Storia del pensiero politico

 


 

Storia del pensiero politico

 

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1. L’ANTICHITA’ GRECA E ROMANA

  • PLATONE (428 – 347 a.C.)

 

Vita:
à nasce nel 428-27 a.c ad Atene da una famiglia che vanta antenati, poi nella giovinezza la passa con Socrate.
à Dopo una serie di delusioni (culminate con l’uccisione del maestro nel 399 a.c. va in Italia dove si concentra sulla transizione da una tirannide ad un regno. Il tentativo fallì facendogli toccare la realtà del malgoverno e cerca di fondare così i principi filosofici del buon governo.
à Torno ad Atene e fondò un Accademia (diretta fino alla sua morte nel 347 a.c.)

 

Platone si propone di restaurare la giustizia, fondandola su basi certe.
Per lui la politica deve essere rifondata recuperando la virtù e la giustizia. E questo può avvenire grazie alla filosofia intesa come conoscenza dell’essere e contemplazione delle idee.
Non ha un’idea democratica della Politica, ma secondo P la politica è un’arte egemonica, che comanda su tutte le altre e consente di applicare bene i risultati dei singoli saperi tecnici. Questo è possibile perché è guidata dal sapere filosofico che conosce il Bene.
La filosofia è quindi preliminare alla politica ed è la sola capace di indicare finalità e tecniche di risanamento e di assegnare fini e ruoli ai cittadini.

 

1. La Repubblica
a) La Giustizia
Il problema fondamentale è il problema della Giustizia.
La premessa è che il perseguimento dell’utile in qualsiasi gruppo sociale non può avvenire senza giustizia.
La città è una struttura complessa, vi sono

  • i produttori, che si incaricano della soddisfazione dei bisogni
  • i filakes, i custodi guerrieri, per difendere la città da attacchi esterni
  • gli arconti, veri e propri governanti. Questi dovranno conoscere la verità delle singole scienze ed essere privi di ogni forma di proprietà privata, per essere capaci di pensare e perseguire il bene comune, scelti tra i migliori dei filakes

Poiché la città è il luogo della divisione del lavoro, è necessaria la Giustizia, per stabilire l’equilibrio degli scambi tra i prodotti.
Non solo, ma la Giustizia è garante della correttezza con cui vengono ricoperti e svolti i ruoli sociali
La Giustizia, per Platone, consiste nel riuscire a collegare il desiderio, l’aggressività, la ragione, che sono le caratteristiche dell’animo umano, alla politica. Di conseguenza

  • desiderio: negli uomini in cui prevale … produttori
  • aggressività: custodi guerrieri
  • ragione: governanti filosofi.

La politica di Platone è quindi una politica filosofica, ma oggettiva, per cui a ciascuno viene assegnato il compito che gli si adatta secondo natura (deciso dai filosofi governanti). La Giustizia è la virtù che rende possibili tutte le altre virtù e che può e deve ordinare la vita di tutti.
b) Il Vero e il Bene
Per spiegare come i filosofi conoscono il Vero e il Bene Platone ricorre al mito della caverna
I filosofi sono coloro che riescono a liberarsi dalle catene che tengono gli uomini prigionieri in una caverna e, usciti all’esterno, vi ritornano per insegnare la verità a tutti gli altri, liberandoli dall’errore e dall’opinione.
Con ciò si nota come Platone non sia interessato alle varie forme di governo, ma solo a quella ottima in cui bene e verità coincidono, perché la filosofia è al governo.
Il contrario della Giustizia è la ribellione
c) Il ciclo delle forme di governo
La degenerazione dell’ottimo stato avviene secondo quattro tappe:

  • timocrazia: ricerca degli onori

I governanti che, non seguendo più la ragione si divideranno le terre e le case attribuendosene il possesso. In questo modo si favorirà il passaggio alla à

  • oligarchia: governo di pochi, dei ricchi

Si avrà così una costituzione basata sul computo delle ricchezze, tutto il potere andrà ai ricchi e i poveri non vi potranno partecipare. Questa classe politica calpesterà tutti i valori morali e, ormai priva di ragione sarà delegittimata e verrà spazzata via da una rivoluzione dei poveri che porterà alla à

  • democrazia: governo del popolo

Ma il regime democratico, benché si richiami alla libertà, in realtà corrode se stesso portando all’anarchia. Il popolo, non più protetto da leggi adeguate si consegnerà alla à

  • tirannide: governo di un tiranno.

Questo è il peggiore dei regimi, perché è un dominio senza leggi e senza freni, ma un governo di un uomo che è incapace di governare se stesso: è una belva tra gli uomini, il più basso gradino dell’essere.

2) Oltre la Repubblica

a) Il Politico: La legge
In questo dialogo Platone tratta del tema della legge.
Il governante è come un medico o un timoniere, quindi non si devono legare le mani con leggi, essi sono le leggi vigenti

b) Le Leggi
In quest’opera di 12 libri vi è un’evoluzione del pensiero di Platone. Già aveva affermato che democrazia e libertà fossero sinonimi di anarchia; qui riconosce la necessità di una mescolanza, all’interno della città del principio di autorità con quello di libertà. Si dimostra così disponibile a riconoscere l’importanza del principio di partecipazione e del consenso. Riconosce un certo valore alle leggi, alla famiglia e alla proprietà privata.
Tuttavia tiene fermi alcuni punti:

  • le leggi devono essere istituite nel comune interesse di tutta la città
  • ogni arricchimento oltre un certo limite sarà incamerato dallo stato

Tutto questo nell’intento di evitare il dualismo in città tra ricchi e poveri e la conseguente nascita di fazioni.

c) Il Timeo
In questa opera Platone ipotizza che il Demiurgo, l’artefice divino dell’universo, strutturi i fenomeni fisici secondo i principi di ordine e di armonia, facendo del cosmo qualcosa di simile a una città bene ordinata.
Da ciò deriva una teoria dell’ordine politico sia à

  • attraverso il richiamo al principio gerarchico, sia à
  • con la tesi che il Demiurgo (il legislatore) non può che essere la figura centrale per la produzione dell’ordine.

 

 

2.ARISTOTELE (384 – 322 aC.)

Vita:

ànasce nel 384 a.c a Stagira, verso il 365 si stabilisce ad Atene ed entra nell’accademia platonica fino alla morte di Platone.
à Va poi da Alessandro il Macedone nel 343 342 vi resta fino al 335-34 e ritorna ad Atene fondando il Liceo e poi vi resta fino alla morte nel 322 in esilio.

2.1. L’etica Nicomachea
Le virtù
Per Aristotele la politica fa parte delle scienze pratiche distinti da  quelle teoretiche. Ha un rapporto con la ragione, bensì con quella pratica e applicata che, attraverso le virtù, rende razionale l’agire. È un metodo puramente deduttivo. Rifiuta il Bene platonico radicato in se stesso e separato dai beni singoli. Studia la politica nell’ambito della vita associata.
Bisogna qui ricordare la distinzione tra virtù dianoetiche e virtù etiche:

  • dianoetiche: scienza, arte, saggezza pratica, ragione intuitiva, saggezza teorica
  • etiche: temperanza, coraggio, fortezza, liberalità, ecc

Le virtù dianoetiche riguardano la ragione nel suo aspetto speculativo e in quello rivolto all’agire, la ragione funge da guida al soggetto. La prudenza segna il passaggio alle virtù etiche (pratiche) che fanno delle passioni qualcosa di sussidiario alla ragione.
Le virtù etiche sono le disposizioni attraverso cui l’uomo diventa buono e compie bene la sua opera, disciplinando istinti e comportamenti.
Il giusto mezzo
Nell’impossibilità di dimostrare in via teoretica ciò che è buono in ogni situazione, Aristotele adotta il criterio del giusto mezzo.
La Giustizia
La regina delle virtù è la Giustizia, simbolo della moderazione nel singolo e nella città.
Nell’etica Nicomachea viene spesso messo in risalto la stretta vicinanza tra etica e politica; dice infatti “Non esiste un ottimo stato, ma molte possibilità di realizzare nelle diverse città le molte virtù pratiche degli uomini , con cui essi cercano di vivere una vita buona secondo i dettami della ragione pratica.”
Quindi in Aristotele, diversamente da Platone non c’è la ricerca della migliore forma di governo, l’unica che realizza la giustizia; c’è al contrario l’idea che la Giustizia è la virtù politica che si realizza nelle più diverse condizioni della vita associata.
La politica si occupa di una natura buona che trova giustificazione nell’essere in sintonia con la natura dell’uomo, animale politico dotato di ragione.

