici della classe operaia, non scompaiono, naturalmente, proprio nel momento in cui i soldati passarono dall'altra parte. Gli stessi uomini giustiziarono Clement Thomas.
  4. Il "generale" Clement Thomas, ex sergente-quartiermaestro malcontento della sua carriera, negli ultimi tempi del regno di Luigi Filippo si era arruolato nella redazione del giornale repubblicano Le National, per compiere la duplice funzione di uomo di paglia responsabile e di spadaccino duellante per conto di quel combattitissimo giornale. Dopo la rivoluzione di febbraio, gli uomini del National essendo andati al potere trasformarono il giornale quel vecchio sergente-quartiermaestro, alla vigilia del massacro di giugno, di cui egli fu, come Jules Favre, uno dei sinistri provocatori e divenne, piu' tardi uno dei più abietti esegutori. In seguito, egli e il suo grado di generale scomparvero per molto tempo, per ritornare a galla il 1° novembre 1870. Il giorno prima il Governo della Difesa, fatto prigioniero all'Hotel de Ville, aveva solennemente promesso sul suo onore a Blanqui, a Flourens e ad altri rappresentanti della classe operaia di deporre il suo usurpato potere nelle mani di una Comune che sarebbe stata liberamente eletta a Parigi. Invece di mantenere la loro parola, essi scatenarono su Parigi i bretoni di Trochu, che avevano ora preso posto dei corsi di Bonaparte. Solo il generale Tamisier, rifiutando di macchiare il suo nome di un simile spergiuro, si dimise dal posto di comandante in capo della Guardia nazionale, e in vece sua Clement Yhomas tornò ancora a esser generale. Durante tutto il periodo del suo comando, egli non fece la guerra ai prussiani, ma alla Guardia nazionale di Parigi. Egli ne impedì l'armamento generale, aizzò i battaglioni borghesi contro i battaglioni operai, eliminò gli ufficiali ostili al "piano" di Trochu e sciolse, bollandoli con l'accusa di viltà, proprio quei battaglioni proletari il cui eroismo ha ora riempito di stupore i loro nemici più inveterati. Clement Thomas si sentiva fierissimo di avere riconquistato la sua preminenza del giugno 1848 come nemico personale della classe operaia di Parigi. Solo pochi giorni prima del 18 marzo aveva presentato al ministro della guerra Le Flo un suo piano per "finirla una volta per sempre con la fine fleur (il fior fiore) della canaille di Parigi". Dopo la sconfitta di Vinoy, non potè fare a meno di comparire sulla scena dell'azione in qualità di spia dilettante. Il Comitato centrale e gli operai di Parigi furono altrettanto responsabili dell'uccisione di Clement Thomas e di Lecomte quanto la principessa di Galles della sorte di coloro che morirono schiacciati il giorno del suo ingresso a Londra.
  5. Il massacro dei cittadini inermi in place Vendome è una favola che il signor Thiers e i rurali ignorarono costantemente nell'Assemblea, affidandone la diffusione esclusivamente agli sguatteri del giornalismo europeo. Gli "uomini dell'ordine", i reazionari di Parigi, tremarono alla vittoria del 18 marzo. Essa fu per loro il segnale della resa dei conti popolari che stava finalmente arrivando. Si levavano davanti ai loro occhi gli spettri delle vittime che avevano assassinate dalle giornate di giugno 1848 fino al 22 gennaio 1871. Il loro panico fu la loro sola punizione. Persino i sergents de ville, invece di essere disarmati e messi dentro, come si sarebbe dovuto fare, trovarono le porte di Parigi, spalancate per ritirarsi in salvo a Versailles. Gli uomini dell'ordine non solo non furono molestati, ma si permise loro di riunirsi, e di occupar tranquillamente, più di una posizione chiave nel centro stesso di Parigi. Questa indulgenza del Comitato centrale, questa generosità degli operai armati, in così singolare contrasto con le abitudini del "partito dell'ordine", fu intesa a torto da quest'ultimo come un semplice indizio di consapevole debolezza. Di qui lo sciocco progetto di tentare, sotto la maschera di una dimostrazione pacifica, quella che Vinoy non era riuscito a fare con i suoi cannoni e con le sue mitragliatrici. Il 22 marzo una turba sediziosa di bellimbusti si mosse dai quartieri eleganti, con tutti i petits creves [2] nelle sue file, e alla sua testa i ben noti clienti dell'impero, gli Heeckeren,Coetlogon, Henri de Pene, ecc. Col pretesto codardo di una dimostrazione pacifica, questa marmaglia, armata in segreto con armi dei bravi, avanzò in ordine di marcia, maltrattò e disarmò le pattuglie isolate e le sentinelle della Guardia nazionale che incontrava sul suo cammino, e allo sbocco di rue de la Paix, al grido "abbasso il Comitato centrale! abbasso gli assassini! evviva l'Assemblea nazionale!", tentò di rompere i cordoni che erano stati posti in questo punto e di espugnare così di sorpresa il quartiere generale della Guardia nazionale in place Vendome. In risposta ai loro colpi di pistola, vennero fatte le intimazioni d'obbligo, e poichè queste non ebbero effetto, il generale della Guardia nazionale comandò il fuoco. Una sola salva mise in fuga disordinata gli stupidi zerbinotti i quali speravano che la sola esibizione delle loro "rispettabili persone" avrebbe avuto sulla rivoluzione di Parigi lo stesso effetto che le trombe di Giosuè sulle mura di Gerico. Gli sbandati lasciarono dietro di sé due guardi nazionali morte, nove gravemente ferite (tra loro un membro del Comitato centrale) e tutto il teatro della loro impresa seminato di rivoltelle, pugnali e bastoni animati, a testimonianza del carattere "inerme" della loro dimostrazione "pacifica". Quando la Guardia nazionale fece il 13 giugno 1849 una dimostrazione veramente pacifica per protestare contro il brigantesco attacco delle truppe francesi contro Roma, Changarnier, allora generale del partito dell'ordine, fu acclamato dall'Assemblea nazionale, e specialmente dal signor Thiers, come salvatore della società, per aver scagliato da tutte le parti le sue truppe contro quegli uomini disarmati, per prenderli a fucilate e a sciabolate, e farli calpestare dagli zoccoli dei cavalli. Quella volta, a Parigi, fu dichiarato lo stato d'assedio. Dufaure fece approvare d'urgenza dall'Assemblea nuove leggi repressive. Nuovi arresti, nuove proscrizioni: cominciò un nuovo regno del terrore. Ma in queste circostanze le "classi inferiori" si comportarono diversamente. Il Comitato centrale del 1871 ignorò semplicemente gli eroi della "dimostrazione pacifica"; e a un punto tale che già da due giorni dopo essi furono in grado di radunarsi, agli ordini dell'ammiraglio Saisset, per quella dimostrazione armata, che fu coronata dalla nota fuga a Versailles. Riluttante a continuare la guerra civile, aperta dalla brigantesca spedizione di Thiers contro Montmatre, il Comitato centrale si rese colpevole di un errore fatale non marciando subito contro Versailles, allora completamente indifesa, e non ponendo così fine ai complotti di Thiers e dei suoi rurali. Invece di far questo, si permise di nuovo al partito dell'ordine di provare le sue forze nell'arena eletorale, il 26 marzo, il giorno delle elezioni della Comune. Allora nelle mairies [3] di Parigi i membri di questo partito scambiarono blande parole di conciliazione con i loro troppo generosi vincitori, rimurginando in cuor loro il voto solenne di sterminarli a tempo debito. Guardiamo ora il rovescio della medaglia. Thiers aprì la sua seconda campagna contro Parigi al principio di aprile. La prima colonna di prigionieri parigini condotta a Versailles fu vittima di rivoltanti atrocità, mentre Ernest Picard, con le mani nelle tasche dei pantaloni, passeggiava davanti a loro schernendoli, e le mogli di Thiers e di Favre, circondate dalle loro dame d'onore (?), applaudivano dal balcone le ignominie della plebaglia versigliese. I soldati di fanteria fatti prigionieri vennero massacrati a sangue freddo; il nostro valoroso amico generale Duval, fonditore di ferro, venne fucilato senza neppure l'ombra di un processo. Galliffet, il mantenuto della propria moglie, nota per le sue svergognate esibizioni nelle orgie del II impero, si vantò in un proclama di aver ordinato l'assassinio di un piccolo gruppo di guardie nazionali, sorprese e disarmate, col loro capitano e col loro tenente, dai suoi cacciatori. Vinoy, il fuggiasco, fu insignito da Thiers della gran croce della legion d'onore, per aver dato ordine generale di fucilare ogni soldato di fanteria trovato nelle file dei federati. Desmaret, il gendarme, fu decorato per aver fatto a pezzi a tradimento, come un beccaio, il generoso e cavalleresco Florens, che il 31 ottobre 1870 aveva salvato le teste dei membri del governo della difesa. I "particolari incoraggianti" del suo assassinio furono comunicati per lungo e per largo con aria di trionfo da Thiers all'Assemblea nazionale. Con la tronfia vanità di un Pollicino parlamentare, al quale si permette di rappresentare la parte di Tamerlano, egli negò ai ribelli la Sua Piccolezza i diritti di condotta civile della guerra, e persino il diritto di neutralità delle ambulanze. Nulla di più ributtante di questa scimmia, a cui per un istante fu dato di sfogare liberamente i suoi istinti di tigre, come già aveva immaginato Voltaire.
  6. Dopo il decreto della Comune del 7 aprile che ordinava rappresaglie e dichiarava essere suo dovere "proteggere Parigi contro le imprese cannibalistiche dei banditi di Versailles, ed esigere occhio per occhio, dente per dente", Thiers non pose fine al barbaro trattamento dei prigionieri, insultandoli per di più nei suoi bollettini con parole come le seguenti: "Mai facce più degeneri di una degenere democrazia hanno inflitto lo sguardo delle persone oneste", oneste come Thiers stesso e i suoi ticket-of-leave men ministeriali. La fucilazione di prigionieri venne però sospesa per un certo tempo. Tuttavia non appena Thiers e i suoi generali del 2 dicembre si accorsero che il decreto della Comune sulle rappresaglie non era che una vuota minaccia, che venivano risparmiate persino le loro spie della gendarmeria travestite da guardie nazionali e acciuffate a Parigi, e persino i sergents de ville sorpresi a portare bombe incendiarie, allora la fucilazione in massa dei prigionieri venne ripresa e continuata ininterrottamente fino alla fine. Case in cui si erano rifugiate guardie nazionali venivano circondate dai gendarmi, cosparse di petrolio (che qui fece la sua comparsa per la prima volta in questa guerra), e infine incendiate; i cadaveri carbonizzati venivano quindi portati via con l'ambulanza della Stampa alle Ternes. Quattro guardie nazionali arresesi, il 25 aprile, alla Belle-Epine a un gruppo di cacciatori a cavallo, furono uccise l'una dopo l'altra dal capitano, degno uomo di Galliffet. Una delle sue quattro vittime, lasciata per morta, Scheffer, riuscì a trascinarsi fino agli avamposti parigini e certificò il fatto davanti a una commissione della Comune. Quando Tolain interpellò il ministro della guerra sul rapporto di questa commissione, i rurali coprirono la sua voce e proibirono a Le Flò di rispondere. Sarebbe stata un'offesa per il loro "glorioso" esercito parlare delle sue gesta. Il tono disinvolto col quale i bollettini di Thiers annunciarono la strage a colpi di baionetta dei federati sorpresi nel sonno al Molin-Saquet e le fucilazioni in massa di Clamart, urtò persino i nervi non troppo sensibili del Times di Londra. Ma sarebbe ridicolo oggi tentar di enumerare anche le sole atrocità preliminari commesse da coloro che bombardarono Parigi e fomentarono una ribellione di negrieri protetta dalla invasione straniera. In mezzo a tutti questi orrori, Thiers, dimentico delle sue geremiadi parlamentari sulla terribile responsabilità gravemente sulle sue spalle di nano, si vanta nei suoi bollettini che l'Assemblèe siège paisiblement ( l'assemblea continua in pace i suoi lavori) e dà prova, con le sue continue feste, ora assieme con i generali del 2 dicembre, ora assieme con i principi tedeschi, che la sua digestione non è per niente turbata, nemmeno dagli spettri di Lecomte e di Clèment Thomas.

 NOTE
1)Guardie della polizia municipale.
2)Damerini.
3)Municipalità.

 

