Seconda guerra del golfo

 

 

 

Seconda guerra del golfo

 

 

Storia dell'Iraq nel secondo ‘900

LE PREMESSE
Lo stato odierno dell’Iraq nasce nel 1920 come mandato della Gran Bretagna nell’ambito della spartizione dei territori che facevano parte dell’Impero Ottomano uscito sconfitto dalla guerra mondiale. E’ una terra ricca. Di acqua: il suo territorio è attraversato dai due grandi fiumi Tigri e Eufrate  - ricchezza che tra i paesi del medio Oriente è condivisa solo con l’Egitto – e di giacimenti di petrolio, situati soprattutto presso il delta, nelle regioni del Nord e, secondo stime recenti,  nei deserti occidentali. Risorsa che porterà il paese, intorno agli anni 70, ad un livello di benessere diffuso tra la popolazione tra i più alti dell’area. La sua popolazione è composita per etnie e religioni: il Nord del paese è abitato da curdi (23% della popolazione), mentre la regione centrale è abitata per lo più da popolazione araba di confessione sunnita (17%), e a Sud da arabi di religione sciita (60%). L’Iraq è sottoposto all’influenza inglese: monarchia fino al 1958, poi subisce diversi colpi di stato con governi militari che si alternano alla guida del paese. Dal 1968 il potere è saldamente assunto dal partito Ba’ath, di impianto nazionalista panarabo e di ispirazione vagamente socialista. L’ideologia Ba’ath è portata avanti dalle giovani leve dell’esercito il quale rafforza la struttura militare, ma intende rilanciare l’economia del paese. Il nuovo Iraq lancia lo slogan “il petrolio degli arabi agli arabi” e inizia ad attuare una progressiva nazionalizzazione degli impianti. Posizione questa che avrà risonanza internazionale al momento della crisi petrolifera del ‘73, generata dal blocco delle esportazioni di greggio usato come arma contro i paesi ritenuti alleati di Israele. L’Iraq si svincola anche dalla sudditanza tecnologica verso l’Occidente e stipula i primi contratti tecnici con l’Unione Sovietica, spianando l’accesso di Mosca nella regione. Il quadro del Golfo subisce una scossa decisiva nel 1979, quando in Iran il potere dello Scià viene rovesciato dalla rivoluzione islamica promossa dall’ajatollah Komeini. Rivoluzione carica di una forte motivazione e forza espansiva, che trasforma lo scenario internazionale dell’area. In particolare, gli Stati Uniti perdono il paladino dei loro interessi nel Golfo e i loro contratti commerciali. I paesi occidentali, insieme a molti paesi arabi, sono preoccupati di una possibile espansione dell’ideologia rivoluzionaria. La situazione è particolarmente acuta in Iraq, dove la popolazione del sud del paese è di confessione sciita come quella iraniana, e che oltretutto ospita luoghi sacri da sempre venerati dagli sciiti.

LA GUERRA TRA IRAQ E IRAN
Nel 1980 l’Iraq, guidato dal presidente Saddam Hussein, definitivamente al potere dall’anno precedente, invade il territorio iraniano. Motivi ne erano le annose dispute di confine sullo Shaat al Arab , il delta del fiume, e la volontà di prevenire un’espansione della rivoluzione islamica iraniana. La guerra tra l’Iran e l’Iraq è una lunga e cruenta guerra che dura otto anni, fino al 1988. I paesi occidentali trovano nell’Iraq l’alleato che può controbilanciare la potenziale minaccia iraniana. Dal 1982 gli Stati Uniti cancellano il titolo di “paese terrorista” precedentemente attribuito all’Iraq, e lo appoggiano nella guerra. Lunga guerra “dimenticata” a livello di opinione pubblica occidentale, ma volutamente prolungata armando clandestinamente entrambi i contendenti in modo da evitare l’ascesa di una potenza regionale che assumesse un ruolo egemone. Guerra che si combatte da una parte utilizzando l’esaltazione fanatica e idealista dei pasdaran, i martiri della rivoluzione, studenti sempre più giovani, perfino ragazzini, lanciati contro i carri armati iracheni, e dall’altra utilizzando migliaia di curdi come scudo per le prime linee. Guerra che alternò azioni di terra a bombardamenti -anche missilistici- sulle città, ma che diventò nota in Occidente quasi solo per gli attacchi alle petroliere e alla navigazione nel Golfo. Guerra combattuta attraverso l’uso di milioni di mine antiuomo e ricorrendo anche a grandi quantità di armi chimiche da parte irachena non solo contro l’esercito iraniano, ma anche contro la propria popolazione: al termine della guerra, il 17 marzo 1988 la città di Halabja fu bombardata con gas nervini che provocarono la morte atroce di 5.000 civili. Quando la guerra con l’Iran volge al termine, dopo otto anni di massacri che non portano a nessun risultato militare accettabile,  l’Iraq si trova oberato dai debiti contratti per la guerra contro l’Iran e dalla disoccupazione che fa seguito alla smobilitazione dell’esercito.  Saddam chiede la cancellazione dei debiti e chiede prestiti a quelli che considera i beneficiari della guerra da lui sostenuta: gli altri stati del Golfo. Per la propria ripresa economica l’Iraq inoltre ha necessitò che il petrolio mantenga un alto prezzo sul mercato. Tuttavia i governi “fratelli” si rivelano essere tutt’altro che solidali: gli Emirati Arabi Uniti ed il Kuwait, superando i limiti accordati dall’Opec, aumentano la produzione e nell’inverno ‘89-90 fanno crollare il prezzo del greggio.   Perciò Saddam fa forti pressioni sui vicini e finisce per ottenere un grosso prestito dall’Arabia Saudita e dal Kuwait assieme alle assicurazioni su una risalita del prezzo del greggio. Ma gli emiri pretendono in cambio la revisione dei confini, una situazione insostenibile che Saddam non sa risolvere che alla sua maniera: con la guerra.