2.2. La Politica
La vita Associata Koinonia
La diversità da Platone emerge già dalla diversa concezione della vita associata. Per Aristotele la città nasce da una complessità di rapporti che vanno dal maschio alla femmina, dalla famiglia alla comunità, da questa al villaggio … fino alla città.
Analizza questi elementi, soprattutto la famiglia …, con la sua gestione economica, da intendersi non come arricchimento, ma come buona gestione della casa mirante alla soddisfazione dei bisogni, all’educazione dei figli ecc.
Definizione del potere politico
Il potere politico è il governo esercitato su liberi ed uguali. Qui Aristotele si contrappone a Platone, perché presume la compatibilità tra potere e libertà, la necessità di garantire la proprietà privata.
La città, per Aristotele, deve rispettare la pluralità delle sue radici e  custodire al suo interno quelle differenze che sono sempre state presenti fin dalle origini: fra liberi e schiavi, marito e moglie, ricchi e poveri, padri e figli
Proprietà e famiglia devono restare private e raggiungere, attraverso la liberalità e l’amicizia, la comunità.
L’amicizia ( la filìa) è così importante che da concetto etico diviene concetto politico, perché tiene unita la città e salvaguardia la concordia.
Forme di costituzione
Innanzi tutto Aristotele afferma che la definizione di cittadino è conseguente al tipo di costituzione.
(Ad es. in una democrazia la def. di cittadino è di colui che partecipa ai tribunali e alle magistrature)
Vi sono vari criteri per definire le forme di governo:
- Criterio formale
Vi sono tre forme di governo buone e sono: il regno, l’aristocrazia e la politia (= reggere il
governo in vista del bene pubblico)
E tre forme cattive: la tirannide, l’oligarchia, la democrazia.
- Criterio sostanziale
Oltre a questo osserva che vi è un altro criterio, quello della ricchezza e della povertà, che ha la 
meglio come motore delle costituzioni, rispetto a quello formale.
Quando il potere è detenuto dai ricchi, abbiamo l’oligarchia, quando è detenuto dai poveri
abbiamo la democrazia.
- Legittimazione
Un altro criterio è quello delle pretese di legittimazione di una forma di governo. Aristotetele,
distanziandosi da Platone si oppone alle pretese aristocratiche del governo dei sapienti e dei
virtuosi, opponendovi il criterio della maggioranza. La maggioranza dà vita ad una certa somma
di capacità e di virtù.
La costituzione migliore
La costituzione migliore deve avere di mira la quiete, la stabilità la durata. Individua nella classe media, nell’eguaglianza dei suoi membri, nel suo peso nella vita dello stato, il segreto della migliore comunità politica che sarà così governata da una mescolanza di aristocrazia e politia.
L’ottimo stato è quello che dura di più, perché è il migliore, ma è anche il migliore perché è costruito in modo tale da durare di più.
Critica Platone quando parla della successione naturale delle forme di governo, affermando che invece è artificiale, indotta dalla violenza. Introduce variazioni riguardo al carattere di necessità del ciclo platonico, affermando che ciascuna forma politica può mutarsi non solo in quella più vicina, ma anche nel suo contrario.
Nell’affrontare i problemi della migliore costituzione Aristotele osserva che non vi è dubbio che la vita migliore è quella che consente la pratica della virtù … il problema sorge quando, essendo le virtù dianoetiche superiori a quelle etiche, il modello di vita più elevato debba essere quello dell’uomo contemplativo, e quindi estraneo alla politica.
Aristotele ricorda il carattere anche pratico della contemplazione: il pensiero deve poi dirigere le azioni.
Oltre ad affermare che deve essere il pensiero a dirigere l’azione, ritorna sul concetto della numericità: è essenziale un regime partecipativo.
La partecipazione effettiva di tutti i cittadini è un criterio discriminante per un ottima costituzione.
Naturalmente per Aristotele il termine “tutti”, non ha un significato universale; sono esclusi gli schiavi, le donne, i meteci, i non proprietari

2.3. “La costituzione di Atene”
Analizza 11 costituzioni dalla preistoria di Atene ai tempi suoi ed individua i valori cui essa si ispirava: la necessità del rispetto delle leggi per qualsiasi regime politico, un cauto processo di avvicinamento alla democrazia

2.4. L’influsso di Aristotele
Fu enorme a partire dal duecento (prima vi era il dominio della concezione di Agostino). La riscoperta di Aristotele accompagnò la laicizzazione della politica.
In età moderna l’aristotelismo fornì un paradigma dell’elogio dell’equilibrio contro la politica di potenza e influenzò il pensiero della ragion di stato.
Il suo influsso sarà poi indebolito dal pensiero di Hobbes, ma nel novecento riapparirà nuovamente con forza.

 

  • CICERONE (106 – 43 a.C.)

Vita:

à Marco Tullio Cicerone nato a Arpinio nel 106 a.c. si trasferisce poi a Roma dove si interessa agli studi filosofici-letterari.
à Quando iniziò la sua carriera politica era già un famoso avvocato; nel 63 fu console e fronteggiare Catilina.
à Durante le guerre civili parteggiò per Pompeo, rimase in disparte fino alla morte di cesare (a.c. 44). Rimase ucciso dai sicari di Antonio nel 43.

 

La figura di Cicerone è di grande importanza storica come mediatore culturale con la cultura greca; si può dire che romanizza il pensiero greco.
Gli elementi di questa romanizzazione sono due:

  • la scelta per l’impegno politico, che spinge il saggio ad impegnarsi
  • la forte presenza di elementi giuridici che guardano alla legge e al diritto come a elementi da includere nel pensiero politico

La vita politica, per Cic. deve avere queste caratteristiche:

  • dedizione alla causa della città,
  • servizio pubblico per eccellenza

La virtù, quindi, esiste solo in quanto condotta pratica e la sua massima applicazione è nelle forme di governo.
Per Cic. la città è “una riunione di gente associata per accordo nell’osservare la giustizia e la comunanza di interessi”. Con ciò afferma la centralità del diritto nella vita di un ordine politico.
Qui vi è la distanza del pensiero di Cic. rispetto alla filosofia greca: non è la philìa , ma il diritto l’elemento di coesione dei cittadini.
Il diritto viene identificato con la stessa Repubblica. Il diritto è anche potere, perché è anche applicazione necessaria e costrittiva delle leggi.
Elementi dell’ordine politico
Così legge e potere sono due facce indispensabili del diritto. Gerarchicamente viene prima la legge, poi i magistrati, poi il popolo. La legge deve però essere subordinata alla Giustizia, alla legge di natura. In questo modo Cic. dà un fondamento metafisico all’insieme delle leggi. Non solo, ma squalifica ogni azione eversiva nei suoi confronti.
Posta questa premessa determina il contenuto della Giustizia, affermando che il fondamento della Giustizia è “la fedeltà e la veracità nei confronti delle promesse e dei patti”
Ed è proprio il mancato rispetto dei fondamenti giuridici della convivenza civile che ha fatto sprofondare Roma nella crisi politica.
L’ordine politico ideale
Non è quello delle città greche, governate dalla volontà capricciosa della massa, ma è quello che si ritrova nella saggezza degli antenati: la libertà ordinata che si può avere con una costituzione mista
Ogni forma di governo ha i suoi difetti:

  • il regno priva i cittadini di ogni partecipazione
  • il governo degli Ottimati: a stento il popolo partecipa alla libertà
  • il governo del popolo finisce di imporre una ingiusta uguaglianza

La forma di governo più giusta è una quarta, che risulta dall’insieme di elementi di tutte e tre:

  • qualcosa di regale: i consoli (che devono durare un anno)
  • dei poteri deferiti agli Ottimati (il Senato)
  • altre questioni affidate al giudizio del popolo

Per Cic. la crisi è stata causata dalla creazione dei Tribuni della Plebe, che rappresentavano un oggettivo attentato all’autorità del Senato. Da lì era nato il dualismo tra Senato e Popolo, con conseguente crisi dell’autorità.

 

  • AUGUSTO

Quando Ottaviano, sconfitto Antonio, restò, di fatto,  padrone di Roma, assunse il nome di Augusto.
Si presentò come il restauratore della tradizione repubblicana, facendo apparire il suo potere come in sintonia con le istituzioni degli antenati.
Restituendo la Repubblica al Senato e al popolo, diviene princeps superiore a tutti nell’autorità ma pari ai colleghi magistrati quanto a potere.
Ma la sostanza politica del suo potere stava nel fatto che di anno in anno aveva la potestà del tribuno e perciò poteva porre il veto su tutte le decisioni delle altre magistrature. Di fatto aveva accresciuto il suo potere impadronendosi delle prerogative del senato, dei megistrati e delle leggi.
I Romani erano da sempre antimonarchici, perché allora accettarono questo potere “regale” di Augusto.
La ragione sta nel fatto che erano anche propensi a una temporanea sospensione delle garanzie costituzionali nei momenti di pericolo per lo Stato (v. la dittatura); questa propensione le metteva in condizione di accettare il nuovo sotto l’apparenza dell’antico

 

2. CRISTIANESIMO E POLITICA

  • AGOSTINO (354 – 430)

Agostino si trova nella necessità di difendere il cristianesimo dalle accuse rivoltegli dai pagani che, dopo il saccheggio di Roma da parte di Alarico, imputavano al Dio dei cristiani la crisi  dell’impero.
Dopo aver affermato che i mali di Roma venivano dal fatto che adoravano gli dei falsi e bugiardi, fa una riflessione sul potere e sulle sue finalità
Il potere politico è giustificato solo dal fatto che è l’applicazione e l’esecuzione della Giustizia.
La vera giustizia si fonda sul giudizio di Dio, quindi Roma era già debole prima del saccheggio, perché non ebbe mai la consapevolezza  che il diritto deve fondarsi sulla Giustizia Divina.
Con questo Agostino svaluta la virtù romana, perché fondata solo sulla ricerca della gloria. Recupera tuttavia elementi positivi attraverso una definizione di ordine politico che si fondava sulla concordia e sull’amore verso certi beni. (presente nella società romana)
Agostino sostiene un dualismo tra due città: la Città Terrena e la Città di Dio, che vanno in opposta direzione:

  • La Città terrena: è un’unione che nasce dall’amore verso un certo tipo di beni, quindi dall’amore di sé
  • La Città Celeste: nasce dall’amore di Dio

La soluzione non viene però da una Città Celeste che  si affermi sostituendosi alla Città Terrena; ma da una Città Terrena che tenga conto del  disegno della Provvidenza.
Anche la Città Celeste ha una duplicità: da una parte è la Chiesa, che si trova nel mondo, dall’altra è il Paradiso, e questa città si realizzerà dopo la fine dei tempi.
Così l’ordine politico non rappresenta solo il negativo, ma è la premessa indispensabile per la vita della Città Terrena.
La politica, quindi, finché non si realizza il Regno di Dio, ha il compito ineliminabile di mantenere l’ordine in funzione di un bene supremo: la pace.
La pace è la tranquillità dell’ordine, l’ordinata concordia dei cittadini in merito al comando e all’obbedienza. Il segreto di questa concordia è da ricercarsi in una gerarchia naturale e in un atteggiamento di servizio che chi comanda deve assumere nei confronti di chi obbedisce.
Il comando, il potere, è quindi un ministero ed è reso possibile dal peccato originale che ha rotto l’originaria uguaglianza tra gli uomini.