III

  1. All'alba del 18 marzo, Parigi fu svegliata da un colpo di tuono: "Vive la Commune!". Che cos'è la Comune, questa sfinge che tanto tormenta lo spirito dei borghesi?
  2. "I proletari di Parigi," diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo, "in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l'ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari... Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto di rendersi padroni dei loro destini, impossessandosi del potere governativo."
  3. Ma la classe operaia non può mettere semplicemente la mano sulla macchina dello stato bella e pronta, e metterla in movimento per i propri fini. Il potere statale centralizzato, con i suoi organi dappertutto presenti: esercito permanente, polizia, burocrazia, clero e magistratura - organi prodotti secondo il piano di divisione del lavoro sistematica e gerarchica - trae la sua origine dai giorni della monarchia assoluta, quando servì alla nasciente società delle classi medie come arma potente nella sua lotta contro il feudalesimo. Il suo sviluppo però fu intralciato da ogni sorta di macerie medioevali, diritti signorili, privilegi locali, monopoli municipali e corporativi e costituzioni provinciali. La gigantesca scopa della Rivoluzione francese del secolo decimottavo spazzò tutti questi resti dei tempi passati, sbarazzando così in pari tempo il terreno sociale dagli ultimi ostacoli che si frapponevano alla costituzione di esso dell'edificio dello stato moderno, elevato sotto il I impero, il quale a sua volta fu il prodotto delle guerre di coalizione della vecchia Europa semifeudale contro la Francia moderna. Durante i successivi regimes il governo, posto sotto il controllo parlamentare, cioè sotto il controllo diretto delle classi possidenti, non diventò solamente l'incubatrice di enormi debiti pubblici e di imposte schiaccianti; con la irresistibile forza di attrazione dei posti, dei guadagni e delle protezioni, esso non solo diventò il pomo della discordia tra fazioni rivali e gli avventurieri delle classi dirigenti; ma anche il suo carattere politico cambiò di pari passo con le trasformazioni economiche della società. A misura che il progresso dell'industria moderna sviluppava, allargava, accentuava l'antagonismo di classe tra il capitale e il lavoro, lo stato assunse sempre più il carattere di potere nazionale del capitale sul lavoro, di forza pubblica organizzata per l'asservimento sociale, di uno strumento di dispotismo di classe.
  4. Dopo ogni rivoluzione che segnava un passo avanti nella lotta di classe, il carattere puramente repressivo del potere dello stato risultava in modo sempre più evidente. La rivoluzione del 1830, che fece passare il potere dai grandi proprietari fondiari ai capitalisti, lo trasferì dai più lontani antagonisti degli operai ai loro antagonisti più ristretti. I borghesi repubblicani che avevano preso il potere statale in nome della rivoluzione di febbraio, se ne valsero per i massacri di giugno, allo scopo di convincere la classe operaia che la repubblica "sociale" significava repubblica che assicurava la loro soggezione sociale, e per convincere la massa monarchica della classe borghese e dei grandi proprietari fondiari che poteva tranquillamente lasciare ai borghesi "repubblicani" le cure e gli emolumenti del governo.
  5. Dopo la loro unica eroica impresa di giugno i repubblicani borghesi dovettero però retrocedere dalla prima fila alla retroguardia del "partito dell'ordine", combinazione formata da tutte le frazioni e fazioni rivali della classe appropriatrice nel loro antagonismo ormai aperto con le classi produttrici. La forma più adatta per il loro governo comune fu la repubblica parlamentare, con Luigi Bonaparte presidente. Esso fu un regime di aperto terrorismo di classe e di deliberato insulto alla "vile multitude". Se, come diceva Thiers, la repubblica parlamentare era il regime che "meno divideva [le differenti frazioni della classe dirigente]", essa apriva un abisso tra questa classe e l'intero corpo della società, escluso dalle sue ristrette file. Gli impedimenti posti ancora al potere statale sotto i precedenti regimi dalle divisioni fra le frazioni della classe dirigente, furono rimossi dalla loro unione; ed ora, in vista della minaccia di sollevamento del proletariato, esse usarono del potere dello stato, senza riguardi e con ostentazione, come strumento pubblico di guerra del capitale contro il lavoro. Nella loro ininterrotta crociata contro le masse dei produttori esse furono costrette, però, non solo ad attribuire all'esecutivo poteri di repressione sempre più vasti, ma in pari tempo a spogliare la loro stessa fortezza parlamentare - l'Assemblea nazionale - di tutti i suoi mezzi di difesa contro l'esecutivo, l'uno dopo l'altro. L'esecutivo, nella persona di Luigi Bonaparte, le mise alla porta. Il frutto naturale della repubblica del "partito dell'ordine" fu il II impero.
  6. L'impero, con un colpo di stato per certificato di nascita, il suffragio universale per sanzione e la spada per scettro, pretendeva di poggiare sui contadini, la grande massa di produttori non direttamente impegnati nella lotta tra capitale e lavoro. Pretendeva di salvare la classe operaia distruggendo il parlamentismo, e, insieme con questo, l'aperta sottomissione del governo alle classi possidenti; pretendeva di salvare le classi possidenti mantenendo la loro supremazia economica sulla classe operaia. Finalmente, pretendeva di unire tutte le classi risuscitando per tutte la chimera della gloria nazionale. In realtà era l'unica forma di governo possibile in un periodo in cui la borghesia aveva già perduto la facoltà di governare la nazione e il proletariato non l'aveva ancora acquistata. Esso fu salutato in tutto il mondo come il salvatore della società. Sotto il suo dominio, la società borghese, libera da preoccupazioni politiche, raggiunse uno sviluppo che essa stessa non aveva mai sperato; la sua industria e il suo commercio assunsero proporzioni colossali; la truffa finaziaria celebrò orgie cosmopolite; la miseria delle masse fu messa in rilievo da una ostentazione sfacciata di lusso esagerato, immorale, abietto. Il potere dello stato, apparentemente librato al di sopra della società, era esso stesso lo scandalo più grande di questa società e in pari tempo il vero e proprio vivaio di tutta la sua corruzione. La sua decomposizione e la decomposizione della società che esso aveva salvato vennero messe a nudo dalla baionetta prussiana, ben disposta per conto suo a trasferire il centro di gravità di questo regime da Parigi a Berlino. L'imperialismo è la più prostituita e insieme l'ultima forma di quel potere statale che la nasciente società della classe media aveva incominciato ad elaborare come strumento della propria emancipazione dal feudalesimo, e che la società borghese in piena maturità aveva alla fine trasformato in strumento per l'asservimento del lavoro al capitale.
  7. La Comune fu l'antitesi diretta dell'impero. Il grido di "repubblica sociale", col quale il proletariato di Parigi aveva iniziato la rivoluzione di febbraio, non esprimeva che una vaga aspirazione a una repubblica che non avrebbe dovuto eliminare soltanto la forma monarchica del dominio di classe, ma lo stesso dominio di classe. La Comune fu la forma positiva di questa repubblica.
  8. Parigi, sede centrale del vecchio potere governativo e, nello stesso tempo, fortezza sociale della classe operaia francese, era sorta in armi contro il tentativo di Thiers e dei rurali di restaurare e perpetuare il vecchio potere governativo trasmesso loro dall'impero. Parigi poteva resistere solo perchè, in conseguenza dell'assedio, si era liberata dell'esercito, e lo aveva sostituito con una Guardia nazionale, la cui massa era composta di operai. Questo fatto doveva, ora, essere trasformato in un'istituzione permanente. Il primo decreto della Comune, quindi, fu la soppressione dell'esercito permanente e la sostituzione ad esso del popolo armato.
  9. La Comune fu composta dai consiglieri municipali eletti a suffragio universale nei diversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in qualunque momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai, o rappresentanti riconosciuti dalla classe operaia. La Comune doveva essere non un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo. Invece di continuare a essere l'agente del governo centrale, la polizia fu immediatamente spogliata delle sue attribuzioni politiche e trasformata in strumento responsabile della Comune, revocabile in qualunque momento. Lo stesso venne fatto per i funzionari di tutte le altre branche dell'amministrazione. Dai membri della Comune in giù, il servizio pubblico doveva essere compiuto per salari da operai. I diritti acquisiti e le indennità di rappresentanza degli alti dignitari dello stato scomparvero insieme con i dignitari stessi. Le cariche pubbliche cessarono di essere proprietà privata delle creature del governo centrale. Non solo l'amministrazione municipale, ma tutte le iniziative già prese dallo stato passarono nelle mani della Comune.
  10. Sbarazzarsi dell'esercito permanente e della polizia, elementi della forza materiale del vecchio governo, la Comune si preoccupò di spezzare la forza della repressione spirituale, il "potere dei preti", sciogliendo ed espropriando tutte le chiese in quanto enti possidenti. I sacerdoti furono restituiti alla quiete della vita privata, per vivere delle elemosine dei fedeli, ad imitazione dei loro predecessori, gli apostoli. Tutti gli istituti di istruzione furono aperti gratuitamente al popolo e liberati in pari tempo da ogni ingerenza della chiesa e dello stato. Così non solo l'istruzione fu resa accessibile a tutti, ma la scienza stessa fu liberata dalle catene che le avevano imposto i pregiudizi di classe e la forza del governo. I funzionari giudiziari furono spogliati di quella sedicente indipendenza che non era servita ad altro che a mascherare la loro abietta soggezione a tutti i governi che si erano succeduti, ai quali avevano, di volta in volta, giurato fedeltà, per violare in seguito il loro giuramento. I magistrati e i giudici dovevano essere elettivi, responsabili e revocabili come tutti gli altri pubblici funzionari.
  11. La Comune di Parigi doveva naturalmente servire di modello a tutti i grandi centri industriali della Francia. Una volta stabilito a Parigi e nei centri secondari il regime comunale, il vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto cedere il posto anche nelle provincie all'autogoverno dei produttori. In un abbozzo sommario di organizzazione nazionale che la Comune non ebbe il tempo di sviluppare è detto chiaramente che la Comune doveva essere la forma politica anche del più piccolo borgo, e che nei distretti rurali l'esercito permanente doveva essere sostituito da una milizia nazionale, con un periodo di servizio estremamente breve. Le comuni rurali di ogni distretto avrebbero dovuto amministrare i loro affari comuni mediante un'assemblea di delegati con sede nel capoluogo, e queste assemblee distrettuali avrebbero dovuto loro volta mandare dei rappresentanti alla delegazione nazionale a Parigi, ogni delegato essendo revocabile in qualsiasi momento e legato al mandat impératif (istruzioni formali) dei suoi elettori. Le poche ma importanti funzioni che sarebbero ancora rimaste per un governo centrale, non sarebbero state soppresse, come venne affermato falsamente in malafede ma adempiute da funzionari comunali, e quindi strettamente responsabili. L'unità della nazione non doveva essere spezzata, anzi doveva essere organizzata dalla Costituzione comunale, e doveva diventare una realtà attraverso la distruzione di quel potere statale che pretendeva essere l'incarnazione di questa unità indipendente e persino superiore alla nazione stessa, mentre non era che un'escrescienza parassitaria. Mentre gli organi puramente repressivi del vecchio potere governativo dovevano essere amputati, le sue funzioni legittime dovevano essere strappate a una autorità che usurpava una posizione predominante nella società stessa, e restituite agli agenti responsabili della società. Invece di decidere una volta ogni tre o sei anni quale membro della classe dominante dovesse mal rappresentare il popolo nel parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in comuni, così come il suffragio individuale serve a ogni altro imprenditore privato per cercare gli operai e gli organizzatori della sua azienda. Ed è ben noto che le associazioni di affari, come gli imprenditori singoli, quando si tratta di veri affari, sanno generalmente come mettere a ogni posto l'uomo adatto, e se una volta tanto fanno un errore, sanno rapidamente correggerlo. D'altra parte, nulla poteva essere più estraneo allo spirito della Comune, che mettere al posto del suffragio universale una investitura gerarchica.
  12. E' comunemente destino di tutte le creazioni storiche completamente nuove di essere prese a torto per riproduzioni di vecchie e anche defunte forme di vita sociale con le quali possono avere una certa rassomiglianza. Così questa nuova Comune, che spezza il moderno potere statale, venne presa a torto per una riproduzione dei Comuni medioevali, che prima precedettero questo stesso potere statale e poi ne divennero sostrato. La Costituzione della Comune è stata presa a torto per un tentativo di spezzare in una federazione di piccoli stati, come era stata sognata da Montesquieu e dai girondini, quella unità delle grandi nazioni, che se originariamente è stata realizzata con la forza politica, è ora diventata un potente fattore della produzione sociale. L'antagonismo tra la Comune e il potere statale è stato preso a torto per una forma esagerata della vecchia lotta contro l'eccesso di centralizzazione. Speciali circostanze storiche possono aver impedito in altri paesi lo sviluppo classico della forma borghese di governo che si è avuta in Francia e possono aver permesso, come in Inghilterra, di completare i grandi organi centrali dello stato con corrotti consigli parrocchiali, con consiglieri comunali trafficanti, feroci custodi della legge dei poveri nelle città e magistrati virtualmente ereditari nelle campagne. La Costituzione della Comune avrebbe invece restituito al corpo sociale tutte le energie sino allora assorbite dallo stato parassita, che si nutre alle spalle della società e ne intralcia i liberi movimenti. Con questo solo atto avrebbe iniziato la rigenerazione della Francia. La classe media francese delle provincie vide nella Comune un tentativo di restaurare il controllo che il suo ceto aveva avuto sul paese sotto Luigi Filippo, e che, sotto Luigi Napoleone, era stato soppiantato dal preteso sopravvento delle campagne sulle città. In realtà la Costituzione della Comune metteva i produttori rurali sotto la direzione intellettuale dei capoluoghi dei loro distretti, e quivi garantiva loro, negli operai, i naturali tutori dei loro interessi. La esistenza stessa della Comune portava con sè come conseguenza naturale la libertà municipale locale, ma non più come un contrappeso al potere dello stato ormai diventato superfluo. Soltanto nella testa di un Bismarck - il quale, quando non è preso dai suoi intrighi di sangue e di ferro, ama sempre ritornare al vecchio mestiere così adatto al suo calibro mentale di collaboratore del Kladderadatsch [1] (il Punch di Berlino) - soltanto in una testa così fatta poteva entrare l'idea di attribuire alla Comune di Parigi l'ispirazione a quella caricatura della vecchia organizzazione municipale francese del 1791 che è la Costituzione municipale prussiana, la quale riduce le amministrazioni cittadine alla funzione di ruote puramente secondarie della macchina poliziesca dello stato prussiano. La Comune fece una realtà dello slogan delle rivoluzioni borghesi, il governo a buon mercato, distruggendo le due maggiori fonti di spese, l'esercito permanente e il funzionalismo statale. La sua esistenza stessa supponeva la non esistenza della monarchia che, in Europa, almeno, è l'abituale zavorra e l'indispensabile maschera del dominio di classe. Essa forniva alla repubblica la base per vere istituzioni democratiche. Ma né il governo a buon mercato né la "vera repubblica" erano la sua meta finale, essi furono solo fatti concomitanti.
  13. La molteplicità delle interpretazioni che si danno della Comune e la molteplicità degli interessi che nella Comune hanno trovato la loro espressione, mostrano che essa fu una forma politica fondamentalmente espansiva, mentre tutte le precedenti forme di governo erano state unilateralmente repressive. Il suo vero segreto fu questo: che essa fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe appropriatrice, la forma politica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere l'emancipazione economica del lavoro.
  14. Senza quest'ultima condizione, la Costituzione della Comune sarebbe stata una cosa impossibile e un inganno. Il dominio politico dei produttori non può coesistere con la perpetuazione del loro asservimento sociale. La comune doveva dunque servire da leva per svelare le basi economiche su cui riposa l'esistenza delle classi, e quindi del dominio di classe. Con l'emancipazione del lavoro tutti diventano operai, e il lavoro produttivo cessa di essere un attributo di classe.
  15. E' un fatto strano: nonostante tutto il gran parlare e l'immensa letteratura degli ultimi sessant'anni sull'emancipazione del lavoro, non appena gli operai, in un paese qualunque, prendono decisamente la cosa nelle loro mani, immediatamente si leva tutta la fraseologia apologetica dei portavoce della società presente, con i suoi due poli di capitale e schiavitù del salario (il proprietario fondario è ora soltanto il socio passivo del capitalista), come se la società capitalista fosse ancora nel suo stato più puro di verginale innocenza, con i suoi antagonismi non ancora sviluppati, con i suoi inganni non ancora sgonfiati, con le sue meretricie realtà non ancora messe a nudo. La Comune, essi esclamano, vuole abolire la proprietà, la base di ogni civiltà! Sì, o signori, la Comune voleva abolire quella proprietà di classe che fa del lavoro di molti la ricchezza di pochi. Essa voleva l'espropriazione degli espropriatori. Voleva fare della proprietà individuale una realtà, trasformando i mezzi di produzione, la terra e il capitale, che ora sono essenzialmente mezzi di asservimento e di sfruttamento del lavoro, in semplici strumenti di lavoro libero e associato. Ma questo è comunismo, "impossibile" comunismo! Ebbene, quelli tra i membri della classi dominanti che sono abbastanza intelligenti per comprendere la impossibilità di perpetuare il sistema presente - e sono molti -sono diventati gli apostoli seccanti e rumorosi della produzione cooperativa. Ma se la produzione cooperativa non deve restare una finzione e un inganno, se essa deve subentrare al sistema capitalista; se delle associazioni cooperative unite devono regolare la produzione nazionale secondo un piano comune, prendendola così sotto il loro controllo e ponendo fine all'anarchia costante e alle convulsioni periodiche che sono la sorte inevitabile della produzione capitalistica; che cosa sarebbe questo o signori, se non comunismo, "possibile" comunismo?
  16. La classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da introdurre par dècret du peuple. Sa che per realizzare la sua propria emancipazione, e con essa quella forma più alta a cui la società odierna tende irresistibilmente per i suoi stessi fattori economici, dovrà passare per lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini. La classe operaia non ha da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società dei quali è gravida la vecchia e cadente società borghese. Pienamente cosciente della sua missione storica e con l'eroica decisione di agire in tal senso, la classe operaia può permettersi di sorridere delle grossolane invettive dei signori della penna e dell'inchiostro, servitori dei signori senza qualificativi e della pedantesca protezione dei benevoli dottrinari borghesi, che diffondono i loro insipidi luoghi comuni e le loro ricette settarie col tono oracolare dell'infallibilità scientifica.
  17. Quando la Comune di Parigi prese nelle sue mani la direzione della rivoluzione; quando per la prima volta semplici operai osarono infrangere il privilegio governativo dei "loro superiori naturali", e, in mezzo a difficoltà senza esempio, compirono l'opera loro con modestia, con coscienza e con efficacia - e la compirono per salari il più alto dei quali era appena il quinto di ciò che, secondo un'alta autorità scientifica, è il minimo richiesto per il segretario di un consiglio scolastico in una metropoli - il vecchio mondo si contorse in convulsioni di rabbia alla vista della Bandiera Rossa, simbolo della Repubblica del Lavoro, sventolante sull'Hotel de Ville.
  18. Eppure, questa fu la prima rivoluzione in cui la classe operaia sia stata apertamente riconosciuta come la sola classe capace di iniziativa sociale, persino della grande maggioranza della classe media parigina - artigiani, commercianti, negozianti - eccettuati soltanto i ricchi capitalisti. La Comune li aveva salvati con un regolamento sagace del problema che è causa eterna di contrasti all'interno stesso della classe media, il conto del dare e avere [2].
  19. Questa stessa parte della classe media, immediatamente dopo aver aiutato a schiacciare la insurrezione operaia del giugno 1848, era stata sacrificata ai suoi creditori dall'Assemblea nazionale, senza tante cerimonie. Ma questo non era il solo motivo per cui ora queste classi medie si schieravano attorno alla classe operaia. Esse sentirono che vi era una sola alternativa: o la Comune o l'impero, sotto qualsiasi nome questo potesse ripresentarsi. L'impero le aveva rovinate economicamente con lo sperpero delle ricchezze pubbliche, con le truffe finanziarie su larga scala che esso aveva favorito, con l'impulso dato all'accelerazione artificiale della concentrazione del capitale e con la concomitante espropriazione di una grande parte del loro ceto. Le aveva soppresse politicamente, le aveva scandalizzate moralmente con le sue orge, aveva offeso il loro volterianismo affidando l'istruzione dei loro figli ai Frères Ignorantins [3], aveva rivoltato il loro sentimento nazionale di francesi precipitandoli a capofitto in una guerra che per le rovine provocate aveva lasciato un solo compenso: la scomparsa dell'impero. Di fatto, dopo l'esodo da Parigi di tutta l'alta bohème bonapartista e capitalista, il vero partito dell'ordine della classe media si era presentato nelle sembianze dell'Union républicaine, schierandosi sotto le bandiere della Comune e difendendola dalle premeditate falsificazioni di Thiers.
  20. Se la riconoscenza di questa grande massa della classe media resisterà alle difficili prove odierne, il tempo solo lo mostrerà.
  21. La Comune aveva perfettamente ragione di dire ai contadini che "la sua vittoria era la sola loro speranza". Di tutte le menzogne escogitate da Versailles e riprese come un'eco dai gloriosi giornalisti europei penny-a-liner, una delle più colossali fu che i rurali rappresentassero i contadini francesi. Basta pensare all'amore del contadino francese per gli uomini a cui, dopo il 1815, aveva dovuto pagare il miliardo di indennità. Agli occhi del contadino francese la sola esistenza di un grande proprietario fondario è di per se stessa una violazione delle sue conquiste del 1789. I borghesi, nel 1848, avevano imposto al suo piccolo pezzo di terra l'imposta addizionale di 45 centesimi per franco; ma allora lo avevano fatto in nome della rivoluzione, mentre ora avevano fomentato una guerra civile contro la rivoluzione, per far cadere sulle spalle dei contadini il peso principale dei cinque miliardi di indennità da pagarsi ai prussiani. La Comune, d'altra parte, dichiarò in uno dei soui primi proclami che le spese della guerra dovevano essere pagate da quelli che ne erano stati i veri autori. La Comune avrebbe liberato il contadino dall'imposta del sangue; gli avrebbe dato un governo a buon mercato; avrebbe trasformato le odierne sanguisughe, il notaio, l'avvocato, l'usciere e gli altri vampiri giudiziari, in agenti comunali salariati eletti da lui e davanti a lui responsabili; lo avrebbe liberato dalla tirannide della garde champetre [4], del gendarme e del prefetto; avrebbe sostituito all'instupidimento ad opera dei preti l'istruzione illuminata del maestro elementare. Il contadino francese è, sopratutto, un calcolatore. Egli avrebbe trovato assolutamente ragionevole che la retribuzione dei sacerdoti, invece di essere estorta dagli agenti delle imposte, dipendesse solo dalla azione spontanea ispirata dai sentimenti religiosi dei parrocchiani. Questi erano i grandi benefici immediati che il governo della Comune - ad esso solo - offriva ai contadini francesi. E' dunque del tutto superfluo diffondersi qui sugli altri problemi più complicati, ma di vitale importanza, che soltanto la Comune era capace di risolvere e nello stesso tempo costretta a risolvere in favore del contadino, come per esempio quello del debito ipotecario, che pesa come un incubo sul suo piccolo appezzamento di terreno, quella del prolétariat foncier (proletariato rurale) di giorno in giorno in aumento per questa ragione e della sua espropriazione che è messa in atto con la forza, a un ritmo sempre più rapido dallo stesso sviluppo dell'agricoltura moderna e dalla concorrenza dell'azienda agricola capitalista.
  22. Il contadino francese aveva eletto Luigi Bonaparte presidente della repubblica, ma il partito dell'ordine creò l'impero. Quel che il contadino francese desidera veramente, incominciò a mostrarlo nel 1849 e nel 1850, contrapponendo in suo maire [5] al prefetto del governo, il suo maestro di scuola al prete del governo e se stesso al gendarme del governo. Tutte le leggi fatte dal partito dell'ordine nel gennaio e febbraio 1850 furono misure di repressione aperta contro il contadino. Il contadino era bonapartista perchè ai suoi occhi la grande Rivoluzione, con i suoi vantaggi per lui, era personificata in Napoleone. Come avrebbe potuto questa illusione, rapidamente crollata sotto il II impero (e per la sua stessa natura ostile ai rurali), resistere all'appello della Comune agli interessi vitali e ai bisogni urgenti dei contadini?
  23. I rurali - ed era questa, di fatto, la loro apprensione principale - sapevano che tre mesi di libere comunicazioni tra Parigi della Comune e le provincie avrebbero portato a una insurrezione generale dei contadini. Di qui la loro preoccupazione di stabilire attorno a Parigi un cordone poliziesco come se si fosse trattato di impedire il diffondersi della peste bovina.
  24. Se la Comune era dunque la vera rappresentante di tutti gli elementi sani della società francese, e quindi il vero governo nazionale, era in pari tempo un governo internazionale in tutto il senso della parola, poichè era governo di operai e campione audace della emancipazione del lavoro. Sotto gli occhi dell'esercito prussiano, che aveva annesso alla Germania due provincie francesi, la Comune annettè alla Francia gli operai di tutto il mondo. Il II impero era stato la festa della furfanteria cosmopolita, le canaglie di tutti i paesi essendo accorse al suo appello per prender parte alle sue orge e al saccheggio del popolo francese. In questo momento stesso, braccio destro di Thiers è Ganesco, l'immondo valacco, e il suo braccio sinistro è Makovski, la spia russa: la Comune ammise tutti gli stranieri all'onore di morire per una causa immortale. Tra la guerra esterna perduta per il suo tradimento e la guerra civile provocata dalla sua cospirazione con l'invasore straniero, la borghesia aveva trovato il tempo di manifestare il suo patriottismo organizzando battute di caccia poliziesche contro i tedeschi in Francia. La Comune fece di un operaio tedesco il suo ministro del lavoro. Thiers, la borghesia, il II impero, avevano continuamente ingannato la Polonia con rumorose professioni di simpatia, mentre in realtà la tradivano e la abbandonavano alla Russia, di cui facevano il sordido servizio. La Comune onorò i figli eroici della Polonia ponendoli a capo dei difensori di Parigi. E per dare chiaramente rilievo alla nuova èra della storia ch'essa era consapevole di iniziare, la Comune sotto gli occhi dei prussiani conquistatori da una parte, e dell'esercito bonapartista condotto da generali bonapartisti dall'altra, abbattè il simbolo colossale della gloria militare, la colonna Vendome. La grande misura sociale della Comune fu la sua stessa esistenza operante. Le misure particolari da essa approvate potevano soltanto presagire la tendenza a un governo del popolo per opera del popolo. Tali furono l'abolizione del lavoro notturno dei panettieri; la proibizione, pena sanzioni, della pratica degli imprenditori di ridurre i salari imponendo ai loro operai multe coi pretesti più diversi, procedimento nel quale l'imprenditore unisce nella sua persona le funzioni di legislatore, giudice ed esecutore, e per di più ruba denaro. Altra misura di questo genere fu quella di consegnare alle associazioni operaie, sotto riserva d'indennizzo, tutte le fabbriche e i laboratori chiusi, tanto se i rispettivi capitalisti s'erano nascosti, quanto se avevano preferito sospendere il lavoro. Le misure finaziarie della Comune, notevoli per la loro sagacia e moderazione, non potevano andare al di là di quanto fosse compatibile con la situazione di una città assediata. Considerando le ruberie colossali commesse ai danni della città di Parigi, sotto la protezione di Haussmann, dalle grandi compagnie finanziarie e dai grandi appaltatori, la Comune avrebbe avuto titoli, per confiscarne le proprietà, incompatibilmente più validi di quelli che avesse Napoleone per confiscare le proprietà della famiglia d'Orléans. Gli Hohenzollern e gli oligarchi inglesi, che hanno tratto entrambi una buona parte delle loro tenuta dal saccheggio delle chiese, furono naturalmente molto scandalizzati dal fatto che la Comune non ricavasse più di 8000 franchi dalla secolarizzazione dei beni ecclesiastici.
  25. Mentre il governo di Versailles, appena ripreso un pò di coraggio e di forza, ricorreva contro la Comune ai mezzi più violenti; mentre esso sopprimeva la libera espressione delle opinioni in tutta la Francia, arrivando sino a proibire le riunioni di delegati delle grandi città; mentre esso assoggettava Versailles e il resto della Francia a uno spionaggio che sorpassava di gran lunga quello del II impero; mentre faceva bruciare dai suoi gendarmi inquisitori tutti i giornali stampati a Parigi e censurava tutte le lettere da e per Parigi; mentre l'Assemblea nazionale i più timidi tentativi di dire una parola in favore di Parigi erano soffocati da urla sconosciute persino alla Chambre introuvable del 1816; mentre Versailles conduceva dal di fuori una guerra selvaggia e all'interno di Parigi tentava di organizzare corruzione e complotti, non avrebbe la Comune tradito vergognosamente la sua missione se avesse affrettato di osservare tutte le convenzioni e le apparenze del liberismo, come in tempi di perfetta pace? Se il governo della Comune fosse stato dello stesso stampo di quello del signor Thiers, non vi sarebbero stati meno pretesti di sopprimere i giornali del partito dell'ordine a Parigi che di sopprimere quelli della Comune a Versailles.
  26. Certo però era cosa irritante per i rurali che, nel momento in cui essi dichiaravano il ritorno della chiesa solo mezzo di salvezza per la Francia, la miscredente Comune dissotterrasse gli strani misteri del convento del Picpus e quelli della chiesa di San Lorenzo [6]. Era una satira contro Thiers il fatto che, mentre egli copriva di gran croci i generali bonapartisti come riconoscimento della loro capacità di perdere battaglie, firmar capitolazioni e farsi le sigarette a Wilhelmshohe, la Comune destituisse e arrestasse i suoi generali al minimo sospetto di negligenza nell'adempimento dei loro doveri. L'espulsione dalla Comune e l'arresto di uno dei suoi membri che vi si era introdotto con nome falso, e aveva scontato a Lione sei giorni di prigione per bancarotta semplice, non era forse un deliberato insulto scagliato contro il falsario Favre, che continuava ad essere ministro degli esteri della Francia, a vendere la Francia a Bismarck, a dettare ordini all'incomparabile governo belga? Ma ciononostante la Comune non pretendeva all'infallibilità, attributo invariabile di tutti i governi del vecchio stampo. Essa rendeva pubblici i suoi atti, le sue parole, essa rendeva noti al pubblico tutti i suoi difetti.
  27. In tutte le rivoluzioni si intrufolano, accanto ai loro rappresentanti autentici, individui di altro conio; alcuni sono superstiti e devoti di rivoluzioni passate, che non comprendono il movimento presente, ma conservano una influenza sul popolo per la loro nota onestà e per il loro coraggio, o per la semplice forza della tradizione; altri non sono che schiamazzatori i quali, a forza di ripetere anno per anno la stessa serie di stereotipe declamazioni contro il governo del giorno, si sono procacciata la fama di rivoluzionari della più bell'acqua. Anche dopo il 18 marzo vennero a galla alcuni tipi di questo genere, e in qualche caso riuscirono a rappresentare parti di primo piano. Nella misura del loro potere, essi furono di ostacolo all'azione reale della classe operaia, esattamente come uomini di tale specie avevano ostacolato lo sviluppo di ogni precedente rivoluzione. Questi elementi sono un male inevitabile: col tempo ci si sbarazza di loro; ma alla Comune non fu concesso tempo.
  28. Meravigliosa, in verità, fu la trasformazione operata dalla Comune di Parigi! Sparita ogni traccia della Parigi meretricia del II impero! Parigi non fu più il ritrovo dei grandi proprietari fondiari inglesi, dai latifondisti assenteisti irlandesi, degli ex negrieri e loschi affaristi americani, degli ex proprietari di servi russi e dei boiardi valacchi. Non più cadaveri alla Morgue, non più rapine e scassi notturni, quasi spariti i furti. Invero, per la prima volta dopo i giorni del febbraio 1848, le vie di Parigi furono sicure e senza nessun servizio di polizia. "Non sentiamo più parlare - diceva un membro della Comune - di assassinii, furti e agressioni. Si direbbe davvero che la polizia abbia trascinato con sé a Versailles tutti i suoi amici conservatori". Le cocottes avevano seguito le orme dei loro protettori, gli scomparsi campioni della famiglia, della religione e sopratutto della proprietà. Al posto loro ricomparvero alla superficie le vere donne di Parigi, eroiche, nobili e devote come le donne dell'antichità. Parigi lavoratrice, pensatrice, combattente, insanguinata, raggiante nell'entusiasmo della sua iniziativa storica, quasi dimentica, nella incubazione di una nuova società, dei cannibali che erano alle sue porte!
  29. Di fronte a questo nuovo mondo di Parigi, il vecchio mondo di Versailles - questa Assemblea di iene di tutti i regimi defunti, legittimisti e orleanisti, avidi di nutrirsi del cadavere della nazione - con un codazzo di repubblicani antidiluviani, che sanzionavano con la loro presenza nell'Assemblea la rivolta dei negrieri, si rimettevano per il mantenimento della loro repubblica parlamentare alla vanità del senile ciarlatano che era alla loro testa, e facevano la caricatura del 1789 tenendo le loro riunioni spettrali nel Jeu de Paume. Eccola, questa Assemblea, la rappresentante di tutto ciò che in Francia era morto, puntellato e mantenuto con un sembiante di vita unicamente dalle spade dei generali di Luigi Bonaparte! Parigi, tutta la verità; Versailles, tutta la menzogna, e questa menzogna sprigionata dalla bocca di Thiers.
  30. Thiers dice a una deputazione di sindaci della Seine-et-Oise: "Potete contare sulla mia parola, alla quale non ho mai mancato". Dice all'Assemblea stessa che "era l'Assemblea più liberamente eletta e più liberale che la Francia avesse mai avuta", dice alla sua soldatesca variopinta ch'essa era " l'ammirazione del mondo e il più bell'esercito che mai avesse avuto in Francia", dice alle provincie che il borbardamento di Parigi da lui ordinato era un mito: "Se alcuni colpi di cannone sono stati tirati, non è stato per opera dell'esercito di Versailles, ma degli insorti , i quali volevano far credere che combattevano, mentre non osavano mostrare il naso". E dice ancora alle provincie che "l'artiglieria di Versailles non bombarda Parigi; la cannoneggia soltanto". Dice all'arcivescovo di Parigi che le pretese esecuzioni e rappresaglie attribuite alle truppe di Versailles sono fantasie. Dice a Parigi che era soltanto ansioso di "liberarla dai ripugnanti tiranni che l'opprimevano" e che di fatto la Parigi della Comune era "solo un pugno di criminali".
  31. La Parigi del signor Thiers non era la Parigi reale della "vile moltitude", era una Parigi spettrale, la Parigi dei franchi truffatori, la Parigi dei boulevards, maschi e femmine: la Parigi ricca, capitalista, coperta d'oro, infingarda, che ora ingombrava, coi suoi lacchè, coi suoi ladri in guanti gialli, con la sua bohème di letterati e con le sue cocottes, Versailles, Saint-Denis, Rueil e Saint-Germain; che considerava la guerra civile soltanto come una gradevole diversione; che seguiva lo sviluppo della battaglia coi boccoli, contava i colpi di cannone e giurava sul suo onore e su quello delle sue prostitute che lo spettacolo era allestito molto meglio di quanto non si usasse al teatro delle Porte St. Martin. Gli uomini che cadevano erano veramente morti, le grida dei feriti eran grida sul serio; e tutto l'assieme, poi, era così intensamente storico! Questa è Parigi del signor Thiers, come la emigrazione di Coblenza [7] era la Francia del signor De Calonne.

