Guerra civile Inglese

 


 

Guerra civile Inglese

 

La rivoluzione inglese

Quadro di riferimento: l’affermazione dello stato moderno

La parola “moderno” fa riferimento all’ambito dell’Umanesimo, del Rinascimento, della Stampa e altre innovazioni, che mettono al centro di tutto l’uomo e che permettono la facilità d’espansione della cultura, del sapere.
La rivoluzione è irreversibile, una volta che qualcosa evolve non si può tornare alla forma originaria.
Dal punto di vista scientifico si arriva all’analisi sperimentale, di verifica. Anche la religione ha un aspetto moderno: la tolleranza, ovvero la libertà religiosa. Nel campo economico si hanno le prime forme di capitalismo. Anche l’espansione geografica e l’inizio della globalizzazione sono segni di modernità, perché l’Europa entra in contatto con altre culture.
Un ultimo elemento di modernizzazione è lo Stato: si scopre il dualismo di corte e parlamento, che verrà chiamata monarchia parlamentare. Tuttavia anche la monarchia assoluta è un’esperienza di Stato moderno, ma quella parlamentare ci è più vicina ed è quella che avrà conseguenze maggiori.

 

Giacomo I (Stuart)

Dopo la dinastia Tudor di Elisabetta I subentra la famiglia reale degli Stuart. Giacomo I era già re di Scozia quando fu incoronato anche re d’Inghilterra (che allora comprendeva anche l’Irlanda) e quindi durante i suoi 20 anni di regno le due corone furono unificate.
Appena salito sul trono attua un forte accentramento monarchico tramite delle riforme.
Come prima cosa riafferma la chiesa anglicana, perseguitando cattolici e tutti coloro non anglicani. I sudditi sono scontenti, soprattutto perché vengono toccati alcuni dogmi della Magna Charta Libertatum del 1215, e quindi si viene a formare un’ondata migratoria molto sostanziosa verso l’America. Il sovrano aumenta la pressione fiscale, scontentando quella parte di popolo non ancora contro Giacomo I, che è incapace di far sfondare l’economia inglese nel mondo, quindi anche i ceti medi si ritrovano scontenti. Come terza riforma applica un’esautorazione dei poteri locali, impedendo al popolo ed ai suoi rappresentanti di esprimersi a piacimento. Toglie anche il diritto ai rei di essere giudicati da magistrati, impossessandosi del diritto di giudicare a piacimento le persone.

 

I problemi con il parlamento

 

A causa delle riforme c’è un contrasto tra corte e parlamento, l’unico organo in grado di opporsi al re. Giacomo I non riuscì neanche a strutturare un esercito, dato che non aveva il consenso del popolo dalla sua. Nel complesso lo stato non era solido.

 

Carlo I

 

Alla morte di Giacomo I salì sul trono Carlo I, suo figlio. Ritrovatosi con tutti i problemi del padre, attua una dura repressione contro le proteste del parlamento, sciogliendolo tre volte: nel 1625, nel 1626 e nel 1629. Nel 1628 sorgono dei gravi problemi economici e quindi Carlo ha bisogno dei soldi dei parlamentari, che accettano di prestarglieli solo se accetta un compromesso

 

La petition of rights del 1628

 

Questa petizione è una condanna di tutte le riforme messe in atto fino a quel momento, a partire da quelle del padre. Il trattato viene accettato, ma nel 1629 non rispetta il patto e scioglie nuovamente il parlamento. A questo punto la frattura tra la monarchia e i ceti borghesi e gentry è quasi totale.

 

Altre riforme

Vengono istituiti due nuovi tribunali: la camera stellata per giudicare i reati politici, e la corte di alta commissione per i reati religiosi. Altre tasse e dazi vengono imposti e scontenta i commercianti concedendo ai grandi nobili il monopolio dei commerci. Oltre alle tasse c’è anche la vendita delle cariche pubbliche e quindi lo sfruttamento del popolo. Anche dal punto di vista religioso ci sono dei cambiamenti: un arcivescovo consiglia delle riforme di stampo cattolico, che inaspriscono gli anglicani. Oltre alle riforme, il sovrano sfoggia un lusso e uno sfarzo tali da insultare il popolo, povero e in condizioni di vita precarie.

 

I tentativi di rivalsa

 

Carlo I vuole imporre la sua religione anche in Scozia, mossa che porta ad una guerra che però il sovrano non è in grado di finanziare. Chiede di nuovo aiuto al parlamento, che questa volta rifiuta e chiede l’abolizione dei tributi e la condanna a morte dei collaboratori più stretti del re. Carlo, privo di un esercito efficiente, si vede costretto ad accettare le richieste del parlamento (le stesse chieste nella petition of rights). Il conte di Stratford, principale collaboratore del re, viene condannato a morte nel 1640.

Carlo I organizza, con la scusa di una guerra in Irlanda, un esercito di cui nessuno è a conoscenza, ma viene scoperto. Nel 1641 i parlamentari decidono di prendere in mano le redini dell’esercito e le nomine ministeriali.

 

Il colpo di stato

 

All’inizio del 1642 Carlo I tenta un colpo di stato, che però fallisce. E’ costretto quindi a scappare da Londra e tutto il processo assolutistico cominciato da suo padre crolla.

 

La guerra civile

 

Scoppia la guerra civile tra il re e i cavalieri (grande nobiltà) e le “teste rotonde” (ceti bassi della società). I realisti controllano la zona nord-ovest, mentre le teste rotonde sono nell’Inghilterra sud orientale.

 

Oliver Cromwell

 

Diventa capo dell’esercito delle Teste Rotonde, riorganizza l’intero esercito e lo rinomina “New Model Army”. Lo scontro tra le due fazioni si conclude tra il 1644 e il 1645 con la vittoria di Cromwell. Il parlamento decide di smantellare la chiesa di Stato anglicana e viene giustiziato l’arcivescovo Laud, che consigliò le riforme di stampo cattolico.
I vincitori però si dividono e si creano quattro fazioni ben distinte: i Presbiteriani, che vogliono lo smantellamento della gerarchia episcopale. Gli “Indipendenti”, l’esercito dalla parte di Cromwell, che vogliono la libertà di culto per tutte le sette protestanti e i poteri del re ridotti al minimo; prendono una posizione decisamente moderata.
Ci sono anche due ali estremiste: i Levellers (livellatori) e i Diggers (scavatori). I primi volevano lo smantellamento della monarchia e l’istituzione di una repubblica governata da un parlamento eletto a suffragio universale. I Diggers chiedevano l’abolizione della proprietà privata. Nessuna di queste richieste ha però successo.

 

La proclamazione della repubblica

Carlo I cerca di riorganizzare un esercito in Scozia, dove è scappato dopo la vittoria di Cromwell, con cui cerca di invadere l’Inghilterra. Cromwell lo sconfigge, segnando la condanna a morte del sovrano nel 1649 decapitandolo, e proclamando la vittoria dei Livellatori.
Cromwell abolisce poi la Camera dei Lord e proclama la repubblica, che durerà dal 1649 al 1660.
Il periodo seguente è d’oro per l’Inghilterra, perché il condottiero riesce a proiettare la nazione verso il mondo. I commerci si sviluppano e raggiungono il Mediterraneo e l’India, infastidendo gli spagnoli, i pirati musulmani e gli olandesi.
In seguito la repubblica verrà chiamata Commonwealth, cioè la confederazione creatasi quando le colonie diventano quasi indipendenti, ma sono ancora legate alla Madrepatria.

 

L’atto di navigazione

 

Nel 1651 il parlamento propone l’atto di navigazione, in cui viene precisato che tutte le navi che arrivano in Inghilterra dovevano essere o inglesi o del loro paese di provenienza. Tra il ’52 e il ’54 scoppia una guerra a causa di questo atto tra l’Olanda, che si trova chiuse il 90% delle vie commerciali, e gli inglesi; è la prima guerra a scopo puramente commerciale. L’inghilterra vince e quindi gli olandesi devono accettare l’atto.

 

Cromwell come Lord protettore d’Inghilterra

 

Cromwell cercò anche di eliminare i privilegi dei nobili, maggiori esponenti del parlamento, e quindi le sue proposte vengono respinte.
Nel 1653 Cromwell viene nominato Lord protettore d’Inghilterra, Irlanda e Scozia, carica però non sufficiente per piegare il parlamento e quindi lo scioglie. Trasforma con l’ingegno il suo potere in una dittatura militare e poi in una monarchia ereditaria: alla sua morte gli succederà il figlio Richard nel 1658. Lo stato però non lo riconoscerà, perché non ha il prestigio che suo padre si era guadagnato. La potenza di Cromwell infatti derivava da questo.

 

La fine dell’assolutismo con Carlo II e la Restaurazione Monarchica

 

Nel 1660 il generale e capo dell’esercito Monk, per risolvere la situazione, riconvoca il parlamento e fa salire al potere il figlio di Carlo I, Carlo II. Ripristina la chiesa anglicana e la Camera dei Lord, riabilita i privilegi nobiliari e ricomincia a perseguitare i gruppi religiosi. Non si parla più però ormai di assolutismo, perché c’è collaborazione tra corte e parlamento (dualismo). L’assolutismo è finito, perché sta scomparendo la giustificazione divina del re, dato che il potere del sovrano ora deriva dal Parlamento.

 

Editto di indennità e perdono

 

I non anglicani erano perseguitati, ma con poco successo. Viene quindi emanato questo editto, grazie al quale vengono tutti perdonati, tranne gli assassini del padre, che vengono giustiziati.

 

Il Test Act e l’Habeas Corpus (libro nuovo, §2.3)

 

Tra il 1660 e il 1670 re e parlamento regnano insieme, ma a partire dal ’70 Carlo II subisce l’influenza di Luigi XIV, il re Sole, assolutista per eccellenza, che lo finanzia direttamente. Quest’influenza piace poco ai sudditi. In più il fratello, Giacomo II, ha una moglie italiana cattolica e lui stesso è cattolico e quindi Carlo II è favorevole al cattolicesimo. Il Parlamento corre ai ripari da questo “affronto religioso” e crea due leggi: il Test Act nel 1673, che esclude tutti i non anglicani dalle cariche pubbliche  e che rimane in vigore fino al 1829. La seconda legge è l’Habeas Corpus del 1679, che tutela i sospettati dagli arresti arbitrari, messa in atto soprattutto per limitare i giudizi a discrezione del sovrano. Il sistema giudiziario è posto per tutelare le leggi e non è un sistema repressivo. Diventa infatti punitivo solo nel momento in cui la persona in questione viene giudicata colpevole, e quindi gli viene inflitta una pena sempre ben calibrata e proporzionata al reato; ciò significa che ognuno ha il diritto di difendersi. Il tribunale è un luogo dove bisogna appurare la verità e, solo in un secondo momento, condannare. Di conseguenza il sistema carcerario deve rispettare i diritti della persona, è vietato il maltrattamento.