 

LA PRIMA “GUERRA DEL GOLFO” 
Il 2 agosto del 1990 l’Iraq invade il Kuwait. Motivo principale è la questione dei pozzi contesi di Rumaylah, al confine tra i due paesi: l’Iraq denuncia trivellazioni orizzontali nella zona settentrionale, appartenente al suo territorio e denuncia che la politica dei prezzi kuwaitiana sia basata sulla vendita di greggio non suo. In difesa del Kuwait si erge in breve la più ampia coalizione moderna, che coinvolge la presenza militare di circa 30 paesi. Nonostante la possibilità di circostanziare la risposta all’interno del mondo arabo, e nonostante l’opposizione da parte araba contro interventi stranieri nei pressi della Mecca e dei luoghi santi del mondo islamico, nei giorni appena successivi all’invasione gli Stati Uniti convincono l’Arabia Saudita a richiederne l’intervento, e in poche ore inviano i primi contingenti su quel territorio. Malgrado  i numerosi tentativi di mediazione, prevale la linea intransigente del governo statunitense che detta all’Iraq un ultimatum per il ritiro dal Kuwait entro il 15 gennaio del 1991. Ventiquattro ore dopo la scadenza, nella notte del 17 gennaio 1991, inizia l’attacco militare denominato Desert Storm. Una imponente forza militare si scatena contro l’Iraq. La prima fase è una fase aerea, mirante a fiaccare le difese irachene, distruggere il potenziale militare e le infrastrutture industriali dell’Iraq e impedire il coinvolgimento di Israele distruggendo le rampe missilistiche nell’Ovest del paese. Alla prima fase, che scarica 95.000 tonnellate di bombe, segue un’azione di terra, iniziata il 20 febbraio. In prima linea da parte irachena rimangono solo curdi e turcomanni, o truppe in parte contrarie al regime, che lasciate allo sbaraglio, ogni giorno si arrendono a migliaia. L’avanzata della Coalizione, quasi senza opposizione irachena, sperimenta inusitate tecniche militari. Particolarmente agghiacciante un episodio rivelato successivamente: su un fronte di 70 miglia, i bulldozer blindati Usa nell’attaccare le linee nemiche seppellirono vivi migliaia di soldati iracheni. La popolazione civile non viene certo risparmiata: la notte tra il 12 e il 13 febbraio 1991, centinaia di donne e bambini si erano rifugiati all’interno di un fortino, nel quartiere Almerija di Baghdad. Un primo missile a guida laser apriva un foro nel cemento armato ed esplodeva all’interno, proiettando centinaia di corpi contro i muri. Sotto lo choc dell’esplosione, le porte si richiudevano automaticamente, precludendo ogni possibile via d’uscita da quell’inferno. Dieci minuti più tardi, un secondo missile, a guida elettronica, penetrava nel foro provocato dal primo ed esplodeva anch’esso all’interno, provocando una deflagrazione che raggiungeva i 4.000° C di calore, disintegrando i poveri infelici che erano sopravvissuti all’esplosione della prima bomba. I media occidentali riferivano in termini entusiastici le imprese degli “attacchi chirurgici” e delle “bombe intelligenti”. Si applaudiva alla riuscita della tecnologia di distruzione. L’ammirazione era al massimo. Delle perdite di decine di migliaia di vite umane e del terrore della popolazione non si mostrava nulla.  Il 28 febbraio inizia la ritirata delle forze di Saddam, fino al cessate il fuoco firmato il 3 marzo 1991. Bilancio della guerra è la morte stimata di 100.000 militari iracheni,  80.000 prigionieri e molti dispersi Le perdite da parte degli alleati sono contate in 184 uomini, di cui 112 americani.