 

  • TOMMASO D’AQUINO (1225 – 1274)

Vita:
à nasce nel 1225 a Roccasecca, entra nel 1244 nell’ordine domenicano, studia a colonia con Alberto Magno e diventa prof alla Sorbona  e poi  Roma capitale papale.
à Dopo Summa contra gentiles, (finita nel 1259) lavora fino al 1268 al Sunna theologiae. Il de regno indirizzato probabilmentea Ugo II, re di Cipro, non è stato completato. Muore nel 1274.

 

Contrariamente ad Agostino, Tommaso ha potuto avere accesso all’etica Nicomachea e alla Politica di Aristotele, tradotte tra il 1240 e il 1260
Mentre Agostino afferma l’inferiorità della natura nei confronti dello spirito, Tommaso la rivaluta e sostiene che la natura, in quanto razionale, può e deve essere un ponte verso la fede.
Secondo Tommaso esiste una lex aeterna, da cui discende la lex naturalis da cui a sua volta deriva la lex humana.
La legge naturale
E’ l’ordine razionale che la mente umana può conoscere attingendo alla sola ragione naturale e fa da cerniera tra l’ordine divino e l’ordine naturale.
E’ sinonimo di Giustizia. Esprime la naturale tendenza associativa dell’uomo.
Questa tendenza associativa, che è alla base della politica, è radicata in due elementi della natura umana: la sua non autosufficienza e la tendenza allo sviluppo.
Pertanto se la società è naturale, deve essere naturale anche il potere: il potere è connaturato all’associazione, allo scopo di conservarla e di perseguire il bene comune.

 

Il governo
Mantiene la classificazione delle forme di governo fatta da Aristotele, ma fa delle riflessioni in cui appaiono i germi di un pensiero costituzionale.
Infatti, mentre dice che il governo di uno solo, il re, è più idoneo al raggiungimento di un fine unitario, si rende conto della positività di un governo che consenta anche una forma di partecipazione politica; in altre parole sostiene che è bene temperare i poteri del re, per evitare che diventi un tiranno
Limiti del potere
Tommaso condanna la seditio, cioè la rivolta popolare, ma ammette il diritto di resistenza quando vi sia il governo di un tiranno.
Il potere politico, dunque,  è limitato sia perché è fondato sulla giustizia, sia perché è diretto al bene comune, ma ha un altro limite: “tutti partecipano in qualche modo al governo”.
Con questo lascia intendere che  la monarchia non è più in assoluto al forma di governo migliore; infatti sostiene che il governo migliore è il principato di tutti, cioè quel governo in cui tutti possono essere eletti. Il principato è una forma mista, quindi ci deve essere anche uno che comanda (monarchia costituzionale).

 

  • DANTE (1265 – 1321)

Vita:

  • nato nel 1265 (Firenze)
  • 1300 nominato priore
  • nel 1301 va da Bonifacio VIII per fermare il suo interesse verso Firenze e conferma il suo agire con i guelfi bianchi (necessità del ritorno dell’imperatore)
  • 1302 vincono i guelfi neri a Firenze e Dante va in esilio per 2 anni e minaccia al rogo in caso di contumacia (se non si presentava al processo)
  • costretto ad errare in questo periodo si illuse di poter rientrare nel caso del’invasione in italia di Arrigo VII (1310) ma opposizione Fiorentini e morte di Arrigo perse la speranza
  • autore de “La monarchia” nel 1312-13.
  • Morì a Ravenna nel 1321

 

Le opere in cui Dante tratta della politica sono due: Il Convivio e il De Monarchia
Nel Convivio
Sostiene la natura della politica che deriva dall’associazionismo umano e dalla necessità di garantire, in presenza di molteplici interessi e bisogni, la pace e la vita felice. Per raggiungere l’obiettivo della pace è necessaria una monarchia universale in cui un imperatore tenga a bada i vari re.
De Monarchia
Affronta il problema della dipendenza o no dell’autorità del  monarca direttamente o indirettamente da Dio.
Dimostra qui la legittimità dell’Impero e, facendo riferimento al brano della Genesi in cui il Sole (potere spirituale) illumina la Luna (potere temporale), che veniva interpretato come superiorità del potere spirituale su quello materiale, sostiene che sole e luna sono stati creati indipendentemente l’uno dall’altro e così i due poteri che rappresentano sono indipendenti: sia la chiesa che l’impero traggono direttamente da Dio il loro potere. (detta anche teoria dei due soli)
Merita di essere ricordata anche la correlazione che Dante fa tra pace e lòa sua fondazione filosofica: la pace non salvaguarda soltanto i beni materiali, ma consente anche la migliore realizzazione possibile dell’intelletto.

 

  • MARSILIO DA PADOVA (1285 – 1343)

Vita:

  • nasce a Padova nel 1285
  • studia a Parigi e li vi compone il Defensor paces
  • viene scomunicato e segue l’imperatore  Ludovico il Bavaro e scrisse il Defensor minor (1342) e il De translatione imperii.
  • Morì nel 1343.

 

E’ l’intellettuale che più di ogni altro critica l’agostinismo politico, non solo ma per Marsilio il raggiungimento della pace può avvenire solo se il papa abbandona le pretese di dominio sulla cristianità e sul mondo.
Il governante custode
Poiché le città nascono per assicurare una vita sufficiente attraverso al divisione del lavoro e gli scambi commerciali, è necessario istituire delle norme e un “custode” che componga le liti
Questo custode è il Governante concepito come una funzione astratta. Costui deve agire secondo una regola che però non può creare, anzi deve rispettare questa legge, deve cedere il passo alla volontà del legislatore

La legge non è eterna op divina, ma il risultato della volontà del legislatore che ha come obiettivo il giusto e il vero che non hanno un valore in assoluto, ma diventano norma solo se sono espressamente voluti dal legislatore.

Il legislatore
Il legislatore è l’intera cittadinanza o la sua parte prevalente. Con questa affermazione Marsilio coniuga il criterio quantitativo con quello maggioritario. Marsilio riabilita la natura umana e difende la ragione di molti con argomenti aristotelici. Sostiene inoltre che la legge non è la verità, ma solo un compromesso ragionevole tra differenti interessi.
Il governo
Il governo deve essere subordinato sia alla legge sia agli autori della legge. Quindi la funzione di governo deve essere elettiva, ma soprattutto deve essere unica per imprimere allo stato una direzione unitaria.
Ciò è possibile se non subisce il potere di altre istituzioni, né lo condivide, ma lo esercita in modo assoluto secondo la volontà del legislatore.
Il tema della pace
Il meccanismo politico sopra illustrato è l’unico che può garantire la pace. La tesi della superiorità del papa (plenitudo potestatis) porta all’interno della città altre norme che, moltiplicando leggi e legislatori, non possono che creare discordia.
Riflette sul governo della Chiesa che gli sembra simile al governo politico, da qui l’insistenza sull’importanza dell’assemblea Generale, il Concilio, e l’avversione per il poter monocratico del Papa.
Pur di contrastare questo potere del papa era disposto ad appoggiare qualunque altro potere, compreso quello dell’imperatore

 

  • OCKAM (1285 – 1347)

Vita:

  • nasce nel  1285-1290 è un filosofo francescano (scrisse il Summa Logicae)
  • nel 1324 convocato ad Avignone per rispondere di eresia (principio di povertà evangelica); dove incontro Michele da Cesena, suo generale, anch’egli accusato. Ne nacque un conflitto con il papa Giovanni XXII
  • nel 1328 fugge da Avignone
  • Nell’ Opus nonaginta diereum (1332-34) confuta gli errori del papa Giovanni riguardante la povertà francescana.
  • In altre opere:

(1338-39) difende il diritto della corona inglese di ricorrere ai beni ecclesiastici per affrontare un emergenza senza richiedere l’autorizzazione del pontefice.
(1339-42) rimanda alle otto questioni  della protesta papale
tra il 34 e 42 vide la luce la sua opera più importante e ampia (Dialogus de protestate papae et imperatoris).

 

Anche Ockam, critico nei confronti dell’agostinismo politico, fa considerazioni critiche sul principio della plenitudo potestais del papa.
Anche il potere del papa deve essere legittimato con un criterio politico. Non si può sostenere che sia superiore ad ogni altro perché ha un fine più alto (quello spirituale)
Il criterio di misura va attinti dagli autori classici e quindi va limitato, diversamente andrebbe verso al tirannide e la storia dimostra che è capitato tanto ai re quanto ai papi.
La libertà del cristiano
Il principio che identifica la legge evangelica con la legge della libertà rappresenta l’elemento centrale del pensiero politico di Ockam
La conseguenza è che la libertà del cristiano si oppone alla pienezza del potere pontificio, che esprime invece la volontà di potere, da cui il cristiano deve guardarsi come da un terribile male.
Infatti i fedeli sono titolari di una libertà naturale che viene confermata da quella cristiana.
Funzione politica
La proprietà privata e l’Impero di conseguenza acquisiscono un’autonomia sconosciuta all’agostinismo.
Questa posizione non produce una nuova egemonia per due motivi:

  • la politica resta legata alla necessità di punire i malvagi e i reati
  • la politica non assorbe la dimensione religiosa, ma con essa ha un rapporto dialettico; la difesa della politica laica rispetto alle tesi dei curialisti non implica la cancellazione dell’autonomia della  Chiesa, che rimaner sempre la depositaria della Verità Rivelata.

 

  • IL MOVIMENTO CONCILIARE

Nel trecento si è più volte pensato che la chiesa anziché governata da uno solo, sarebbe stata meglio governata da una gestione collegiale.
Le ragioni erano: il desiderio di introdurre all’interno della chiesa dei meccanismi democratici e l’intenzione di indebolire il potere assoluto del papa.
Si sviluppò così il cosiddetto conciliarismo che intendeva essere una ipotesi ricostruttiva dell’unità e del potere della chiesa, attraversata in quel momento da uno scisma che vedrà nello stesso  tempo due e anche tre papi.
Questi problemi saranno affrontati nel Concilio di Costanza e in quello di Basilea, le cui idee trovarono sistemazione nell’opera di Cusano.