 

I Tories e i Whigs

 

Dalla discussione politica nascono due nuovi partiti: i Tories (banditi cattolici) e i Whigs (gruppo di insorti presbiteriani scozzesi). I due partiti sono in opposizione in tutto, infatti i primi sono partigiani della chiesa anglicana e sono i rappresentanti della proprietà terriera. I Tories sono favorevoli alla legittimità dinastica, ma anche ad una monarchia parlamentare. I Whigs invece sono liberali, avversari della successione cattolica, a favore della libertà di culto protestante e hanno i loro interessi economici nelle attività commerciali; infatti sono composti da moltissimi esponenti della borghesia e della Gentry. Pur essendo di idee politiche opposte, entrambe le fazioni sono anti-assolutistiche e sono loro stesse che guidano il Parlamento alla rivoluzione.
Dallo scontro escono vincitori i conservatori e quindi nel 1685 sale al trono il fratello cattolico di Carlo II, Giacomo II, ma governerà per poco tempo. Il suo mal governo gli fa perdere l’appoggio dei sostenitori parlamentari.

 

Gli errori di Giacomo II

 

Nomina, come prima cosa, dei cattolici a cariche governative, escludendo il clero anglicano, l’esatto opposto del Test Act. Fa anche accettare con la forza le sue decisioni con un esercito permanentemente schierato. Il popolo sopporta, perché il sovrano non ha eredi maschi, e quindi sono convinti che quelle ingiustizie dureranno poco tempo. Ma sfortunatamente dopo le due femmine protestanti sposate con principi protestanti, nasce anche un maschio, che salirà al trono.

 

L’alleanza

 

I Whigs e i Tories si alleano nel 1688 e invocano l’aiuto di Guglielmo III d’Orange, principe danese a cui chiedono di salvare il protestantesimo. Giacomo II è costretto alla fuga e il principe viene accettato come re perché acconsente a ricevere il potere dal Parlamento

 

La Gloriosa Rivoluzione

 

Questa rivolta degli inglesi protestanti viene chiamata gloriosa perché si conclude senza conflitti armati e senza spargimenti di sangue. E’ la seconda rivoluzione inglese, che porta ad una monarchia costituzionale. Il sovrano viene sostituito perché assolutista e cattolico, e quindi viene considerato erede illegittimo del trono britannico.

 

La monarchia costituzionale di nomina parlamentare

 

E’ una monarchia che ha alle spalle una carta costituzionale (leggi fondamentali) chiamata Bill Of Rights, redatta nel 1689, che pone dei limiti al potere monarchico e stabilisce i poteri del parlamento. Si viene a creare un nuovo dualismo tra re e parlamento.
Negli anni successivi il parlamento continua con la politica riformista e nel 1689 proclama il Toleration Act.
Tra il 1695 e il 1697 vengono emesse leggi fondamentali a favore della libertà di stampa e nel 1701 viene proposta l’Act of Settlement, che esclude tutti i figli di Giacomo II e tutti coloro che non sono anglicani dal trono d’Inghilterra. Viene così sostituita la casata degli Stuart con quella degli Hannover. Da questo momento in poi ogni sovrano deve essere anglicano, perché maggior esponente di questa chiesa.

Fonte: http://www.myskarlet.altervista.org/Scuola/Rivoluzione%20inglese.doc

 

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REPUBBLICANESIMO

 

Neorepubblicanesimo è la sigla con cui si indicano gli autori che hanno riportato in auge gli studi sulla “tradizione repubblicana” sia dal punto di vista storico che teorico. In prima istanza si è trattato di una corrente di studi storici che ha la sua origine nella “scuola di Cambridge” (J. Dunn, J. Pocock, Q. Skinner). Pettit, Kriegel, Habermas, Viroli, Marcigliano, Geuna.
Appare distinta (non opposta) sia dalla tradizione liberal che da quella comunitarista.
Skinner individua un filone “romano” alle origini del pensiero politico, che dà vita a una tradizione che va da Cicerone a Machiavelli a Harrington e Milton. Ciò che distingue i teorici neo-romani non è l’affermazione dogmatica di un modello di Stato – la Repubblica – bensì una precisa concezione della libertà. Tale concezione è la libertà come “assenza di dominio”. La “libertà dal dominio” è diversa dalla liberale “libertà dall’interferenza” perché considera libero colui che non è sottoposto all’arbitrio dell’altrui volontà, non colui che può decidere se fare o non fare una cosa senza subire interferenze esterne. La libertà negativa indica esclusivamente una “possibilità”, la libertà come assenza di dominio indica invece uno status: sono libero quando ho il controllo totale del mio destino, quando nessun altro può esercitare influenze arbitrarie (e cioè al di fuori delle prescrizioni della legge) sulla mia vita.
In questa concezione il rapporto con la legge è decisivo: mentre per i liberali la legge è un impedimento alla libertà (tesi repubblicana), per i neo-repubblicani le interferenze della legge, proprio perché prodotte da norme generali e astratte, non sono arbitrarie ma anzi tutelano la libertà. La libertà e una “libertà garantita dalla legge”. Condizione per realizzare tale libertà è che tutti partecipino alla vita politica in modo da autodeterminarsi, prendendo cioè le decisioni che determinano il proprio destino; in particolare realizzare le leggi (a cui tutti devono essere sottoposti) che eliminino i rapporti di dominio. La legge uguale per tutti garantisce l’assenza di volontà arbitrarie. Le leggi e lo Stato, che per i liberali possono essere ostacolo e interferenza, per i repubblicani sono la garanzia della libertà stessa. Dunque è libera quella forma di governo che garantisce, attraverso la legge, l’assenza di un dominio. La libertà politica è la libertà di partecipare alla vita politica della propria comunità. Libertà politica quindi non solo come diritto ma anche come dovere.
Concezione della legge – la legge non è vista come una formula neutra, astratta da qualsivoglia contesto concreto, frutto di un accordo formale (Rawls), ma come l’espressione più alta della virtù civica; una realtà che deriva la sua forza costringente dall’animo stesso del popolo; è la coscienza di un intero popolo.
Questa concezione chiama in causa la virtù, altro concetto essenziale del r.: perché la “città” sia libera è necessario che ai cittadini venga additato un modello di virtù civica cui tentare di conformarsi (tentare di conformarsi, non obbligo di identificarsi con un modello, come esigevano le utopie di derivazione giacobina sull’“uomo nuovo”). I cittadini dovrebbero crescere nell’aspirazione a incarnare quanto più possibile determinati modelli di virtù. La concezione r. della virtù si pone come “mito fondante”, non come fine da realizzare. [Critica: le “virtù civiche” del repubblicanesimo delle epoche passate erano anche “virtù militari” (es. il Machiavelli dei Discorsi).
Per il pensiero repubblicano della prima età moderna (a partire dal ‘600) anche lo “stato di natura”, la condizione che precede la costituzione della società civile e dello Stato, è caratterizzato dalla presenza del potere costituente del popolo (e non, ad esempio, dalla situazione hobbesiana di anarchia della guerra di tutti contro tutti). Si trova il popolo prima del contratto che istituisce lo Stato; il popolo già esiste “naturalmente”, non è solo una moltitudine di individui (che diventa popolo quando è stato conferito il potere al sovrano: Hobbes).

    
Definizione di “dominio”
Il repubblicanesimo, nella versione di Pettit, ambisce a costruire una terza via tra liberalismo e comunitarismo, le  due teorie concorrenti che hanno dominato il panorama degli anni Ottanta.
Si pensi a come ci si sente quando il proprio “stato del benessere” dipende dalle decisioni di altri e non è possibile reagire contro tali decisioni. Si è in una posizione nella quale si può “affondare” o “galleggiare”, sulla base di una decisione che spetta ad altri. E non si ha nessun diritto di ricorso, psicologico o legale, nessuna possibilità di salvezza, anche se ci si trova in un consesso di amici che si aiutano,                             

non si può sovvertire nulla. In queste occasioni si è nelle mani degli altri; si è alla loro mercé.
L'esperienza di dominazione (o supremazia) su di un altro assume diverse forme. Si pensi al bambino di un genitore emotivo e volubile; alla moglie di un marito occasionalmente violento; allo scolaro con un insegnante che, arbitrariamente, apprezza o disapprezza. Si pensi all'impiegato, la cui sicurezza dipende dal mantenere buoni rapporti con il proprio padrone o manager; al debitore, la cui sorte dipende dal capriccio del prestatore di denaro o dal manager di banca; o al piccolo imprenditore, la cui sopravvivenza dipende dal modo di comportarsi di un grande concorrente o da chi gestisce un’associazione. Si pensi al destinatario di interventi di sostegno sociale la cui sorte può mutare in base all’umore dell’impiegato-ragioniere che concede i contributi; all'immigrato o all'indigeno la cui condizione è vulnerabile, dipendendo dall'andamento erratico delle decisioni politiche e dei dibattiti radiofonici; o all'impiegato pubblico, la cui carriera dipende non dalle sue capacità ma dai collaboratori politici di cui un ambizioso ministro si circonda, perché li ritiene utili elettoralmente. Si pensi alla persona anziana che deve sottomettersi, sul piano culturale e istituzionale, alle volontà sfrenate di una gang di giovani della sua area. O si pensi proprio al giovane delinquente la cui punizione dipende da come i politici e i giornali scelgono di stimolare in un dato momento la cultura della vendetta.
In tutti questi casi qualcuno vive alla mercé di altri. La persona è dominata da altre, nel senso che anche se queste non interferiscono direttamente nella sua vita, hanno la possibilità di poterlo fare: vi sono alcune restrizioni o dei “pesi” che frenano il suo comportamento. Se la persona “dominata” riesce ad evitare il trattamento malevolo, questo accade per la concessione o il favore del “dominante”. La persona vive comunque sottomessa al suo potere o sotto il controllo di altri: questi ultimi occupano la posizione di un dominus - il termine latino per indicare il capo - nella loro vita.

