Guerra nel Kosovo

 


 

Guerra nel Kosovo

 

LA GUERRA NEL KOSOVO


Riassunto della guerra:
Una tra le più sconvolgenti tragedie della fine di questo secolo è sicuramente quella del Kosovo: una tragedia oscura, drammatica, nella zona esplosiva dei Balcani, già protagonista dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il Kosovo, situato nella penisola balcanica, a ridosso dell'Albania, della Macedonia e del Montenegro, storicamente è sempre stato considerato dalla Serbia suo territorio, anche se abitato da una stragrande maggioranza albanese, e quindi rivendicato dall'Albania. Sotto il regime del maresciallo Tito, questa Regione aveva ricevuto dal potere centrale jugoslavo un'ampia autonomia amministrativa, e le cose sembravano procedere per il meglio. Ma alla caduta della Jugoslavia, alla morte di Tito, e alla conseguente divisione della confederazione in Croazia, Slovenia, Serbia e Bosnia, con le successive ed esplosive guerre Croato-Serba e con la guerra civile bosniaca, tra croati, musulmani bosniaci e serbi di Karazic, il Kosovo rimaneva sotto la sovranità serba, ed in modo particolare del presidente Slobodan Milosevic, che per rafforzare il suo potere revocava l'autonomia alla regione. Questo gravissimo episodio scatenava la reazione kossovara, e la regione si agitava dapprima con manifestazioni civili e di piazza, represse con la violenza dalla polizia serba, quindi con la guerriglia clandestina, con la creazione dell'UCK, l'esercito di liberazione kossovaro. Questo fatto portava ad inasprire la repressione contro la popolazione civile da parte delle autorità serbe, con la dichiarazione dello stadio d'assedio, e la conseguente pulizia etnica, mettendo in pratica tecniche scientifiche tendenti a creare difficoltà concrete di vita e di socializzazione. Questo fatto scatenava la reazione diplomatica dell'Europa e degli Stati Uniti, che premevano, in virtù dei diritti umani, sulla Serbia affinché concedesse l'autonomia ai kosovari. Milosevic, però, iniziava come suo costume una trattativa diplomatica asfittica, mentre schierava l'esercito nel Kossovo. Dopo insistenti pressioni, si arrivava all'accordo di Rambuiead, secondo il quale l'Uck avrebbe dovuto deporre le armi, il Kossovo avrebbe dovuto avere un'ampia autonomia amministrativa, e non l'indipendenza, e la Serbia avrebbe dovuto ritirare il suo esercito. Mentre l'UCK accettava con molte proteste l'accordo, la Serbia lo respingeva, ed iniziava l'azione militare. Così la NATO prontamente interveniva, ma senza mandato ONU, scatenando una violenta sequenza di bombardamenti, durata due mesi, che mettevano in ginocchio la Serbia sotto tutti i punti di vista. Questo fatto scatenava una gravissima crisi diplomatica con la Russia, giungendo sull'orlo di una rottura catastrofica, e le proteste cinesi contro l'intervento NATO. Ma gli Stati Uniti erano decisi a proseguire l'azione : iniziava così una guerra catastrofica e distruttiva, che portava a stermini di massa kosovari nella regione da parte dei Serbi, migliaia di profughi in Albania, Macedonia ed Italia, distruzioni efferate ed errori da  parte della NATO nel colpire obiettivi militari con molte vittime civili. L'Italia, pur non pretendo parte alla guerra in maniera diretta, ci si trovava coinvolta per l'utilizzo delle basi NATO e per compiti di difesa integrata, ma in modo particolare per garantire l'emergenza dell'assistenza ai profughi, con la Missione Arcobaleno e il massiccio impegno delle organizzazioni cattoliche e della Caritas verso le popolazioni tristemente colpite dalla guerra : ma creava anche fortissime tensioni all'interno della maggioranza di governo, tra pacifisti e interventisti, con forti contrasti anche tra i ministri. Tuttavia, finalmente, dopo 60 giorni, grazie anche alla mediazione della Russia, costretta ad intervenire perché economicamente prostrata da una grave crisi economica e bisognosa dei massicci aiuti occidentali, Milosevic era costretto ad accettare con voto parlamentare la presenza di una forza di pace internazionale in Kosovo e a far ritirare il suo esercito. La guerra, comunque, ha posto degli interrogativi inquietanti :
Critica