    • Cusano (1401 – 1464)

Vita:

  • nasce nel 1401 ed è stato importante membro del movimento conciliare
  • autore di De docta ignorantia e filosofo neoplatonico
  • 1453 con de paci fidei si apri a motivi tolleranti e concordialistici
  • nel 1464 morì

 

La gerarchia del creato
Parte dall’idea di una fondamentale struttura gerarchica del creato, quindi se vi è una gerarchia vi è una superiorità di un capo sulle membra; tuttavia Cusano sostiene il riconoscimento della pluralità delle articolazioni necessarie al tutto. Il tutto è la Chiesa., pensata come unità organica di corpo e membra.
La concordanza
Sostiene il principio della maggioranza e afferma che vi è identità tra Verità e maggioranza dei fedeli.
Riconosce la funzione del papa, perché è necessario un capo che rappresenti la chiesa e elimini ogni possibilità di scisma. Questo è il vescovo di Roma, per il ruolo politico che la città ha, che però deve essere eletto (il potere viene dal basso)
Supremazia del concilio
Poiché vi è una naturale libertà degli uomini, è solo il consenso che può farne derivare sottomissione e obbedienza.. Ciò vale anche per il papa “il potere di un uomo sui molti deve basarsi solo sull’elezione e il consenso”.
Non si può quindi subordinare l’autorità di un Concilio a quella del suo capo, perché anche il capo è una parte di un tutto e il tutto è il Concilio …e  poiché non vi sono differenze ontologiche tra i suoi membri, anche il capo deve sottomettersi alle decisioni della maggioranza.
Il Concilio rappresenta la Chiesa stessa ed ha il potere immediatamente da Cristo.
Cusano fonda così una teoria della supremazia del Collegio sul potere del suo organo di governo che sarebbe stata gravida di conseguenze.

 

Parte seconda: IL MONDO MODERNO E LE SUE RIFORME

 

  • Gli inizi della politica moderna
    • Machiavelli

 

  • La Riforma
    • Lutero
    • Calvino
  • Costituzione, rivoluzione, repubblica e utopia

Sezione prima. Costituzione e rivoluzione

    • La Rivoluzione e Cromwell
    • I livellatori
    • Gli zappatori

              Sezione seconda. Repubblica e Utopia

    • Il repubblicanesimo
    • Milton
    • Moro
    • L’Utopia in Europa
  • La prima modernità
    • Bodin
    • La Ragion di Stato

- Botero
- Naudé

 

 

 

  • GLI INIZI DELLA POLITICA MODERNA

 

MACHIAVELLI (1469 – 1527)

Vita:
-- nasce nel 1465 a Firenze
-- dopo morte Lorenzo il magnifico periodo della repubblica dei Savonarola dove non riesce ad ottenere incarico politico fino nel giugno del 1498 (cancelliere dei dieci di Balià.. politica estera)
-- immerso nelle relazioni diplomatiche scrive per dovere d’ufficio lettere e dispacci (legazioni e Commisserie) e per diletto i versi del Decennale e dei capitoli.
-- si impegna per vedere la sua patria al centro della scena internazionale (anche se in costante perdita)
-- nell estate del 1512 rientrano i medici a Firenze e lui nel novembre si ritira a sant’andrea in percussiva.
--  nello sconforto dell’allontanamento si ripone nello studio di un antica trattazione riguardante le repubbliche (scrivendo i discorsi) per poi interromperla ed incominciare l’opera chiamata il principe (pubblicate entrambe 4 anni dopo la morte ovvero nel 1531)
-- ritorerà sulla scena fiorentina con l’incarico di scrivere la storia di Firenze (1520)
-- nel 1525 pubblicò L’arte dela guerra
-- morì nel 1527

 

Il caso e la virtù
Le opere di riferimento sono due: i “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” e il “Principe”
Nei Discorsi tratta della libertà collettiva, nel Principe della ricerca della potenza e della gloria.
Bisogna premettere che per Mac la logica non è quella della provvidenza, ma del caso, che per lui prende il nome di fortuna: la storia è un ciclo di accadimenti di cui l’uomo non ha né può avere il controllo.
L’unico modo per dare un senso a questo trionfo del caso è l’agire politico virtuoso, dove per virtù Mac in tende l’energia umana che si oppone alla fortuna.
Questo è l’unico modo per uscire dal proprio egoismo e per compiere imprese gloriose.
Nella realtà politica vi sono due aspetti da tener presenti: la natura dei tempi e la natura degli uomini: “Chi è tanto saggio da conoscere i tempi e tanto abile da modificare la propria natura conformandosi a quelli, potrebbe comandare alle stelle e al fato”

1) I Discorsi
a) La storia di Roma
In questo commentario Mac. ha una finalità pratica: legge la storia di Roma antica in controluce rispetto ai problemi di Firenze.
I problemi del presente sono drammatici:
- la crisi della repubblica romana
- la mutevolezza delle forme politiche
b) Il ciclo delle forme di governo
Si chiede perché esista questa pluralità e sostiene che non vi è un ciclo delle varie forme politiche, ma ciò avviene per la fragilità di questi organismi politici
Mac considera la politica come un campo di forze aperto allo scontro e alla formazione di egemonie, che sono pronte ad approfittare della debolezza altrui per realizzare la propria potenza
c) Centralità del conflitto
Mac ricorda che vari pensatori hanno suggerito un assetto politico misto, proprio per interrompere il passaggio da una forma di governo all’altra.
Rompendo la tradizione che identificava il bene politico con la concordia, Mac assegna alla disunione, al conflitto, un valore positivo: se Roma è rimasta libera, lo si deve proprio al conflitto tra Patrizi e Plebei.
d) La scelta filopopolare
Mentre nella storia di Firenze le varie classi sociali (gli umori) corrodono dall’interno la Repubblica, a Roma il conflitto fu portato alla dimensione pubblica e istituzionale e tenuto sotto controllo grazie al tribunato della plebe.
Mac, come del resto Marsilio, crede che il popolo sia da un lato più saggio e più costante del principe e, dall’altro, più moderato nella bramosia di potere.
Questa convinzione si basa non su una ideologia, ma sulla considerazione razionale che riconosce al popolo minori possibilità di usurpare la libertà e l’uguaglianza.
e) Potenza e gloria della repubblica
Mac preferisce, come forma di governo, la Repubblica, rivolta ad ingrandirsi militarmente; pertanto il popolo deve essere armato.
All’interno della Repubblica bisogna incanalare le energie conflittuali nei meccanismi istituzionali in modo da mantenere viva la vita politica.
L’unità della forma politica è un bene; così fu per i romani che trovarono questa unità nella religione, che per loro aveva un significato civile
f) La malattia del corpo politico
La virtù politica è soggetta ad essere erosa dagli egoismi naturali degli uomini.
La virtù politica è corrosa dalla corruzione: per corruzione si intende il disprezzo delle leggi, l’allontanamento dai principi della costituzione, la ricerca del bene di una sola parte.
Questa è la malattia del corpo politico. E quando la repubblica viene presa da questa malattia è necessario che l’uomo politico abbandoni i modi ordinari di governo, ma passi a quelli straordinari: la violenza e le armi.
E’ impossibile mantenere una repubblica in tempi corrotti o crearla di nuovo, la repubblica deve diventare una monarchia.
g) Realismo politico
Colui che vorrà agire così avrà successo solo in tempi lunghi,.
Tuttavia Mac continuerà a pensare che la repubblica sia l’organismo politico più vivo, più capace di durata e di espansione di un Principato.
h) Paragone tra età antica ed età moderna
L’età moderna segna la scomparsa della virtù antica, perché non ha più un ethos politico fondato su una religione pubblica. La religione cristiana deprime l’amore per la libertà e per la grandezza, mentre fa emergere altri valori come la passività e l’umiltà, non adatti alla vita politica.
Pertanto quella libertà che il cristianesimo non consente più, può essere surrogata da desiderio di ricchezza. Infatti solo la libertà politica rende possibile la ricchezza e il desiderio di ampliare il proprio dominio.
Questo è un sottile filo che lega il presente all’antico
Grande attenzione riserva poi Mac alle dinamiche della guerra, alle milizie, alla necessità di buoni soldati.
Il cuore della politica resterà per lui compreso nel circolo dei buoni soldati, buone leggi, buoni ordini

 

2) Il Principe

Il problema è: come individuare una forma politica capace di avere in sé l’energia politica (la virtù) capace di agire efficacemente in un mondo che per l’Italia e per Firenze sta diventando più insicuro.
a) Il Principato Nuovo
Mac lo individua nel Principato, ma tra i diversi tipi di Principato si interessa a quello che chiama il Principato Nuovo. Il suo modello di riferimento è il duca Valentino. Riconosce però che il Principato è un surrogato del suo ideale politico, perché tutto il potere è nelle mani di un solo uomo e non diffuso anche al popolo e nelle istituzioni politiche.
b) Il principe non è un tiranno
Mac distingue però tra governo politico e governo tirannico,. Il primo è rivolto alla potenza e alla gloria della città, il secondo agli interessi personali.
La prima cosa che deve fare il Principe è armare i suoi sudditi; Mac infatti condanna l’uso delle truppe mercenarie.
La seconda è fare buone leggi. Con le buone leggi  il Principe dimostrerà che è in grado di salvare il vivere civile e si dimostrerà servitore della politica
c) Etica e politica
Mac riconosce il valore dell’etica cristiana, ma sostiene che la politica si sottrae a quest’etica. Essa infatti si deve basare su un’altra etica, un’etica mondana il cui bene consiste nel successo del Principe, cioè nella potenza dello stato. E questo obiettivo è da perseguire anche a costo di violare l’etica religiosa.