 
NOTE
1)Kladderadatsch, settimanale satirici-umoristico, fondato a Berlino nel 1848.
2)Il 18 aprile la Comune pubblicò un decreto di moratoria triennale dei debiti.
3)Frati Ignorantini, ordine religioso.
4)Guardia campestre.
5)Sindaco.
6)Nel convento di Picpus furono trovate donne trattenute dai monaci sotto l'accusa di pazzia e destinate ad essere violentate e sepolte vive. Nella chiesa di S. Lorenzo furono rinvenuti scheletri di donne che già avevano subìto quella sorte.
7)Dove, scoppiata la rivoluzione del 1789, i fugiaschi costituiscono il principale centro della reazione aristocratica.

 

IV

  1. Il primo tentativo della congiura dei negrieri per abbattere Parigi facendola occupare dai prussiani fallì per il rifiuto di Bismarck. Il secondo tentativo, quello del 18 marzo, terminò con la sconfitta dell'esercito e con la fuga a Versailles del governo, il quale ordinò a tutto l'apparato amministrativo di interrompere il suo lavoro e seguire le sue orme. Mediante una parvenza di trattative di pace con Parigi, Thiers trovò il tempo di prepararsi a farle la guerra. Ma dove trovare un esercito? I resti dei reggimenti di linea erano scarsi di numero e poco sicuri; il suo appello urgente alle provincie di soccorrere Versailles con le loro guardie nazionali e con volontari urtò in un netto rifiuto. Solo la Bretagna mandò un pugno di Chouans che combattevano con la bandiera bianca, ognuno con un cuore di Gesù di stoffa bianca sul petto e al grido di "Vive le roi!". Thiers fu dunque costretto a mettere assieme in gran fretta un'accozzaglia variopinta di marinai, fucilieri di marina, zuavi pontifici, gendarmi di Valentin, sergents de ville e mouchards [1] di Pietri. Questo esercito, però, sarebbe stato importante sino al ridicolo senza l'aggiunta dei prigionieri di guerra dell'esercito imperialista, che Bismarck fornì in numero esattamente sufficente ad alimentare la guerra civile e a tenere il governo di Versailles alle abbiette dipendenze della Prussia. Durante la guerra stessa, la polizia di Versailles dovette sorvegliare l'esercito di Versailles, mentre i gendarmi avevano il compito di trascinarlo al combattimento esponendosi in tutti i posti pericolosi. I forti che caddero non furono presi, ma comprati. L'eroismo dei federati convinse Thiers che la resistenza di Parigi non poteva essere spezzata dal suo genio strategico e dalle baionette di cui disponeva.
  2. Frattanto le sue relazioni con le provincie diventavano sempre più difficili. Nemmeno un indirizzo di approvazione venne a rallegrare Thiers e i suoi rurali. Al contrario, arrivarono da tutte le parti deputazioni e indirizzi in cui si chiedeva, in tono tutt'altro che rispettoso, la riconciliazione con Parigi sulla base del riconoscimento esplicito della repubblica, della conferma delle libertà comunali e dello scioglimento dell'Assemblea nazionale il cui mandato era estinto; e in tale quantità che Dufaure, ministro della giustizia di Thiers, nella sua circolare del 23 aprile ordinava ai procuratori di considerare delitto "gli appelli di riconciliazione"! Tuttavia, in considerazione della prospettiva disperata della sua campagna, Thiers decise di cambiare la sua tattica, dando ordine che il 30 di aprile avessero luogo le elezioni municipali in tutto il paese, sulla base della nuova legge municipale da lui stesso dettata all'Assemblea nazionale. Tanto con gli intrighi dei suoi prefetti, quanto con le intimidazioni poliziesche, egli si sentiva in grado di dare all'Assemblea nazionale, mediante il verdetto delle provincie, quel potere morale che essa non aveva mai avuto, e di ottenere infine dalle provincie la forza materiale necessaria per la conquista di Parigi. Alla sua guerra di brigantaggio contro Parigi, che egli esaltava nei suoi bollettini, e ai tentativi dei suoi ministri di instaurare in tutta la Francia il regno del terrore, Thiers si era preoccupato sin dall'inizio di accompagnare una piccola commedia di riconciliazione, la quale doveva servire a più di uno scopo. Doveva ingannare le provincie, attirare gli elementi delle classi medie di Parigi, e, sopratutto, procurare ai sedicenti repubblicani dichiarati dall'Assemblea nazionale l'opportunità di nascondere il loro tradimento di Parigi dietro la loro fiducia in Thiers. Il 21 marzo, mentre non aveva ancora un esercito, egli aveva dichiarato all'Assemblea: "Qualunque cosa avvenga, non manderò un esercito contro Parigi". Il 27 marzo s'alzò ancora per dire: "Ho trovato la repubblica come fatto compiuto e sono fermamente deciso a mantenerla". In realtà, egli schiacciò la rivoluzione a Lione e a Marsiglia in nome della repubblica, mentre gli urli dei suoi rurali coprivano a Versailles ogni accenno anche solo al nome di essa. Dopo questa impresa egli attenuò il "fatto compiuto" riducendolo a un fatto ipotetico. Ai principi di Orléans, ch'egli aveva prudentemente avvisati di lasciare Bordeaux, si permetteva, ora, in aperta violazione della legge, di intrigare a Dreux. Le concessioni offerte da Thiers nelle sue interminabili interviste coi delegati di Parigi e delle provincie, benchè continuamente variate di tono e di colore a seconda del tempo e delle circostanze, di fatto non andarono mai oltre la promessa che la vendetta sarebbe stata limitata a quel "pugno di criminali implicati nell'assassinio di Lecomte e di Clément Thomas", con la premessa, ben inteso, che Parigi e la Francia avrebbero accettato Thiers stesso come migliore delle repubbliche possibili, proprio come egli, nel 1830, aveva accettato Luigi Filippo. Ed aveva cura di render dubbie persino queste concessioni, mediante commenti ufficiali con i quali i suoi ministri le accompagnavano nell'Assemblea. Per agire egli aveva il suo Dufaure. Dufaure, questo vecchio avvocato orlealista, è sempre stato il giudice supremo dello stato d'assedio, così ora, nel 1871, sotto Thiers, come nel 1839 sotto Luigi Filippo, e nel 1849 sotto la presidenza di Luigi Bonaparte. Fuori del governo, si era arricchito come avvocato dei capitalisti di Parigi e si era fatto un capitale politico combattendo in tribunale contro leggi fatte da lui stesso. Costui ora non soltanto si affrettò a far approvare dall'Assemblea nazionale una serie di leggi repressive, che avrebbero dovuto, dopo la caduta di Parigi, estirpare gli ultimi residui di libertà repubblicana in Francia, ma prefigurò la sorte di Parigi abbreviando la procedura delle corti marziali, secondo lui troppo lenta, e introducendo un nuovo e strano codice draconiano di deportazione. Luigi Bonaparte non aveva osato, per lo meno in teoria, restaurare il regime della ghigliottina. L'Assemblea dei rurali, non ancora abbastanza impudente per sostenere che i parigini fossero non ribelli ma assassini, doveva perciò limitare le sue prospettive di vendetta contro Parigi al nuovo codice di deportazione di Dufaure. In tutte queste circostanze, Thiers stesso non avrebbe potuto continuare la sua commedia di riconciliazione, se questa commedia - com'egli del resto voleva - non avesse provocato gli urli di rabbia dei rurali, la cui mente ruminante non comprendeva né il trucco, né le sue necessità di ipocrisia, di tergiversazione, di procrastinazione.
  3. In vista delle imminenti elezioni municipali del 30 aprile, Thiers rappresentò il 27 aprile una delle sue grandi scene di riconciliazione. In mezzo a un diluvio di retorica sentimentale, egli esclamò dalla tribuna dell'assemblea:
  4. "Non vi è nessuna congiura contro la repubblica, fuorché quella di Parigi, che ci costringe a versare sangue francese. L'ho detto e lo ripeto. Che le empie armi cadano dalle mani che le impugnano, e il castigo verrà arrestato immedietamente da un atto di clemenza da cui verrà esluso soltanto il piccolo numero dei criminali."
  5. Alle violente interruzioni dei rurali egli replicò:

"Signori, ditemelo, ve ne supplico, ho torto? Vi addolora realmente il fatto che io abbia detto, il che è vero, che i criminali non sono che un piccolo numero? Non è una fortuna, in mezzo alle nostre disgazie, che coloro i quali sono stati capaci di versare il sangue di Clément Thomas e del generale Lecomte non siano che rare eccezioni?"

  1. La Francia, però, fece orecchi di mercante a quello cheThiers s'immaginava fosse il canto d'una sirena parlamentare. Su 700.000 consiglieri comunali eletti dai 35.000 comuni rimasti alla Francia, i legittimisti, orlealisti e bonapartisti riuniti non ne contavano che 8000. Le elezioni supplementari che seguirono furono ancora più decisamente ostili. Così invece di ottenere dalle provincie la forza materiale di cui aveva bisogno assoluto, l'Assemblea nazionale, perdette anche l'ultimo diritto alla forza morale, quello di poter dire di essere l'espressione del suffragio universale del paese. Per completare la sconfitta, i neoeletti consigli comunali di tutte le città della Francia minacciarono apertamente l'assemblea usurpatrice di Versailles di convocare una controassemblea a Bordeaux.
  2. E finalmente arrivò per Bismarck il momento, lungamente atteso, dell'azione decisiva. Egli ingiunse in tono perentorio a Thiers di mandare a Francoforte plenipotenzari per la conclusione definitiva della pace. Con umile obbedienza alla voce del padrone, Thiers si affrettò a mandare il suo fedele Jules Favre, accompagnato da Pouyer-Quertier, "eminente" cotoniere di Rouen, fervente e persino servile fautore del II Impero: non vi aveva mai trovato altro difetto che il trattato di commercio con l'Inghilterra, il quale recava pregiudizio ai suoi propri interessi di bottega. Appena installato a Bordeaux come ministro delle finanze di Thiers, aveva denunciato questo trattato "malaugurato", aveva fatto cenno alla sua prossima abrogazione, e aveva persino avuto la sfontatezza di tentare, sebbene invano (avendo fatto i conti senza Bismarck), la messa in vigore immediata dei vecchi dazi protettivi contro l'Alsazia, al che, egli diceva, non si opponeva nessun precedente trattato internazionale. Questo uomo, che considerava la controrivoluzione come mezzo per ridurre i salari a Rouen e la cessione di provincie francesi come mezzo per far salire i prezzi delle sue merci in Francia, non era forse predestinato ad essere, proprio lui, scelto da Thiers come compare di Jules Favre nel suo ultimo e culminante tradimento?
  3. All'arrivo a Francoforte di questa squisita coppia di plenipotenziari, il brutale Bismarck li pose senz'altro davanti a questa imperiosa alternativa: o la restaurazione dell'impero, o l'accettazione incondizionata delle mie condizioni di pace! Queste condizioni comprendevano una riduzione dei termini in cui si doveva pagare l'indennità di guerra e l'occupazione dei forti di Parigi da parte delle truppe prussiane fino a che Bismarck non si fosse sentito soddisfatto della situazione in Francia; la Prussia venendo così riconosciuta arbitro supremo della politica interna francese! In cambio egli offriva di lasciar libero, per lo sterminio di Parigi, l'esercito bonapartista prigioniero e di dargli l'aiuto diretto delle truppe dell'imperatore Guglielmo. Come prova della sua buona fede, egli faceva dipendere il pagamento della prima rata dell'indennità dalla "pacificazione" di Parigi. Una esca simile fu naturalmente ingoiata con avidità da Thiers e dai suoi plenipotenziari. Essi firmarono il trattato di pace il 10 maggio e lo fecero ratificare dall'Assemblea il 18.
  4. Nell'intervallo tra la conclusione della pace e l'arrivo dei prigionieri bonapartisti, Thiers si sentì tanto più obbligato a riprendere la sua commedia della riconciliazione in quanto i suoi strumenti repubblicani avevano bisogno di un pretesto per chiudere un occhio sui preparativi del massacro di Parigi. Ancora l'8 maggio egli rispondeva a una deputazione di conciliatori delle classi medie: "Appena gli insorti faranno intendere la resa, le porte di Parigi verranno spalancate per tutti durante una settimana, eccetto che per gli assassini dei generali Clément Thomas e Lecomte".
  5. Alcuni giorni dopo, interpellato violentemente dai rurali su queste promesse, rifiutò di dare qualsiasi spiegazione; non però senza aver fatto loro questo significativo cenno: "Vi dico che vi sono tra di voi degli impazienti; della gente che ha troppa fretta. Attendano ancora otto giorni; alla fine di questi otto giorni non vi sarà più nessun pericolo, e il compito sarà allora proporzionato al loro coraggio e alle loro capacità". Non appena Mac Mahon fu in grado di assicuragli che in breve sarebbe potuto entrare in Parigi, Thiers dichiarò all'Assemblea che "sarebbe entrato in Parigi brandendo la legge, e avrebbe costretto gli scellerati che avevano sacrificato la vita dei soldati e distrutto pubblici monumenti a espiare completamente i loro delitti". Quando il momento decisivo fu vicino disse all'Assemblea: "Sarò spietato"; disse a Parigi che era condannata, e ai suoi briganti bonapartisti che lo stato permetteva loro di vendicarsi di Parigi a loro piacimento. Infine, quando il tradimento, il 21 maggio, ebbe aperto le porte di Parigi al generale Douay, Thiers, il 22 maggio, rivelò ai rurali lo "scopo" della sua commedia di conciliazione, che essi così ostinatamente avevano continuato a non capire: "Vi ho detto pochi giorni or sono che stavamo avvicinandoci al nostro scopo; oggi vengo a dirvi che lo scopo è raggiunto. L'ordine, la giustizia, la civiltà, hanno finalmente riportato la vittoria!".
  6. E così era davvero. La civiltà e la giustizia dell'ordine borghese si mostrano nella loro luce sinistra ogni volta che gli schiavi e gli sfruttati di quest'ordine insorgono contro i loro padroni. Allora questa civiltà e questa giustizia si svelano come nude barbarie e vendetta ex lege. Ogni nuova crisi nella lotta di classe tra gli accaparratori della ricchezza e i produttori di essa mette in luce più chiaramente questo fatto. Persino le atrocità dei borghesi nel giugno 1848 scompaiono davanti all'infamia indicibile del 1871. L'eroico spirito di sacrificio col quale la popolazione di Parigi - uomini, donne e bambini - combattè per otto giorni dopo l'entrata dei versigliesi, rispecchia la grandezza della sua causa, quanto le azioni diaboliche della soldatesca rispecchiano lo spirito innato di quella civiltà di cui essa è la vendicatrice mercenaria. Gloriosa civiltà invero, il cui problema vitale consiste nel trovare il modo di far sparire i cadaveri da lei ammucchiati, dopo che la battaglia è terminata!
  7. Per trovare un parallelo alla condotta di Thiers e dei suoi segugi, bisogna risalire fino ai tempi di Silla e dei due triunvirati di Roma. Gli stessi eccidi in massa a sangue freddo; la stessa noncuranza nel massacro di fronte all'età e al sesso; lo stesso sistema di torturare i prigionieri; le stesse prescrizioni, ma ora di una classe intera; la stessa caccia selvaggia ai capi nascosti, per non lasciarne sfuggire nemmeno uno; le stesse denuncie di nemici politici e privati; la stessa indifferenza per il massacro di persone assolutamente estranee al conflitto. La sola differenza è che i romani non avevano mitragliatrici per ammazzare in massa i prigionieri, e non avevano "la legge nelle loro mani", né sulle labbra il grido di "civiltà". E dopo questi orrori guardate l'altro aspetto, ancora più ributtante, di questa civiltà borghese, come è stato descritto dalla sua stessa stampa! Scrive il corrispondente parigino di un giornale conservatore di Londra:
  8. "Mentre echeggiano in lontananza spari dispersi, e digraziati feriti muoiono senza cure fra le pietre sepolcrali del Père Lachaise, mentre 6000 insorti terrorizzati erano in un agonia disperata nel labirinto delle catacombe, e poveri sciagurati sono cacciati per le strade per essere abbattuti a mucchi dalle mitragliatrici, è cosa rivoltante vedere i caffè zeppi di devoti dell'assenzio, del bigliardo e del domino; vedere la sfrontatezza femminile passeggiare in lungo e in largo sui boulevards, e il chiasso delle orge provenienti dai cabinets particuliers dei ristoranti di lusso turbare la quiete notturna."
  9. Il signor Edouard Hervé scrive nel Journal de Paris, organo versigliese soppresso dalla Comune:

"Il modo come la popolazione di Parigi ha manifestato ieri la sua soddisfazione era peggio che frivolo, e noi temiamo che le cose peggiorino col tempo. Parigi ha adesso un aspetto di giorno di fete che è tristemente fuori posto; e a meno che non vogliamo essere chiamati i parisiens de la décadence, bisogna mettere un termine a queste cose."
In seguito cita il passo di Tacito:
"Eppure il giorno dopo quella lotta terribile, anche prima che essa fosse del tutto finita, Roma, degenerata e corrotta, ricominciò ancora una volta a gettarsi in quel fango di voluttà che distruggeva il suo corpo e insozzava il suo animo: alibi proelia et vulnera, alibi balneae popinseque (qua combattimenti e ferite, là bagni e taverne)."
Il signor Hervé dimentica soltanto di dire che la "popolazione di Parigi" di cui parla non è che la popolazione della Parigi del signor Thiers, i francs-fileurs di ritorno in folla da Versailles, Saint-Denis, Rueil e Saint-Germain: la Parigi della "decadenza".

  1. In tutti i suoi trionfi sanguinosi sui combattimenti che si sacrificavano per una nuova e migliore società questa civiltà scellerata, fondata sull'asservimento del lavoro, soffoca il gemito delle sue vittime, sotto uno strepito di calunnie che trovano un'eco mondiale. La serena Parigi operaia della Comune viene improvvisamente trasformata in un inferno dai segugi dell' "ordine". E che cosa prova questa terribile trasformazione agli spiriti borghesi di tutti i paesi? Null'altro se non che la Comune ha cospirato contro la civiltà! Il popolo di Parigi muore con l'entusiasmo per la Comune, in numero superiore a quello dei morti di qualunque battaglia della storia. Che cosa prova ciò? Null'altro se non che la Comune non era il governo del popolo stesso, ma la usurpazione di un pugno di criminali. Le donne di Parigi sacrificarono con gioia la loro vita sulle barricate e sul luogo del supplizio. Che cosa prova ciò? Null'altro se non che il demone della Comune le ha cambiate in Megere e Ecati! La moderazione della Comune durante due mesi di dominio incontrastato è uguagliata solo dall'eroismo della sua difesa. Che cosa prova ciò? Null'altro se non che la Comune per mesi ha nascosto con cura sotto la maschera di moderazione e di umanità la sete di sangue dei suoi istinti infernali, che si dovevano scatenare solo nell'ora della sua agonia!
  2. Parigi operaia, nell'atto del suo eroico sacrificio, ha travolto nelle sue fiamme case e monumenti. Quando fanno a pezzi il corpo vivente del proletariato, i suoi dominatori non debbono più contare di fare un ritorno trionfale in mezzo all'architettura intatta delle loro dimore. Il governo di Versailles grida: "Incendiari!" e sussurra a tutti i suoi sgherri, fino nell'ultimo villaggio, la parola d'ordine di dare dappertutto la caccia ai suoi nemici come sospetti di essere incendiari professionali. La borghesia di tutto il mondo, che assiste con compiacimento al massacro dopo la battaglia, rabbrividisce d'orrore al veder profanati la calce e i mattoni!
  3. Quando i governi danno licenza ufficiale alle loro marine di "uccidere, bruciare, e distruggere" questa è o non è una licenza di incendiare? Quando le truppe inglesi dettero deliberatamente fuoco al Campidoglio di Washington e al palazzo d'estate dell'imperatore della Cina, si trattava o no di atti da icendiari? Quando i prussiani, non per ragioni militari, ma per puro spirito di vendetta, dettero fuoco, con l'aiuto del petrolio, a città come Chateaudun e a innumerevoli villaggi, erano o no incendiari? Quando Thiers per sei settimane bombardò Parigi, col pretesto che voleva metter fuoco solo alle case abitate, era o no un incendiario? In guerra, il fuoco è un'arma legittima come tutte le altre. Gli edifici occupati dal nemico vengono bombardati per appiccarvi il fuoco. Se i difensori si devono ritirare, appiccano essi stessi il fuoco per impedire all'attaccante di fare uso degli edifici. L'essere distrutti dalle fiamme è sempre stato l'inevitabile destino di tutti gli edifici situati sul fronte di combattimento di tutti gli eserciti regolari del mondo. Ma nella guerra degli schiavi contro i loro asservitori, la sola guerra giustificabile nella storia, ciò non dovrebbe più essere vero! La Comune fece uso del fuoco esclusivamente come mezzo di difesa. Ne fece uso per sbarrare alle truppe versigliesi quei viali lunghi e rettilinei che Haussmann aveva aperto appositamente per il fuoco dell'artiglieria; ne fece uso per coprire la ritirata, allo stesso modo che i versigliesi, nella loro avanzata, fecero uso delle cannonate che distrussero per lo meno altrettanti edifici quanti ne distrusse il fuoco della Comune. Ancora oggi si discute quali edifici vennero incendiati dai difensori e quali dagli attaccanti. E i difensori non fecero ricorso al fuoco se non quando le truppe versigliesi avevano già incominciato l'assassinio in massa dei prigionieri. D'altra parte, la Comune aveva già da molto tempo annunciato pubblicamente che, se fosse stata spinta agli estremi, avrebbe sepolto se stessa sotto le rovine di Parigi, e fatto di Parigi una seconda Mosca, come aveva promesso di fare, ma solo per coprire il suo tradimento, anche il governo della difesa. A questo scopo Trochou aveva procurato il petrolio. La Comune sapeva che ai suoi nemici non importava nulla della vita del popolo di Parigi, ma che stavano loro a cuore gli edifici da essi posseduti a Parigi. E Thiers, inoltre, li aveva avvertiti che sarebbe stata implacabile nella vendetta. Non appena ebbe pronti da un lato il suo esercito dall'altro i prussiani che chiudevano la trappola, proclamò: "Sarò senza pietà! L'espiazione sarà completa e la giustizia sarà inflessibile!". Se gli atti degli operai di Parigi sono stati vandalismo, è stato il vandalismo di una difesa disperata, non il vandalismo del trionfo, come quello che i cristiani perpetrarono a danno dei tesori d'arte veramente inapprezzabili dell'antichità pagana; e persino questo vandalismo dei cristiani è stato giustificato dagli storici come elemento concomitante inevitabile e relativamente insignificante della lotta titanica tra la società nuova in sul nascere e una vecchia società al tramonto. Gli atti degli operai di Parigi furono ancora meno del vandalismo di Haussmann, il quale distrusse la Parigi storica per far posto alla Parigi dei bighelloni!
  4. Ma l'esecuzione da parte della Comune dei sessantaquattro ostaggi con l'arcivescovo di Parigi alla testa! La borghesia e il suo esercito nel giugno 1848 ristabilirono una consuetudine che da molto tempo era scomparsa dalla pratica della guerra, quella di uccidere i loro prigionieri indifesi. Da allora questa consuetudine brutale è stata seguita più o meno fedelmente da coloro che hanno represso tutti i movimenti popolari in Europa e in India. In questo modo essi hanno fornito la prova che questa consuetudine costituisce veramente un "progresso della civiltà"! D'altra parte i prussiani, in Francia, avevano ristabilito la pratica di prendere ostaggi, uomini innocenti che dovevano rispondere a loro con la propria vita delle azioni degli altri. Quando Thiers, come abbiamo visto, rimise in vigore sin dall'inizio del conflitto la consuetudine umanitaria di uccidere i prigionieri comunardi, la Comune, per proteggere la loro vita, fu costretta a far ricorso alla pratica prussiana di prendere ostaggi. La vita degli ostaggi era stata condannata più di una volta dalle continue uccisioni di prigionieri perpetrate dai versigliesi. Come potevano essere risparmiati più a lungo dopo il massacro con cui i pretoriani di Mac Mahon celebrarono il loro ingresso a Parigi? Si doveva dunque far diventare una semplice burla anche la presa degli ostaggi, ultima garanzia contro la ferocia senza scrupoli dei governi borghesi?Il vero assassino dell'arcivescovo Darboy è Thiers. La Comune aveva offerto ripetute volte di scambiare l'arcivescovo, e molti sacerdoti per giunta, col solo Blanqui, allora nelle mani di Thiers. Thiers rifiutò ostinatamente. Sapeva che con Blanqui avrebbe dato alla Comune una testa, mentre l'arcivescovo gli sarebbe stato più utile come cadavere. Thiers agì secondo il precedente di Cavaignac. Quali grida d'orrore non gettarono Cavaignac e i suoi uomini dell'ordine nel giugno 1848 per infamare gli insorti come assassini dell'arcivescovo Affre! Essi sapevano perfettamente che l'arcivescovo era stato ucciso dai soldati dell'ordine. Il signor Jacquemet, vicario generale dell'arcivescovo, testimone oculare della cosa, ne aveva fornito loro le prove subito dopo il fatto.
  5. Tutto questo coro di calunnie che il partito dell'ordine, nelle sue orge di sangue, non manca mai di lanciare contro le sue vittime, prova soltanto che i borghesi dei nostri giorni si considerano successori leggittimi del barone di un tempo, che trovava legittima nelle sue mani ogni arma contro il plebeo, mentre nelle mani del plebeo ogni arma era per sé un delitto.
  6. La cospirazione della classe dirigente per abbattere la rivoluzione mediante una guerra civile combattuta con l'aiuto di un invasore straniero - cospirazione che abbiamo seguìto fin dal 4 settembre sino all'ingresso dei pretoriani di Mac Mahon per la porta di St. Cloud - culminò nel macello di Parigi. Bismarck rimira con soddisfazione le rovine di Parigi, in cui egli vede forse il primo passo di quella distruzione generale delle grandi città per la quale aveva pregato il cielo quando era ancora un semplice rurale nella Chambre introuvable prussiana del 1849. Egli rimira compiaciuto i cadaveri del proletariato di Parigi. Per lui ciò non è solo lo sterminio della rivoluzione, ma l'estinzione della Francia, oggi in realtà decapitata, e per opera dello stesso governo francese. Con la superficialità caratteristica di tutti gli uomini di stato fortunati, egli non vede che l'apparenza esteriore di questo tremendo avvenimento storico. Quando mai prima d'ora nella storia ha offerto lo spettacolo di un vincitore che corona la sua vittoria trasformandosi non soltanto in gendarme, ma in bravo prezzolato del governo vinto? Non vi era stato di guerra tra la Prussia e la Comune di Parigi. Al contrario, la Comune aveva accettato i preliminari di pace, e la Prussia aveva dichiarato la sua neutralità. La Prussia non era dunque parte belligerante, essa faceva la parte del bravo, e di un bravo vile, perchè non correva nessun pericolo; di un bravo prezzolato, perchè aveva stipulato in anticipo il pagamento di 500 milioni, prezzo del sangue, alla caduta di Parigi. E così, alla fine, appariva il vero carattere della guerra ordinata dalla Provvidenza come castigo della Francia atea e corrotta per mano della pia e morale Germania! E questa violazione senza precedenti del diritto delle genti, anche se inteso al modo dei giuristi del vecchio mondo, invece di spingere i governi "civili" d'Europa a dichiarare fuori legge il governo fellone della Prussia, semplice strumento del gabinetto di Pietroburgo, li incita solamente a discutere se le poche vittime sfuggite al duplice cordone che circonda Parigi non devono essere consegnate al carnefice di Versailles!
  7. Il fatto che dopo la guerra più terribile dei tempi moderni l'esercito vincitore e l'esercito vinto fraternizzano per massacrare in comune il proletariato, questo fatto senza precedenti non indica, come pensa Bismarck, lo schiacciamento finale di una nuova società al suo sorgere, ma la decomposizione completa della società borghese. Il più alto slancio di eroismo di cui la vecchia società è ancora capace è la guerra nazionale; e oggi è dimostrato che questa è una semplice mistificazione governativa, la quale tende a ritardare la lotta delle classi e viene messa in disparte non appena la lotta di classe divampa in guerra civile. Il dominio di classe non è più capace di travestirsi come una uniforme nazionale; contro il proletariato i governi nazionali sono uniti.
  8. Dopo la Pentecoste del 1871 non vi può essere né pace né guerra tra gli operai francesi e gli appropriatori del prodotto del loro lavoro. La mano di ferro di una soldatesca mercenaria potrà per un certo tempo tenere le due classi legate sotto una stessa oppressione; ma la battaglia tra di loro dovrà scoppiare di nuovo in proporzioni sempre più grandi, e non può essere dubbio chi sarà alla fine il vincitore: se i pochi appropriatori o l'immensa maggioranza lavoratrice. E la classe operaia francese non è altro che l'avanguardia del proletariato moderno.
  9. Mentre i governi europei attestano così, davanti a Parigi, il carattere internazionale del dominio di classe, essi si scagliano addosso all'Associazione internazionale degli operai - controrganizzazione internazionale del lavoro contro la cospirazione cosmopolita del capitale - accusandola di essere la fonte prima di tutti questi disastri. Thiers accusò di essere il despota del lavoro, pretendendo di esserne il liberatore. Picard dette l'ordine di tagliare tutti i collegamenti dei membri francesi dell'Internazionale con quelli dell'estero; il conte Jaubert, il mummificato complice di Thiers del 1835, dichiara che il grande problema di tutti i governi civili è di sdradicarla. I rurali urlano contro di essa, e tutta la stampa europea fa coro alle loro urla. Uno scrittore francese stimato, completamente estraneo alla nostra Associazione, si esprime in questo modo:
  10. "I membri del Comitato centrale della Guardia nazionale e così pure la maggior parte dei membri della Comune, sono le menti più attive, intelligenti ed energiche dell'Associazione internazionale degli operai... uomini profondamente onesti, siceri, intelligenti, devoti, puri e fanatici nel senso buono della parola."
  11. Lo spirito borghese, imbevuto di pregiudizi polizieschi, si figura naturalmente che l'Associazione internazionale degli operai funzioni al modo di una cospirazione segreta, con il suo organismo centrale che ordina, di quando in quando, esplosioni in diversi paesi. La nostra associazione in realtà, non è altro che il legame internazionale tra gli operai più avanzati dei differenti paesi del mondo civile. Dovunque, in qualsiasi forma e in qualsiasi condizione, la lotta di classe prenda una certa consistenza, è semplicemente ovvio che i membri della nostra associazione siano al primo posto. Il terreno su cui essa sorge è la stessa società moderna. Essa non può venire sradicata da nessun massacro, per quanto grande. Per sradicarla, i governi dovrebbero sradicare il dispotismo del capitale del lavoro, condizione della loro stessa esistenza di parassiti.
  12. Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno, come l'araldo glorioso di una nuova società. I suoi martiri sterminatori, la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti.

NOTE
1)Informatori della polizia.

 


Appendice

  1. "La colonna di prigionieri si fermò nell'avenue Ulrich e fu disposta in quattro o cinque file, sul marciapiede, col fronte verso la strada. Il generale marchese di Galliffet  e il suo stato maggiore scesero da cavallo e passarono in rivista la fila a cominciare da sinistra. Avanzando lentamente ed esaminando le file, il generale si arrestava qua e là, dando a uno dei prigionieri un colpo sulle spalle o facendogli segno di uscire dalle ultime file. Nella maggior parte dei casi l'individuo designato a questo modo veniva senz'altro spinto nel centro della via, dove si formò così subito una piccola colonna supplementare... Era evidente che ciò doveva dare luogo a più di un errore. Un ufficiale a cavallo indicò al generale Galliffet un uomo e una donna per qualche delitto particolare. La donna, lanciandosi fuori dalle file, si gettò in ginocchio e con le braccia tese protestò la sua innocenza in termini appassionati. Il generale aspettò un momento e poi col viso del tutto impassibile e in atteggiamento del tutto indifferente disse: "Signora, ho frequentato tutti i teatri di Parigi, la vostra scena non avrà nessun effetto su di me"... Non era consigliabile, quel giorno, farsi notare per essere più alto, più sporco, più pulito, più vecchio o più brutto dei propri vicini. Un individuo particolarmente mi colpì, perché probabilmente dovette il suo rapido congedo da questa valle di lacrime al fatto di avere il naso rotto... Scelti così più che un centinaio di prigionieri, e comandato un plotone di esecuzione, la colonna riprese la sua marcia, lasciandoli indietro. Pochi minuti dopo, alle nostre spalle, incominciò un fuoco intermittente, che continuò per più di un quarto d'ora. Era l'esecuzione di quei disgraziati condannati in modo così sommario." (Corrispondenza da Parigi del Daily News, 8 giugno.) Questo Galliffet, "il mantenuto della propria moglie, nota per le sue svergognate esibizioni nelle orge del II Impero" aveva meritato durante la guerra il soprannome di "Caporal Pistola" francese.
  2. "Il Temps, giornale prudente e non incline alle notizie sensazionali, racconta una storia spaventosa di persone non finite dalle fucilate e sepolte ancora vive. Un gran numero ne furono sotterrate sulla piazza attorno a St. Jacques-la-Boucherie; e alcuni molto superficialmente. Di giorno, il rumore delle strade affollate impedì di accorgersi di qualche cosa; ma nella quiete della notte gli abitanti delle case vicine furono svegliati da gemiti lontani, e la mattina si vide una mano contratta uscire dalla terra. Si diede l'ordine, in conseguenza di ciò, di fare delle esumazioni... Non ho il minimo dubbio che molti dei feriti siano stati sepolti vivi. Di un fatto posso fare testimonianza. Quando Brunel venne fucilato con la sua amante il 24 maggio scorso, nel cortile di una casa di place Vendome, i corpi restarono sul posto fino a mezzogiorno del 27. Quando i becchini vennero a rimuovere le salme trovarono che la donna era ancora in vita e la portarono a un'ambulanza. Benché avesse ricevuto quattro pallottole è ora fuori pericolo." (Corrispondenza da Parigi dell'Evening Standard dell'8 giugno.)