  1. La guerra non è mai risolutiva dei problemi, anzi segna il fallimento della diplomazia. Quando la parola passa alle armi, la diplomazia non esiste più, e regna la violenza. Di sicuro, questa guerra ha sconvolto, impoverito e distrutto una vasta area dei balcani, segnando per la popolazione civile un regresso pauroso per il tenore di vita, e creando odio e vendetta contro gli occidentali.
  2. La guerra è stata decisa unilateralmente dalla NATO, violando il trattato militare dell'Alleanza, che è solo di carattere difensivo, per offendere un paese comunque sovrano. E' stata poi violata la sovranità dell'ONU, che è stata calpestata. Si è rischiata la terza guerra mondiale con Russia e Cina.
  3. Prima della guerra, sarebbe stato meglio organizzare un serio embargo economico contro la Serbia, costringendola a cedere per fame e per mancanza di approvvigionamenti.
  4. La situazione del Kosovo già si conosceva da anni: perché non si è intervenuto molto prima a scopo preventivo, lasciando invece precipitare le cose? Se si fosse premuto sulla Serbia dal giorno dell'abolizione dell'autonomia alla Regione, probabilmente non si sarebbe mai data la parola alle armi.
  5. "L'Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", è scritto nell'art.12 della nostra costituzione: nei fatti l'Italia si è trovata coinvolta in una guerra da lei sicuramente non voluta, ma subita, a causa del meccanismo dell'alleanza atlantica, che ha costretto il governo a difficili mediazioni interne e ha lacerato la coscienza civile degli italiani, creando interrogativi angosciosi. La fortuna ha voluto che Milosevic abbia ceduto, altrimenti il dramma per la nazione italiana sarebbe diventato orrendo.
  6. Ora bisogna ricostruire i rapporti umani e le relazioni diplomatiche: con gli albanesi, con i serbi, con  i kosovari. Bisogna impegnarsi per il progresso e la ricostruzione dei balcani, perché la storia insegna che l'Italia è il luogo in cui i disperati dell'area cercano rifugio : ed è nostro compito impedire e prevenire questo, creando speranza e futuro in queste terre, anche se, come sempre accade l'Europa spesso e volentieri ci lascia soli a fronteggiare le drammatiche emergenze umanitarie che ogni giorno si abbattono sulla nostra penisola.

Fonte: http://www.parrocchiapoggiosannita.it/documenti/utili/STORIA/LA%20GUERRA%20NEL%20KOSOVO.doc

 

Guerra nel Kosovo

STORIA E POLITICA DELL’UNIONE EUROPEA

 

CAP.1) NASCITA DI UN’IDEA (1926-1945)

Nel secondo dopo guerra, l’idea di una europa unita diventa il vero obiettivo della politica internazionale. Tale idea raccoglieva consensi sia per evitare altre guerre fratricide sia per scongiurare il pericolo comunista. L’idea di unità si consolida nella Resistenza: tra i partiti antifascisti  che partecipano alla Resistenza quello più attivo è sicuramente il Partito d’Azione capeggiato da Spinelli, rappresentante del movimento Federalista. Nel suo Manifesto di Ventotene, Spinelli concepiva l’unione europea come una rivoluzione politica, che avrebbe portato ad una nuova Democrazia. Tuttavia questo progetto finirà col lasciare il posto a posizioni più moderate. L’idea dell’Europa Unita tornerà con la Guerra fredda.

 

CAP.2) CECA, PIANO MARSHALL GUERRA FREDDA (1946-1950)
Intro
Le atrocità della 2° Guerra Mondiale spinsero i paesi alla ricerca della pace: si volevo un’Europa Unita. Tuttavia per fare ciò c’era bisogno di aiuti esterni. Così molti paesi accettarono gli aiuti economici del Piano Marshall voluto dagli States per  creare un blocco occidentale contro il pericolo del comunismo ed anche per rilanciare l’Europa. Successivamente Schuman propose l’idea della CECA che fu accolta bene dai 6 firmatari. I sei successivamente formarono i Trattati di Roma che istituirono l’Euratom e il Mec, che prevedeva l’abbattimento delle barriere e che si rivelerà un ottimo strumento di ripresa.
Nel primo dopo-guerra l’europa attraversò un momento difficile. Churcill era preoccupato soprattutto per la Germania, praticamente distrutta. Il 1946 fu l’anno dell’escalation della tensione tra est e ovest. Il governo americano diceva di voler restituire la germania ai tedeschi mentre l’urss diceva che questi volevano solo ridurre in schiavitù il popolo tedesco. Il 1947 così segna l’inizio della guerra fredda (conflitto non bellico tra est e ovest tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni 90). Tale tensione non sfocerà mai in un conflitto mondiale vero e proprio tranne in alcune occasioni come ad esempio la guerra del Vietnam. Le posizioni di Usa e Urss erano giudicate inconciliabili dal segretario di stato Marshall poiché i sovietici volevano uno stato tedesco unitario mentre gli americani volevano una soluzione confederativa. Marshall elaborò il così detto Piano Marshall o piano per la ripresa economica che sottolineava la disponibilità del governo usa a contribuire alla ricostruzione economica europea. Il presidente Truman firmò la legge che istituiva il Piano nell’Aprile 1948: 13 miliardi di dollari furono stanziati per l’assistenza alle 18 nazioni europee. Tale prestito veniva concesso soltanto a chi introduceva elementi di liberalizzazione nel proprio sistema politico. La guerra fredda era intanto iniziata e le 2 posizioni antitetiche si andavano sempre di più accentuando: I Federalisti consideravano lo stato sovrano responsabile di tutti i mali e chiedevano ad esso di rinunciare alla sovranità per affidarla ad un altro ente sovranazionale; gli Unionisti volevano invece che lo stato conservasse la sua sovranità. Tuttavia tra questi 2 estremi si andava sviluppando una terza via: quella Funzionalista secondo cui l’integrazione doveva essere graduale e graduale doveva essere anche il passaggio di potere ad una autorità sovranazionale. Schuman, il ministro degli esteri francese, era il maggior esponente di questa strada: inaugurò una nuova fase di rapporti franco-tedeschi e allineò la politica francese a quella americana. Egli nel 1950 propose, nel Piano Schuman, la creazione di una Autorità Comune per la gestione e la regolarizzazione dell’industria del carbone e dell’acciaio in Germania e in Francia, così da porre fine ai conflitti tra queste 2 potenze. La proposta venne da Monnet che riuscì attraverso Schuman a farla approvare dal governo francese. Con la firma del Trattato di Parigi del 1951 nasceva la CECA, a cui parteciparono oltre alla Francia e alla Germania anche l’Italia, l’Olanda, il Lussemburgo e il Belgio. La CECA rappresentava una svolta nei rapporti tra Francia e Germania, e per di più dava modo alla Francia di controllare eventuali possibilità di riarmo della Germania.