Se si comprende l’esperienza dell’essere esposti e soggetti alla vulnerabilità di un altro e se si può osservare che cosa incute timore, allora si è sulla giusta strada per comprendere il repubblicanesimo. Il tema centrale che ha coinvolto il repubblicanesimo nel corso dei secoli è stato il desiderio di predisporre le diverse situazioni in maniera tale che i cittadini non fossero sottoposti a dominazioni di nessun genere, non dovessero vivere, come usavano dire i Romani, in potestate domini, sotto al potere di un padrone.
Questo interesse repubblicano è sempre stato espresso come un impegno per la libertà, sin da quando la libertà, secondo i canoni repubblicani, richiede espressamente l’assenza di dominazione. Per rispondere ai requisiti sottesi alla libertà repubblicana una persona deve essere un uomo o una donna indipendente e questo presuppone che essi non abbiano un padrone o dominus che li tenga sotto il suo potere, in relazione ad alcun aspetto della loro vita.
Il concetto di libertà repubblicana è più rigido, quindi, del concetto di libertà inteso nel senso contemporaneo di “non interferenza”. Si potrebbe essere abbastanza fortunati o sufficientemente accorti da evitare interferenze di qualcuno, ma se poi si vive sotto lo spettro del potere di un terzo, che potrebbe essere un datore di lavoro, uno sposo o uno sfruttatore locale, seguendo l’idea repubblicana non si è liberi in tali situazioni, anche prima che vi siano eventuali interferenze. La libertà richiede una sorta di immunità da interferenze che diano la possibilità di poter fissare chiunque altro negli occhi. Nessuno è libero se deve mantenere un occhio sempre vigile per i capricci di chi ha più potere, e, all'occorrenza, adottare attitudini servili verso costoro, come farebbe una marionetta.

Quadro storico
I temi ai quali abbiamo fatto prima riferimento hanno una lunga storia, come ci hanno dimostrato studiosi quali Pocock, Skinner e Viroli che se ne sono occupati. La “fiamma” del repubblicanesimo cominciò a divampare nella Roma classica, dove Cicerone e altri pensatori si vantavano della indipendenza e della mancanza di sottomissione del cittadino romano. Si riaccese durante il Rinascimento, quando i cittadini di città italiane come Venezia e Firenze erano fieri del modo in cui potevano tenere alte le loro teste, senza dover elemosinare favore da alcuno. Essi si sentivano cittadini “uguali” di una repubblica, ed erano di una specie politica differente dai soggetti “intimiditi” della Roma papale o della corte francese. La fiamma repubblicana passò al popolo di lingua inglese nel diciassettesimo secolo, quando la tradizione del Commonwealth, che venne plasmata durante il periodo della guerra civile inglese, fissò e istituzionalizzò l’opinione secondo la quale il re ed il popolo dovevano vivere seguendo una disciplina contenuta nella medesima legge. Secondo questa prima versione del repubblicanesimo la monarchia non andava abbandonata, ma doveva essere parte di un ordine costituzionale, e non poteva esserle concesso di diventare centro di un potere assoluto. Entusiasti all’idea di un commonwealth - termine inglese che significa “repubblica” - sostenevano che, essendo protetti da una legge chiara, nessun inglese sarebbe dipeso dalla volontà arbitraria di un altro, nemmeno dalla volontà arbitraria del re; a differenza dei francesi e degli spagnoli, gli inglesi erano una razza di vigorosi e indipendenti - anche aspri e schietti – uomini liberi. Questo dibattito ebbe naturalmente delle ripercussioni sulla storia successiva degli inglesi. Durante il XVIII secolo i coloni americani si persuasero che a loro stessi erano negate quelle libertà che invece erano dovute: ci si riferiva in particolare alla dipendenza dalla volontà arbitraria di un parlamento straniero. Forse dovevano pagare solamente un penny di tasse al governo londinese, come fece osservare uno scrittore contemporaneo, ma il governo che disponeva su di un penny aveva il potere di disporre anche su quello che rappresentava l’ultimo penny. Forse il padrone britannico era gentile e ben disposto, si adattava alle mutevoli esigenze, ma coloro che erano sottoposti al padrone gentile erano comunque dei sottoposti; non avevano l’immunità dal potere arbitrario che richiede la vera libertà. I coloni americani pensarono di sfuggire alla dominazione britannica spezzando il loro legame con il paese da cui provenivano e diedero vita alla prima grande repubblica del mondo costruita senza aiuto di alcuno.          Il precedente americano, e certamente il modello inglese di monarchia costituzionale, aiutarono nel favorire la creazione nel 1790 della repubblica francese. Questa seconda importante rivoluzione condusse, è noto, ad un regno di terrore ma nacque dallo stesso desiderio della cittadinanza di sentirsi libera dal giogo a cui era sottoposta. La libertà intesa come non dominazione, quale risultava nella tradizione francese, richiedeva eguaglianza e fraternità, e uno scenario nel quale ciascuno potesse camminare a testa alta, sicuro che nessuno fosse in grado di tiranneggiare su di lui. Ognuno poteva guardare i propri consimili negli occhi, osservare gli altri cittadini, e nessuno possedeva speciali privilegi. Nessuno doveva adulare o essere servile, nessuno doveva dipendere dalla grazia o dal favore di un altro.                          Ho osservato in precedenza che si è in grado di comprendere il repubblicanesimo se si ha la cognizione di che cosa significa la dominazione e le ragioni per cui va considerata detestabile. Nella Roma classica, nel Rinascimento italiano, durante il XVII secolo in Inghilterra o nel XVIII in America e in Francia, tutti i repubblicani videro la dominazione come il più grande pericolo da evitare organizzando una comunità e la vita sociale. Essi pensarono alla libertà come al supremo valore politico ed equipararono la libertà con il non essere sottoposto a nessun altro, anche se persona benevola o despota “protettivo”.                        La libertà repubblicana assume questi significati: essere in grado di tenere la propria testa alta, poter guardare gli altri dritto negli occhi, e rapportarsi con chiunque senza timore o deferenza.


Critiche

Il liberalismo non fa coincidere la libertà con l’assenza di leggi: questa è una caricatura del liberalismo. Dunque il neorepubblicanesimo ha fallito nel suo tentativo di darsi uno statuto dottrinale autonomo, di essere una “terza via” fra concezioni negative e positiva della libertà. Non hanno elaborato una diversa concezione della libertà, ma hanno attribuito valore, oltre che alla libertà, anche ad altri beni (sicurezza, identificazione nella comunità ecc.).

Le leggi, approvate a maggioranza, possono comprimere molte libertà individuali, o quelle di alcune minoranze. I neorepubblicani sono assai poco preoccupati dall’invadenza statale nella vita degli individui.


Fonte: http://www.rothbard.it/filosofia-politica/l-Repubblicanesimo.doc

 

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Il 1600

Introduzione generale

Malgrado le guerre europee e civili, le ricorrenti carestie e l’apparizione in diversi territori della peste, il 1500 vede un aumento costante della popolazione e, complessivamente, un miglioramento, anche se molto parziale, delle condizioni di vita, tanto che storici francesi hanno definito tale secolo “il bel cinquecento”. Il 1600 è, invece, secolo durante il quale peste, carestie, guerre colpiscono in modo più profondo l’Europa tanto che lo storico inglese Kamen definisce questo periodo “il secolo di ferro”. E’ necessaria però una precisazione: mentre alcune zone d’Europa (Spagna, Italia, Germania e quest’ultima a causa della guerra dei 30 anni) vivono una crisi profonda sia economica che sociale che culturale, altri paesi come l’Olanda, l’Inghilterra e anche la Francia si avviano verso una fase di progresso. Uno storico italiano (Scipione Guarracino) parla infatti, a questo proposito, di “un’Europa al bivio”, con un sud che regredisce e un nord che si sviluppa. Il criterio dell’Europa al bivio può servire anche per interpretare il progresso culturale che trova spazio soprattutto nei paesi del nord, protestanti e con margini di tolleranza religiosa, mentre in Italia, dominata dalla Controriforma nata dal Concilio di Trento e dai sui strumenti di repressione (l’Inquisizione e L’indice dei libri proibiti), Galileo, pur inventore del metodo scientifico moderno (fondato sull’osservazione, sull’ipotesi, sull’esperimento che convalida o meno l’ipotesi e,infine, sulle conclusioni, che devono essere conosciute e a loro volta “sperimentate” da altri scienziati), deve ritrattare la sua teoria eliocentrica (abiura) per evitare la tortura durante il suo processo voluto dall’Inquisizione.

Carestia, peste, povertà, guerra

Se non ovunque, in molti paesi europei ritorna più forte lo spettro della carestia. Essa è spesso determinata dal comportamento dei soldati mercenari, ma in generale si assiste a una diminuzione delle risorse dovuta a un peggioramento climatico (la “piccola era glaciale”). Tale diminuzione delle risorse non è compensata dal commercio dei grani internazionali (Polonia, Ucraina, regioni baltiche sono diventate, già nel 1500, grandi produttrici di grano, che viene esportato in Europa prima da Anversa e poi da Amsterdam). Quindi la popolazione, sebbene non cresca, ma anzi tenda alla “stagnazione” (anche a causa della peste, di altre malattie, delle guerre), mette in atto, di fronte alla carestia, meccanismi di controllo delle nascite. E’ il caso del “matrimonio tardivo”: ci si sposa, cioè, più tardi, intorno ai 25 anni, rispetto ai secoli precedenti. Il matrimonio tardivo risulta possibile solo nei villaggi, dove è forte il controllo sociale nei confronti dei comportamenti sessuali.
E’, inoltre, nel 1600 che, soprattutto in Inghilterra, le parrocchie cominciano ad avere registri sulle nascite, i matrimoni, i decessi. Da questi registri gli storici hanno potuto constatare la forte mortalità infantile, ma anche l’età media dei decessi (per i maschi intorno ai 30 anni, per le guerre, ma anche per i comportamenti violenti e aggressivi che caratterizzavano la vita sociale; per le femmine più tardi, a causa soprattutto del numero eccessivo di maternità). Collegata all’alta mortalità infantile, è la creazione di numerosi santuari dove si portava il bambino nato morto sperando non tanto in uno stabile “ritorno alla vita”, quanto in un breve momento di “rinascita” che permettesse però il battesimo e, quindi, la possibilità per il bambino di finire in paradiso e non nel limbo.
A livello culturale, la carestia (cioè la fame) porta al diffondersi ulteriore –già presente nei secoli precedenti- del mito del “paese della cuccagna”, un paese cioè dove era possibile sia il mangiare a proprio piacimento ( nelle canzoni popolari legate a questo mito dal cielo piovono ravioli, la pianura è dominata da una montagna di cacio…) sia la più completa libertà sessuale (sempre in queste canzoni si sottolinea che non c’è bisogno di vestiti e che nessuno ha figli da allevare e mantenere).