 

La Guerra Civile in Francia

Introduzione di Engels all'edizione tedesca del 1891 [1]

 

  1. L'invito di preparare una nuova edizione dell'Indirizzo del Consiglio generale dell'Internazionale sulla Guerra civile in Francia, e di accompagnarlo con una introduzione, mi è giunto inaspettato. Non posso quindi che accennar qui brevemente ai punti più importanti.
  2. Faccio precedere il lavoro suddetto, più lungo, dai due Indirizzi, più brevi, del Consiglio generale sulla guerra franco-tedesca. In primo luogo perché al secondo, che a sua volta non può essere capito perfettamente senza il primo, si accenna nella Guerra civile. In secondo luogo, poi, perché questi due indirizzi, redatti del pari da Marx, sono, non meno della Guerra civile, notevoli esempi di quella meravigliosa facoltà dell'autore, di cui dette prova la prima volta nel 18 brumaio di Luigi Bonaparte, di afferrare chiaramente il carattere, la portata e le conseguenze necessarie di grandi avvenimenti storici nel tempo in cui questi avvenimenti stanno ancora sviluppandosi sotto i nostri occhi si sono compiuti di recente. E infine perché noi, in Germania, dobbiamo soffrire ancor oggi per le conseguenze di quegli avvenimenti che Marx aveva preannunziato.
  3. Non è forse accaduto ciò che si dichiara nella prima circolare, cioè che se la guerra difensiva della Germania contro Luigi Bonaparte avesse degenerato in una guerra di conquista contro il popolo francese, sarebbero riapparse con rinnovata violenza tutte le sciagure piombate sulla Germania dopo le cosiddette guerre di liberazione? Non abbiamo forse avuto altri vent'anni di governo di Bismarck, e le leggi eccezionali e la campagna contro i socialisti al posto delle persecuzioni dei demagoghi, con le stesse misure arbitrarie della polizia e letteralmente con la stessa raccapricciante interpretazione della legge?
  4. E non si è verificata alla lettera la predizione che l'annessione dell'Alsazia-Lorena avrebbe "gettato la Francia in braccio alla Russia" [2], e che dopo questa annessione la Germania o sarebbe diventata apertamente lo strumento della Russia, o avrebbe dovuto, dopo una breve tregua, armarsi per una nuova guerra e precisamente per "una guerra contro le razze alleate degli slavi e dei latini"? L'annessione delle province francesi non ha forse gettato la Francia in braccio alla Russia? Bismarck non ha forse cercato inutilmente per ben vent'anni di cattivarsi il favore dello zar, e cercato di cattivarselo con servizi ancora più bassi di quelli che la piccola Prussia, non ancora diventata la "prima potenza europea", era solita rendere ai piedi della Santa Russia? E non pende forse quotidianamente sul nostro capo la spada di Damocle di una guerra, nel primo giorno della quale tutte le alleanze ufficiali fra i principi andranno disperse come polvere; di una guerra di cui nulla è certo eccetto l'assoluta incertezza del suo esito; di una guerra di razze, che sottoporrà la Europa intiera alla devastazione da parte di quindici o venti milioni di uomini armati, e che se già non imperversa è solo perché persino il più forte dei grandi Stati militari è preoccupato per la totale impossibilità di calcolare il risultato finale?
  5. Tanto maggiore è quindi il nostro dovere di rendere nuovamente accessibili agli operai tedeschi questi brillanti documenti, ora in parte dimenticati, dell'acuta preveggenza della politica operaia internazionale nel 1870.
  6. Ciò che è vero per questi due Indirizzi, lo è altresì per quello sulla Guerra civile in Francia. Il 28 maggio gli ultimi combattenti della Comune soccombevano a forze preponderanti sulla collina di Belleville, e non più di due giorni dopo, il 30, Marx leggeva al Consiglio generale lo scritto nel quale l'importanza storica della Comune di Parigi è espressa in tratti concisi, potenti e soprattutto così veri, come non si è più riusciti a fare in tutta la enorme letteratura su questo argomento.
  7. Grazie allo sviluppo economico e politico della Francia dal 1789, per cinquant'anni la posizione di Parigi era stata tale che nessuna rivoluzione poteva scoppiarvi senza assumere un carattere proletario; il che vuol dire senza che il proletariato, avendo conquistato la vittoria a prezzo del suo sangue, non presentasse dopo la vittoria le sue proprie rivendicazioni. Queste rivendicazioni erano più o meno imprecise e perfino confuse, in relazione con il grado di sviluppo raggiunto in quel momento dagli operai di Parigi; in ultima istanza esse tendevano tutte all'abolizione del contrasto di classe tra i capitalisti e gli operai. E' vero che nessuno sapeva come questo si dovesse realizzare; la rivendicazione stessa, per quanto fosse ancora indeterminata nella sua formulazione, conteneva un pericolo per l'ordinamento sociale vigente. Gli operai che l'avevano avanzata erano ancora armati; per i borghesi che si trovavano al governo dello Stato il disarmo degli operai era quindi una necessità primordiale. Ecco quindi sorgere dopo ogni rivoluzione vinta dagli operai una nuova lotta, la quale finisce con la disfatta degli operai.
  8. Questo accadde per la prima volta nel 1848. I liberali borghesi dell'opposizione parlamentare tennero dei banchetti per esigere una riforma elettorale che doveva assicurare il dominio del loro partito. Costretti sempre più, nella lotta col governo, a fare appello al popolo, essi dovettero a poco a poco permettere che le frazioni radicali e repubblicane della borghesia prendessero la direzione del movimento. Ma alle spalle di queste frazioni si trovavano gli operai rivoluzionari, i quali dal 1830 avevano acquistato una indipendenza politica più grande di quel che non sospettassero la borghesia e gli stessi repubblicani. Nel momento della crisi fra il governo e l'opposizione, gli operai dettero battaglia nelle strade; Luigi Filippo scomparve e con lui scomparve la riforma elettorale; in vece loro sorse la repubblica, e precisamente una repubblica che gli stessi operai vittoriosi chiamarono repubblica "sociale". Ciò che si dovesse intendere con questa "repubblica sociale", nessuno lo sapeva chiaramente, e gli operai nemmeno. Ma adesso essi avevano in mano delle armi, e rappresentavano una potenza nello Stato. Non appena però i repubblicani borghesi al potere sentirono in certo qual modo d'avere sotto i piedi terra ferma, il loro primo scopo fu di disarmare gli operai. Questo venne fatto spingendoli alla insurrezione del giugno 1848 con un atto fedifrago, con una provocazione aperta, e tentando di confinare i disoccupati in una provincia remota. Il governo aveva preso misure per avere una schiacciante superiorità di forze. Dopo cinque giorni di lotta eroica gli operai furono sconfitti. E ne seguì un vero massacro dei prigionieri inermi, quale non si era veduto dal tempo delle guerre civili che prelusero al tramonto della Repubblica romana. Fu la prima volta che la borghesia mostrò a quale dissennata crudeltà essa può venir spinta nella sua sete di vendetta, non appena il proletariato osa levarsi davanti ad essa come classe indipendente, con interessi propri e con proprie rivendicazioni. Eppure il 1848 non fu che giuoco di ragazzi, in confronto con la furia del 1871.
  9. La punizione fu immediata. Se il proletariato non poteva ancora governare la Francia, la borghesia non poteva più governarla. Non in quel momento, almeno, in cui la maggior parte di essa era ancora di sentimenti monarchici, era divisa in tre partiti dinastici [3], e in un quarto partito repubblicano. Le sue discordie interne permisero all'avventuriero Luigi Bonaparte di impadronirsi di tutte le leve di comando del potere - esercito, polizia, meccanismo amministrativo -, e di far saltare in aria, il 2 dicembre 1851 [4], l'ultima cittadella della borghesia, l'Assemblea nazionale. Il Secondo Impero [5] dette inizio al saccheggio della Francia da parte di una banda di avventurieri della politica e della finanza, ma nel tempo stesso anche a uno sviluppo industriale che non sarebbe mai stato possibile sotto il regime ristretto e timoroso di Luigi Filippo, e con l'esclusivo dominio solo di una piccola parte della grande borghesia. Luigi Bonaparte tolse ai capitalisti il potere politico col pretesto di proteggerli: di proteggere la borghesia contro gli operai, e d'altra parte, di proteggere gli operai contro i borghesi: ma in compenso il suo governo favorì la speculazione e l'attività industriale; in una parola, favorì l'incremento e l'arricchimento della borghesia nel suo assieme, in modo fino allora sconosciuto. In proporzione anche maggiore, è vero, si svilupparono la corruzione e il furto in massa, che avevano il loro centro nella corte imperiale e che ricavavano le loro alte percentuali dall'arricchimento della borghesia.
  10. Ma il Secondo Impero fu l'appello allo sciovinismo francese, fu la pretesa di riavere i confini del Primo Impero perduti nel 1814, o almeno quelli della prima repubblica. Un impero francese nei confini della vecchia monarchia, e persino in quelli ancor più ristretti del 1815, era una cosa per un lungo periodo di tempo impossibile. Di qui la necessità di guerre periodiche e di una estensione dei confini. Nessuna estensione di confini abbagliava però potentemente la fantasia degli sciovinisti francesi come l'estensione sino alla sponda sinistra, tedesca, del Reno. Un miglio quadrato sul Reno valeva per loro assai più che dieci miglia sulle Alpi o in qualsiasi altro luogo. Data l'esistenza del Secondo Impero, la richiesta di restituzione della sponda sinistra del Reno, tutta in una volta o a pezzi, non era che una questione di tempo. E il tempo venne con la guerra austro-prussiana del 1866. Preso in trappola dall'"indennizzo territoriale" promosso da Bismarck, e dalla sua stessa politica troppo sottile ed esitante, a Bonaparte, non rimase altro che la guerra, la quale scoppiò nel 1870, e che lo sbalzò prima a Sedan, e di là a Wilhelmshöhe.
  11. Conseguenza inevitabile fu la rivoluzione di Parigi del 4 settembre 1870. L'impero crollò come un castello di carte e la repubblica fu di bel nuova proclamata. Ma il nemico era alle porte. Gli eserciti dell'impero erano rinchiusi senza speranze in Metz, o prigionieri in Germania. In questo frangente, il popolo concesse ai deputati parigini del vecchio Corpo legislativo di costituirsi in "governo di difesa nazionale". La cosa fu concessa tanto più facilmente in quanto a scopo di difesa tutti i parigini atti alle armi erano entrati nella Guardia nazionale ed erano armati, di guisa che gli operai formavano ora la grande maggioranza. Ma ben presto il contrasto tra il governo, composto quasi esclusivamente di borghesi, e il proletariato armato scoppiò in conflitto aperto. Il 31 ottobre battaglioni di operai diedero l'assalto all'Hotel de Ville e fecero prigionieri una parte dei membri del governo; il tradimento, la mancanza di parola del governo e il sopraggiungere di alcuni battaglioni di piccolo-borghesi ridettero loro la libertà, e per evitare lo scoppio di una guerra civile nell'interno di una città già assediata da una potenza straniera si lasciò in carica il governo di prima.
  12. Finalmente, il 28 gennaio 1871, Parigi, affamata, capitolò; ma con onori senza precedenti nella storia delle guerre. I forti furono consegnati, le trincee disarmate, le armi dei reggimenti di linea e della guardia mobile consegnate, ed essi considerati come prigionieri di guerra. Ma la Guardia nazionale mantenne le sue armi e i suoi cannoni, e di fronte ai vincitori si considerò in stato di armistizio, mentre questi non osavano entrare in Parigi in trionfo. Soltanto un piccolo angolo di Parigi, consistente in parte, per giunta, in parchi pubblici, essi osarono occupare; e anche questo solo per alcuni giorni! e durante questo tempo essi, che avevano stretto d'assedio Parigi per 131 giorni, furono a loro volta assediati dagli operai parigini armati, i quali vigilavano accuratamente perché nessun "prussiano" varcasse i ristretti confini di quel pezzo di terreno ceduto ai conquistatori stranieri. Tale era il rispetto che gli operai parigini ispiravano all'esercito davanti al quale tutte le truppe dell'impero avevano deposto le armi; e i grandi proprietari fondiari prussiani, che erano venuti per prendersi la loro rivincita nel centro stesso della rivoluzione, dovettero starsene pieni di riguardo, e fare il saluto proprio alla rivoluzione armata!
  13. Durante la guerra, gli operai parigini si erano limitati a reclamare che la lotta venisse proseguita con energia. Ma adesso che era ritornata la pace dopo la capitolazione di Parigi, adesso Thiers, il nuovo capo del governo, dovette convincersi che il predominio delle classi abbienti - grandi proprietari fondiari e capitalisti -, era in continuo pericolo finché gli operai di Parigi avevano le armi nelle loro mani. Suo primo atto fu il tentativo di disarmarli. Il 18 marzo egli mandò delle truppe di linea con l'ordine di rubare alla Guardia nazionale l’artiglieria che le apparteneva, che era stata fabbricata durante l'assedio di Parigi e pagata con una sottoscrizione pubblica. Il colpo andò a vuoto; Parigi scese in campo per difendersi come un sol uomo, e la guerra tra Parigi e il governo francese residente a Versailles fu dichiarata. Il 26 marzo fu eletta e il 28 proclamata la Comune di Parigi. Il Comitato centrale della Guardia nazionale, che fino ad ora si era fatto carico del governo, dette le sue dimissioni alla Guardia nazionale stessa, dopo aver decretato la soppressione della scandalosa "polizia dei costumi" di Parigi. Il 30 marzo la Comune abolì la coscrizione e l'esercito permanente e proclamò che la Guardia nazionale, nella quale dovevano arruolarsi tutti i cittadini atti alle armi, sarebbe stata la sola forza armata. Essa dichiarò una moratoria di tutte le pigioni per le case di abitazione dall'ottobre 1870 fino all'aprile, stabilendo che gli affitti già pagati si dovessero computare in acconto delle pigioni future; e sospese ogni vendita di oggetti impegnati al Monte di pietà. Lo stesso giorno gli stranieri eletti a far parte della Comune furono confermati nella loro carica, perché "la bandiera della Comune è la bandiera della repubblica mondiale".
  14. Il primo aprile venne deciso che lo stipendio più elevato di un impiegato della Comune, compreso dunque quello dei suoi stessi membri, non dovesse superare 6.000 franchi. Il giorno seguente la Comune decretò la separazione della Chiesa dallo Stato e l'abrogazione di tutti i versamenti dello Stato a scopi religiosi, come pure la trasformazione di tutti i beni ecclesiastici in patrimonio nazionale; in seguito a ciò l'8 aprile fu deciso di dare il bando dalle scuole a tutti i simboli religiosi, immagini, dogmi, preghiere, insomma a "tutto ciò che appartiene al campo della coscienza individuale", e la misura venne a poco a poco applicata. Il giorno 5, in risposta alle fucilazioni, che si rinnovavano ogni giorno, dei combattenti della Comune fatti prigionieri dalle truppe di Versailles, fu emanato un decreto circa l'arresto di ostaggi, ma non venne mai eseguito. Il 6 fu tirata fuori la ghigliottina con l'aiuto del 137° battaglione della Guardia nazionale, e bruciata in pubblico tra alte grida di giubilo popolare. Il 12 la Comune decise di abbattere la colonna della vittoria di Piazza Vendôme, fusa dopo la guerra del 1809 con i cannoni presi da Napoleone, ed eretta come simbolo dello sciovinismo e dell'odio tra i popoli. La cosa venne fatta il 16 maggio. Il 16 aprile la Comune ordinò una statistica delle fabbriche lasciate inoperose dagli industriali, e la elaborazione di progetti per l'esercizio di queste fabbriche a mezzo degli operai fino allora occupati in esse, da riunirsi ora in società cooperative, e per l'organizzazione di queste società in una grande unione. Il 20 essa abolì il lavoro notturno dei fornai, come pure la registrazione degli operai esercitata a partire dal Secondo Impero esclusivamente per mezzo di soggetti nominati dalla polizia, autentici sfruttatori degli operai. La registrazione venne affidata ai municipi dei venti mandamenti di Parigi.
  15. Il 30 aprile ordinò l'abolizione delle case di pegno, che non erano se non uno sfruttamento privato degli operai, in contraddizione col diritto degli operai ai loro strumenti di lavoro e al credito. Il 5 maggio decretò la demolizione della cappella espiatoria costruita in ammenda della esecuzione capitale di Luigi XVI.
  16. Così a partire dal 18 marzo balza fuori preciso e netto quel carattere di classe del movimento parigino, che fino allora era stato respinto nella penombra dalla lotta contro l'invasione straniera. Come nella Comune vi erano quasi solo operai o rappresentanti riconosciuti degli operai, così anche le loro deliberazioni avevano una marcata impronta proletaria. O decretavano riforme che la borghesia repubblicana aveva trascurato soltanto per viltà, ma che rappresentavano una base necessaria per la libertà d'azione della classe operaia, come l'applicazione del principio che di fronte allo Stato la religione non è che un semplice affare privato; oppure emettevano deliberazioni nell'interesse diretto della classe operaia, e talvolta anche in profondo dissidio con l'antico ordinamento sociale. Tutto questo però, in una città assediata, poteva conseguire tutt'al più un inizio di realizzazione. E dal principio di maggio la lotta contro la sempre crescente massa di armati adunata dal governo di Versailles assorbì tutte le forze.
  17. Il 7 aprile i versagliesi si erano impadroniti del passaggio della Senna presso Neuilly, sul fronte occidentale di Parigi; vennero però sanguinosamente respinti il giorno 11, in un attacco sul fronte meridionale condotto dal generale Eudes. Parigi fu bombardata senza interruzione, e proprio da coloro stessi che avevano stigmatizzato il bombardamento della stessa città per opera dei prussiani come una profanazione di cosa sacra. Questi stessi uomini andavano ora elemosinando dal governo prussiano la pronta restituzione dei soldati francesi fatti prigionieri a Sedan e a Metz, i quali avrebbero dovuto riconquistar loro Parigi.
  18. Il graduale concentramento di tutte queste truppe dette ai versagliesi, dal principio di maggio in poi, un sopravvento deciso. E questo si manifestò fin da quando il 23 aprile Thiers ruppe le trattative a proposito dello scambio, offerto dalla Comune, dell'arcivescovo di Parigi e di tutta una schiera di altri ecclesiastici tenuti in ostaggio a Parigi, per il solo Blanqui, che era stato eletto due volte a far parte della Comune, ma era prigioniero a Clairvaux. Più ancora questo sopravvento si manifestò nel mutato linguaggio di Thiers; fino adesso riservato e ambiguo, egli divenne a un tratto insolente, minaccioso, brutale. Sul fronte meridionale i versagliesi presero il 3 maggio il ridotto di Moulin Saquet; il 9 maggio il forte d'Issy ridotto in completa rovina dalle bombe; il 14 quello di Vanves. Sul fronte occidentale avanzavano a poco a poco fino al vallo principale, espugnando i numerosi villaggi e gli edifici che si estendevano fino alle mura di cinta; il 21 riuscì loro grazie a un tradimento e in seguito alla negligenza della Guardia nazionale comandata a quel posto, a penetrare nella città. I prussiani, che occupavano i forti settentrionali e orientali, permisero ai versagliesi di avanzare attraverso il terreno vietato dall'armistizio a nord della città, e con ciò di attaccare su un largo fronte che i parigini avevano ragione di credere protetto dall'armistizio e che perciò non avevano occupato che debolmente. In conseguenza di ciò la resistenza nella metà occidentale di Parigi, cioè nella vera città aristocratica, non poté che esser debole; diventò più tenace e più dura quanto più le truppe avanzanti si avvicinarono alla metà orientale, alla vera città operaia. Soltanto dopo una lotta di otto giorni gli ultimi difensori della Comune caddero sulle alture di Belleville e di Ménilmontant; e l'eccidio degli uomini inermi, delle donne, dei fanciulli, che infuriò con rabbia crescente per tutta la settimana, raggiunse qui il suo punto più alto. Il fucile a ripetizione non uccideva più abbastanza rapidamente; i vinti vennero trucidati collettivamente a centinaia dalle mitragliatrici. Il "Muro dei federati" nel cimitero del Père Lachaise, dove fu consumato l'ultimo eccidio in massa, rimane ancor oggi come un muto ma eloquente documento della furibonda follia di cui è capace la classe dominante, non appena il proletariato osa farsi innanzi per far valere i suoi diritti. Vennero quindi gli arresti in massa quando si riconobbe impossibile il macello di tutti si ebbe la fucilazione di vittime scelte arbitrariamente tra le file dei prigionieri, e il trasporto di tutti i rimanenti in grandi campi dove essi aspettavano di essere tradotti davanti ai tribunali di guerra. Le truppe prussiane, che stringevano d'assedio la parte nord-est di Parigi, avevano l'ordine di non lasciar passare nessun fuggiasco; ciò nondimeno gli ufficiali chiudevano un occhio quando i soldati obbedivano più alle leggi dell'umanità che agli ordini del comando; in particolare spetta al Corpo d'armata sassone il merito di essersi comportato molto umanamente e di aver lasciato libero il passo a molti, la cui qualità di combattenti della Comune era evidente.
  19. Se ora, dopo vent'anni, rivolgiamo lo sguardo all'attività e all'importanza storica della Comune di Parigi del 1871, troveremo che alla esposizione datane nella Guerra civile in Francia si deve fare qualche aggiunta.
  20. I membri della Comune si dividevano in una maggioranza, in blanquisti, i quali avevano predominato anche anteriormente nel Comitato centrale della Guardia nazionale, e in una minoranza, composta di membri della Associazione internazionale degli operai, seguaci in prevalenza della scuola socialista di Proudhon. I blanquisti erano allora nella maggioranza socialisti soltanto per istinto rivoluzionario proletario; pochi solamente erano arrivati a una maggior chiarezza di principi grazie a Vaillant, che conosceva il socialismo scientifico tedesco. Così si comprende come nel campo economico furono trascurate parecchie cose che secondo la nostra concezione odierna, la Comune avrebbe dovuto fare. Più che mai difficile a comprendersi rimane ad ogni modo il sacro rispetto col quale ci si arrestò con devota soggezione davanti alle porte della Banca di Francia. Questo fu anche un grande errore politico. La Banca in mano della Comune valeva più che diecimila ostaggi. Significava la pressione di tutta la borghesia francese sul governo di Versailles per spingere alla pace con la Comune. Ma ciò che è ancor più mirabile sono le molte cose giuste compiute malgrado tutto dalla Comune, composta di blanquisti e di proudhoniani. Naturalmente, dei decreti economici della Comune, per i loro aspetti gloriosi e per i loro aspetti ingloriosi, responsabili sono in prima linea i proudhoniani; come per gli atti e per le omissioni politiche sono responsabili i blanquisti. E in entrambi i casi l'ironia della storia volle - come avviene di solito quando dei dottrinari arrivano al potere -, che gli uni e gli altri facessero precisamente il contrario di quello che prescriveva la loro dottrina scolastica.
  21. Proudhon, il socialista del piccolo contadino e dell'artigiano, odiava l'associazione d'un odio positivo. Diceva che essa conteneva in sé più male che bene, che era di sua natura improduttiva e persino dannosa, perché era una catena messa alla libertà dell'operaio; che essa era un puro dogma, infruttuoso e oneroso, in contrasto tanto con la libertà del lavoratore quanto col risparmio del lavoro, e che i suoi svantaggi crescevano più rapidamente che i vantaggi; che in contrapposto ad essa la concorrenza, la divisione del lavoro e la proprietà privata erano forze economiche positive. Solo per i casi eccezionali - come li chiama Proudhon, della grande industria e delle grandi organizzazioni di locomozione, per esempio le ferrovie, l'associazione dei lavoratori sarebbe stata conveniente (V. "Idée génerale de la Révolutione", 3° étude [6]).
  22. Nel 1871 la grande industria aveva già cessato di essere un caso eccezionale anche a Parigi, sede centrale dell'artigianato artistico, e in tal guisa che il decreto di gran lunga più importante della Comune ordinava un'organizzazione della grande industria e perfino della manifattura, la quale non doveva fondarsi soltanto sull'associazione degli operai in ogni fabbrica, ma doveva anche riunire in una grande unione tutte queste società; in breve, un'organizzazione la quale, come ben giustamente dice Marx nella Guerra civile, doveva alla fine portare al comunismo, cioè all'opposto diretto della teoria proudhoniana. Perciò la Comune fu la tomba della scuola proudhoniana del socialismo. Questa scuola è ora scomparsa dai circoli degli operai francesi; in essi predomina incontrastata, fra i possibilisti, non meno che fra i "marxisti", la teoria di Marx. Solo fra la borghesia "radicale" ci sono ancora dei proudhoniani.
  23. Né migliore fu la sorte dei blanquisti. Educati alla scuola della cospirazione, tenuti assieme dalla rigida disciplina ad essa corrispondente, essi partivano dal principio che un numero relativamente piccolo di uomini risoluti e bene organizzati fosse la condizione, in un dato momento favorevole, non solo per impadronirsi del potere, ma anche per mantenerlo spiegando una grande energia, priva d'ogni riguardo, fino a che fosse loro riuscito lanciare la massa del popolo nella rivoluzione e raggrupparla intorno alla piccola schiera dei dirigenti. Per questo occorreva prima di tutto l'accentramento più energico, dittatoriale, di ogni potere nelle mani del nuovo governo rivoluzionario. E che fece la Comune, la quale era in maggioranza composta appunto di questi blanquisti? In tutti i suoi proclami ai francesi della provincia essa li chiamava a costituire una federazione libera di tutti i comuni francesi con Parigi; una organizzazione nazionale, che per la prima volta doveva essere creata dalla nazione stessa. Invece proprio questo potere repressivo del precedente governo centralizzato, dell'esercito, della polizia politica, della burocrazia, che Napoleone aveva creato nel 1798 e che da allora in poi ogni nuovo governo aveva accettato come un comodo strumento e sfruttato contro i suoi avversari, proprio questo potere doveva dappertutto cadere, come già era caduto a Parigi.
  24. La Comune dovette riconoscere sin dal principio che la classe operaia, una volta giunta al potere, non può continuare a governare la vecchia macchina dello Stato, che la classe operaia, per non perdere di nuovo il potere appena conquistato, da una parte deve eliminare tutta la vecchia macchina repressiva già sfruttata contro di essa, e dall'altra deve assicurarsi contro i propri deputati e impiegati, dichiarandoli senza nessuna eccezione e in ogni momento revocabili. In che cosa consisteva sino allora la proprietà caratteristica dello Stato? La società, per la tutela dei propri interessi comuni, si era provveduta di organi propri, originariamente per mezzo di una semplice divisione di lavoro. Ma questi organi, alla cui testa è il potere dello Stato, si erano col tempo trasformati, al servizio dei propri interessi speciali, da servitori della società in padroni della medesima. Il che per esempio è evidente non solo nella monarchia ereditaria, ma anche nella repubblica democratica. In nessun paese i "politici" formano una sezione della nazione così separata e così potente come nell'America del nord. Ognuno dei due grandi partiti che si scambiano a vicenda il potere viene alla sua volta governato da gente per cui la politica è una professione, che specula tanto sui seggi nelle assemblee legislative dell'Unione quanto su quelli dei singoli Stati, o che per lo meno vive dell'agitazione per il suo partito e dopo la sua vittoria viene compensata con dei posti. E' noto come gli americani tentano da trent'anni di scuotere questo giogo diventato insopportabile e come, a dispetto di ciò, affondano sempre più profondamente nella palude di questa corruzione. Proprio in America possiamo vedere nel miglior modo come si compia questa separazione e contrapposizione del potere dello Stato alla società, di cui in origine esso era destinato a non essere altro che uno strumento. Qui non esiste dinastia, non nobiltà, non esercito permanente all'infuori di un manipolo d'uomini per la vigilanza degli indiani, non burocrazia con impiego stabile e con diritto a pensione. E con tutto questo, abbiamo qui due grandi bande di speculatori politici che alternativamente entrano in possesso del potere, e lo sfruttano coi mezzi più corrotti e ai più corrotti scopi; e la nazione è impotente contro queste due grandi bande di politici, che apparentemente sono al suo servizio, ma in realtà la dominano e la saccheggiano.
  25. Contro questa trasformazione, in tutti gli Stati finora inevitabile, dello Stato e degli organi dello Stato da servitori della società in padroni della società, la Comune applicò due mezzi infallibili. In primo luogo, assegnò per via di elezione, con diritto generale di voto da parte degli interessati, e col diritto costante di revoca da parte di questi stessi interessati, tutti gli impieghi, amministrativi, giudiziari, educativi. In secondo luogo, per tutti i servizi, alti e bassi, pagava solo lo stipendio che ricevevano gli altri operai. Il più alto assegno che essa pagava era di 6.000 franchi. In questo modo era posto un freno sicuro alla caccia agli impieghi e al carrierismo, anche senza i mandati imperativi per i delegati ai Corpi rappresentativi, che furono aggiunti per soprappiù.
  26. Questa distruzione del potere dello Stato esistente e la sostituzione ad esso di un nuovo potere, veramente democratico, è esaurientemente descritta nel terzo capitolo della Guerra civile. Era però necessario ritornar qui brevemente sopra alcuni tratti di essa, perché precisamente in Germania la superstizione dello Stato si è trasportata dalla filosofia nella coscienza generale della borghesia e perfino di molti operai. Secondo la concezione filosofica, lo Stato è la "realizzazione dell'Idea", ovvero il regno di Dio in terra tradotto in linguaggio filosofico, il campo nel quale la verità e la giustizia eterna si realizza o si deve realizzare. Di qui una superstiziosa idolatria dello Stato e di tutto ciò che ha relazione con lo Stato, idolatria che si fa strada tanto più facilmente in quanto si è assuefatti fin da bambini a immaginare che gli affari e gli interessi comuni a tutta la società non possano venir curati altrimenti che come sono stati curati fino ad ora, cioè per mezzo dello Stato e dei suoi bene istallati funzionari. E si crede d'aver già fatto un passo estremamente audace, quando ci si è liberati alla fede nella monarchia ereditaria e si giura nella repubblica democratica. In realtà però lo Stato non è che una macchina per l'oppressione di una classe da parte di un'altra, e ciò nella repubblica democratica non meno che nella monarchia; e nel migliore dei casi un male che viene lasciato in eredità al proletariato riuscito vittorioso nella lotta per il predominio di classe e i cui lati peggiori non potrà fare a meno, subito, di eliminare nella misura del possibile, come fece la Comune, finché una nuova generazione, cresciuta in condizioni sociali nuove, libere, non sia in grado di scrollarsi dalle spalle tutto il vecchiume dello Stato.
  27. Il filisteo socialdemocratico recentemente si è sentito preso da un salutare terrore sentendo l'espressione: dittatura del proletariato. Ebbene, signori, volete sapere come è questa dittatura? Guardate la Comune di Parigi. Questa era la dittatura del proletariato.