 

CAP.3) CED: UNA SCONFITTA ANNUNCIATA (1950-1954)

Dopo la CECA, è la volta della CED (comunità europea di difesa) che prevedeva la collaborazione militare tra gli stati europei. Questa era stata proposta dallo stesso inventore della CECA Monnet come risposta al riarmo tedesco a cui la Francia si era sempre opposta. E l’esperimento fallì proprio per l’opposizione della Francia. La prima idea di creare un esercito europeo venne proprio dall’Italia e da Sforza. Questo insieme a De Gasperi era stato subito favorevole alla CECA mentre era più cauto riguardo al settore militare. Il Piano Pleven, dal nome del primo ministro, prevedeva la creazione di un esercito europeo per contrastare il riarmo tedesco, che fosse sotto  il controllo di una autorità politica da nominare contestualmente. Il governo italiano propose di creare un’Assemblea, accanto all’esercito, per la gestione di questo. La proposta non sortì effetto finchè non arrivò l’ultimatum americano che minacciava di riarmare l’esercito tedesco, qualora non fosse stato firmato il patto istitutivo della CED. Il patto fu così firmato nel 1952 a Lisbona: la Germania, a differenza dei partner, non poteva disporre di forze armate autonome. Tuttavia la CED non vedrà mai la luce a causa della indecisione dell’Italia e dell’avversità da parte della Francia, dovuta in parte ai suoi problemi interni, in parte all’impossibilità di riarmare l’esercito tedesco. L’Assemblea nel 1954 boccio’ infatti il trattato.

 

CAP.4) LA SCOMMESSA DEL MERCATO COMUNE (1955-1957)

Nasce nel 1954 un nuovo accordo: l’UEO ( unione europea occidentale) frutto dell’allargamento del Patto di Bruxelles del 1948. Questa nasce su proposta del ministro degli esteri britannico Eden ed è formata da Italia, Francia, Benelux, Germania e Gran Bretagna. La Germania con esso si impegna a non fabbricare armi chimiche o nucleari mentre la Gran Bretagna ritorna sulle scene. L’Italia nel periodo post.ced resta invece ai margini. Monnet, tuttavia, voleva invece rilanciare l’Europa ma senza la Gran Bretagna e per fare ciò propose la creazione dell’Atomo ossia l’uso pacifico dell’energia nucleare, atomica. Monnet elaborò un memorandum in cui si annunciava la creazione di un mercato comune (MEC) con una unità tariffaria e l’abolizione delle dogane.
La CEE nasce nel gennaio 1958 con l’entrata in vigore dei Trattati di Roma. Con la firma dei Trattati di Roma (marzo 1957) tra Italia, Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo, Olanda vengono istituite contemporaneamente sia la CEE che l’EURATOM. La CEE prevedeva la creazione di un MEC per ottenere un forte sviluppo delle attività della Comunità. L’EURATOM invece tendeva a coordinare programmi di ricerca volti all’uso pacifico dell’energia nucleare. La Francia cercò di coinvolgere la Germania e l’Italia nel primo esperimento nucleare francese, a cui si erano opposti già i partner europei e gli Americani. Questi ultimi erano contrari anche al MEC mentre il governo di Londra fece una contro-proposta parlando della creazione di una zona di libero scambio. Man mano che l’idea del MEC andava in porto, gli Americani smussarono le volo avversioni ad esso mentre rimanevano fermante contrari i Russi. La Francia, tornato al potere De Gaulle nel 1958, non oppose resistenze al Mec.

 

CAP.5) L’EUROPA SECONDO DE GAULLE (1958-1969)