La fame, indebolendo i corpi, contribuisce anche alla diffusione della peste. La peste del 1600 ha però caratteristiche parzialmente diverse rispetto a quella del 1348. Come quella del 1348 è legata a un abbassamento della temperatura e a un’ insufficienza delle risorse rispetto ai bisogni della popolazione, ma non provoca una drastica e globale diminuzione demografica, bensì, complessivamente, una stagnazione. Alcuni paesi, come la Germania, subiscono un crollo verticale della popolazione, ma altri, come Amsterdam e l’Olanda, grazie a condizioni di vita migliori e a una dieta alimentare più ricca, non sono toccati dall’epidemia. Quest’ultima ha comunque una facile diffusione grazie ai soldati mercenari che, nella guerra dei 30 anni, si spostano da una parte all’altra dell’Europa. Cambia, e in modo radicale, l’interpretazione delle cause della peste: se nel 1348 essa era interpretata semplicemente come una punizione divina per i peccati degli uomini, nel 1600 si cominciano a ipotizzare “ragioni scientifiche” (anche se assolutamente infondate) della diffusione della malattia. Si parla, quindi, di “corruzione dell’aria”. Essendo quindi la causa “naturale”, diventa possibile se non eliminare, prevenire e controllare il contagio. Nascono quindi gli ufficiali di sanità, funzionari dello stato o della città incaricati innanzi tutto di raccogliere informazioni sulla situazione dell’epidemia (sapere se nella città vicina sono presenti malati è fondamentale per potere arginarne la diffusione) e di conseguenza prendere provvedimenti, che sono soprattutto di due tipi: di chiusura delle frontiere ( è anche il caso della quarantena, cioè dell’imposizione a una nave con malati di rimanere fuori dal porto per quaranta giorni) e di “contenimento” dell’epidemia attraverso vari mezzi: l’isolamento della casa dove sono presenti appestati ( e il rogo di suppellettili, materassi, vestiti di quella casa), la reclusione dei malati nei lazzaretti (da Lazzaro, l’uomo che viene resuscitato da Gesù), la proibizione di assembramenti (processioni…) che rendono più facile e veloce l’espansione. Anche nel 1600, tuttavia, si tende, secondo il meccanismo del capro espiatorio, a individuare “responsabili” della peste, ma, se nel 1300 i colpevoli erano le minoranze religiose come gli ebrei, nel secolo di ferro si accusano come colpevoli gli “untori”, persone che, “ungendo” i luoghi dove si riunisce il popolo (le panche delle chiese,  le pareti delle case di una piazza…), diffondono l’epidemia. Degli untori parla Manzoni nei Promessi Sposi, avvertendo che, essendo il milanese dominato dagli spagnoli e coinvolto nella guerra dei 30 anni, si considerano gli untori come personaggi di un “complotto politico” che ha nei nemici della Spagna, cioè nella Francia, i propri mandanti. La peste del 1600 non provoca, infine, un profondo cambiamento economico come quella del 1300, quando, di fronte al crollo demografico, molti terreni a grano vennero riconvertiti ad altre coltivazioni e attività (vite in Francia, luppolo in Germania, allevamenti di pecore in Spagna e Inghilterra…).

Altra protagonista del 1600 è la povertà. Con la crisi economica, con la guerra, con le carestie, aumenta il numero dei poveri. Diventa, però, ancora più forte quel processo di “criminalizzazione” del povero che era iniziato già nel 1500 sia tra i protestanti che tra i cattolici. Nel medioevo il povero era infatti considerato “immagine di Cristo” e aiutare i poveri era ritenuto un dovere; non solo: l’essere povero era visto come un valore (i francescani, soprattutto, si caratterizzeranno per la loro povertà sia per essere fedeli al messaggio del vangelo sia come dimostrazione di critica nei confronti della ricchezza della chiesa). Nel 1500 e nel 1600 la povertà non è più considerata un valore. Si comincia innanzi tutto a distinguere il “vero povero” (l’anziano, il malato…) dal “falso povero” (il giovane ozioso, che non ha voglia di lavorare); si proibisce quindi l’accattonaggio, il chiedere aiuto nelle piazza e  nelle chiese, di fatto impedendo la carità individuale dei singoli; infine si registra quel fenomeno che è chiamato “la reclusione dei poveri” ad opera sia di città (come Amsterdam o Lione o Bristol in Inghilterra) che dello stato (è il caso della Francia). Si fondano, cioè, luoghi, detti ospedali, dove i poveri vengono rinchiusi e obbligati  a pregare e, soprattutto, a lavorare, utilizzando persino la tortura di fronte a eventuali rifiuti. Sono famose ad Amsterdam, come luoghi di reclusione dei poveri, La casa dove si fila, per prostitute, ladre, vagabonde, persino mogli adultere, e La casa della sega per i maschi.

La prima metà del 1600 è dominata dalla guerra dei 30 anni (1618-1648) che può essere considerata sia l’ultima guerra di religione (Spagna e impero tedesco cattolici contro svedesi, danesi, principi boemi –della Cecoslovacchia- e tedeschi protestanti, aiutati tuttavia dalla Francia cattolica) che una guerra per l’egemonia sull’Europa tra Spagna e la Francia di Luigi XIII e poi Luigi XIV. E’ una guerra totale: infatti la popolazione civile è coinvolta sia dovendo ospitare e rifornire le truppe mercenarie, sia subendo, sempre da parte dei soldati, razzie, saccheggi, violenze. Il numero delle vittime tra i civili risulta, quindi, altissimo. Particolarmente colpita risulta la Germania, che è il principale teatro della guerra e che si risolleverà solo nella seconda metà del 1700, dove si scontrano due tipi diversi di esercito: quello di Wallenstein, al servizio dell’impero cattolico e costituito essenzialmente da mercenari, e quello svedese di Gustavo Adolfo, formato invece da giovani di leva. E’ infatti con la guerra dei 30 anni che si afferma il primo esercito “nazionale”, fondato sulla coscrizione obbligatoria. Fondamentale è anche ormai l’uso dell’artiglieria (cannoni, pistole, archibugi). Anche il Nord Italia, soprattutto la Lombardia, è coinvolto in questa guerra in una fase che viene chiamata la “guerra del Monferrato” e che nasce perché, rimasta Mantova senza eredi diretti, viene rivendicata sia da Gonzaga alleati dei francesi che da Gonzaga alleati degli spagnoli. La guerra si conclude con la sconfitta di fatto della Spagna e la vittoria della Francia, che diviene la principale potenza, almeno politica e militare, dell’Europa, mentre dal punto di vista religiosa viene riconfermato uno stato di fondamentale tolleranza religiosa ( e, quindi, di convivenza tra cattolici e protestanti) nei paesi del nord come la Germania.

AMSTERDAM

I Paesi bassi
I Paesi Bassi erano costituiti fondamentalmente da due regioni: le Fiandre (attuale Belgio) con città importanti come Gand, Bruges e soprattutto Anversa, e l’Olanda con Amsterdam. Appartenenti alla corona spagnola, i Paesi Bassi godevano tuttavia di un’ampia autonomia, soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione fiscale (tasse), e si caratterizzavano per una situazione, nella seconda metà del 1500, di relativa tolleranza religiosa. Infatti convivevano cattolici (maggioritari soprattutto nelle Fiandre), calvinisti (in Olanda) e altre minoranze religiose, come per esempio molti ebrei e marrani fuggiti sia dalla Spagna che dal Portogallo, quando quest’ultimo divenne spagnolo. Dal punto di vista sociale, a una aristocrazia di antica data e la cui ricchezza era costituita dalla proprietà terriera si affiancava da secoli una borghesia intraprendente e vivace, che fondava la propria forza economica sul commercio, ma anche sulla manifattura. Nei Paesi Bassi le industrie tessili lavoravano infatti la lana proveniente soprattutto dall’Inghilterra.

La guerra
Dopo la morte di Carlo V (nato a Gand e legato anche sentimentalmente alle Fiandre), Filippo II individuò in Madrid la capitale del suo impero (Spagna, Paesi Bassi, Lombardia e Italia meridionale, colonie americane). Impegnato in numerosi conflitti (contro gli ottomani nel Mediterraneo, contro l’Inghilterra di Elisabetta I…) e profondamente cattolico (dichiarò di se stesso che non sarebbe mai stato re di eretici, riprendendo e sviluppando la teoria della “limpieza de sangre” e lasciando grandi spazi di azione alla Inquisizione), Filippo II varò nuove tasse per i Paesi Bassi –per mantenere il suo esercito- e tentò di imporre l’uniformità religiosa introducendo l’Inquisizione. Queste due iniziative (che ferivano la tradizionale autonomia dei paesi bassi) provocarono una situazione di insoddisfazione sia nelle Fiandre che in Olanda, insoddisfazione che divenne aperta rivolta con la guerra corsara dei “pezzenti del mare” che ostacolavano i collegamenti navali con la Spagna ed erano agevolati dall’Inghilterra. La Spagna risponde quindi alla rivolta dei “pezzenti del mare” con la repressione militare. E’ in questo contesto che avviene la distruzione di Anversa. Anversa era fino a quel momento la città più ricca dei Paesi Bassi. Abitata da cattolici, era il centro del commercio delle spezie (che giungevano dall’Oceano Indiano grazie ai galeoni portoghesi) e il più importante mercato finanziario d’Europa. Ad Anversa avevano avuto la loro sede principale i Fugger, che avevano prestato costantemente denaro alla corona spagnole e che, di fronte all’insolvenza di quest’ultima, erano poi falliti. I mercenari dell’esercito spagnolo, essendo rimasti senza paga (anche a causa dell’azione dei “pezzenti del mare”, che avevano ostacolato i rifornimenti dalla Spagna) assediarono e saccheggiarono Anversa. Molti banchieri e commercianti cattolici emigrarono allora ad Amsterdam. Dopo questi avvenimenti, fallita la repressione militare violenta, Filippo II assume una politica più moderata (con Alessandro Farnese), riuscendo a dividere le Fiandre (che tornano alleate della Spagna) dall’Olanda, che tuttavia continua il conflitto dichiarando la propria indipendenza sotto la guida di Guglielmo d’Orange. Da questo momento, quindi, con l’indipendenza dell’Olanda, Amsterdam assume un ruolo sempre più importante nell’economia mondiale.