 

L’EMBARGO
Provato dalle distruzioni, l’Iraq è sottoposto a un embargo da parte delle Nazione Unite. Già quattro giorni dopo l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva varato  la risoluzione 661 che stabiliva l’embargo totale su tutte le importazioni e esportazioni per ottenere il ritiro dal Kuwait. Ma l’anno successivo, dopo il ritiro dal Kuwait dell’Iraq, si conferma l’embargo con due condizioni: il pagamento dei danni di guerra e il disarmo delle armi non convenzionali di Baghdad. Il disarmo comprende tutte le armi di distruzione di massa - chimiche, nucleari, biologiche - e i missili balistici di gettata superiore ai 150 km. Le ispezioni relative all’avvenuto disarmo sono affidate all’UNSCOM, United Nations Special Commission, organismo creato con lo scopo di ispezionare e smantellare l’arsenale e la capacità di progettazione irachena e, per quanto riguarda l’arsenale nucleare, all’AIEA,  Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Le sanzioni creano un fondo di compensazione per garantire il risarcimento e la riparazione dei danni di guerra. Inevitabilmente, per un paese così popoloso e largamente dipendente dall’import/export, l’embargo porta il paese in uno stato di gravissima miseria e isolamento.  La drammaticità della situazione umanitaria del paese porta nel 1996 a una nuova risoluzione: la 986 27, denominata “oil for food”, che stabilisce la possibilità per l’Iraq di vendere petrolio in quantità delimitate, in cambio di cibo, medicinali e merci essenziali. I proventi dell’esportazione di petrolio non giungono direttamente in mano irachena, ma vengono depositati su un conto della Banque Nationale di Paris a New York controllato dall’Onu. Di fatto, per oltre dieci anni, si verifica il blocco di materiale sanitario e farmaceutico, dei pezzi di ricambio di centrali elettriche, di industrie petrolifere, attività produttrici, libri, computer, di ogni mezzo per la ricostruzione economica del paese. Le conseguenze sulla popolazione civile sono la  mancanza di luce, acqua, beni essenziali. Ed un esteso contrabbando con un fiorente mercato nero di tutti i generi d’importazione. Nel 2001, sempre Stati Uniti e Gran Bretagna avanzano una modifica del regime delle sanzioni economiche: le cosiddette smart sanctions (sanzioni intelligenti). L’idea guida è quella di alleggerire il controllo sui beni civili e inasprire però quello sui beni militari, incidendo anche sul contrabbando. Ma nonostante le apparenze, non si tratta di sanzioni solo militari, ma ancora di sanzioni generali che impediscono la ripresa economica del paese.

 

LE CONSEGUENZE DELL’EMBARGO SUI CIVILI 
Devastato dal cataclisma dei bombardamenti e privato dalla possibilità di ricevere dall’esterno il necessario per l’assistenza e la sopravvivenza della popolazione, con un embargo su tutti i prodotti, compresi i medicinali e il cibo, impossibilitato ad acquistare e a ricevere i pezzi di ricambio per ricostruire le infrastrutture, specialmente quelle per la depurazione delle acque e per l’energia elettrica, l’Iraq è rimasto isolato dal resto della comunità internazionale per oltre undici anni: come un enorme campo di concentramento.  Nessun settore della società irachena è stato risparmiato. L’attività economica è crollata, la situazione sanitaria è tornata a livello di inizio secolo; il 30% dei bambini hanno abbandonato la scuola. La speranza di vita è precipitata per gli uomini dai 61 ai 46 anni, per le donne dai 64 ai 57 anni. Una tragedia è la depurazione e distribuzione dell’acqua: l’acqua potabile è insufficiente. Come carente è la distribuzione dell’energia elettrica. La disoccupazione è altissima: le fabbriche sono state bombardate e le materie prime non possono essere importate. Mancano i pezzi di ricambio: per le estrazioni petrolifere, per i trasporti, per l’agricoltura. Anche la distribuzione del cibo è penalizzata: camion, ferrovie e mezzi di trasporto sono in rovina, non ci sono mezzi di conservazione, depositi e frigoriferi: il 20-30% dei prodotti vanno perduti. Il programma Oil for Food assicura l’aiuto ai poveri, specialmente agli orfani, alle famiglie con un solo genitore. Se esso rimane vitale per la popolazione, non permette però di stornare denaro per la ricostruzione del paese, della sua rete idrica o di smaltimento dei rifiuti, per la riorganizzazione del settore dell’elettricità, per la ricostruzione degli ospedali ecc. Oltre al razionamento di cibo, medicine, acqua, energia che colpisce la popolazione, ci sono conseguenze sociali ed economiche: la sperequazione nei confronti delle classi che comunque riescono ad avere tutto attraverso una fittissima rete di contrabbando, la diminuzione di salari e potere contrattuale della classe lavoratrice, la crisi della rappresentanza sindacale. Anche le conseguenze politiche sono opposte alle finalità perseguite da chi impone l’embargo. Il blocco economico del paese -contrariamente a quanto si pensa- ha finito per rafforzare il potere di Saddam Hussein, piuttosto che sollevare il paese a una rivolta contro il regime.