De Gaulle rappresentò la Francia per più di un decennio. Egli aveva un’idea ben precisa dell’Europa: una confederazione di Stati che collaborano nel rispetto delle proprie autonomie, in cui la Francia avrebbe avuto un ruolo predominante. Non concepiva l’idea che l’Europa potesse essere governata da un ente sovranazionale. Si opponeva alla Nato perché riteneva che il suolo francese dovesse essere protetto dal proprio esercito e non sottoposto a controllo americano. Egli concepiva l’Europa come una 3° Forza tra gli altri 2 colossi Urss e States. Egli aveva sempre riposto tante speranze nella creazione dell’Asse Francia-Germania che però non si realizzò visto che Erhard era filo-americano. Così il generale cominciò a corteggiare la Russia e gli altri paesi comunisti. Ostacolò sempre l’ingresso dell’Inghilterra nella Cee perché la considerava il cavallo di Troia degli States. L’Inghilterra viveva una situazione difficile economicamente e a niente era servito creare una zona di libero scambio. Tuttavia De Gaulle continuava ad opporsi dicendo che il suo ingresso avrebbe snaturato la Cee e introdotto in essa l’ombra degli States. La Francia aveva in realtà paura di perdere con l’arrivo dell’Inghilterra, i suoi privilegi soprattutto quelli ricevuti con la PAC. Non dimentichiamo che il 71% dei Francesi erano contadini. La PAC fissava un prezzo comunitario per ogni prodotto agricolo all’inizio di ogni anno, prezzo assicurato dai dazi doganali posti sui prodotti provenienti dai paesi non comunitari. Nel 1961, sempre con l’intento di creare un fronte anti-americano, fu presentato il Piano Fouchet 1 che mostrò un certo equilibrio ed una pronunciata voglia di cooperazione, nonché la riconoscenza delle istituzioni comunitarie già esistenti. Gli entusiasmi si placarono subito poiché il Fouchet 2 ridimensionò il potere dell’Assemblea Parlamentare ed eliminò ogni riferimento ai Trattati di Roma. De Gaulle si rese conto che dietro tutto ciò c’era lo zampino della Gran Bretagna che manipolava le decisioni comunitarie in suo favore. L’astio del generale culminò con l’episodio della Sedia Vuota: irritato per l’approvazione di una proposta che modificava le sovvenzioni agricole ritirò i suoi rappresentanti dalle sedi della Cee. Altro episodio della sedia vuota si verificò in seguito alla diffusione di un colloquio riservato tra il generale e l’ambasciatore inglese Soames, a cui aveva offerto il direttorio Francia-Inghilterra. Le dimissioni di De Gaulle portarono alla ribalta Pompiduo, vicino al generale ma capace di dare un nuovo indirizzo alla politica francese.

 

CAP.6) LA COMUNITA’ APRE LE PORTE (1969-1972)

Pompiduo raccolse l’eredità di De Gaulle ma si mosse in direzione diversa: egli si dichiarò subito a favore dell’ingresso dell’Inghilterra nel Mec, a patto di Accordarsi sulla Pac. Egli espose all’Aja nel 1969 gli obiettivi che voleva raggiungere tra cui proprio il completamento della Pac. Egli adottò il sistema dei Montanti Compensativi. Egli decise la svalutazione della moneta francese, a cui il generale si era sempre opposto, in modo da avvantaggiare le esportazioni dei francesi. I Montanti erano una tassa sull’esportazione per i produttori francesi e una indennità per quelli tedeschi, così da mantenere l’equilibrio del mercato. Pompiduo dotò la comunità di una cassa comune che sarebbe stata alimentata dai dazi e dell’iva. Intanto i negoziati tra Inghilterra e Pompidou continuavano, e nel 1971 si ebbe l’ingresso dell’Inghilterra nella Cee. La comunità diventava così la 1° potenza al mondo. Pompidou, nel giro di 3 anni, aveva raggiunto gli scopi che si era prefissato: mancava solo l’unificazione monetaria che però era ancora lontana.

 

CAP.7) L’ALLEANZA DIFFICILE (1973-1979)
L’Americano Kissinger decise di far diventare il 1973 “l’anno dell’europa”: in realtà egli voleva far recuperare un ruolo importante agli States e relegare la stessa Europa ad una potenza regionale. Il suo piano non si realizzò. Le differenze tra States ed Europa erano tante e si notavano anche nelle politiche verso il mondo arabo: alla linea dura degli states si contrapponeva quella flessibile degli europei. Il 1974 fu l’anno dei cambiamenti: Pompiduo morì e gli successe Giscard; Schmidt successe a Brandt; Wilson successe a Heath. Il biennio 1975-76 vide una paralisi della comunità causata dalla crisi economica. La sola nota positiva era rappresentata dalla cooperazione con i Paesi del 3° Mondo: ben 18 stati africani beneficiarono di assistenza. Oggi ben 207 paesi del 3° mondo hanno legami con la Cee. Intanto il Consiglio europeo verificava il consenso intorno ad un sistema monetario europeo: al centro dello SME appunto, c’era l’Ecu, l’unità monetaria di riferimento il cui valore era costituito da un paniere a cui contribuivano tutte le monete della Comunità. Il cambio prevedeva che ogni moneta dello SME fosse in rapporto con l’Ecu del 2,25%, cioè ogni moneta poteva variare del 2,25% in più o in meno rispetto all’Ecu. In caso si superasse questa soglia, i paesi dovevano intervenire. Anche l’Italia di Andreotti aderì allo Sme, che entrò in funzione nel 1979.

 

CAP.8) LA BATTAGLIA D’INGHILTERRA (1979-1984)
I primi anni 80 sono passati alla storia come quelli dell’Europessimismo. Fino all’84 l’attenzione era rivolta al negoziato con la Gran Bretagna, guidata dalla Thatcher, che lanciò lo slogan “I want my money back” poiché gli inglesi pagavano tanto rispetto a quello che ricavavano dall’agricoltura. Ottennero dalla Comunità che questa iscrivesse a proprie spese il 65% del deficit britannico per i successivi 2 anni. Gli anni 80 iniziati male, si conclusero positivamente, con un’Europa a 12, poiché erano entrati a far parte di essa anche Grecia, Spagna e Portogallo.