FRIEDRICH ENGELS nel ventesimo anniversario della Comune di Parigi,18 marzo 1891.

NOTE
1)Scritta in tedesco. Pubblicata per la prima volta, con il consenso di Engels, nella rivista Die Nue Zeit (n. 28, a. IX, vol. II, 1890-1891) e successivamente in volume.
2)Citazione dal secondo Indirizzo del Consiglio generale circa la guerra franco-prussiana. Marx prevedeva che dopo la perdita dell'Alsazia-Lorena la Francia avrebbe cercato un alleato contro la Germania in primo luogo nella Russia zarista. Il I settembre 1870 egli scrisse a Sorge: "La guerra attuale - e gli asini prussiani non lo capiscono -, conduce alla guerra tra la Germania e la Russia con la stessa necessità con cui la guerra del 1866 condusse alla guerra tra la Prussia e la Francia... Inoltre questa guerra N. 2 sarà la levatrice dell'inevitabile rivoluzione sociale in Russia".
3)In Francia i monarchici si dividevano in tre partiti: legittimisti partigiani della monarchia "legittima" dei Borboni; orleanisti partigiani della dinastia degli Orléans, e bonapartisti di Luigi Bonaparte.
4) Il 2 dicembre 1851 Luigi Bonaparte, presidente della repubblica francese, effettuò un colpo di Stato, sciolse con la forza l'Assemblea nazionale e dopo un anno si proclamò imperatore.
5)Si chiama secondo impero quello di Luigi Bonaparte, Napoleone III (1852-1870), per distinguerlo dal primo impero di Napoleone I (1804-1814).
6)Engels si richiama qui al libro di PROUDHON: Idea generale della rivoluzione nel secolo XIX, Saggio 3°, Parigi 1851.


 

Primo indirizzo del Consiglio generale sulla guerra franco-prussiana

 Ai membri dell'Associazione internazionale degli operai in Europa e negli Stati Uniti.

  1. Nell'indirizzo inaugurale della nostra Associazione, nel novembre 1864, dicevamo: "Se l'emancipazione della classe operaia richiede la sua fraterna unione e cooperazione, come può essa adempiere questa grande missione sino a che una politica estera che persegue disegni criminosi aizza gli uni contro gli altri i pregiudizi nazionali e profonde in guerre di rapina il sangue e la ricchezza del popolo?". E designavamo la politica estera a cui tende l'Internazionale con queste parole: "Le semplici leggi della morale e del diritto, le quali debbono regolare i rapporti tra i privati, diventino pure le leggi supreme nei rapporti fra le nazioni".
  2. Nessuna meraviglia che Luigi Bonaparte, il quale ha usurpato il suo potere sfruttando la guerra delle classi in Francia e lo ha mantenuto grazie a periodiche guerre con l'estero, abbia trattato fin da principio l'Internazionale come un pericoloso nemico. Alla vigilia del plebiscito [1] egli organizzò una caccia contro i membri dei Comitati amministrativi dell'Associazione internazionale degli operai a Parigi, a Lione, a Rouen, a Marsiglia, a Brest, in una parola in tutta la Francia, col pretesto che l'Internazionale era una società segreta e organizzava un complotto per assassinarlo, pretesto che ben presto fu dimostrato dai suoi stessi giudici essere completamente assurdo. Qual era il vero delitto dei Comitati francesi dell'Internazionale? Essi dicevano pubblicamente e chiaramente al popolo francese che votare per il plebiscito voleva dire votare per il dispotismo all'interno e per la guerra all'estero. E fu per opera loro, in realtà, che in tutte le grandi città, in tutti i centri industriali della Francia, la classe operaia respinse come un sol uomo il plebiscito. Purtroppo i suoi voti furono sopraffatti dall'ignoranza e dall'arretratezza dei distretti agricoli. Le Borse, i gabinetti, le classi dominanti e la stampa di quasi tutta l'Europa celebrarono il plebiscito come una brillante vittoria dell'imperatore francese sulla classe operaia; in realtà esso fu il segnale dell'assassinio non di un uomo solo, ma di intere nazioni.
  3. Il complotto di guerra del luglio 1870 [2] non è che una edizione riveduta e corretta del colpo di Stato del dicembre 1851. A prima vista la cosa sembrava così assurda, che la Francia non voleva credere alla sua reale serietà. Essa propendeva a prestar fede a quel deputato, che nei discorsi bellicosi dei ministri non vedeva che una manovra di Borsa. Quando finalmente, il 15 luglio, la guerra fu annunciata al Corpo legislativo in forma ufficiale, tutta l'opposizione negò di votare i crediti provvisori; lo stesso Thiers bollò la guerra come "detestabile"; tutti i giornali indipendenti di Parigi la condannarono e, cosa strana a riferirsi, la stampa di provincia si unì ad essi quasi unanimemente.
  4. Frattanto i membri parigini dell'Internazionale si erano rimessi al lavoro. Nel "Réveil" del 12 luglio pubblicavano il loro manifesto "agli operai di tutte le nazioni" da cui togliamo i passi seguenti:
  5. "Ancora una volta - essi dicevano -, col pretesto dell'equilibrio europeo e dell'onore nazionale, l'ambizione politica minaccia la pace del mondo. Operai francesi, tedeschi e spagnoli! Uniamo le nostre voci in un sol grido di orrore contro la guerra! ... La guerra per una questione di preponderanza o di dinastia non può essere agli occhi degli operai che una pazzia criminale. In risposta agli appelli bellicosi di coloro che non pagano il tributo del sangue e che nella sciagura comune vedono soltanto una fonte di nuove speculazioni, noi protestiamo ad alta voce, noi che abbiamo bisogno di pace, lavoro e libertà! ... Fratelli di Germania! La nostra discordia non avrebbe altra conseguenza che il trionfo completo del dispotismo su ambe le rive del Reno ... Operai di tutti i paesi! Qualunque possa essere l'esito momentaneo dei nostri sforzi, noi, membri dell'Associazione internazionale degli operai, per i quali non esistono frontiere, inviamo a voi tutti, in pegno della nostra indissolubile solidarietà, i buoni auguri e i saluti degli operai francesi".
  6. Questo manifesto delle nostre sezioni parigine fu seguito da numerosi indirizzi simili francesi, dei quali accenneremo qui soltanto alla dichiarazione di Neuilly-sur-Seine, pubblicata nella "Marseillaise" del 22 luglio: " E' giusta questa guerra? No! E' nazionale questa guerra? No! Essa è esclusivamente dinastica. In nome della giustizia, della democrazia e dei veri interessi della Francia, noi aderiamo completamente ed energicamente alla protesta dell'Internazionale contro la guerra".
  7. Queste proteste esprimevano i veri sentimenti degli operai francesi, come ben presto mostrò evidentemente un avvenimento singolare. Quando la banda del 10 dicembre [3], originariamente organizzata sotto la presidenza di Luigi Bonaparte, venne travestita da operai in blusa e lanciata nelle strade di Parigi per attizzare in pubblico, con ridde guerresche all'uso degli indiani, la febbre della guerra, gli operai autentici dei sobborghi risposero con dimostrazioni per la pace, così grandiose che il prefetto di polizia Pietri pensò fosse più prudente porre improvvisamente termine a ogni ulteriore manifestazione politica di strada, col pretesto che il fedele popolo di Parigi aveva dato sufficiente sfogo al suo patriottismo lungamente compresso e al suo riboccante entusiasmo per la guerra.
  8. Qualunque possa essere il corso della guerra fra Luigi Bonaparte e la Prussia, a Parigi è già sonata la campana funebre del Secondo Impero. Esso finirà come è incominciato: con una parodia. Ma non dimentichiamo che furono i governi e le classi dominanti d'Europa che resero possibile a Luigi Bonaparte di rappresentare per diciott'anni la crudele farsa della restaurazione dell'Impero.
  9. Da parte della Germania, la guerra è una guerra di difesa. Ma chi ha messo la Germania nella necessità di doversi difendere? Chi ha reso possibile a Luigi Bonaparte di condurre una guerra contro la Germania? La Prussia. Fu Bismarck che cospirò con lo stesso Luigi Bonaparte con l'intento di abbattere in casa sua un'opposizione popolare e di annettere la Germania alla dinastia degli Hohenzollern. Se la battaglia di Sadowa [4] fosse stata perduta anziché vinta, battaglioni francesi avrebbero inondato la Germania in qualità di alleati della Prussia. Dopo la vittoria ha mai sognato la Prussia, sia pure per un istante solo, di contrapporre alla Francia schiava una Germania libera? Precisamente il contrario. Preservando affannosamente le bellezze innate del suo antico sistema, la Prussia vi aggiunse tutte le magagne del Secondo Impero, il suo dispotismo reale e il suo apparente regime democratico, le sue gherminelle politiche e il suo brigantaggio finanziario, le sue frasi altisonanti e la sua volgare abilità da borsaiolo. Il regime bonapartistico, che fino allora era fiorito soltanto sopra una riva del Reno, ebbe così il suo riscontro sull'altra riva. Stando così le cose, che cosa poteva derivarne se non la guerra?
  10. Se la classe operaia tedesca permette alla guerra presente di perdere il suo carattere puramente difensivo e di degenerare in una guerra contro il popolo francese, in tal caso tanto una vittoria quanto una sconfitta saranno egualmente disastrose. Tutte le sciagure piombate sulla Germania dopo la guerra di indipendenza, risorgeranno con accresciuta intensità.
  11. I principi dell'Internazionale sono però troppo largamente diffusi e troppo profondamente radicati nella classe operaia tedesca, perché noi dobbiamo temere un esito così funesto. La voce degli operai francesi ha trovato un'eco in Germania. Il 16 luglio un'assemblea di massa di operai a Brunswick si è dichiarata perfettamente d'accordo col manifesto di Parigi; ha respinto ogni pensiero di ostilità nazionale contro la Francia e ha approvato una risoluzione in cui dice: "Noi siamo nemici di tutte le guerre, ma soprattutto di tutte le guerre dinastiche ... Con profondo rammarico e con dolore ci vediamo costretti a partecipare a una guerra di difesa, come a una sciagura inevitabile. Ma nel tempo stesso chiediamo a tutta la classe operaia della Germania di rendere d'ora in poi impossibile la ripetizione di un così enorme disastro sociale, rivendicando per i popoli stessi la facoltà di decidere della pace e della guerra e di diventar padroni dei propri destini".
  12. A Chemnitz un'assemblea di fiduciari, rappresentanti 50.000 operai sassoni, ha approvato all'unanimità la seguente risoluzione: "In nome della democrazia tedesca, e in particolare degli operai del partito socialdemocratico, dichiariamo che la guerra presente è esclusivamente dinastica ... Siamo lieti di stringere la mano fraterna offertaci dagli operai di Francia ... Memori del motto dell'Associazione internazionale degli operai: Proletari di tutti i paesi, unitevi! non dimenticheremo mai che gli operai di tutti i paesi sono nostri amici e i despoti di tutti i paesi nostri nemici".
  13. Il Comitato di Berlino dell'Internazionale rispose egualmente al manifesto di Parigi: "Noi ci uniamo di tutto cuore alla vostra protesta ... Promettiamo solennemente che né gli squilli delle trombe, né il rombo dei cannoni, né vittorie, né sconfitte ci distoglieranno dalla nostra opera comune per l'unione degli operai di tutti i paesi".