Le tappe del successo di Amsterdam
Sono fondamentalmente due i momenti che preparano l’affermazione economica di Amsterdam a livello mondiale:
a) la scoperta dell’America nel 1492, che significò lo spostamento del centro geografico dei commerci dal Mediterraneo (dominato da Venezia, Genova e le città ottomane) all’Oceano Atlantico e Indiano, con una nuova rotta delle spezie e con le colonie sudamericane e caraibiche produttrici di zucchero in un regime di monocoltura
b) la distruzione ad opera dell’esercito spagnolo di Anversa, il cui ruolo, sia nel commercio delle spezie che del grano e del legname dal Baltico, venne appunto assunto da Amsterdam

ECONOMIA-MONDO (BRAUDEL) E L’ECONOMIA DI AMSTERDAM (vedi fotocopie)

Il declino di Amsterdam
Di fronte alla potenza economica di Amsterdam, le reazioni sono fondamentalmente di due tipi in ordine cronologico

  1. la prima reazione è quella di imporre misure protezionistiche, a protezione cioè delle economie nazionali minacciate dalla concorrenza olandese. E’ il caso della Francia di Luigi XIV che impone pesanti dazi sulle merci importate dall’Olanda e soprattutto dell’Inghilterra con l’Atto di Navigazione ( 1651). Una delle fonti di maggiore profitto di Amsterdam era infatti l’affitto di navi ai commercianti. Con l’Atto di Navigazione chi esporta merci in Inghilterra viene obbligato ad utilizzare navi o inglesi o della nazione a cui si appartiene, impedendo così di noleggiare quelle olandesi.
  2. Anche per questa ragione scoppia un conflitto militare tra Inghilterra e Olanda, che vede quest’ultima vittoriosa, anche se non in modo definitivo. La vera sconfitta dell’Olanda avviene inseguito alla decisione di Luigi XIV di occupare il territorio olandese. Per bloccare l’avanzata del fortissimo esercito francese, gli olandesi rompono le dighe che proteggono buona parte del loro territorio dal mare (i polder sono infatti queste ampie zone di territorio olandese strappato al mare e difeso grazie a un sistema imponente di dighe). In questo modo gli olandesi riuscirono a fermare l’esercito francese, ma, contemporaneamente, distruggendo il proprio territorio, si avviarono verso la decadenza. Nel 1700, infatti, il ruolo egemonico di Amsterdam verrà assunto da Londra, che lo manterrà, anche se costantemente minacciato dalla Francia e nella seconda metà dell’ottocento dalla Germania, fino alla prima guerra mondiale.

La Francia: lo stato assoluto
Nel 1600 in Francia si afferma lo stato assoluto nella sua versione più moderna e completa. Quando muore Enrico IV (1610), diventa re Luigi XIII, ma, essendo ancora un bambino, il potere concreto sarà gestito prima dalla madre di Luigi, poi soprattutto dal cardinale Richelieu (dal 1620 al 1642) nella funzione di primo ministro. Alla morte di Luigi XIII, sale al trono Luigi XIV, ma anche in questo caso, nei primi anni del regno, il potere sarà amministrato da un altro cardinale di origine italiana, Mazzarrino. Una volta divenuto adulto, Luigi XIV realizzerà il modello più chiaro di monarchia assoluta tanto da essere definito “il re sole” (utilizzando il “sole” non solo nella sua immagine classica di fonte di luce, ma anche in riferimento alla teoria copernicana-galileiana: il sole come centro dell’universo, attorno al quale girano i pianeti)

L’assolutismo
La concezione della sovranità dell’assolutismo è ancora di tipo discendente: il potere deriva ovviamente da Dio e, per questa stessa ragione, è incontestabile. Se nel corso del 1600 è meno forte l’idea medievale del “re taumaturgo” (il re che guarisce le malattie, più precisamente la scrofola, facendo quindi il miracolo e provando così l’origine divina del suo potere), si afferma invece l’idea del supplizio pubblico (la tortura e la messa a morte del colpevole) come elemento della regalità sacra. Chi compie infatti il reato, infrangendo non solo la “legge”, ma soprattutto “la legge del re”, deve essere punito in forma pubblica (in una piazza, davanti a una massa di persone) e attraverso strumenti e modi che provocassero la maggiore sofferenza possibile. Il criminale, cioè, contro il re voluto da Dio era anche “peccatore” e il supplizio anticipava la pena nell’inferno.
L’assolutismo è dunque “un roi, un foi, une loi” (un re, una religione, una legge)

Un roi, une loi
Nell’affermazione dell’assolutismo, diventa importante l’identificazione tra il re e la legge. Nessuno può quindi condizionare il re nella definizione della legge. Dopo Enrico IV, viene convocata l’assemblea degli stati generali (costituita da rappresentanti dei tre ordini medievali: aristocrazia, clero, terzo stato, cioè coloro che lavorano –più concretamente i borghesi. Gli stati generali dovevano approvare le leggi del re) nel 1614. La monarchia assoluta non convocherà più gli stati generali fino al 1789 e tale convocazione coinciderà con l’inizio della rivoluzione francese. Chi si oppone alla concentrazione dei poteri nelle mani del re è soprattutto l’aristocrazia, che si ribellerà contro il re e, soprattutto il suo primo ministro cardinale Mazzarino, tra il 1645 e il 1653. Questa rivolta armata viene chiamata “la fronda” (la fionda) e, dopo una prima fase di successo, verrà repressa e sconfitta. Nella lotta contro la nobiltà, il re utilizzerà due strumenti
a) alleandosi e proteggendo la borghesia. Nel 1600 e nel 1700 la borghesia (insieme ai contadini, maggioranza della popolazione) è l’unica classe che paga le tasse, sempre più elevate perché si deve mantenere sia l’esercito che l’amministrazione statale che la vita lussuosa della corte. Luigi XIV affida praticamente a borghesi i ruoli principali nell’amministrazione dello stato (mentre gli alti gradi dell’esercito saranno, fino a dopo la rivoluzione francese, affidati a esponenti della nobiltà) e caratterizza la politica economica dello stato in senso mercantilista, favorendo quindi la borghesia dei commerci, delle banche e dell’industria.
b) costruendo la reggia di Versailles, dove il re si trasferisce (prima abitava a Parigi, al Louvre) e dove obbliga i nobili a vivere, trasformando la corte in una specie di “prigione dorata”. Gli aristocratici più potenti furono chiamati a corte per servire il sovrano seguendo una rigida e complessa etichetta: in questo modo il re li potè tenere sotto il proprio controllo, lontani dai propri feudi d’origine. Non solo: la necessità di condurre una vita lussuosa (vestiti eleganti e raffinati, gioielli, profumi; feste con balli, fuochi d’artificio, concerti; il gioco) costrinse i nobili a spendere, indebitandosi e diventando così sempre di più quella classe “parassita” (che consuma, ma non produce) che la rivoluzione francese avrebbe spazzato via.

Une foi
Dopo le guerre di religione della seconda metà del 1500 tra ugonotti e cattolici, culminate con il massacro degli ugonotti nella notte di San Bartolomeo, l’editto di Nantes (1598) voluto da Enrico IV (di origine calvinista, convertitosi al cattolicesimo una volta diventato re, dato che la maggioranza dei francesi era appunto cattolica) garantiva anche ai protestanti una certa libertà religiosa e città-castelli, tra cui La Rochelle, dove potersi rifugiare in caso di persecuzione. Pur essendo alleati coi principi protestanti nella guerra dei 30 anni, la politica sia di Luigi XIII che successivamente di Luigi XIV fu quella di realizzare l’uniformità religiosa del paese in senso cattolico, conquistando La Rochelle nel 1625 e provocando 25.000 morti e, quindi, revocando (eliminando) l’editto di Nantes nel 1685. Molti ugonotti (che spesso erano commercianti, imprenditori, quindi in ruoli importanti per l’economia nazionale) abbandonarono la Francia e si rifugiarono in Olanda e in Prussia, dove abitarono soprattutto a Berlino.

La politica estera
La monarchia assoluta si espresse, nei suoi rapporti con i paesi vicini, in una politica di potenza. Obiettivi della Francia, nel 1600, erano infatti sia l’ingrandimento territoriale che soprattutto l’egemonia sul continente. Obiettivi che raggiungerà partecipando alla guerra dei 30 anni (1618-1648) come alleata delle potenze protestanti contro gli Asburgo cattolici sia di Spagna che d’Austria. Con la vittoria nella guerra dei 30 anni la Francia stabilisce i propri confini orientali sul fiume Reno, acquisendo le regioni della Alsazia e della Lorena (che verranno contese sia nel corso del 1800 che nella prima guerra mondiale dalla Germania). Dal 1672 al 1678 la Francia combatte contro l’Olanda, potenza economica rivale. In questa occasione, l’Olanda riesce a bloccare il potente esercito francese distruggendo le proprie dighe e allagando i propri territori. In questo modo, però, l’Olanda si incammina verso il proprio declino di potenza.
Lo strumento di questa politica estera di potenza è soprattutto l’esercito, divenuto ormai permanente, con circa 180.000 soldati e caratterizzato da una gerarchia precisa, i cui gradi più elevati saranno comunque ricoperti da esponenti della nobiltà (almeno fino a dopo la rivoluzione francese)
Nel 1700 la Francia è sempre presente nelle diverse guerre di successione che caratterizzano la prima metà del secolo fino a giungere alla guerra dei sette anni (1756-1763) dove si scontrerà, per l’egemonia sul commercio internazionale, con l’Inghilterra e in Europa con la Prussia di Federico II, rimanendo sconfitta in entrambi i conflitti.