 

CAP.9) L’ATTO UNICO EUROPEO (1985-1991)
Svanito l’europessimismo avutosi con la lady di ferro, si sentiva il bisogno di far uscire l’europa dal letargo. Si ebbe così un summit a Milano nel 1985 che si concluse con l’approvazione di un Libro Bianco “Il programma novanta” che prevedeva un piano di lavoro di 10 anni. Delors voleva raccogliere in un testo unico tutto il materiale relativo a Sicurezza, Politica Estera, Riforma e Integrazione Economica. La proposta di creare un Atto Unico fu approvata e firmata il 17 febbraio 1986, modificando i Trattati di Roma e prefissandosi di creare un Mercato interno entro il 1992. L’AUE entrò in vigore nel 1987 e prevedeva 4 riunioni l’anno per coordinare la politica estera, nonché una più stretta collaborazione tra paesi europei e Nato; aveva lo scopo di incrementare l’integrazione tra i paesi della comunità, in modo che ogni paese della comunità fosse libero di far circolare anche negli altri paesi di questa merci, servizi, capitali. Con esso si introdussero nuove regole per impedire che un solo paese avesse la possibilità di bloccare l’intera comunità. Quanto all’Unione Economica e Monetaria (UEM), i tempi ancora non erano maturi.

 

CAP.10) MAASTRICHT: LE ISTITUZIONE E LA NUOVA EUROPA (1992)
Il Trattato di Maastricht o Trattato sull’unione europea viene firmato nel 1992 dai 12 paesi che allora costituivano la Comunità Europea. Con questo trattato vengono introdotti i 3 pilastri dell’Unione Europea:

  1. la comunità europea ( CE ) che riunisce CECA, CEE, EURATOM: in essa le decisioni vengono prese all’interno della comunità;
  2. la politica estera e la sicurezza comune( CGAI ): in essa le decisioni vengono prese dai Governi;
  3. la cooperazione nel settore della giustizia e degli affari esteri ( PESC ): in essa le decisioni vengono prese dagli stati membri.

In esso viene poi illustrato l’iter per raggiungere la moneta unica, attraverso la liberalizzazione dei capitali, attraverso la creazione dell’IME ( istituto monetario europeo), attraverso la fissazione dei tassi di cambio tra le monete. Col Trattato viene inoltre introdotto il principio di Sussidiarietà, cioè di aiuto di un organismo più potente che interviene in aiuto di uno più debole.
La PESC deve portare a decisioni comuni che poi si trasformeranno in azioni comuni, per la cui attuazione è previsto il voto a maggioranza.
La CGAI fissa i termini per la cooperazione contro la criminalità, la droga, il terrorismo.
Un tema importante che viene affrontato è quello della Cittadinanza: chiunque abbia la cittadinanza di uno stato membro è cittadino europeo. Questa si aggiunge alla cittadinanza originaria, non la sostituisce. La struttura dell’Unione Europea è molto complessa: i poteri non sono separati e manca al vertice una figura dirigenziale.
Gli organi più importanti dell’Unione sono 4:

  1. La Commissione: ha il monopolio del potere legislativo e del bilancio. Tuttavia le sue proposte devono passare al vaglio del parlamento prima e del consiglio poi, il quale può accettarle o respingerle.
  2. Il Parlamento: rappresenta i popoli dell’unione ed ha varie funzioni. Esprime pareri, non vincolanti, sulle proposte della Commissione. Ha grande potere in materia di bilancio poiché può cambiarlo o respingerlo totalmente. Il Trattato di M. ha introdotto la Codecisione tra Parlamento e Consiglio. Il Parlamento può anche esprimere parere favorevole o contrario rispetto ad un provvedimento.
  3. Il Consiglio: E’ l’organo decisionale per eccellenza. Le questioni importanti vengono prese all’unanimità mentre le altre a maggioranza semplice o qualificata. Quest’ultima è una garanzia affinchè stati piccoli, unendo i voti, non possano bloccare i paesi più grandi.
  4. Il Consiglio Europeo: ha il compito di sbloccare una eventuale crisi dell’unione.

 

CAP.11) IL DOPO-MAASTRICHT (1992-1997) 
Il Trattato di Maastricht anche detto Trattato sull’unione europea, fu un successo per i protagonisti ma allo stesso tempo acuì l’opposizione all’integrazione europea. La crisi monetaria del 1992 causata dalla debolezza del dollaro e dagli alti tassi d’interesse dei tedeschi, porta alla svalutazione della lira e della sterlina che furono costrette ad uscire dallo SME. Nel 1993 Delors prima di uscire di scena, pubblicò un altro Libro Bianco in cui proponeva un modello economico che avrebbe che avrebbe creato nuova occupazione. Sempre nel 1993 erano in corso le trattative per l’ingresso di Svezia Norvegia Austria e Finlandia. C’era il problema di integrare paesi molto diversi tra loro, sia per cultura che per storia per tradizione, come erano quelli ex-comunisti. Dinanzi alla creazione di una Grande Europa si profilavano 3 opzioni:

  1. l’Europa a più velocità: porsi un obiettivo comune da raggiungere però in tempi diversi;
  2. l’Europa a la carte: ogni stato era libero di decidere se aderire o meno ad un dato programma;
  3. l’Europa a geometria variabile: nonostante un obiettivo comune, ogni stato poteva dar vita a progetti più avanzati.