E così sarà!

  1. Nello sfondo di questa lotta suicida spunta la torva figura della Russia. E' un sinistro indizio che il segnale della guerra presente sia stato dato nel momento in cui il governo moscovita aveva terminato le sue ferrovie strategiche e già stava concentrando truppe in direzione del Prut. Qualunque siano le simpatie alle quali i tedeschi possano pretendere in una guerra di difesa contro un'aggressione bonapartista, essi la perderebbero immediatamente se permettessero al governo prussiano di invocare o anche soltanto di accettare l'aiuto dei cosacchi. Si ricordino che, dopo la sua guerra d'indipendenza contro il primo Napoleone, la Germania è rimasta per interi decenni prostrata ai piedi dello zar.
  2. La classe operaia inglese tende una mano fraterna agli operai francesi e tedeschi. Essa è profondamente convinta che, qualunque possa esser l'esito dell'attuale spaventevole guerra, l'alleanza degli operai di tutti i paesi riuscirà in ultima analisi a metter fine alle guerre. Il solo fatto che, mentre la Francia ufficiale e la Germania ufficiale si gettano in una lotta fratricida, gli operai della Francia e della Germania si scambiano messaggi di pace e di amicizia; questo solo grande fatto, che non ha riscontro nella storia del passato, apre la prospettiva di un futuro più sereno. Esso dimostra che, in contrapposto alla vecchia società, con la sua miseria economica e col suo delirio politico, sta per sorgere una società nuova, il cui principio internazionale sarà la pace, perché in ogni nazione dominerà lo stesso principio il lavoro! Pioniere di questa nuova società è l'Associazione internazionale degli operai.

Londra, 23 luglio 1870.

NOTE
1)Il plebiscito fu organizzato da Napoleone III nel maggio 1870 per consolidare l'impero e metter fine all'agitazione repubblicana nel paese. L'apparato di governo dell'impero di Napoleone fece ricorso alla demagogia e a tutti i mezzi per far pressione sugli elettori. Il plebiscito dette quindi un'apparenza di consenso da parte della maggioranza del popolo alla politica di Napoleone III.
2)Il 19 luglio 1870 incominciò la guerra franco-prussiana.
3)Si tratta della "Società del 10 dicembre", organizzata da Luigi Bonaparte coi rifiuti delle differenti classi della popolazione e così chiamata in memoria del giorno in cui Luigi Bonaparte venne eletto presidente della repubblica francese (10 dicembre 1848).
4)La battaglia di Sadowa (Boemia) fu il combattimento decisivo nella guerra austro-prussíana del 1866, che finì con la vittoria della Prussia sull'Austria.

 

FRIDRICH ENGELS

 

dalla Introduzione alla prima ristampa di

“Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di Karl Marx”

                                               (STRALCI)                           

PREMESSA

Engels a Lafargue  - 3 aprile 1895

  1. ...X mi ha fatto un brutto scherzo. Dalla mia Introduzione agli articoli di Marx sulla Francia del 1848-50 egli ha estratto tutto ciò che poteva servirgli in difesa della tattica ad ogni costo pacifica e contraria alla violenza, che gli fa comodo predicare da un po’ di tempo, soprattutto ora che a Berlino si preparano le leggi eccezionali. Ma io raccomando questa tattica solo per la Germania d’ oggi e anche qui con riserve di carattere essenziale. In Francia, Belgio, Italia e Austria non è possibile seguire questa tattica nella sua interezza e in Germania può diventare inadatta domani...

Engels a Kautsky  - 1 aprile 1895

  1. ...Con mia grande sorpresa trovo oggi nel Vorwarts un estratto della mia Introduzione, pubblicato senza che io lo sapessi e così sconciato che io vi appaio come un pacifico fautore  della legalità a tutti i costi...

 

Introduzione alla prima ristampa di

 

“Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di Karl Marx”

 

  1. ....Quando scoppiò la rivoluzione di febbraio ci trovavamo ancora tutti, per quanto riguarda le nostre concezioni circa le condizioni e lo sviluppo dei movimenti rivoluzionari, sotto l’incubo della precedente esperienza storica, specialmente della Francia...Era quindi naturale e inevitabile che le nostre concezioni della natura e dello sviluppo della rivoluzione “sociale” proclamata a Parigi nel febbraio 1848, della rivoluzione del proletariato, fossero fortemente colorite dei ricordi dei modelli del 1789-1830. E quando il sollevamento di Parigi trovò la sua eco nelle insurrezioni vittoriose di Vienna, Milano, Berlino; quando tutta l’Europa sino alla frontiera russa venne trascinata nel movimento; quando poi in giugno a Parigi venne combattuta la prima grande battaglia per il potere tra il proletariato e la borghesia; quando la vittoria stessa della propria classe scosse a tal punto la borghesia di tutti i paesi che essa si rifugiò di nuovo nelle braccia della reazione feudale monarchica  poco prima rovesciata, date le condizioni di allora non poteva più esistere per noi nessun dubbio che era scoppiata la grande lotta decisiva e che questa lotta doveva venir combattuta in un solo periodo rivoluzionario di lunga durata e pieno di alternative, il quale però poteva chiudersi soltanto con la vittoria definitiva del proletariato.
  2. Dopo la sconfitta del 1849 non condividemmo in nessun modo le illusioni della democrazia volgare raccolta attorno ai governi provvisori futuri in partibus. Questa contava su una vittoria rapida, decisiva una volta per tutte, del “popolo” sugli “oppressori”; noi su una lotta lunga, dopo l’eliminazione degli “oppressori”, tra gli elementi contraddittori che si celavano precisamente in questo “popolo”. La democrazia volgare aspettava la nuova esplosione dall’oggi al domani; noi dichiaravamo già nell’autunno 1850 che almeno il primo capitolo del periodo rivoluzionario era chiuso e che non vi era da aspettarsi nulla sino allo scoppio di una nuova crisi economica mondiale. Per questo fummo messi al bando come traditori da quegli stessi che in seguito fecero tutti, quasi senza eccezione, la pace con Bismark, nella misura in cui Bismark trovò che ne valeva la pena...
  3. Ma la storia ha dato torto anche a noi; ha rivelato che la nostra concezione d’allora era un’illusione. La storia è andata anche più lontano; essa non ha soltanto demolito il nostro errore di quel tempo; essa ha pure sconovolto radicalemtne le condizioni in cui il proletariato ha da lottare. Il modo di combattere del 1848 è oggi sotto tutti gli aspetti antiquato...
  4. ...Tutte le passate rivoluzioni hanno condotto alla sostituzione del dominio di una classe con quello di un’altra...la forma comune di tutte quelle rivoluzioni consisteva nel fatto che esse erano tutte rivoluzioni di minoranze. Anche quando la maggioranza prendeva  in esse una parte attiva, lo faceva soltanto, coscientemente o no, al servizio di una minoranza; questo fatto però, o anche solo il fatto dell’atteggiamento passivo e della mancanza di resistenza della maggioranza dava alla minoranza l’apparenza di essere rappresentante di tutto il popolo.
  5. Dopo il primo grande successo la minoranza vittoriosa in generale si scindeva: una metà era soddisfatta dei risultati raggiunti, l’altra voleva andare più avanti e presentava nuove rivendicazioni che corrispondevano almeno in parte all’interesse reale o apparente della grande massa popolare. Queste rivendicazioni più radicali vennero in certi casi anche realizzate, ma spesso solo per un momento, chè il partito più moderato prendeva di nuovo il sopravvento e le ultime conquiste andavano in tutto o in parte perse di nuovo. Gli sconfitti gridavano allora al tradimento, o attribuivano la sconfitta al caso. In realtà però le cose stavano per lo più in questo modo: le conquiste della prima vittoria non erano state assicurate che dalla seconda vittoria del partito più radicale; raggiunto questo punto e quindi anche ciò che era momentaneamente necessario, i radicali e i loro successi sparivano nuovamente dalla scena...
  6. ...Se in tutti i periodi rivoluzionari un po’ lunghi si erano potute guadagnare così facilmente le grandi masse popolari anche solo mediante plausibili miraggi presentati loro dalle minoranze che le spingevano avanti, come avrebbero potuto essere meno accessibili a idee che erano il riflesso più esatto della loro situazione economica, che non erano altro che la espressione chiara, razionale, dei loro bisogni, da loro stesse ancora incompresi, sentiti soltanto in modo ancora confuso? E’ vero che questo stato d’animo rivoluzionario della masse aveva lasciato il posto quasi sempre. e per lo più molto presto, a uno spossamento e si era perfino trasformato nel suo contrario, non appena, svanita l’illusione, era subentrato il disinganno . Ma questa volta non si trattava di miraggi, bensì della soddisfazione degli interessi genuini  della grande maggioranza stessa...E se nella primavera del 1850, lo sviluppo della rivoluzione “sociale” del 1848, aveva concentrato il vero potere nelle mani della grande borghesia...e per contro aveva raggruppato tutte le altre classi sociali, i contadini come i piccoli borghesi, attorno al proletariato...non esistevano forse in questa situazione tutte le prospettive di trasformare la rivoluzione della minoranza in rivoluzione della maggioranza?
  7. ... La storia ha dato torto a noi e a quelli che pensavano in modo analogo. Essa ha mostrato chiaramente che lo stato dell’evoluzione economica sul continente era allora ancora lungi dall’essere maturo per l’eliminazione della produzione capitalistica; essa lo ha provato con la rivoluzione economica che dopo il 1848 ha guadagnato tutto il continente e ha veramente installato la grande industria...
  8. Ma è stata precisamente questa rivoluzione industriale che ha fatto dappertutto luce sui rapporti di classe, che ha eliminato una massa di forme di transizione provenienti dal periodo della manifattura...che ha creato una vera borghesia e un vero proletariato della grande industria e li ha spinti sulla scena dell’evoluzione sociale...E se anche questo potente esercito del proletariato non ha ancora raggiunto la meta, anche se esso, lungi dal conseguire la vittoria con una sola grande battaglia, deve progredire, lentamente, di posizione in posizione, con una lotta dura e tenace, ciò dimostra una volta per sempre come fosse impossibile conquistare la trasformazione sociale nel 1848 con un semplice colpo di sorpresa...
  9. Con la Comune di Parigi si credette di aver definitivamente sepolto il proletariato combattente. Ma tutt’al contrario...Il rivolgimento completo di tutta l’arte della guerra, causato dall’arruolameto di tutta la popolazione capace di portare le armi in eserciti che non si contano ormai più che per milioni, e da armi da fuoco, proiettili ed esplosivi di efficacia sinora sconosciuta, da un lato pose fine bruscamente al periodo delle guerre bonapartistiche e assicurò lo sviluppo pacifico dell’industria, rendendo impossibile ogni altra guerra che non sia una guerra mondiale di un orrore inaudito e di conseguenze assolutamente incalcolabili. Dall’altro lato questo rivolgimento dell’arte della guerra, grazie alle spese militari crescenti in progressione geometrica, spinse le imposte a una altezza vertiginosa, e quindi gettò le masse popolari più povere nelle braccia del socialismo...
  10. In Francia occorsero naturalmente degli anni per rifarsi del salasso del maggio 1871. In Germania, invece, dove l’industria, favorita dalla manna dei miliardi francesi, si sviluppava sempre più rapidamente, come in una serrra calda, ancora più rapidamente e intensamente si sviluppava la socialdemocrazia. Grazie all’intelligenza con la quale gli operai tedschi seppero far uso del suffragio universale introdotto nel 1866 lo sviluppo sorprendente del partito si manifestò apertamente al mondo intero in cifre inoppugnabili. 1871:102.000; 1874:352.000;  1877:493.000 voti socialdemocratici. In seguito venne il riconoscimento di questi progressi da parte delle autorità superiori, sotto la forma della legge contro i socialisti; il partito fu momentanemente disperso, il numero dei voti cadde nel 1882 a 312.000. Ma ciò venne rapidamente superato, e ora, sotto la pressione delle legggi d’eccezione, senza stampa, senza organizzazione esteriore, senza diritto di associazione e di riunione, ora è incominciata per davvero la rapida estensione del movimento: 1884:550.000; 1887:763.000; 1890:1.427.000 voti. Allora la mano dello Stato è stata paralizzata. La legge contro i socialisti è svanita; il numero dei voti socialisti è salito a 1.787.000, più di un quarto dei voti complessivi. Il governo e le classi dominanti  avevano esaurito tutti i loro mezzi, senza utilità, senza scopo, senza successo...
  11. ...Mostrando ai loro compagni di tutti i paesi come ci si serve del suffragio universale, essi (gli operai tedeschi n.d.c.) avevano  dato loro una delle armi più efficaci...
  12. ...Secondo le parole del programma marxista francese, il diritto di voto è stato da essi (gli operai tedeschi n.d.c.)  trasformato da strumento di inganno, quale è stato sino ad ora, in strumento di emancipazione (dal programma del Partito operaio francese, redatto secondo istruzioni di Marx)...
  13. Ma con questa efficace utilizzazione del suffragio universale era entrato in azione un nuovo metodo di lotta del proletariato, che andò sviluppandosi rapidamente. Si trovò che le istituzioni  dello Stato, in cui si organizza il dominio della borghesia, offrono ancora altri appigli a mezzo dei quali la classe operaia può combattere queste stesse istituzioni statali. Si partecipò alle elezioni  delle differenti Diete, dei Consigli comunali, dei probiviri; si contese alla borghesia ogni posto alla conquista del quale potesse partecipare una parte sufficiente del proletariato. E così accadde che la borghesia e il governo arrivarono a temere molto più l’azione legale che l’azione illegale del partito operaio, più le vittorie elettorali che quelle della ribellione...
  14. Non facciamoci illusioni: una vera vittoria dell’insurrezione sull’esercito nella lotta di strada, una vittoria come tra due eserciti, è una delle cose più rare. Gli insorti stessi del resto ben di rado avevano contato su di essa. Si trattava per essi soltanto di paralizzare le truppe con influenze morali...Se la cosa riesce, la truppa rifiuta di marciare, oppure il comando perde la testa, e l’insurrezione vince...
  15. Dal lato degli insorti, al contrario, tutte le condizioni sono diventate peggiori. Una insurrezione che attiri le simpatie di tutti gli strati popolari è difficile che si riproduca; nella lotta di classe non avverrà infatti mai che tutti gli strati medi si raggruppino in modo così esclusivo attorno al proletariato da far quasi scomparire il partito della reazione raccolto attorno alla borghesia...Se è vero che dalla parte degli insorti vi sarà un maggior numero di uomini che hanno compiuto il servizio militare, tanto più difficile sarà però il loro armamento...
  16. Vuol dire ciò che nell’avvenire la lotta di strada non avrà più nessuna funzione? Assolutamente no. Vuol dire soltanto che dal 1848 le condizioni sono diventate molto più sfavorevoli ai combattenti civili, e molto più favorevoli all’esercito. Una futura lotta di strada  potrà dunque essere vittoriosa soltanto se questa situazione sfavorevole verrà compensata da altri fattori...
  17. Comprende ora il lettore perchè i poteri dominanti ci vogliono ad ogni costo condurre là dove i fucili sparano e le sciabole fendono?  Perché oggi ci si accusa di vigliaccheria per il fatto che non scendiamo senz’altro nella strada, dove siamo in precedenza sicuri della sconfitta? Perché si invoca da noi con tanta insistenza che ci prestiamo una buona volta a far la parte della carne da cannone?
  18. I signori sciupano invano tanto i loro inviti quanto le loro provocazioni. Non siamo così stupidi...
  19. E’ passato il tempo dei colpi di sorpresa, delle rivoluzioni fatte da piccole minoranze coscienti alla testa di masse incoscienti. Dove si tratta di una trasformazione completa delle organizzazioni sociali, ivi devono partecipare le masse stesse; ivi le masse stesse devono già aver compreso di che si tratta, per cosa danno il loro sangue e la loro vita...
  20. Con questo naturalmente i nostri compagni all’estero non rinunciano affatto al loro diritto alla rivoluzione. Il diritto alla rivoluzione è del resto il solo vero diritto storico; l’unico su cui riposano tutti gli Stati moderni...
  21. L’ironia della storia capovolge ogni cosa. Noi, i “rivoluzionari”, i “sovversivi”, prosperiamo molto meglio coi mezzi legali che coi mezzi illegali e con la sommossa. I partiti dell’ordine, com’essi si chiamano, trovano la loro rovina nell’ordinamento legale che essi stessi hanno creato...E se non commettiamo noi la pazzia di lasciarci trascinare ala lotta di strada per far loro piacere, alla fine non rimarrà loro altro che spezzare essi stessi questa legalità divenuta loro così fatale...
  22. Al sovvertimento socialdemocratico, che per il momento vive nell’osservanza delle leggi, essi possono opporre solo il sovvertimento del partito dell’ordine, che non può vivere senza violare le leggi.

 

MARX - discorso tenuto ad Amsterdam l’8 settembre 1872 dopo la chiusura del congresso dell’Aia dell’associazione internazionale degli operai

...Il Congresso dell’Aia ha fatto tre cose principali:

  1. ha proclamato la necessità  per le classi lavoratrici di combattere sul terreno politico come sul terreno sociale, la vecchia società che crolla, e noi ci rallegriamo di vedere entrare finalmente questa risoluzione di Londra nei nostri statuti. Si era formato, in mezzo a noi, un gruppo che preconizzava l’astensione degli operai in materia politica (1). Noi abbiamo tenuto a dire quanto consideriamo dannosi e funesti per la nostra causa questi principi. L’operaio un giorno dovrà prendere il potere politico per fondare la nuova organizzazione del lavoro; deve rovesciare la vecchia politica che sostiene le vecchie istituzioni: altrimenti non vedrà mai come gli antichi cristiani che l’hanno negletto e sdegnato, l’avvento del regno dei cieli in questo mondo.
  2. Noi non abbiamo affatto preteso che per arrivare a questo scopo i mezzi fossero dappertutto identici. Sappiamo quale importanza abbiano le istituzioni i costumi e le tradizioni dei vari paesi, e non neghiamo che esistono dei paesi, come l’America, l’Inghilterra e, se io conoscessi meglio le vostre isitituzioni, aggiungerei l’Olanda, in cui i lavoratori possono raggiungere il loro scopo con mezzi pacifici. Se ciò è vero, dobbiamo riconoscere che, nella maggior parte dei paesi del continente, è la forza che deve essere la leva delle nostre rivoluzioni;  è alla forza che bisognerà fare appello per instaurare il regno del lavoro.
  3. Il Congresso dell’Aia ha attribuito al Consiglio generale nuovi e più estesi poteri. In effetti, nel momento in cui i re si riuniscono a Berlino dove, da questo incontro dei potenti che rappresentano il feudalesimo e il passato, debbono venire nuove e più violente misure di repressione contro di noi; nel momento in cui la persecuzione si organizza, il Congresso dell’Aia ha creduto giustamente che era saggio e necessario aumentare i poteri del suo Consiglio generale e centralizzare, per la lotta che sta per essere intrapresa, un’azione che l’isolamento renderebbe impotente...