La politica economica
Pur essendo l’economia francese soprattutto agricola (e pur essendo l’ottanta per cento dei francesi legati all’agricoltura in diversi ruoli), la politica economica della monarchia assoluta sarà orientata verso la difesa delle attività commerciali e industriali. Questa politica è definita mercantilismo, che ritiene che la ricchezza di uno stato si fondi sulla disponibilità di moneta. La politica economica mercantilista della Francia è guidata, ai tempi di Luigi XIV, dal ministro Colbert e nasce soprattutto per contrastare la potenza economica olandese. In questa prospettiva vengono attuate diverse strategie
a) dazi sulle merci straniere importate, in modo che queste, costando di più, non siano acquistate
b) potenziando lo sviluppo del commercio internazionale e dell’industria nazionale. Lo stato infatti agevola le compagnie coloniali, ma anche le industrie nazionali (per esempio quella della seta di Lione) con sovvenzioni (aiuti). Per quanto riguarda il rapporto con le colonie, anche la Francia (come l’Olanda e l’Inghilterra) realizzerà misure di tipo protezionistico (divieto ai coloni di commerciare con altri paesi diversi dalla Francia, obbligo di acquistare solo merci francesi ecc)  

Domande
1) Quali sono i principali personaggi della Francia del 1600?
2) Qual è la concezione tradizionale della sovranità assoluta?
3) Quali sono gli elementi che caratterizzano la sovranità sacra?
4) Come realizzano i sovrani francesi l’assolutismo in politica interna?
5) Perché i sovrani francesi combattono contro la nobiltà?
6) Come i sovrani francesi combattono contro la nobiltà?
7) Spiega in che senso la nobiltà francese diventa un “ceto parassita”?
8) Quali sono le caratteristiche della borghesia francese?
7) cosa sono gli stati generali?
9) Qual è la situazione religiosa in Francia tra la seconda metà del 1500 e l’inizio del 1600?
10) Cosa prevede l’editto di Nantes e da chi è stato promulgato?
11) Qual è la politica religiosa della monarchia assoluta?
12) Quali sono le conseguenze della revoca dell’editto di Nantes?
13) quali sono gli obiettivi della politica estera della Francia?
14) A quali guerre partecipa la Francia tra il 1600 e il 1700?
15) Quali sono le principali differenze tra le guerre del 1600 e quelle del 1700 dal punto di vista della Francia? Con quali conseguenze per la Francia?
16) Che cos’è il mercantilismo? Quali sono le misure del mercantilismo?
17) In quale contesto storico nasce il mercantilismo francese? Da chi è voluto?
18) Quali sono i rapporti tra madrepatria e colonie nella politica mercantilista
Sintesi
Il 1600 è per la storia dell’Inghilterra un secolo fondamentale poiché vede lo scontro tra monarchia assoluta e parlamento, che diverrà anche guerra civile. Alla fine del secolo, tuttavia, sarà il parlamento a risultare vincitore in questo conflitto e dalla monarchia assoluta si passerà a quella “costituzionale” le cui novità saranno fondamentalmente due: a) il potere del sovrano non deriva da Dio (concezione discendente), ma dal popolo (concezione ascendente); b) il compito del re è quello di garantire e tutelare i “diritti” umani (alla vita, alla libertà, alla proprietà privata) dei suoi sudditi  e, nel caso egli non garantisca e tuteli tali diritti, i sudditi hanno l’ulteriore diretto di ribellarsi al re.
1) Quale conflitto caratterizza il 1600 inglese e con quale esito?
2) Quali sono le principali novità politiche che emergono dal 1600 inglese?

Precedenti
Per comprendere il 1600 in Inghilterra bisogna tenere conto di alcuni dati
a) prima che in altre nazioni, l’Inghilterra aveva realizzato forme parziali di assemblee di controllo dell’operato del re. Già con la Magna Charta (1215) erano stati posti limiti al potere del re, così come con misure successive nel 1200 erano nate la Camera dei Lord ( con rappresentanti dei nobili) e quella dei comuni (con rappresentanti della borghesia)
b) la nobiltà inglese è, dopo il 1400, meno forte di quella francese. Infatti, a seguito della guerra delle due rose (tra il 1455 e il 1485) la nobiltà inglese si era praticamente autodistrutta in una guerra civile. Questa debolezza della nobiltà inglese, aveva permesso la riaffermazione della monarchia assoluta nel 1500 con Enrico VIII e sua figlia Elisabetta I
c) in seguito al rifiuto da parte del papa di concedere il divorzio a Enrico VIII dalla moglie Caterina d’Aragona (di origine quindi spagnola), Enrico VIII, con l’ Atto di supremazia (1534), aveva fondato la chiesa anglicana, distaccandosi da Roma (scisma) e collegandosi al protestantesimo. Di questa chiesa, il re era il capo e nominava i vescovi. Si tratta, quindi, di una chiesa di stato, dove il potere politico e quello religioso sono strettamente legati. Anche Elisabetta combatte strenuamente contro il cattolicesimo e si presenta come l’avversaria principale della potenza spagnola di Filippo II, che era invece il massimo esponente del cattolicesimo. Filippo II tenterà l’invasione dell’Inghilterra fallendo. Già durante il regno di Elisabetta, inoltre, si diffondono in Inghilterra gruppi di protestanti, soprattutto di origine calvinista, che saranno numerosi anche in Scozia, mentre i cattolici continueranno ad essere maggioranza in Irlanda
3) Quando e in che modi vengono posti limiti al potere del re?
4) Perché la nobiltà inglese risulta più debole di quella francese?
5) Quando e con chi si riafferma la monarchia assoluta in Inghilterra?
6) Cosa nasce con l’Atto di supremazia? Quali sono i rapporti tra sovrano inglese, chiesa anglicana e chiesa cattolica?
7) qual è, quindi, la situazione complessiva dal punto di vista religioso in Gran Bretagna?

La prima metà del 1600
Alla morte di Elisabetta I (che aveva regnato dal 1558 al 1603), sale al potere Giacomo I Stuart (1603-1625). Giacomo I, oltre a riunire Inghilterra e Scozia sotto la sua corona, riafferma con forza non solo la monarchia assoluta, ma anche l’origine sacra del suo potere e difende strenuamente la chiesa anglicana, criticata soprattutto da gruppi di origine calvinista, che vengono chiamati puritani. Alla sua morte, gli succede Carlo I (dal 1625 al 1649). Con Carlo I lo scontro con il parlamento diventa più aspro. Il parlamento chiede con sempre maggiore forza che siano rispettati i suoi diritti, tra cui quello di approvare le tasse. Il re, invece, decide una tassa per la difesa marittima dell’Inghilterra (ship money) senza che essa sia approvata dal parlamento. Intanto scoppiano ribellioni in Scozia (1640) e in Irlanda (1641). Il re deve reprimere queste ribellioni e ha bisogno di denaro per organizzare un esercito. Convoca, quindi, il parlamento perché approvi tasse che permettano la costituzione di un esercito, ma il parlamento non solo rifiuta, ma si scontra frontalmente con il re, organizzando a sua volta un proprio esercito. Si registra, quindi, una situazione di “dualismo di poteri”. Il re è sconfitto e imprigionato. In parlamento si sviluppa un dibattito tra chi vuole mantenere la monarchia e chi vuole la repubblica (Cromwell, livellatori). Intanto il re riesce a fuggire in Scozia, ma viene successivamente catturato di nuovo. Cromwell sconfigge in parlamento i moderati che vogliono salvare la vita del re e mantenere la monarchia, arrestandone i principali esponenti. Nel 1649, quindi, viene eseguita l’esecuzione di Carlo I e  nasce la repubblica, che avrà come proprio leader (lord Protettore) lo stesso Cromwell.
8) Quali sono le iniziative politiche di Giacomo I?
9) Su quale questione si concentra lo scontro tra Carlo I e il parlamento?
10) Perché Carlo I è costretto a riconvocare il parlamento?
11) In che senso si realizza un “dualismo di poteri” e come si esprime?
12) Qual è l’esito della guerra civile tra il re e il parlamento?
13) Quali sono i contenuti del dibattito e tra quali schieramenti, una volta sconfitto Carlo I?
14) Qual è l’esito di questo conflitto in parlamento?

Il new model army (l’esercito di nuovo tipo)
Il parlamento riesce a sconfiggere il re grazie a un nuovo tipo di esercito che viene organizzato da Oliver Cromwell, un gentiluomo puritano. Mentre gli eserciti tradizionali arruolavano, a causa della paghe basse, soprattutto poveri (disoccupati, proletari di Londra), che spesso saccheggiavano e derubavano, grazie alla forza delle armi, i civili indifesi, Cromwell decide salari alti per i soldati. In questo modo (oltre ad evitare i saccheggi e a conquistare così il consenso della popolazione) si arruolano persone che non hanno bisogno strettamente di quel salario, ma individui che credono agli scopi per i quali combatteranno, cioè l’abbattimento della monarchia e la creazione della repubblica.. L’esercito del parlamento risulta così costituito da persone convinte e motivate. Non solo: l’esercito diventa un luogo di dibattito e di preghiera. I soldati, soprattutto piccoli artigiani, commercianti o coltivatori, sanno leggere e sono puritani o di altri gruppi protestanti di minoranza; si alternano così momenti di lettura delle sacre scritture e di preghiera a momenti di dibattito politico. In questa situazione si confrontano e scontrano Cromwell e i “livellatori”, un gruppo politico che potrebbe essere definito democratico. Entrambi credono alla repubblica, alla separazione tra stato e chiesa come condizione per realizzare la libertà religiosa e alla difesa della proprietà privata. Cromwell ritiene però che, nella repubblica, possano votare solo le persone con un certo reddito e istruite (suffragio censitario), cioè quelle che hanno un interesse concreto nel destino dello stato, mentre i livellatori credono che ogni individuo abbia il diritto naturale di esprimere la propria idea e quindi di votare (suffragio universale), al di là della sua condizione economica e del suo livello di istruzione. Entrambi, infine, ritengono che il potere nasca da un patto del popolo e che il “sovrano” sia di fatto un “funzionario” dello stato che ha il compito di tutelare e difendere i diritti degli individui. Cromwell e i livellatori sono anche d’accordo sul fatto che le donne non possano votare perché, essendo sottoposte alla autorità di un maschio -o padre o marito-, non sono di fatto libere e autonome di esprimere il proprio parere, ma sono condizionate.
15) Quali sono le caratteristiche del new model army che lo distinguono dagli eserciti tradizionali?
16) Chi sono, quindi, i soldati del new model army?
17) Su quali argomenti sono d’accordo e su quali in disaccordo (e per quali ragioni?) Cromwell e i livellatori?
18) Che cosa significa suffragio universale e censita rio? Perché Cromwell è a favore del suffragio censita rio?
19) Perché, secondo sia Cromwell che i livellatori, le donne non possono votare?