Tranne l’Europa a la carte, gli altri 2 progetti dividevano l’Europa in paesi di serie A e B, e questo era inaccettabile soprattutto per l’Italia.
La politica estera non decollava: un fallimento furono la crisi in Jugoslavia, conclusasi con la guerra nel Kosovo, quella in Ruanda e quella Albanese.
Nel 1995 SI scelse il nome EURO per la moneta, al posto di ECU. Nel 2002 sarebbe diventata la moneta di tutti gli stati dell’Unione.
Intanto cresceva il malumore verso il Trattato di Maastricht: si voleva dar vita ad una revisione che rendesse questo meno vincolante. Fu così organizzato un vertice nel 1997 ad Amsterdam dove si operò la revisione dalla quale nacque il Maastricht 2 che creò una netta scissione tra Progressisti( non attenersi al T. di m.) e Tradizionalisti.

 

CAP.12) MONETA UNICA E CRISI BALCANICA (1997-1999)
Nel 1998 sono 11 i paesi ammessi all’Unione Monetaria Europea: Italia, Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Australia, Finlandia, Irlanda. Inizialmente l’Euro ha qualche difficoltà poiché si svaluta col dollaro, ma poi si riprende. Nel 1999 a causa dello scandalo circa favori monetari, la Commissione e Santer sono costretti a dimettersi: prodi diventa il nuovo presidente della commissione. Fu sua l’idea di creare un codice di condotta per i commissari così da punire il singolo ministro, e non l’intera squadra, in caso di errore. Nello stesso periodo scoppia la crisi nei Balcani: il serbo Milosevic nega ai kosovari le loro libertà fondamentali e lascia che la sua polizia si abbandoni ad azioni punitive. Rifiutato ogni tipo di accordo, iniziano i bombardamenti. A porre fine alle ostilità interviene la Russia che convince la Serbia a ritirare le truppe dal Kosovo.

 

CAP.13) IL DIBATTITO SULLA NUOVA EUROPA (1999-2005)
Al Consiglio Europeo di Helsinki, nel 1999, fu affrontata la questione della sicurezza: ogni paese mise a disposizione le proprie forze armate per  svolgere azioni in cui la Nato non voleva essere coinvolta. L’idea era di operare interventi di peacekeeping, come in kosovo. I 15 decisero che questa nuova forza militare, quest’EUROFORZA, fosse separabile ma non separata dalla Nato. Ostacoli al programma di difesa vennero da paesi come la Turchia, che aveva avanzato la sua candidatura ma era lontana dagli standard comunitari. Ad Helsinki si affrontò anche il tema dell’allargamento verso est, che avrebbe dato stabilità al vecchio continente. Con la firma del Trattato di Nizza nel 2000 si conclude la modifica al Trattato di Maastricht: i “grandi” perdono un seggio a favore dei nuovi; il Parlamento Europeo è formato da 732 eurodeputati; un gruppo di almeno 8 paesi potrò lanciare una cooperazione forzata; il numero di voti corrisponde al peso geografico. Il 2000 è anche l’anno delle votazioni americane: Clinton viene sostituito da Bush, che vince lo scontro con Gore. Le difficoltà che intanto l’Euro si trova ad affrontare aumentano l’euroscetticismo di chi, come gli States, da sempre era stato contrario alla moneta unica. Le divergenze tra States ed Europa vengono fuori anche riguardo alla creazione di un sistema anti-missilistico voluto da Bush per  proteggere l’America dagli stati ribelli. Solo l’Italia è vicina alle posizioni americane. L’imminente allargamento ad est richiedeva una riforma costituzionale: nel 2001 si diede il via ai lavori della Nuova Convenzione, un’assemblea ad hoc chiamata ad elaborare una bozza del Nuovo Trattato. Nel 2003 a Salonicco la bozza fu presentata ai 15: superata la struttura a 3 pilastri, l’unione veniva dotata di una struttura unica,; inoltre veniva creato un meccanismo di controllo al principio di sussidiarietà, l’estensione del voto a maggioranza ed un miglior coordinamento tra gli stati. Tuttavia l’accordo non fu raggiunto. Continuava intanto il processo di ampliamento, il più grande mai verificatosi: nel 2004 infatti ben 10 nuovi paesi entrarono a far parte della grande Europa, per un totale di 25 paesi membri. La firma al Trattato Costituzionale arrivò nel 2004 quando fu trovato l’accordo tra gli ormai 25 membri. Tale trattato costituzionale ricalcava la bozza approvata dalla Convenzione. 

 

Fonte: http://www.sociologia.uniroma1.it/users/studenti/Riassunti/Storia%20Contemporanea_Di%20Napoli/sintesi_l%C3%B9_u.e..doc

 

 

Guerra nel Kosovo

Il problema dell’autorità sovranazionale

 

Può esistere un “terzo neutro” al di là dei contendenti?