...Infine il congresso dell’Aia ha trasportato la sede del consiglio generale a New York...
NOTE
1)si riferisce alle tesi di Bakunin


Engels - al Comitato comunista di corrispondenza a Bruxelles (1)

 

(Parigi 23 ottobre 1846 - Engels relaziona su riunioni con alcuni artigiani girovaghi di sinistra, oscillanti fra comunismo, proudhonismo, il “vero socialismo” umanitario, ecc., definiti “vagabondi”
)

  1. ...Io dichiarai dunque che prima di entrare in ulteriori discussioni si doveva votare se ci riunivamo lì qua comunisti o no. Nel primo caso si doveva badare che non si verificasserro più degli attacchi al comunismo..., nell’altro caso, se essi non erano altro che degli uomini qualsiasi che discutevano lì di questa o quella cosa qualsiasi, per me potevano andare a farsi benedire e io non sarei ritornato...
  2. (il seguente brano in corsivo  è tratto dal sunto che ne fa Lenin nell’omonimo scritto pubblicato il 23 0ttbre 1913)...Massima indignazione fra i seguaci di Grun. Essi si erano riuniti, dicevano, “per il bene dell’umanità”...(dicevano che) si sarebbe dovuto prima dir loro che cosa fosse realmente il comunismo ...
  3. ...Naturalmente non mi lascai sedurre dall’amabile preghiera di dire a loro, gli ignari, in due o tre parole che cosa sia il comunismo. Detti loro una definizione semplicissima che si limitava esattamente agli argomenti di disaccordo. e che affermando la comunanza dei beni, escludeva il pacifismo, la mollezza e i riguardi verso i borghesi, e rispettivamente verso i “vagabondi” ed infine verso la società proudhoniana per azioni con la relativa conservazione della proprietà individuale e ciò che vi si ricollega , e che per il rimanente non conteneva altro che potesse dar adito a digressioni e al rigetto della votazione proposta.  Definii dunque così le prospettive del comunismo: 1) far trionfare gli interessi dei proletari in opposizione a quelli dei borghesi; 2) far ciò mediante l’abolizione della proprietà privata e la sua sostituzione con la comunanza dei beni; 3) non riconoscere altro mezzo per la realizzazione di queste prospettive se non la rivoluzione violenta, democratica. Se ne è discusso per tre sere...

NOTE
1)Carteggio Marx-Engels,vol.I, pag 63 (editori riuniti 1950) citato da Lenin nello scritto omonimo

 

 lettera di Marx a Weydemeyer del 5/3/1852 in cui l’autore specifica ciò che è proprio delle sue scoperte politiche.

  1. ... Al tuo posto osserverei, a proposito dei signori democratici en général, che costoro farebbero meglio a prendere conoscenza della letteratura borghese, prima di pretendere di abbaiare contro chi ne è l’antagonista. Questi signori per esempio dovrebbero studiare le opere storiche di Thierry, Guizot, John Wade ecc., per informarsi sulla passata "storia delle classi". Dovrebbero prendere conoscenza degli elementi primi dell’economia politica, prima di mettersi a criticare la critica dell’economia politica. Per esempio basta aprire la grande opera di Ricardo per trovare in prima pagina le parole con cui egli apre la prefazione.
  2. "Il prodotto della terra, tutto quanto viene ottenuto dalla sua superficie con l’applicazione unita di lavoro, macchine e capitale, si distribuisce tra tre classi della comunità; cioè il proprietario della terra, il proprietario del capitale necessario a coltivarla, e gli operai con il cui lavoro la terra viene coltivata".
  3. Ora, quanto poco la società borghese sia maturata negli Stati Uniti per rendere evidente e comprensibile la lotta delle classi, di ciò fornisce la dimostrazione più brillante C. H. Garey (di Philadelphia), l’unico importante economista nordamericano. Egli attacca Ricardo, il rappresentante più classico della borghesia e l’avversario più stoico del proletariato, come un uomo la cui opera sarebbe l’arsenale per gli anarchici, i socialisti, insomma per tutti i nemici dell’ordinamento borghese. Egli rimprovera non solo a lui ma anche a Malthus, Mill, Say, Torrens, Wakefield, MacCulloch, Senior, Whaiely, R. Jones ecc., questi capifila dell’economia in Europa, di dilaniare la società e di preparare la guerra civile, quando dimostrano che i fondamenti economici delle varie classi debbono provocare tra loro un antagonismo necessario e sempre crescente. Egli cerca di confutarli, non certo come lo sciocco Heinzen collegando l’esistenza delle classi all’esistenza di privilegi e monopoli politici, bensì cercando di dimostrare che le condizioni economiche: rendita (proprietà fondiaria), profitto (capitale) e salario (lavoro salariato), invece di essere condizioni della lotta e dell’antagonismo, sono piuttosto condizioni di associazione ed armonia. Naturalmente egli non fa che dimostrare che le condizioni "non sviluppate" degli Stati Uniti sono per lui le "condizioni normali".
  4. Per quanto mi riguarda, non a me compete il merito di aver scoperto l’esistenza delle classi nella società moderna e la loro lotta reciproca. Molto tempo prima di me, storiografi borghesi hanno descritto lo sviluppo storico di questa lotta delle classi ed economisti borghesi la loro anatomia economica. Ciò che io ho fatto di nuovo è stato: 1) dimostrare che l’esistenza delle classi è legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione; 2) che la lotta delle classi conduce necessariamente alla dittatura del proletariato; 3) che questa dittatura medesima non costituisce se non il passaggio all’abolizione di tutte le classi e a una società senza classi. Mascalzoni ignoranti come Heinzen, i quali non solo negano la lotta, ma persino l’esistenza delle classi, dimostrano soltanto, nonostante i loro latrati sanguinari e le loro pose umanistiche, di ritenere le condizioni sociali nelle quali la borghesia domina come il prodotto ultimo, come il non plus ultra della storia, di non essere che servi della borghesia, una servitù che è tanto più ripugnante, quanto meno questi straccioni riescono a capire anche solo la grandezza e la necessità transitoria del regime borghese stesso. ...

 

http://www.prcguevara.net/formazione%20politica/MARX-ENGELS/LA%20GUERRA%20CIVILE%20IN%20FRANCIA.doc

 

Guerra civile in Francia

La guerra civile in Francia: Cronologia degli eventi
1870
10 gennaio: circa 100,000 persone dimostrano contro il Secondo Impero di Bonaparte dopo la morte di Victor Noir, giornalista repubblicano assassinato dal cugino dell’Imperatore, Pierre Bonaparte.

8 maggio: Un plebiscito nazionale si pronuncia per la fiducia all’Impero con l’84 per cento dei voti a favore. Alla vigilia del plebiscito membri della Federazione di Parigi vengono arrestati con l’accusa di cospirazione contro Napoleone III. Il pretesto viene utilizzato dal governo per lanciare una campagna persecutoria contro i membri dell’Internazionale su tutto il territorio nazionale. 

19 luglio: Dopo una lotta diplomatica riguardo alle mire prussiane sul trono di Spagna, Luigi Bonaparte dichiara guerra alla Prussia.  

23 luglio: Marx completa quello che diverrà poi il suo “Primo Indirizzo”. 

26 luglio: Il “Primo Indirizzo” viene approvato e distribuito a livello internazionale dal Consiglio Generale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori. 

4-6 agosto: Il principe Federico, comandante di una delle tre armate che invaderanno la Francia, sconfigge il Maresciallo francese MacMahon a Worth e Weissenburg, lo respinge fuori dall’Alsazia (nord-est della Francia), circonda Strasburgo, e avanza verso Nancy. Le restanti armate prussiane isolano le forze del Maresciallo Bazaine a Metz.   

16-18 agosto:  Gli sforzi del Comandante francese Bazaine di penetrare le linee tedesche con il suo battaglione, falliscono nel sangue a Mars-la-Tour e Gravelotte. I prussiani avanzano verso Chalons.

Primo settembre: Battaglia di Sedan. MacMahon e Bonaparte, provano a supportare Bazaine a Metz, ma trovano le vie d’accesso bloccate. Ingaggiano quindi la battaglia e vengono sconfitti a Sedan.  

2 settembre: L’Imperatore Napoleone III e il Maresciallo MacMahon capitolano a Sedan insieme a più di 83.000 soldati.

4 settembre: Alla notizia di Sedan, gli operai parigini invadono il Palazzo Bourbon e obbligano l’Assemblea Legislativa a proclamare la caduta dell’Impero. In serata, viene proclamata la Terza Repubblica all’Hôtel de Ville (il Municipio) a Parigi. Sale provvisoriamente in carica un Governo di Difesa Nazionale (Gdn), al fine di continuare gli sforzi bellici per cacciare i tedeschi dalla Francia.   

5 settembre: A Londra e in altre grandi città hanno luogo una serie di incontri e manifestazioni, con la contestuale approvazione di risoluzioni e petizioni volte a chiedere al Governo Britannico il riconoscimento immediato della Repubblica di Francia. Il Consiglio Generale della Prima Internazionale prende parte all’organizzazione di questo movimento.  

6 settembre: Dichiarazione del Gdn: addossa le responsabilità della guerra al governo imperiale, esprime il desiderio di pace immediata ma “non cederemo un centimetro del nostro suolo, non una pietra delle nostre fortezze”. Con la Prussia che occupa l’Alsazia-Lorena, la guerra non finisce.  

19 settembre: Due battaglioni tedeschi danno inizio al lungo assedio di Parigi. Bismarck è convinto che i “deboli e decadenti” lavoratori francesi si arrenderanno presto. Il Gdn invia una delegazione a Tours, di lì a poco raggiunta da Gambetta (fuggito da Parigi su un pallone aerostatico), per organizzare la resistenza nelle province. 

27 ottobre: L’esercito francese, con il Maresciallo Bazaine alla testa di  40.000-180.000 uomini, si arrende a Metz.

30 ottobre: La Guardia Nazionale francese viene sconfitta a Le Bourget.

31 ottobre: Alla notizia che il Gdn ha deciso di avviare negoziati con la Prussia, gli operai parigini e gli elementi rivoluzionari della Guardia Nazionale danno inizio a una rivolta, capeggiata da Blanqui. Prendono l’Hôtel de Ville (Municipio) e mettono in piedi un governo rivoluzionario – il Comitato di Salute Pubblica, alla cui testa è Blanqui. Il 31 ottobre, Flourens impedisce l’esecuzione dei membri del GDN, come richiesto da uno degli insorti. 

Primo novembre: Sotto la pressione degli operai, il Gdn promette di dare le dimissioni e di stabilire un calendario per elezioni nazionali per la Comune – promessa che non ha intenzione di mantenere. Con gli operai pacificati da questa farsa “legale”, il governo prende l’Hôtel de Ville con la violenza e ristabilisce il suo dominio sulla città assediata. Blanqui viene arrestato con l’accusa di tradimento. 

1871

22 gennaio: Il proletariato parigino e la Guardia Nazionale tengono una manifestazione rivoluzionaria inizialmente organizzata dai blanquisti, chiedendo il rovesciamento del governo e la nascita della Comune. Su ordine del Gdn, la Guardia Mobile Bretone, impegnata nella difesa dell’Hôtel de Ville, apre il fuoco sui dimostranti. Dopo il massacro di lavoratori disarmati, il governo avvia i preparativi per consegnare Parigi ai tedeschi. 

28 gennaio: Dopo quattro lunghi mesi di lotte operaie, Parigi si arrende ai prussiani. Le truppe regolari vengono disarmate ma alla Guardia Nazionale è consentito mantenere il proprio armamento. Il popolo parigino rimane armato e non concede alle truppe di occupazione che una piccola parte della città. 

8 febbraio: Elezioni in Francia, all’insaputa della maggioranza della popolazione del paese.

12 febbraio: Inaugurazione di una Nuova Assemblea Nazionale a Bordeaux; due terzi dei membri sono conservatori e desiderano porre un termine alla guerra.

16 febbraio: L’assemblea elegge Adolphe Thiers a capo dell’esecutivo.

26 febbraio: Firmato a Versailles un trattato preliminare di pace tra Francia e Germania da Thiers e Jules Favre, da una parte e Bismarck, dall’altra. La Francia cede alla Germania l’ Alsazia e la Lorena orientale, pagando un’ indennità di 5 miliardi di franchi. L’esercito di occupazione Tedesco si impegna a ritirarsi gradualmente al pagamento della somma pattuita. Il trattato di pace definitivo viene sottoscritto a Francoforte sul Meno il 10 maggio 1871.

1-3 marzo: Dopo mesi di lotte e sofferenze, gli operai parigini reagiscono con rabbia all’ingresso delle truppe tedesche in città, e alla ignominiosa capitolazione del governo. La Guardia Nazionale è in rivolta e organizza un Comitato Centrale. 

10 marzo: L’Assemblea Nazionale approva una legge sul pagamento differito delle obbligazioni in scadenza; in base a questa legge, il pagamento dei debiti sulle obbligazioni stipulate tra il 13 agosto e il 12 novembre 1870 viene posticipato. In tal modo, questa legge conduce in bancarotta gran parte della piccola borghesia.   

11 marzo: L’Assemblea Nazionale sospende i lavori. Parigi in subbuglio, il 20 marzo trasferisce la sede del governo da Parigi a Versailles.

18 marzo: Adolphe Thiers cerca di disarmare Parigi, inviandovi truppe francesi (l’esercito regolare). Tuttavia, fraternizzando con gli operai francesi, i soldati si rifiutano di eseguire gli ordini.  I Generali Claude Martin Lecomte e Jacques Leonard Clement Thomas vengono uccisi dai propri soldati. Gran parte delle truppe si ritira pacificamente, un’altra parte resta in città. Thiers è oltraggiato, comincia la Guerra Civile.  

26 marzo: Elezione di un Consiglio Municipale – la Comune di Parigi – da parte dei cittadini di Parigi. La Comune è composta da operai, tra essi alcuni membri della Prima Internazionale, e seguaci di Proudhon e Blanqui. 

28 marzo: Il Comitato Centrale della Guardia Nazionale, che fino a quel momento aveva preso parte al governo, rassegna le dimissioni dopo aver dichiarato definitivamente abolita la “Polizia Morale”.

30 marzo: La Comune abolisce la coscrizione obbligatoria e l’esercito permanente; la Guardia Nazionale, composta obbligatoriamente da tutti i cittadini abili e arruolabili, diviene la sola forza armata. La Comune rimette tutti i debiti relativi al pagamento degli affitti dall’ottobre 1870 fino all’aprile 1871. Nello stesso giorno, gli stranieri eletti alla Comune vengono confermati nel loro incarico perché “la bandiera della Comune è la bandiera della Repubblica Mondiale”.  

Primo aprile: La Comune dichiara che il salario più alto percepito da ciascun membro della Comune non sarà superiore a 6.000 franchi. 

2 aprile: Allo scopo di sopprimere la Comune di Parigi Thiers chiede a Bismarck l’autorizzazione a rinfoltire l’Esercito di Versailles con prigionieri di guerra francesi, la maggior parte dei quali aveva prestato servizio nelle truppe che si erano arrese a Sedan e Metz. Bismarck accetta, in cambio del pagamento di un’indennità di 5 milioni di franchi. L’Esercito francese comincia l’assedio di Parigi. La città viene sistematicamente bombardata, proprio da coloro che avevano stigmatizzato il bombardamento prussiano della città come un sacrilegio.
La Comune dichiara la separazione tra Stato e Chiesa, l’abolizione di ogni finanziamento statale a scopi religiosi, così come la trasformazione dei beni ecclesiastici in proprietà nazionale. La religione viene dichiarata un fatto privato. 

5 aprile: Adozione della Comune di un Decreto sugli ostaggi, nel tentativo di impedire che il governo francese metta in pericolo la vita dei Comunardi. In base a questo decreto, chiunque si fosse reso colpevole di contatti con il governo francese, sarebbe stato da considerarsi un ostaggio. Non fu mai applicato. 

6 aprile: La ghigliottina viene esposta e bruciata in pubblico dal 137esimo battaglione della Guardia Nazionale, nel tripudio popolare.  

7 aprile: L’Esercito francese prende il ponte sulla Senna a Neuilly, sul fronte occidentale di Parigi. 
In opposizione alla politica del governo francese di esecuzione dei Comunardi in ostaggio, la Comune emette la dichiarazione “occhio-per-occhio”, minacciando ritorsioni. Non avranno seguito. Gli operai parigini non giustiziano alcuno.   

8 aprile: Un decreto esclude dalle scuole tutti i simboli, i dipinti, i dogmi e le preghiere  religiose – in una frase “tutto ciò che pertiene alla sfera della coscienza individuale”. Il decreto viene gradualmente applicato.  

11 aprile: In un attacco alla zona meridionale di Parigi, l’Esercito francese è respinto con gravi perdite dal Generale Eudes.

12 aprile: La Comune decide che la Colonna della Vittoria posta in Place Vendôme, fusa dai cannoni presi da Napoleone dopo la guerra del 1809, debba essere distrutta come simbolo dello sciovinismo e dell’incitamento all’odio nazionale. Il decreto fu eseguito il 16 maggio. 

16 aprile: La Comune annuncia un posticipo di tre anni sul pagamento dei debiti contratti sulle obbligazioni, e l’abolizione dell’interesse su di esse.   
La Comune ordina un tabulato statistico delle aziende abbandonate dai proprietari, e la stesura di un piano per la gestione di queste imprese da parte dei lavoratori formalmente in esse impiegati. È previsto che i lavoratori debbano essere organizzati in cooperative, e che queste debbano formare una grande unione generale. 

20 aprile: La Comune abolisce sia il lavoro notturno per i panettieri sia i registri dei lavoratori, che dal Secondo Impero in poi erano stati monopolio di informatori della polizia – sfruttatori di primo grado. L’emissione di tali registri è affidato ai sindaci dei venti arrondissements di Parigi. 

23 aprile: Thiers rompe il tavolo dei negoziati contro lo scambio, proposto dalla Comune, dall’Arcivescovo di Parigi [Georges Darboy] e da una serie di altri preti tenuti in ostaggio a Parigi, di un solo uomo, Blanqui, eletto due volte alla Comune, ma tenuto prigioniero a Clairvaux. 

27 aprile: In vista delle imminenti elezioni municipali del 30 aprile, Thiers mette in scena una delle sue migliori pieces. Così esclama dalla tribuna dell’Assemblea: “Non c’è cospirazione contro la repubblica, se non quella di Parigi, che ci obbliga a versare sangue francese. Lo ripeto ancora una volta…”. Su 700mila consiglieri municipali, i legittimisti uniti, gli orleanisti, e i bonapartisti (Partito dell’Ordine), non arrivano a 8.000 eletti.

30 aprile: La Comune ordina la chiusura dei monti dei pegni, sulla base del fatto che costituivano uno sfruttamento privato del lavoro, ed entravano in contraddizione con il diritto dei lavoratori al possesso dei propri strumenti di lavoro e del credito. 

5 maggio: Viene ordinata la demolizione della Cappella dell’Espiazione, costruita in penitenza per l’esecuzione di Luigi XVI. 

9 maggio: Fort Issy, ridotto a un cumulo di macerie a causa dei costanti bombardamenti dell’Esercito francese, viene espugnato

10 maggio: Viene firmato il trattato di pace concluso a febbraio, noto come Trattato di Francoforte
(adottato dall’ Assemblea Nazionale il 18 maggio).

16 maggio: Viene abbattuta la Colonna di Vendôme, eretta tra il 1806 e il 1810 in onore delle vittorie della Francia napoleonica; era fatta di bronzo fuso dai cannoni presi dal nemico ed era sormontata da una statua di Napoleone.  

21-28 maggio: Il 21 maggio le truppe di Versailles entrano a Parigi. I prussiani, padroni dei fortini a nord e ad est della città, consentono alle truppe versagliesi di avanzare attraverso l’area a nord di Parigi, che sulla carta sarebbe loro preclusa, in base ai termini dell’armistizio. I lavoratori parigini tengono le posizioni con forze molto scarse. Di conseguenza, la resistenza è molto debole nella parte occidentale della città, nei quartieri borghesi, mentre si fa più forte e tenace all’avanzare delle truppe di Versailles verso la parte orientale, sito dei quartieri della classe operaia. 
L’Esercito francese impiega otto giorni a massacrare i lavoratori, sparando a vista sui civili. L’operazione è condotta dal Maresciallo MacMahon, futuro presidente francese. Decine di migliaia di Comunardi e operai vengono giustiziati sommariamente (circa 30.000), 38.000 imprigionati e 7.000 deportati. 

 

Fonte: http://www.sinistracritica.org/files/sincri/files/mat/cronologia.doc

 

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