La seconda metà del 1600 e la “gloriosa rivoluzione inglese”
Per dieci anni Cromwell governa l’Inghilterra come lord protettore attuando una politica interna di repressione nei confronti degli avversari (elimina anche i livellatori, arrestando e condannando a morte i loro principali esponenti; conquista l’Irlanda, dimostrando ferocia nei confronti dei cattolici e imponendo a loro un dominio assoluto) e una politica economica che ha come scopo lo sviluppo della Inghilterra come potenza marittima e commerciale. In questa contesto vanno inserite le guerre contro l’Olanda e, soprattutto, gli Atti di navigazione del 1651, una misura di tipo mercantilista e protezionista. Dato che l’Olanda realizzava ingenti guadagni affittando proprie navi nel commercio tra Europa e Inghilterra, con gli Atti di navigazione Cromwell stabilisce che tali commerci possano essere realizzati solo con navi inglesi o con navi del paese da cui provengono le merci che devono essere vendute in Inghilterra. Alla sua morte (dopo un breve periodo di governo del figlio, che non ha però la stessa forte personalità e  intelligenza del padre), ritorna la monarchia con Carlo II e Giacomo II. Entrambi tentano di riaffermare la monarchia assoluta e la supremazia della chiesa anglicana, finché Giacomo II, senza consultare il parlamento, abolisce una legge (il Test Act, che prevedeva che solo gli anglicani potessero occupare cariche pubbliche). Riscoppia, quindi, il conflitto con il parlamento che chiede a Guglielmo III d’Orange di diventare re, mentre Carlo II fugge in Francia alla corte di Luigi XIV. Guglielmo d’Orange accetta e sottoscrive Bill of Rights (carta dei diritti). Dichiara innanzi tutto di essere re non per volere divino (concezione discendente), ma per volontà del popolo inglese (concezione ascendente della sovranità). Riconosce al parlamento il potere legislativo (cioè di fare leggi) e l’inamovibilità dei giudici. Infine riconosce come diritti naturali a ogni individuo quelli alla vita, alle libertà (di culto, di parola, di associazione e di proprietà). E’ quindi la “gloriosa rivoluzione inglese” da cui nasce la prima monarchia costituzionale, caratterizzata anche dalla divisione dei tre poteri.

 

Fonte: http://www.bassilo.it/documents/Il%201600.doc

 

Guerra civile Inglese

LO STATO PARLAMENTARE (1600)

In Inghilterra, sin dal Duecento, esisteva l’istituzione del Parlamento, formato dalla Camera dei Lords (aristocratici e alto clero) e dalla Camera dei Comuni (rappresentanti delle città, basso clero, piccola nobiltà). Il parlamento aveva la funzione di controllare l’operato del re.
Enrico VIII (1491–1547, re dal 1509), della dinastia dei Tudor, cercò di rimediare alla situazione disastrosa in cui si trovava l’Inghilterra nel Cinquecento, in cui i signori feudali (i Lords) traevano sempre meno ricchezza dalle loro terre, le casse dello stato erano sempre vuote perché non si riusciva a far pagare le tasse ai sudditi, l’esercito del re non era sufficiente a mantenere l’ordine e a difendere i sudditi, e una massa di guerrieri impoveriti vagava per il paese a razziare villaggi. Il re (famoso per aver avuto sei mogli) cercò di rafforzare la monarchia coinvolgendo il Parlamento nelle sue decisioni e cercandone sempre il consenso. Enrico VIII fondò la Chiesa Anglicana per poter divorziare e sposare Anna Bolena, che doveva dargli un erede maschio: il Parlamento approvò la sua decisione proclamando l’Atto di Supremazia (1534), il quale stabiliva che il capo della chiesa inglese era il re, e non più il papa. In questo modo la monarchia poté impadronirsi della gran parte delle terre della Chiesa cattolica per rivenderla poi ai Lords a prezzi di favore, e riempire così le casse del re.
Dopo Enrico VIII, regnarono i suoi figli: per un brevissimo periodo Edoardo VI, poi Maria (detta “la sanguinaria” per aver perseguitato i protestanti) ed infine, dal 1558, Elisabetta I (1533-1603), la  figlia di Anna Bolena, seconda moglie di Enrico VIII (condannata a morte per aver tradito il marito). Elisabetta fu una grande regina, molto colta (conosceva gli autori classici, il latino, il francese, lo spagnolo e l’italiano) ed energica, che seppe prendere decisioni importanti per l’Inghilterra, governando per 45 anni (che furono poi chiamati “età elisabettiana”) in cui fiorirono l’arte e la cultura (William Shakespeare visse in questo periodo). Elisabetta salì al trono in un momento di crisi per l’Inghilterra, ma riuscì a riportare l’ordine, riaffermando con forza l’anglicanesimo, limitando la libertà di culto e il fanatismo di cattolici e puritani, e riempendo le casse dello stato grazie anche ad audaci capitani che esploravano il mondo per conto della regina inglese, e spesso assaltavano le navi straniere cariche di oro (si tratta dei corsari, come il celebre Francis Drake). Nel 1588 il cattolicissimo Filippo II d’Asburgo (1527-1598), re di Spagna e figlio di Carlo V, organizzò una spedizione navale contro la regina inglese, che egli detestava per vari motivi (per es. Elisabetta era anglicana, e in più non aveva accettato la sua richiesta di matrimonio; essa infatti non si sposò mai). La flotta di galeoni di Filippo II (la famosa Invicibile Armata) attraversò la Manica, ma le piccole e veloci navi dei corsari inglesi la decimarono. Le poche navi spagnole superstite vennero travolte da una terribile tempesta sulla via del ritorno.
Dopo Elisabetta I, morta senza figli, salì al trono Giacomo I della famiglia Stuart, e poi suo figlio Carlo I (1600-1649), il quale si trovò subito di fronte a gravi problemi: i Lords erano di nuovo insoddisfatti e pieni di rancore verso il re, la ricca e potente borghesia (di fede prevalentemente puritana) voleva continuamente discutere le proprie richieste in parlamento (abbassare le tasse doganali, facilitare i commerci, etc.) e le casse del re continuavano ad impoverirsi a causa delle forti spese per la vita lussuosa della corte e le guerre volute dal re. Carlo I agì in modo autoritario, senza consultare il parlamento: impose delle tasse “antiborghesi” (tasse sulla birra o sulle merci scaricate nei porti) e istituì alcuni monopòli (per es. quello del sapone). L’atteggiamento del re scatenò una tremenda guerra civile (dal 1642 al 1645), che fu vinta dai broghesi guidati da Oliver Cromwell, il quale dopo essere andato al potere, fece decapitare il re. Dopo la guerra, in Inghilterra si crearono due schieramenti politici: i tories (legati ai lords, alla Chiesa anglicana e alla monarchia) e i whigs (legati alla borghesia, di tendenza puritana e difensori del parlamento contro le pretese assolutistiche del re). Nel 1688 i whigs insoddisfatti della famiglia Stuart, offrirono la corona al principe olandese Guglielmo d’Orange, il quale sbarcò in Inghilterra, facendo fuggire il re Carlo II, figlio di Carlo I (questo episodio viene ricordato come la Gloriosa rivoluzione). Guglielmo divenne re e accettò di sottoscrivere il Bill of Rights, un documento in cui si ponevano dei limiti all’azione del sovrano e si affermavano i diritti del parlamento. Venne anche ribadita con forza la legge medievale dell’Habeas Corpus  (nessuno poteva essere arrestato e condannato senza un motivo). A differenza della Francia, dunque, in Inghilterra il processo di creazione di uno stato moderno fu guidato dalla classe della borghesia (anziché dal re), la quale riuscì ad abbattere il potere degli aristocratici e a limitare quello della monarchia. Nacque così il nuovo modello dello Stato parlamentare, in cui per la prima volta vengono stabiliti con leggi scritte diritti e doveri di tutti i cittadini. I mercanti inglesi trassero vantaggio da questa situazione di maggior giustizia e stabilità politica, ed estesero in tutto il mondo i loro commerci: attraverso la compagnia delle Indie Orientali importavano prodotti dall’oriente (tè, caffè, seta, cotone) e, sopratattutto, navigavano nell’Atlantico verso l’America del Nord, dove l’Inghilterra aveva fondato 13 colonie e dove aveva il monopolio del commercio degli schiavi provenienti dall’Africa. Agli inizi del Settecento l’Inghilterra era ormai la più grande potenza navale al mondo.
Anche in Olanda si era formato uno stato parlamentare, in questo caso una repubblica. L’Olanda, prevalentemente puritana, divenne in breve tempo una grande potenza economica in cui l’intraprendenza dei borghesi puritani venne premiata da grandi successi: lo sviluppo della pesca e della salatura, la creazione dei polder per estendere il terreno coltivabile, il commercio dei tulipani e di vari tipi di macchine (tra cui gli orologi). Anche i mercanti olandesi formarono la loro compagnia delle Indie Orientali che creò una fittissima rete di commerci mondiali, aiutati da una forte flotta di navi da guerra.