Per intraprendere un discorso sulle prospettive possibili riguardo un’autorità sovranazionale, prenderò come modello la guerra che la Nato ha condotto contro la Repubblica Jugoslava nella primavera del 1999. Attraverso questo modello, infatti, ritengo di poter guardare alla realtà degli odierni conflitti e del ruolo delle istituzioni internazionali con maggiore profondità, convinto che certe tendenze e strategie non siano di così breve periodo da poter considerare questa guerra non attuale; si tratta di una guerra nella quale hanno avuto grande rilevanza concetti “universali”, quali “umanità”, “diritti umani”, nella quale si sono impegnate forze europee e statunitensi in territorio “esterno” e nella quale il nostro Paese ha avuto un ruolo abbastanza importante, grazie ai governanti di allora che sono anche i governanti di oggi.
Prima di addentrarmi in questa discussione, però, farò alcune premesse. Innanzitutto, l’intervento farà riferimento alla dottrina del “pacifismo giuridico”: questa è la teoria che per la costruzione della pace punta al rafforzamento delle istituzioni internazionali e all’universalizzazione del diritto; in questo modo, il “pacifismo giuridico” stabilisce come base del diritto l’etica internazionale e cosmopolitica, ponendosi quindi in un’ottica che, andando oltre lo stato come soggetto del diritto internazionale, sovverte l’odierno ordine gerarchizzato in vista di una pretesa “democratizzazione”.
Il problema dell’autorità sovranazionale riguarda diversi soggetti: in primo luogo gli stati che si incontrano e scontrano all’interno del campo della politica internazionale e le cui controversie dovrebbero essere regolate dal diritto internazionale; in secondo luogo gli individui singoli in quanto portatori di diritti, i quali, secondo il “pacifismo giuridico”, dovrebbero diventare i veri soggetti del diritto internazionale; infine, l’autorità sovranazionale stessa, che, comunque la si intenda, rappresentante dei governi degli stati oppure rappresentanza dei cittadini di tutto il mondo, dovrebbe essere almeno tendenzialmente universalista e dunque impersonare un “terzo neutro” nel campo di una contesa.

1. La guerra per il Kosovo ha opposto diciannove paesi della Nato, inclusa l’Italia, alla Repubblica Jugoslava ed è stata motivata ufficialmente dalla volontà di fermare un presunto genocidio che il governo di Belgrado avrebbe portato avanti nei confronti della minoranza albanese della regione del Kosovo. Si può dire che questa guerra per il Kosovo, denominata con un ossimoro “guerra umanitaria”, ma che in termini tecnici è stata una vera e propria aggressione, abbia avanzato almeno tre pretese : la prima è la pretesa delle istituzioni internazionali di opporsi al particolarismo dei conflitti nazionalistici grazie al loro carattere universalistico, all’universalismo dei diritti dell’uomo e alla “terzietà” della giustizia penale internazionale; la seconda è la pretesa da parte di potenze e organizzazioni militari particolari di avere legittimità nell’uso della forza in nome di valori universali; la terza, infine, è la pretesa di poter utilizzare un mezzo altamente e indiscriminatamente distruttivo come la guerra in qualità di strumento giuridico per la tutela dei diritti umani individuali. Più in generale, nel corso della guerra si assiste ad una commistione tra universalismo e particolarismo, tra interventi coercitivi delle Nazioni Unite e ingerenza politica delle singole potenze (Stati Uniti, Germania) o organizzazioni (G8), tra etica e decisionismo, tra imparzialità ed egemonismo.
Anche prescindendo, quindi, da una analisi realistica delle ragioni della guerra, che sicuramente non sono riducibili alla motivazione umanitaria, l’intervento in Serbia pone molti problemi teorici riguardo le possibilità e i limiti di un’autorità sovranazionale e il ruolo che può assumere l’ideale cosmopolitico. Nel corso dell’intenso dibattito che ha accompagnato la guerra , infatti, i sostenitori del “pacifismo giuridico” si sono schierati a favore della guerra, mentre molti dei sostenitori di un moderato differenzialismo o, comunque, anti-universalismo in politica internazionale si sono schierati contro. A ben vedere, tra le diverse motivazioni addotte a sostegno di queste opinioni contrapposte, si possono scorgere motivi di fondo: per i sostenitori della guerra, l’intervento militare, anche se illegale per le procedure del diritto internazionale vigente (e questo è stato riconosciuto anche da eminenti giuristi, come Bobbio e Cassese ), doveva preludere alla modifica dell’ordinamento internazionale, ponendo alla sua base non più la sovranità statale, ma i diritti umani; per di più, l’intervento, pur illegale, è stato sostanzialmente avallato dai vertici delle Nazioni Unite (segretariato e consiglio di sicurezza, nel quale solo Russia, Cina e India hanno avuto il coraggio di esprimersi negativamente).
Dunque, alla base di questo intervento sta un universalismo, etico e politico, che ha la stessa struttura dell’utopia kantiana della pace perpetua . Mentre tra gli anti-universalisti vige ancora l’idea dell’equilibrio tra le entità statali per limitare l’uso internazionale della forza, per gli universalisti ritorna l’idea di una guerra giusta, preferibilmente su mandato delle Nazioni Unite, ma in ogni caso su mandato di istituzioni che si facciano carico dell’etica internazionale (occidentale): e proprio questa istituzione, sulla base dell’etica universalista, sarebbe l’ “elemento neutro” nell’ambito delle relazioni internazionali.