 

d) Le virtù del principe
Gli obiettivi fondamentali sono: la potenza e il successo; esse costituiscono la grammatica della politica.
Deve essere esperto nell’arte della guerra e del comando. Deve essere parsimonioso  e non inseguire la magnificenza. Deve raggiungere una sicurezza fondata sulla forza e non sull’amore. Deve sapere dissimulare. Deve infine avere all’occasione le doti della volpe e del leone.
La visione politica di Mac è stata spesso criticata e queste critiche hanno impedito di vedere due importanti conseguenze: il peso della fortuna nelle vicende umane e la drammatica moralità che emerge dalla assoluta dedizione allo Stato che è imposta al Principe.
L’amore per lo stato deve essere tale che Mac prospetta anche la perdita dell’anima.
Le strategie per domare la fortuna sono quelle che differenziano il Principe virtuoso da quello che non lo è.
e) Polemica antinobiliare
Oltre a quanto sopra ricordato bisogna osservare che Mac pone grande attenzione ai rapporti sociali e alle forze reali che da lì si sprigionano.
Questa attenzione ai rapporti sociali emerge chiaramente, insieme alla polemica antinobiliare, là dove tratta delle varie modalità di ascesa al Principato.
Alcuni pervengono per scelera (attraverso il delitto) altri col favore dei cittadini, altri con l’appoggio dei Grandi.
Infatti colui che diventa Principe con l’appoggio di costoro si espone a due inconvenienti:

  • non potrà comandarli o maneggiarli a piacimento
  • non potrà soddisfare onestamente le loro richieste

Pertanto è necessario che il Principe abbia il popolo amico.
Infine è necessario che il Principe sia anche il capo militare del suo popolo.

 

 

 

  • LA RIFORMA

 

  • LUTERO (1483 – 1546)

Vita:

-- monaco agostiniano
--Eisleben in sassonia nato nel 1483
-- insegna teologia nel 1512 a wittemberg fino al 1517 inizio scontro con Roma
-- la sua vita si fa pi avventurosa (bando da Carlo V e scomunica da Leone X)
-- scomunicato per:  bolla excurge domine (1520); traduzione in tedesco del Nuovo testamento (1522) e l’intera Bibbia (1534).
-- pubblicherà opere quali: la libertà del cristiano (dove indica le proprie linee) 1520;  dell’autorità secolare (che affronta problema rapporto potere temporale e spirituale) (1523); de servo arbitrio (1524) in risposta ad Erasmo;  
-- morì nel 1546.

 

Il pensiero di  Lutero ha  influito sia nella storia delle idee che in quello della politica.
Introduce il concetto di soggettività nella interpretazione delle scritture e nella concezione del sacerdozio universale, eliminando così la gerarchia della chiesa..
Tuttavia afferma che la libertà del cristiano è accompagnata dal dovere dell’obbedienza alle autorità politiche.
Per Lutero il potere deve proteggere i buoni e punire i malvagi, non solo, ma deve anche riformare la Chiesa.
Sembra un ritorno ad un motivi medievale, ma in realtà è nuovo, perché nel Medio Evo non si amava un potere assoluto e senza limiti che emerge dalle pagine di Lutero; non solo ma il Medio Evo sosteneva la superiorità del potere spirituale su quello temporale, che Lutero distrugge.

Lutero dimostra che il cristiano è assolutamente libero e nello stesso tempo assolutamente servo; questa duplice natura e la conseguenza dei due regni, quello celeste e quello terreno.
Per Lutero il potere politico è una coazione solo esteriore, che non tocca l’essenza vera, la libertà interiore del cristiano giusto, che proprio per questo non ha bisogno del  potere, che è stato istituito per punire i malvagi; ma il cristiano dimostra di essere giusto, proprio obbedendo al potere, perché lo riconosce come istituito da Dio.
La differenza tra i due regni, quello della libertà interiore e quello della obbedienza esteriore è insuperabile.

 

 

  • CALVINO (1509 – 1564)

 

Vita:

-- nasce nel 1509 a Nyon (nord Francia)
-- si laurea in diritto nel 1529. pubblica nel 1532 un edizione commentata del de clementia di Seneca
-- Attraverso contatti ambiente del’evangelismo francese comincia a dubitare dell’intercessione
dei santi
-- 1533 le sue idee lo resero sospetto a Parigi e incominciò una vita errate.
-- l’istitutione de la religion  chretienne, Basilea nel 1536.
--  Nello stesso  si stabilì a Ginevra dove diventa capo del protestantesimo francese 8assunse governo della città e confessionalizzazione della sua vita politica
-- Morì nel 1564.

Il punto di partenza del pensiero di Calvino è: “In che modo la gloria di Dio sarà mantenuta sulla terra”. Da questo principio scaturisce l’affermazione che “Chi regna non avendo come meta la gloria di Dio, non esercita un potere regale, ma pirateria”.
Questo pensiero riduce a nulla l’autorità secolare al di fuori del riconoscimento della Signoria di Dio nel Mondo.

Pur condividendo con Lutero la critica alla Chiesa Cattolica e sostenendo che è solo la Grazia Divina che salva l’uomo, sostiene l’importanza delle opere: l’agire umano non produce la salvezza, ma è in grado, se è coronato da successo, di dimostrare che il singolo è assistito dalla grazia di Dio.
Secondo Weber qui si trovano le origini del capitalismo.
Da questo principio deriva, però, anche un’etica sociale: l’assoggettamento del nostro interesse a quello degli altri.
Quindi il credente ha un doppio giogo: quello della sua attività terrena e quello della pietà del credente

La Chiesa Calvinista non conosce gerarchia, quindi non conosce un’autorità che media tra cielo e terra. La scelta dei pastori avviene per elezione. (è un forte elemento di democrazia). Vi è un organo disciplinare, il Concistoro, che è un consiglio di uomini retti, rivestiti di autorità per correggere i vizi.

 

Questi elementi democratici sono però bilanciati da una forte teoria dell’obbedienza all’autorità.
Questa teoria dell’obbedienza al governo civile è volta a fronteggiare due opposti pericoli:

  • l’anarchia tipica degli anabattisti
  • quello degli adulatori dei principi che estendono la loro potenza fino a farli gareggiare con Dio

Come Lutero anche Calvino sostiene i due piani della vita umana: quello spirituale e quello politico.
Ma Calvino sostiene anche che il potere politico opera all’interno di uno stato cristiano, quindi il suo scopo è quello di garantire e mantenere il servizio di Dio nella sua forma esteriore. Così trasformò Ginevra in una teocrazia austera e intollerante.

Il compito del potere civile e di tutelare la tranquillità pubblica e di costringere all’onestà, quindi a noi spetta di sottoporci e di obbedire a qualunque autorità ci governi.
Il dovere di obbedienza è esteso anche ai magistrati, con una sola riserva: non ci devono distogliere dall’obbedienza di Dio.
Quindi vi è un limite all’obbedienza civile ed è il rispetto delle norme morali e religiose da cui il fedele crede dipenda la sua salvezza. Il questo caso è lecita la disobbedienza passiva, limitata alla non collaborazione con una autorità iniqua .
Nel pensiero di Calvino quindi la disobbedienza al potere è consentita solo per cause religiose.
Da qui l’ideale di una sorta di Democrazia religiosa: un autogoverno dei giusti.
Ma da questa concezione scatta anche il pericolo dell’intolleranza.

 

  • COSTITUZIONE, RIVOLUZIONE, REPUBBLICA E UTOPIA

Sezione prima: Costituzione e Rivoluzione

 

  • LA RIVOLUZIONE E CROMWELL (1599 – 1658)

Nel 1642 in Inghilterra scoppiò un conflitto tra il re e il parlamento, perché da una parte il re tentava di dominarlo, dall’altra il parlamento voleva porre limiti al potere del sovrano.
I più rivoluzionari erano i Puritani (i Calvinisti) che avevano creato la Chiesa Presbiteriana, di impronta decisamente più democratica.
In questo clima scoppiò la rivoluzione armata capitanata da Cromwell che, al comando di un esercito di uomini liberi, sconfisse l’esercito regio
Cromwell si dimostrò subito, oltre che abile comandante, anche abile uomo politico e si oppose tanto al re quanto al parlamento che aveva decretato lo scioglimento del suo esercito.
Nel 1649 fu abolita la monarchia e il re Calo I condannato a morte. Fu promulgata la repubblica e Cromwell assunse il titolo di Lord Protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda.. Durò poco e nel 1690 fu di nuovo restaurata la monarchia.
Nel periodo repubblicano vi fu un dibattito circa il suffragio universale maschile, che suscitò il timore che potesse diventare un attacco dei nullatenenti verso i proprietari
Prevalse il parere negativo sulla base di due ragioni:

  • il fatto della semplice esistenza in vita non crea il diritto alla rappresentanza
  • poteva essere il primo passo verso uno scardinamento progressivo delle istituzioni

Da questa rivoluzione emersero le figure dei livellatori e degli zappatori

  • I LIVELLATORI (Lilburne 1614 – 1657)

Il movimento dei livellatori fu un movimento radicale che combatteva contro il dispotismo e il privilegio e sosteneva la legittimità di livellare (eguagliare) il peso politico di tutti i cittadini
Ciò che più spaventava i loro oppositori era il loro insistere sul diritto di natura e il loro difendere in modo coerente un programma politico ispirato ai principi del radicalismo democratico
I capisaldi del loro pensiero politico erano:
- legittimazione di qualsiasi autorità solo in base al principio della rappresentanza eletta a suffragio
universale
- le cariche devono essere temporanee
- la libertà religiosa deve essere garantita
In sostanza il pensiero dei livellatori era una mediazione tra le istanze democratiche e quelle liberali, visto che, oltre a ciò che è stato detto sopra, vi era anche il tentativo di limitare il potere, che pur fondavano democraticamente, attraverso la certezza del diritto

  • GLI ZAPPATORI (Winstanley 1609 – 1676)

Era un gruppo ancor più radicale che deve il suo nome al fatto che coltivavano del terreno pubblico con l’intento di farne strumento di sostentamento dei poveri.
Il problema era di portare avanti la rivoluzione fino al compimento finale, per fare in modo che un potere non ne sostituisca un altro.
La rivoluzione deve essere un grimaldello per sovvertire l’ordine attuale e fare iniziare un’età nuova. Per fare questo bisogna azzerare i rapporti di proprietà e prendere le distanze dal tempo dei re.