 

Fonte: http://digilander.libero.it/umorizmo/77statoparlamen.doc

 

Guerra civile Inglese

L’EPOCA DELLE GUERRE DI RELIGIONE IN EUROPA

1.
Fra la metà del 1500 e la metà del 1600, dunque per la durata di circa un secolo, le nascenti monarchie in Europa sono insanguinate dalle guerre di religione, che prendono un duplice aspetto: quello della guerra civile in seno alle popolazioni, e quello della guerra tra Stati.
2.
Le popolazioni coinvolte dalle guerre di religione furono in particolare quelle della Francia, dell’Olanda, dell’Inghilterra e della Scozia, della Boemia e naturalmente della Germania. Presero parte alle guerre di religione anche la Spagna, l’Impero d’Austria, la Danimarca e la Svezia.
3.
L’espressione  “guerre di religione” si riferisce alla lotta fra Protestanti e Cattolici, oppure tra seguaci di diverse Chiese “riformate”, come in Inghilterra la lotta tra Anglicani e Puritani.
4.
Bisogna ricordare che la Riforma protestante fu un fenomeno di vastissima portata e di natura fortemente contrappositiva alla Chiesa cattolica. La polemica dei vari fondatori della Riforma (Lutero, Calvino, ecc.) contro il Papato romano fu subito radicale e violenta, perché essi non esitarono a indicare nel Papa la figura apocalittica dell’Anti-Cristo. La violenza si caricò naturalmente di motivi politici e sociali, quando la contrapposizione si estese anche alle popolazioni.
5.
Bisogna capire che le fede religiosa, quando è vissuta in modo profondo, è l’espressione umana più esaltante che ci sia. Ma la fede può anche sconfinare nel fanatismo religioso, che induce a credersi “eletti” da Dio al punto di odiare come nemico chi mette in dubbio la “verità” per cui ci si sente eletti. Il nemico allora diventa “nemico radicale”, perché è nemico di Dio. Nelle fasi più acute delle guerre di religione, il fanatismo protestante non esitava a demonizzare i cattolici, considerandoli seguaci del Diavolo. Dove non c’era possibilità di conversione religiosa, subentrava la violenza più sanguinaria. Per reazione i cattolici esercitarono sovente una violenza non meno estrema.
6.
Bisogna comprendere che la Riforma protestante fu un grande evento religioso, che determinò una sorta di risveglio delle popolazioni dell’Europa non romanizzata. I capi della Riforma seppero infondere nei loro seguaci una coscienza spirituale elevata. Ma alla base di questo c’era comunque una contrapposizione con la Chiesa, che alimentò moltissimo il fenomeno protestante. Quando il fenomeno protestante si caricò di motivi politici, economici e sociali degenerò necessariamente in guerre spietate, proprio perché giustificate dalla fede religiosa.
7.
Le guerre di religione furono anzitutto delle “guerre civili”, perché si svolsero fra parti opposte della medesima popolazione. Questo avvenne specialmente in Francia nella seconda metà del 1500 (epoca degli ultimi Valois), in Olanda sotto la monarchia spagnola di Filippo II e Filippo III, in Inghilterra nel corso del 1600 (rivoluzione puritana), in Germania durante la “guerra dei Trent’anni” (1618-1648) che in realtà fu una vera guerra europea.
8.
La manifestazione di queste guerra fu caratterizzata dal concetto di “nemico radicale” o “nemico assoluto”. Cosa significa? In precedenza le guerre erano “regolate” da una sorta di convenzione, basata sul fatto che le milizie “mercenarie” o reclutate a forza dai sovrani non erano animate da odio verso l’avversario, ma solo dal desiderio di guadagno e di bottino, o anche da sentimenti come l’onore militare, lo spirito avventuroso, il coraggio fisico ecc. Perciò in precedenza le guerre si concludevano in genere quando una delle due parti si sottraeva al combattimento o si arrendeva. Il tutto, entro certi limiti, era “garantito” dall’influenza di una Chiesa comune, che per tutto il Medioevo aveva esercitato un “controllo” sui limiti della guerra.

9.
Infatti nel corso dei secoli medievali la Chiesa aveva sostenuto la dottrina del justum bellum (“guerra giusta”) di origine romana. Già per l’antica tradizione romana, la guerra è sempre un’eccezione, una violazione della pace che costituisce invece lo stato “naturale”. Sul piano giuridico-religioso la guerra fu sempre concepita dai Romani come rottura traumatica delle naturali relazioni pacifiche tra i popoli La guerra giusta era un diritto di muovere guerra (cioè una giustificazione “morale) strettamente legato a una legge precisa (“fas”, ciò che è religiosamente lecito), dovuto a una necessità.
10.
Secondo la dottrina cristiana del bellum justum, la guerra in alcuni casi è lecita, moralmente giusta, in quanto opera di pace, ispirata da una recta intentio bellandi. Per essere giuste le guerre devono avere una giusta causa (justa causa). Agostino, Graziano, Tommaso e tutti i grandi teologi medievali fino a Francisco de Vitoria, hanno inserito nelle proprie opere liste di justae causae belli.
Analoghi elenchi vennero compilati, simmetricamente, per definire le cause che rendevano ingiusta una guerra (injustae causae belli), come la libido dominandi, la aviditas adipiscendae laudis humanae, la imperii amplificatio, la diversitas religionis, la principis gloria propria e molte altre.
11.
Queste considerazioni portano a comprendere il carattere estremo delle guerre di religione che ebbero luogo in Europa tra il XVI e il XVII secolo, dove cioè era venuta a mancare la figura del “garante” super partes, con funzioni di giudice e mediatore nelle controversie internazionali (cioè il Papa con la sua sovranità morale). Il nemico radicale infatti è la forma che assume il concetto di “nemico” quando manca una sovranitas riconosciuta da tutti i contendenti, allorché il fanatismo religioso “disumanizza” l’avversario.
12.
Questo è anche dovuto al carattere della “guerra civile”. Essa rappresenta l’illegalità assoluta, perché rompe proprio quel vincolo comunitario che rende possibile l’esistenza di una legge. Nelle guerre civili gli opposti nemici si ritrovano a vivere a fianco a fianco, come si è visto nel decennio 1990-2000 nella ex-Iugoslavia e quindi la lotta avviene fra la popolazione civile. Si tratta del genere di guerra più feroce che ci sia, perché è del tutto privo di regole e di limiti.
13.
Quali furono le conseguenze delle guerre di religione in Europa? La nascita degli Stati moderni, nella forma che venne definita “Assolutismo”. Lo Stato assolutista nasce come soluzione del problema delle guerre di religione. In pratica è il monarca colui che “impone” un’unica religione comune a tutta la popolazione, iniziando un processo di drastica unificazione.
14.
Che cosa vuol dire “Assolutismo”? L’espressione giuridica (di origine medievale) della sovranità monarchica è “superiorem non recognoscens est rex” (chi non riconosce altro di superiore a sé è il re). Ma la formula caratteristica dell’Assolutismo regio è “voluntas regis lex est”, la volontà del re è legge. Vuol dire che è legge, che assume immediatamente il carattere imperativo universale il volere, cioè la persona fisica e morale, del re.
15.
Si tratta di una nuova concezione della sovranità, che emerge con la fine della sovranità medievale, che era fondata sulla diarchia Papa-Imperatore. Che il volere del re sia “legge” non vuol dire che il re possa fare tutto quello che vuole. Non vuol dire puro arbitrio. Il re era “controllato” e limitato da un sistema capillare di organi periferici (“parlamenti”, Cortes ecc.) che, per esempio, avevano la facoltà di discutere i prelievi fiscali o comunque le decisioni che coinvolgessero la popolazione. Inoltre si faceva sentire la rivendicazione di autonomia della grande feudalità (“nobiltà”) di origine più antica.

 

16.
Monarchi “assolutisti” sono i Borbone di Francia (Luigi XIII, Luigi XIV), gli Asburgo di Spagna (Filippo II, Filippo III), gli Stuart d’Inghilterra (Giacomo I e II, Carlo I e II). In genere l’Assolutismo in Europa si trasforma in Monarchia “parlamentare”, a cominciare dall’Inghilterra del 1700 e attraverso il grande fenomeno politico-culturale dell’Illuminismo.
17.
Lo Stato moderno nasce come Stato assolutista perché il monarca detiene una sovranità esclusiva. Per chi avesse dei dubbi, quello di sovranità è il concetto-chiave di tutta la storia. La sovranità esprime il principio politico fondamentale. E’ quello che determina la ragione e l’ordine di una parte della terra. Per esempio nel Medioevo la sovranità diarchia del Papa e dell’Imperatore si estendeva all’intera Europa cristiana (concetto di “Christianitas”).
18.
Con lo Stato assolutista emerge altresì una nuova concezione dei rapporti umani entro una determinata comunità, oppure fra Stati. E’ la concezione del diritto naturale, che è di origine greca e romana (Cicerone), ma che ora viene ad assumere un significato diverso, perché il suo scopo è quello di porre limiti alla violenza, esercitata in nome della religione.
19.
I teorici del diritto avevano a che fare con due questioni distinte: il trattamento delle popolazioni indigene d’oltre Oceano (colonie), e i rapporti tra seguaci di fedi religiose diverse. Del primo caso abbiamo già parlato (De Vitoria). Nel secondo caso ci furono tre soluzioni diverse.
20.
La prima fu teorizzata da J.Locke in Inghilterra alla fine del 1600 con la concezione della “tolleranza” e consisteva nella riduzione delle fedi alla sfera privata, con l’eccezione della religione “pubblica” del re.
La seconda risaliva alla pace di Augusta del 1555 con il concetto “cuius regio eius religio”, che escludeva quanti non professassero la religione del principe.
La terza si diffuse (sempre influenzata da J.Locke) con l’Illuminismo e consisteva, in pratica, nella riduzione di ogni fede religiosa a “superstizione” (è il cosiddetto Deismo).
21.
Anche il filosofo Grozio (latinizzazione del nome olandese di Van Groot) fondò la dottrina del “Giusnaturalismo” su una sorta di “religione naturale”, fondata sulla sola ragione e comune a tutti gli uomini. Nel suo De jure belli ac pacis (Il diritto della guerra e della pace, 1625) sosteneva, sulla base di antiche concezioni greche, che il “diritto naturale” si fonda esclusivamente sulla ragione umana. Il valore (buono o cattivo) delle azioni umane si misura col metro della sola ragione, “etsi Dueus non daretur” (anche se Dio non ci fosse). Ciò che non ha argomentazioni “razionali” (come le fedi religiose) esula dal giudizio sul bene e sul male e perciò non può essere esecrato o punito.
22.
Grozio individua i diritti naturali in: l’astenersi dalle cose altrui, la restituzione dei beni altrui e del lucro da essi derivato, l’obbligo di mantenere le promesse, il risarcimento del danno arrecato per colpa propria e il poter essere soggetti a pene tra gli uomini.
23.
Con il giusnaturalismo si fa strada, attraverso Grozio e altri teorici del diritto, la concezione “contrattualistica” dello Stato. Alla base della sovranità del monarca c’è un “contratto” stipulato fra gli uomini. Questa concezione si fonda su una concezione puramente “razionale” (e non dipendente dalla fede religiosa) della sovranità.

 

Fonte: http://www.istituto-santanna.it/Pages/LiceoScientifico/guerre%20di%20religione%20per%20la%20quarta.doc

 

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