2. All’interno della visione neo-universalista del pacifismo giuridico sorgono, però, alcuni problemi. Il principale e macroscopico è l’opposizione tra ideale etico e strutture effettive di potere nell’arena politica internazionale. Si potrebbe avere buon gioco nel mostrare come non sia certo un’etica universalista a dirimere le controversie internazionali, ma qui si vorrebbe mostrare che è lo stesso ideale universalistico a naufragare in un particolarismo interventistico.
Innanzi tutto, occorre fare due precisazioni. Primo, il sistema istituzionale sovranazionale è gerarchico e riflette i rapporti di potere usciti dalla seconda guerra mondiale. D’altra parte, dal crollo dell’Unione Sovietica, nel biennio 1989 - ‘91, la configurazione geopolitica del mondo è tendenzialmente unipolare e un’unica superpotenza, gli Stati Uniti, ha la possibilità (che cerca in tutti i modi di realizzare), grazie soprattutto al suo potenziale tecnologico e militare, di esercitare un’egemonia sull’intero pianeta; e, ai fini del nostro discorso, gli Stati Uniti rimangono anche l’unica forza in grado di svolgere un ruolo strategico di ampio raggio, compresa la strategia di una pace universale; anzi, si può dire che gli Stati Uniti abbiano ormai il vero e proprio monopolio della pace universale .
In altri termini, finita un’epoca di tensione fra potenze e ristabilito un ordine mondiale, con il nuovo universalismo, cui i pacifisti giuridici prestano la loro voce, i vertici della gerarchia mondiale rilanciano l’idea della pace universale, così preziosa da dover essere conservata con un interventismo che cela il suo particolarismo dietro il suo preteso “umanitarismo”: si tratta del “modello cosmopolitico della Santa Alleanza” .

3. In una aggiunta alla sua Filosofia del diritto , Hegel scrive che con la Santa Alleanza si era formato qualcosa di simile all’idea kantiana di una federazione di stati in grado di stabilire una pace duratura. Come scrive Danilo Zolo , questa provocatoria affermazione di Hegel può essere riportata al presente e riformulata in riferimento alle teorie cosmopolitiche dei Western globalists : l’universalizzazione nel senso del “pacifismo giuridico” sembra, infatti, essersi realizzata nella pretesa egemonica e imperialista statunitense, una sorta di “Cosmopolis imperiale” la quale si occupa di preservare la stabilità egemonica anche con l’uso della forza, con il paradosso di negare, in alcuni casi, i principi di quelle stesse istituzioni che hanno permesso l’egemonia fino ad oggi. La stessa ideologia neoliberista, che vorrebbe un mondo regolato dai mercati finanziari, senza un arbitro, non è altro che la legittimazione di un potere effettivo esercitato dalla superpotenza.
Si apre, a questo punto, lo scenario del fallimento delle pretese universalistiche, sia quella delle Nazioni Unite, sia quella del “pacifismo giuridico”. Da una parte, infatti, l’universalismo delle Nazioni Unite, che è una specie di cristallizzazione delle gerarchie di potere che non rispecchiano più la realtà di oggi, ha fallito proprio a causa della sua struttura gerarchica e della sua incapacità di stabilire una definizione di aggressione con conseguente limitazione della sovranità delle grandi potenze. Dall’altra, però, la riforma in senso “democratico” pretesa dal “pacifismo giuridico” rivela tutta la sua astrattezza nel suo intendersi come radicalizzazione del progetto delle Nazioni Unite e, per potersi realizzare, si dà come ideologia della supremazia occidentale a comando Statunitense nel mondo.
Ogni pretesa neutralità di una istituzione “terza” sembra, quindi, sfumare nell’indelebile impronta occidentale sull’etica internazionale e dei diritti umani, divenuta ormai ideologia di un progetto cosmopolitico centralistico e gerarchico. Ci si chiede, qui, se sia finalmente giunta l’ora di disfarsi di ogni ideale (utopia?) universalistico.

 


Cfr. D. Zolo, Chi dice umanità, Einaudi, 2000, p. 24.

Cfr. aa. vv., L’ultima crociata?, Libri di Reset, Roma, 1999; M. Cabona (a cura di), “Ditelo a Sparta”. Serbia ed Europa contro l’aggressione della Nato, Graphos, Genova, 1999.

Cfr. i rispettivi articoli dei due giuristi in aa. vv., L’ultima crociata?, cit.

Cfr. I. Kant, Zum ewigen Frieden, tr. it. Per la pace perpetua, Feltrinelli, 1991.

Cfr. L. Pucci, Impero americano ed egemonia mondiale: l’America come Roma?, in Rivista di studi economici e sociali, gennaio-marzo 2006, pp. 41 - 59.

Cfr. D. Zolo, Cosmopolis, Feltrinelli, 1995, p. 191.

Cfr. G. W. F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, tr. it. Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza 2004, aggiunta al § 324.

Cfr. D. Zolo, Globalizzazione, Laterza, 2004, p. 83.

L’espressione Western globalists è utilizzata ironicamente da Hedley Bull, teorico realista dei rapporti internazionali, per indicare i teorici universalisti - occidentalisti del “pacifismo giuridico”.

Cfr. D. Zolo, Globalizzazione, cit, pp. 82 - 83.

 

Damiano De Facci

Fonte:http://www.semi-filosofici.it/Il%20problema%20dell%27autorit%C3%A0%20sovranazionale.doc

 

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