 

LE VICENDE DELL’UNSCOM NEL 1998
Dopo sette anni di libertà vigilata, durante i quali gli stessi ispettori Unscom avevano accertato la totale distruzione del potenziale nucleare, di quasi tutti i vettori missilistici, delle scorte di aggressivi chimici e batteriologici e dopo aver posto centinaia di sensori e rivelatori nei siti ritenuti sospetti, il compito della missione di controllo era finito.  Fino al 98 l’Iraq collabora e smantella. Ma nell’organismo di controllo molti lamenteranno l’infiltrazione di agenti americani e israeliani e la tendenza a creare incidenti con le autorità irachene per giustificare rappresaglie e il mantenimento dell’embargo stesso. La crisi si accentua: - luglio del ‘98: l’Iraq espelle alcuni ispettori accusandoli di spionaggio per conto della CIA. - In agosto Butler direttore dell’UNSCOM, va con una delegazione dagli iracheni. Gli iracheni lo accusano di operare in zone inerenti alla sovranità e alla sicurezza nazionale del paese, e non vogliono più trattare con lui. - Cinque settimane dopo arriva la conferma da parte di membri Unscom e funzionari Nazioni Unite sulle attività di informazione a favore della Cia. - La mattina del 16 dicembre Butler fa evacuare tutti gli ispettori Onu. Senza consultare né informare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, da cui dipende. - Il pomeriggio del 16 dicembre le forze aeree americane e inglesi iniziano un bombardamento sull’Iraq.

 

IL BOMBARDAMENTO DEL DICEMBRE 1998
Tre giorni di raid aerei e bombardamenti denominati “chirurgici” e intelligenti.  O molti missili intelligenti sono impazziti e sono andati a colpire case, ospedali, scuole e luoghi pubblici, o non sono impazziti e sono stati presi di mira deliberatamente edifici pubblici, facendo numerose vittime fra la popolazione. Abbiamo ripreso uomini e donne ustionati su tutto il corpo, lasciati nei corridoi degli ospedali, fra atroci sofferenze, senza poter essere assistiti per mancanza di medicinali e attrezzature. Il Pentagono in un breve comunicato dichiarò che le vittime irachene erano tra i 1.500 e 1.800

 

11 SETTEMBRE 2001
Tre arerei di linea americani, dirottati e guidati da una ventina di terroristi arabi affiliati al movimento terrorista islamico AL QUAEDA. Di stanza in Afghanistan e capeggiato dallo sceicco arabo OSAMA BIN LADEN, piomabo sulle Twin Towers di New York, sede del World Trade Center, e sull’edificio del Penatgono, sede della Difesa USA, provocando circa 2500 vittime.

 

LA SECONDA GUERRA DEL GOLFO
20 marzo 2003 ore 2.00 scade l'ultimatum di G. W. Bush jr. a Saddam Hussein, il Presidente USA sostiene che l'Iraq abbia armi batteriologiche, anche se non ne sono state trovate tracce dagli ispettori dell'Onu. Alle ore 3.35 il presidente Bush ordina l'attacco all'Iraq.

 

LICEO UMBERTO – prof. Giulio de Martino 07.12.04

http://www.liceoumberto.eu/word/iraq.doc

 

La guerra del golfo

La Guerra del Golfo

La Guerra del Golfo è il conflitto che oppose tra il 1990 e il 1991 l'Iraq ad una coalizione che si proponeva di restaurare la sovranità del piccolo emirato del Kuwait, dopo che questo era stato invaso dall'Iraq. Questa coalizione si formò sotto gli auspici dell' ONU e fu guidata dagli Stati Uniti, che fornirono il nerbo delle sue capacità militari.

2 agosto 1990: l'esercito iracheno (Saddam Hussein) entrò in Kuwait, superando facilmente la resistenza del piccolo esercito dell'emirato

Tuttavia il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la Lega Araba avevano immediatamente condannato l'invasione e chiesto il ritiro delle truppe irachene, imponendo tra l'altro sanzioni economiche .

29 novembre 1990: Il Consiglio di Sicurezza dettò un ultimatum in cui si minacciava l'uso della forza nel caso l'occupazione del Kuwait fosse proseguita oltre il  15 gennaio 1991.

Quando fu chiaro che l'ultimatum non aveva avuto esito, il 17 gennaio 1991 cominciarono i bombardamenti del Kuwait e dell'Iraq da parte delle forze alleate, guidate dagli Stati Uniti.

 

Fonte: http://www.decesare.info/La%20Guerra%20del%20Golfo1.doc

 

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