L’Inghilterra deve essere una repubblica libera  e per fare questo bisogna abolire la proprietà privata e creare un comunismo che consiste nella ridistribuzione delle terre.
Winstanley sosteneva che la proprietà della terra è tale o per nascita o per conquista. Se la sua legittimità deriva dalla prima ragione, bisogna riconoscere che la nascita non discrimina nessuno, se deriva dalla seconda, a maggior ragione si deve giungere a una conclusione di illegittimità.
La libertà è quella condizione di dare a tutti gli uomini, grazie al buon uso comune della terra, nutrimento e sostentamento.

Winstanley analizza anche le forme di governo, dividendole secondo le modalità con cui è gestita la terra.
Il governo regale
Questo governo è fondato sulle categorie del vendere e comperare, sulla guerra e sul primato della volontà del re.
E’ quindi una servitù politica imposta ai sudditi
Il governo repubblicano
E’, invece, la libertà. Una libertà che deve organizzarsi secondo le logiche del comunismo e che quindi deve sostituire le leggi precedenti con nuove leggi emanate dal parlamento, che devono essere brevi e semplici, che non abbiano bisogno quindi di interpretazione.
Dei grandi magazzini devono raccogliere tutti i prodotti da distribuire, con la sorveglianza di organi di controllo, secondo necessità.
Tutti i funzionari devono essere eletti e durare in carica un anno.
Il problema della proprietà
E’ il punto centrale, perché è la causa delle disuguaglianze. La critica di Winstanley è rivolta alle enclosures.
In Inghilterra, a partire dal cinquecento, le terre demaniali (dello stato) erano state appropriate individualmente attraverso il sistema delle enclosures, cioè recinzioni che sottraevano queste terre all’uso comune. Questo inizio di utilizzazione capitalistica della terra aveva consentito l’accumulazione del capitale, ma anche prodotto una grande massa di poveri, di contadini cacciati dalle campagne.
La reazione dell’opinione pubblica di fronte a questo fatto era stata duplice

  • da una parte l’ambiente culturale aveva approvato i processi di appropriazione individuale della terra
  • dall’altra aveva espresso nostalgia per il mondo antico, per un’età dell’oro ormai perduta.

Da questo secondo atteggiamento nacque il pensiero utopico

 

 

 

 

 

 

 

 

Sezione seconda: Repubblica e Utopia

 

  • IL REPUBBLICANESIMO

In quegli stessi anni in Inghilterra si consolida anche un altro gruppo di pensatori che segue l’esperienza repubblicana con attenzione alle dinamiche politico istituzionali.
E’ un nutrito gruppo di repubblicani che pensavano ad una convivenza capace di realizzare valori quali la libertà personale, la partecipazione diretta e appassionata alla vita politica  e l’autogoverno collettivo.
Sostenevano una libertà come assenza di dominio, quindi come autogoverno, a livello istituzionale sostenevano un governo misto e una forte opposizione alla tirannide fino al tirannicidio
Due erano i punti di riferimento teorico:

  • annullare le differenze costruite dal pensiero tra forma regale e tirannide
  • incompatibilità tra libertà e monarchia, quindi l’eccellenza sta nella repubblica

L’autogoverno è possibile solo attraverso una generale diffusa presenza di virtù politica tra i cittadini insieme all’eccellenza morale della partecipazione; queste convinzioni fanno del repubblicanesimo una vera e propria filosofia politica, che circa un secolo dopo sarebbe trionfata con la nascita degli Stati Uniti d’America.
Il più importante esponente di questo pensiero fu Milton

  • MILTON (1608 – 1674)

 

Vita:

ànasce nel 1608
àpoeta di grande fama e grandi opere politiche (aereopagidica (1644), Paradise lost (1667) con adesione ai principi puritani
à fu segretario di stato e difese la repubblica con l’azione (a favore del regicidio e della restaurazione)
à morì nel 1674

 

a) La libertà di stampa
La sua opera più importante è l’Aeropagitica in difesa della libertà di stampa e di opinione.
Sostiene la tolleranza e la libertà contro un decreto del parlamento che istituiva la cnsura sulla stampa. Due erano le sue convinzioni:

  • la fiducia che la verità abbia bisogno di dialogo e anche dell’errore per crescere
  • non vi può essere libertà politica senza pluralità di opinioni

Con queste sue convinzioni sostiene anche che l’errore , scoperto e combattuto, è di grande aiuto per la conquista del vero
b) L’ideale della molteplicità
Sostiene  anche la libertà di parlare e discutere liberamente secondo coscienza, non solo, ma è anche il paladino delle varietà e delle differenze estendendo la critica pure alla Chiesa e allo Stato.

c) Critica alla monarchia
In contrasto con chi sosteneva la sacralità della figura del re, sostiene la legittimità  e la legalità della deposizione  e dell’uccisione di un tiranno o di un re malvagio.
Re e magistrati non sono padroni e signori di un popolo, ma incaricati dal popolo e vincolati al rispetto delle leggi
L’idea centrale è “l’originaria appartenenza del potere al popolo” che quando decideva di trasferirlo al re non se ne alienava, ma glielo affidava nella forma di rapporto fiduciario, glielo delegava.
Milton avvicina molto la figura del re a quella del tiranno. Tiranno non è solo il re che si macchia di delitti, tiranno è il re come tale, perché la monarchia ereditaria trasforma il re da funzionario dello stato in padrone dello stato, svincola il re da promesse e patti lo mette in posizione di superiorità rispetto agli altri uomini contravvenendo all’uguaglianza naturale e alla libertà

d) Libertà come autogoverno
Il venir meno di questa distinzione non è solo una polemica politica, ma è la logica conseguenza di una teoria della libertà come autogoverno: la deposizione del sovrano è la premessa indispensabile per realizzare il valore politico della libertà.
Indipendentemente dal problema economico, il peso dei costi della corte regale, Milton pone l’accento sull’aspetto etico e politico.  La repubblica è quella forma di governo che dà valore all’uguaglianza, dà preminenza al pubblico e all’universale rispetto al familiare e al privato, che richiede l’esercizio costante delle virtù morali e politiche da parte dei cittadini che si assumono l’onere della libertà.
La Repubblica quindi realizza la giustizia e la l’equità, non solo, ma induce alla nobiltà d’animo, all’abolizione della servitù e del servilismo.

e) Principi del repubblicanesimo
Il repubblicanesimo di Milton è lontano sia dal radicalismo democratico dei livellatori, ma anche da quella carica libertaria che dovrebbe essere tipica del modello repubblicano.
Ad esempio Milton sostiene che organizzare la libertà non sia necessari por mano ad una radicale legge agraria.
L’istituto che deve incarnare i principi di un governo libero è un Consiglio generale degli uomini più capaci, scelti dal popolo, perché si occupino di volta in volta degli affari pubblici in vista del bene comune. (una specie di Senato).
Le sue attribuzioni e la sua durata devono essere perpetue.
Accanto a questo Consiglio vi devono essere ampi poteri locali federativi in grado di bilanciarlo, secondo i meccanismi di quello Stato misto tipico del Repubblicanesimo.
Nello stesso tempo Milton rivela seri dubbi sulla naturale bontà del popolo, per questa ragione è contrario alla rotazione delle cariche, anche parziale, perché così facendo si escluderebbero persone migliori e capaci per inserirne incapaci,  immature ed inesperte
In conclusione oscilla tra l’accettazione dell’elezione come forma originaria della repubblica e la speranza che la selezione tramite l’elezione dia vita ad un’aristocrazia permanente.

 

  • MORO (1478 – 1535)

Vita:
-- nato nel 1611
-- compose La repibbica Oceana nel 1656 (durante prettorato di Comwell)
-- nel 1660 (periodo della restaurazione ) compose numerose opere e si dedica alla politica
-- nel 1661 subisce l’esilio da Carlo II
-- dopo l’esilio non fu più un unto di riferimento teorico e morì nel 1677

 

Il termine Utopia è legato ad un libro pubblicato da Tommaso Moro ed indica un luogo che non esiste, ma in cui esiste il benessere, la felicità dei suoi membri, e soprattutto la giustizia
a) La situazione inglese
E’descritta nella prima parte del libro ed è miserevole:

  • non si riesce a far  diminuire il numero dei ladri
  • i contadini sono cacciati dei nobili che recintano le terre e se ne appropriano
  • i politici preparano guerre pensando che la gloria che deriva dalle imprese militari valga più delle attività fatte in pace

Moro critica questa orribile brama di possesso che si incarna nella proprietà privata.
b) Il sistema economico dell’Utopia
Viene affrontato nella seconda parte del libro E’ un mondo felice e la felicità risiede proprio nella abolizione del danaro e della proprietà privata.
Tutti a rotazione fanno tutti i mestieri necessari per sei ore al giorno. I prodotti vengono portati ad un mercato comune dove ciascuno prende ciò che serve senza pagarlo. I pasti sono presi in comune, e tutti gli abitanti vegliano sui malati. Poche sono le leggi, tutti credono in una religione che scoraggia le lotte e l’odio tra le sette e che, pur nella diversità dei culti, è unificata dalla credenza nell’immortalità dell’anima e nell’esistenza della provvidenza.
c) La felicità
Il più importante dei saperi è la saggezza e i consigli della saggezza sono di un uso moderato dei piaceri. Deve essere un piacere orientato alla virtù. Questo conduce alla felicità

 

 

d) Problemi
Nonostante tutto sembri positivo, i problemi insorgono quando si tratta di definire il potere politico. Si parla di una guerra giusta per liberare i popoli dalla tirannide, dell’esistenza di schiavi, di magistrati: tutto questo fa pensare ad una presenza forte e manifesta del potere.
Tuttavia le cariche sono elettive e il dialogo tra la popolazione e le istituzioni molto forte.
In Moro la politica è mescolata da un lato con al morale e dall’altro con l’amministrazione tanto da far pensare che il legame sociale intenso e totalizzante sostituisca il potere politico.

  • L’UTOPIA IN EUROPA

 

a) Contraddizioni dell’Utopia
Utopia e modernità
L’utopia è una protesta contro il disagio della modernità, contro la rottura dei legami tradizionali
imposti dal capitalismo nascente, contro l’ascesa dei prezzi, la formazione di monarchie nazionali, le guerre di conquista con la scia di fame e di morte che lasciano dietro di sé.
D’altro lato la modernità dell’Utopia sta nella volontà di affermare la potenza e l’estensione della signoria del pensiero umano sulla società e sulla storia sottraendola a qualunque influsso.
La possibilità di realizzazione dell’Utopia
Da una parte l’Utopia si concepisce come realistica, dall’altra le soluzioni che presenta, anche se sono razionali quanto gli obiettivi, non lo sono per i mezzi: anzi non c’è un’analisi dei mezzi per raggiungerla.
Di conseguenza l’Utopia più che un progetto politico è l’espressione di un’esigenza che non si sa come realizzare. Quindi si colloca tra sogno e realtà e, nelle sue varie forme, sembra incapace di uscire dalle contraddizioni in cui nasce a da cui trae alimento.

b) L’utopia in Europa
La fortuna di queste teoria fu impressionante ed è testimoniata da numerosi scritti apparsi in Germania, Spagna, Francia Italia. Tra i tanti teorici dell’Utopia ricordiamo Tommaso Campanella e Francesco Bacone

TOMMASO CAMPANELLA (1568 – 1639)

vita:
-- nasce in calabria nel 1568
-- studia a Napoli ed entrò nell’ordine dei domenicani
-- venne arrestato nel 1594 per eresia e rimase 3 anni in carcere.
-- nel 1599 guidò la congiura antispagnola, si finse pazo e rimase in carcere fino al 1627
-- nel 1634 si recò in Francia dove attese alla pubblicazione di molte sue opere composte in carcere
-- morì nel 1639

La sua opera è “La città del Sole”. Inizia con la descrizione architettonica della città, cinta da mura e in cui tutti i palazzi sono uniti … “tanto che puoi dire che tutti siano uno”. In questo modo incarna il dominio della unità e della totalità
L’immaginare a livello politico una repubblica dove tutto è in comune e non vi è proprietà privata rappresenta il principio metafisico dell’unità e il disprezzo della scellerata brama di possesso che è causata dall’amor proprio.
Emerge ancora una volta l’antica concezione per cui pubblico e privato hanno tra loro un rapporto di opposizione.
Il sistema di potere
Se la repubblica della Città del Sole è “cosa comune”, non lo è il sistema politico e istituzionale. E’ invece una vera e propria monocrazia, con il governo dell’Uno. “E’ il principe e sacerdote tra loro che s’appella al Sole e si chiama Metafisico” E’ lui il capo spirituale a cui tutti devono fare riferimento. E’ affiancato da tre collaboratori (Potenza, Sapienza, Amore) … e questo fa pensare ad un governo aristocratico, ma se si riflette sul fatto che devono sempre assecondare il Metafisico si capisce che è solo il governo dell’Uno, perché solo l’Uno è adatto a dar voce alla verità

 

 

FRANCESCO BACONE (1561 – 1626)

 

Vita:
-- nasce nel 1561
-- ebbe incarichi nella vita politica sia sotto Elisabetta che sotto Giacomo I
-- 1621 viene processato per corruzione e escluso dalla vita politica
-- Tra le opere abbiamo Nuovum Organum e Nuova Atlantide (1627 pubblicata)
-- Mori nel 1626

La sua opera è la Nuova Atlantide.Campanella intendeva redimere i mali del mondo attraverso una forma di comunismo, Bacone invece pensa di poterlo fare attraverso l’applicazione delle conoscenze scientifiche.
Quindi Bacone non rivolge il suo pensiero alla rigenerazione sociale della comunità, ma alla pianificazione della scienza e alla sua applicazione alla società
Bacone pertanto è poco incline a rivoluzionare i rapporti politici, al contrario rivoluziona la modalità di produzione e di applicazione della scienza all’intera società.
La scienza non deve più essere affidata ad un genio solitario, ma organizzata socialmente e disciplinata. Il suo punto d’appoggio è la Casa di Salomone in cui la ricerca delle cause e dei principi delle cose è fin dall’inizio strettamente legata alla possibilità della sua applicazione.
Ecco che nella Nuova Atlantide appariranno miniere, macchine utili (aerei, sottomarini, refrigeratori) e tutto grazie alla divisione del lavoro
Sembra che da tutto ciò debba scaturire il benessere collettivo, visto che epidemie e terremoti potranno essere previsti e fronteggiati.
Il benessere individuale è però un’altra cosa e pare che Bacone non lo consideri molto importante, visto che è attratto dall’idea della potenza della scienza.

 

6. LA PRIMA MODERNITA’

  • BODIN (1530 – 1596)

 

Vita:
-- nasce nel 1529-1530
-- giurista e uomo di cultura
-- scrisse : Methodus ad facilem historiae cognizione (1566); Demonomanie des sorciers (1580) Colloquium heptoplomeres; L’universae naturae theatrum  (dove tratta spaziando su quasi tutte le scienze umane.
-- conquista il ruolo di pensatore politico pubblicando Six livres de la republique,  unsciti el 1576 in francese e in latino nel ’86.
-- Morì nel 1596

 

Il punto di partenza di Bodin è la crisi dello Stato e dell’autorità, per cui è necessaria una restaurazione del comando e dell’obbedienza; ma la restaurazione dello Stato in Bodin è una vera innovazione, perché il centro del suo pensiero è il concetto, nuovo, di sovranità assoluta.
a) Definizione di sovranità
Lo Stato è come “il governo giusto che si esercita con potere sovrano su diverse famiglie e su tutto ciò che esse hanno in comune tra di loro”
Il primo presupposto è quindi che l’associazione familiare sia originaria e naturale.
Il secondo è che la sovranità è il cardine su cui poggia la struttura dello Stato.
Ne deduce che la sovranità è quel potere assoluto e perpetuo che è proprio dello Stato.

  • perpetuo: non deve essere sottoposto a vincoli temporali, perché ne limiterebbero l’esercizio
  • assoluto: non deve avere un’istanza superiore; il re non deve essere sub lege, è lui che dà le leggi

      Deve essere anche indivisibile, non deve cioè condividerlo con nessuno e inalienabile,  non
deve  cederlo ad altri
b) Limiti della sovranità
Bodin non si interessa solo del problema della sovranità, ma allarga le sue riflessioni alla difesa del diritto privato, dell’intangibilità della proprietà e della giustizia
E’ questa difesa che gli permette di distinguere la sovranità assoluta dall’arbitrio e a farne vedere i limiti.
I limiti della sovranità sono: il diritto divino, il diritto naturale, le leggi del regno, l’autonomia della proprietà privata dei sudditi.
Il pensiero di Bodin oscilla quindi tra due principi entrambi assoluti:

  • i diritti irrevocabili della famiglia
  • il potere legislativo assoluto del sovrano

Lo Stato cui Bodin guarda è quello monarchico, dove il potere di Uno è regale, cioè legale.
I sudditi devono obbedienza al re ed il re deve obbedienza alle leggi della natura.. Il re diviene tiranno quando non rispetta l’autonomia della proprietà, che è il fulcro delle garanzie della libertà.
Il monarca, infine, affida ai magistrati potere di comando a tutela della libertà pubblica, ma devono sempre eseguire gli ordini ricevuti.
c) Forme di Stato e di Governo
Nega la validità della forma mista, perché produrrebbe solo corruzione. Distingue anche tra forma di Stato e forma di Governo. Ammette che in regime  monarchico può coesistere una forma di governo democratica, quando il re ammette tutti a partecipare alle assemblee degli stati e alle magistrature, agli uffici, alle ricompense
d) Forme di giustizia
Individua tre forme tipiche di giustizia, relative altre classiche forme di governo:

  • commutativa, o aritmetica, tipica degli stati popolari che vogliono uguale divisione delle cariche, onori, uffici, danari comuni, paesi conquistati
  • distributiva, o geometrica, tipica degli stati aristocratici, dove potere e onori vengono affidati ai gentiluomini, mentre al popolo minuto solo uffici che non comportano potere
  • quella regia, o armonica, che tiene conto di tutto armonicamente e fa in modo che onori e dignità vadano ai ricchi, mentre i profitti ai poveri.

      L’esigenza di armonizzazione percorre il pensiero di Bodin e indica il desiderio di costruire la
sovranità senza sovvertire alle radici l’ordine civile.

 

  • LA RAGION DI STATO

La trattatistica della Ragion di Stato nasce in Italia e si diffonde in Europa ed ha le sue ragioni nella volontà di mediare tra due istanze insopprimibile dell’età barocca:

  • la politica non deve abbandonare il riferimento ai principi etici religiosi
  • la politica non deve essere indebolita dal legame con la religione

In quel tempo infatti il riferimento erano le opere di Machiavelli e Tacito. Machiavelli, che aveva dissociato la politica dalla morale cristiana, fu messo all’indice.
Si sviluppò il tacitismo che elogiava, parlando dell’imperatore Tiberio, la sua capacità di simulare, di maneggiare … e così giungeva a giustificare la frode. Questa moda del tacitismo crebbe tanto da impensierire coloro che la vedevano come una nuova versione della cattiva Ragion di Stato.

2.1. BOTERO (1544 – 1617)

Vita:
-- nasce nel 1544 (gesuita e insegnante in Francia e Italia)
-- segretario di San Carlo Borromeo e consigliere di Federico
-- scrisse opere religiose: Idel dispregio del mondo, de predicatore verbi dei, del purgatori;
-- le più importanti opere politiche sono:  de regia sapienza (1583), il delle cause della grandezza e magnificenza della città (1588); il della ragion di Stato (1589); le relazioni Universali (1590)
-- morì nel 1617.

a) Critica a Machiavelli e a Tacito
Botero polemizza contro la barbara maniera di governo desunta dal Machiavelli e da Tacito. Definisce la Ragion di Stato come un dominio fermo sopra i popoli, riecheggiando a Bodin.
Punto fermo di Botero è anche la conservazione dello Stato e dice che uno stato si acquista con la forza, ma si mantiene con la prudenza.
b) Conservazione del potere
Per conservare il suo potere il re dovrà procurarsi l’affetto dei sudditi attraverso il ricorso alle virtù e in particolare alla giustizia. Deve essere però la prudenza a guidare tutte le sue azioni.
c) Etica e politica
E’ necessario riconciliare l’etica cattolica con la politica, per cui è necessaria anche una prudenza politica, che ha le sue radici nella conoscenza della storia, della geografia, e nella filosofia morale.
La prudenza deve essere anche agile e flessibile. Il primo insegnamento della prudenza è che le deliberazioni del sovrano dovranno seguire l’interesse pubblico e non di parte.
La Ragion di Stato è una contravvenzione alle regole ordinarie in vista del Bene Pubblico.
Tra gli esempi che fa vi è anche questo: è nell’interesse del principe aiutare i poveri, perché diversamente vi sarà pericolo per la tranquillità pubblica.
Ancora: se i popoli conquistati hanno tendenza a ribellarsi, il principe dovrà fare in modo che abbiano interesse a restare sotto il suo governo.
Così facendo, da un lato garantirà la pace pubblica, dall’altro favorirà l’accrescimento dei benessere.
d) Il governo della società
All’interno di questa strategia colloca il governo economico della società. Botero salvaguarda l’iniziativa economica dei sudditi, non solo, ma spinge il sovrano ad essere lui la forza regolatrice dell’economia.
Per mantenere il popolo all’obbedienza, il sovrano deve procurargli benessere, ma deve anche ingrandire il proprio stato attraverso l’accrescimento di persone e forze, la conseguenza sarà anche l’accrescimento della potenza militare. Per fare ciò dovrà promuovere l’agricoltura, il commercio…
In sintesi si può dire che il pensiero di Botero è sia rigorosamente cattolico che rigorosamente mondano.

 

 

 

2.2. NAUDE’  (1600 – 1653)

Naudè si rifà a Machiavelli e dice che la necessità ha una sua legge intrinseca che spinge a violare le leggi positive. Poiché lo Stato si identifica col principe, ne consegue che questi ha la libertà di svincolarsi da ogni rapporto giuridico con i suoi sudditi.
Il principe inoltre è l’unico interprete della legge; è l’unico titolare dell’azione politica all’interno dello stato.
Naudè propone quindi di intendere la Ragion di Stato come la trasgressione del diritto comune per il bene comune.
Ma così sostenendo, dà per scontata la divisione tra politica e morale sostenuta da Machiavelli e criticata da Botero.
Naudè sottolinea anche il principio che la conservazione del popolo sia la legge suprema che giustifica il principe dall’allontanarsi dalle formalità cui la giustizia lo obbliga.
Infine si dilunga anche sulla simulazione e sulla dissimilazione, sull’uso della religione per atti politici e giunge a mettere sullo stesso piano i segreti di Stato e di Governo, i Colpi di stato e i segreti connessi all’esercizio del comando.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MANUALE DI STORIA

DEL PENSIERO POLITICO

 

 

 

Parte Terza: LA MODERNITA’ DISPIEGATA

7. Il soggetto e lo stato
* Hobbes
* Locke
* Spinosa

 

8. L’Antico regime e l’Illuminismo
* Montesquieu
* L’Italia
-  Vico
* Hume
* La rivoluzione americana

 

9. Ragione Rivoluzione
* Rousseau
* Kant
  

 

  • IL SOGGETTO E LO STATO

 

  • HOBBES (1588 – 1679)

 

Vita:

à nasce nel 1588
à entrò come precettore nella casa di W. Cavendish
à tra il 1610-1634 fece viaggi soprattutto in Francia e Italia entrando in contatto con Galilei e Marsenne.
à Pubblica nel 1628 una traduzione dell ‘opera Storia della guerra dl Peloponneso  di Tucidide
à Nel 1640 (vicino alla riv. Inglese) pubblico varie reazioni a causa delle opera Elements of Law  e si rifugiò a Parigi dove pubblicò  De Cive (1642) e il Leviathan (1651)
à Rientrò dopo il leviathan in Ighilterra  e pubblicò De corpore (1655) e il De nomine (1658); dopo la restaurazione degli Stuart , Carlo II (Hobbes suo insegnante a Parigi)gli garantì una pensione.
à Nel 1666 pubblicò Dialogue between a Philosopher and a Student of the Common Law of England  per difendersi dall’eresia.
à Nel 1670 scrisse Bahamuth  sulla guerra civile inglese e tradusse Iliade e Odissea.
à Nel 1678 pubblicò Il decameron physiologicum
à muore nel 1679

La filosofia politica di Hobbes è incentrata sul conflitto mortale da evitare e sull’ordine da ricostruire.
Non si tratta della ricerca del sommo bene, ma della fuga dal sommo male
La risposta ai problemi che pone la dà in forma compiuta nel Leviatano, preso dal libro di Giobbe. Ciò che gli  interessa del Leviatano, non è la mostruosità, quanto le seguenti caratteristiche:

  • è il potere più alto che esista
  • è stato creato per incutere paura
  • signoreggia e tiene a freno i superbi
  • con lui non si possono stringere patti

Queste sono le caratteristiche dello Stato, indicato non come un mostro ma come un grande uomo artificiale.

1.1. NATURA, PATTO, ARTIFICIO
a) L’uomo
Riflettendo sull’esistenza dei conflitti, Hobbes sostiene che il conflitto avviene non tra i gruppi, ma fra i singoli individui, e questo è un dato naturale.
La natura è senza ordine, morale o politico, presente o finalistico.  L’uomo è parte della natura e questo disordine è presente anche in lui e consiste nell’uguaglianza naturale tra gli uomini.  In natura vi è solamente il cosiddetto diritto naturale che è la libertà
L’uomo è quindi sempre “uguale”, ma cerca nello stesso tempo di esercitare il proprio diritto, cioè di appagare il desiderio di ricchezze, onore e comando
b)) La conflittualità naturale
La conseguenza è che l’uomo è anche naturalmente conflittuale, da qui nasce ogni forma di conflitto fino alla guerra. E’ “homo homini lupus” di Plauto.
Con questa affermazione Hobbes considera tramontata l’immagine antica di origine aristotelica di un uomo come essere razionale che orienta la politica al bene comune.
Il bene non realtà oggettiva, ma solo il nome che si dà a diversi interessi soggettivi.
La scarsità dei beni  rende troppo alto il tasso di conflittualità, per cui è necessario uscire da questo stato di natura, ma non per il bisogno di giustizia, ma per l’utilità di ciascuno.
Il ragione ci fa poi comprendere che l’interesse di ciascuno è la pace. Questa razionalità è la legge naturale, che è un comando della ragione che vieta all’uomo di fare ciò che è lesivo della sua vita.
c) Le leggi di natura
La legge naturale della pace è il comando morale che costituisce il quadro entro cui si legittima la politica.
E’ un pensiero molto lontano da Mac, tuttavia hanno in comune l’abbandono della morale cristiana come fondamento della politica.
La legge naturale si specifica in diciannove altre leggi che sono riassumibili nella massima “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”
L’obiettivo della politica è costruire le condizioni che consentano a tutti di obbedire alle leggi naturali e quindi di vivere in pace.
A tal fine Hobbes introduce i concetti di:
- Autore: colui a cui il popolo ha ceduto la propria autorità
- Attore: lo stesso, che di conseguenza agisce per conto loro, è il loro rappresentante
Quell’uomo è il sovrano.

d) Il patto e la rappresentanza
Risolto il problema di chi sia il sovrano, bisogna ora capire da dove ha origine il suo potere. Secondo Hobbes ha origine dalla logica del patto e dalla rappresentanza politica moderna
Il patto è un accordo politico vero e proprio, ed è distinto dal contratto. Infatti il contratto è un trasferimento di diritto, mentre il patto si proietta nel futuro ed implica una reciproca fiducia.
La rappresentanza è la cessione del diritto naturale di ciascuno ad un terzo
Il prodotto del patto è il Leviatano, il Dio mortale, che rappresenta in sé il potere di tutti.
Il Leviatano è il mezzo che rende possibile la vita associata, perché è un patto tra uguali, è un patto di unione e non di soggezione. Il potere del sovrano non deriva da una superiorità naturale o metafisica, ma dal patto che noi stessi abbiamo stabilito con lui.
Questa concezione fa di Hobbes il padre del razionalismo politico moderno, perché il potere è costruito secondo ragione.
Con Hobbes nasce anche uno dei problemi della politica moderna: la sua teoria razionale fa sì anche che non vi sia più la tradizionale distinzione tra autorità e potere, fra Giustizia e legge positiva. Non c’è nulla che il sovrano possa fare e che possa essere chiamato ingiustizia, perché ogni suddito è l’autore di ogni atto del sovrano. Quindi non c’è differenza fra regno legittimo e tirannide.
e) Negazione del diritto di resistenza al sovrano
Un’altra conseguenza del patto di unione fa sì che non ci si possa opporre al Leviatano. Non ci si può rifiutare di obbedire allo stato appellandosi ai patti che non ci sono mai stai, perché lo stato è la conseguenza del cittadino. Vero è che esiste la disobbedienza, ma questa distrugge lo stato
Hobbes si oppone al calvinismo, sostenendo che non ci sono patti diretti o indiretti con Dio.
La pace, ecc. si paga al prezzo di una alienazione irreversibile e quasi completa: il popolo non esiste autonomamente se non grazie all’unità del rappresentante
Con questo il pensiero moderno abbandona l’antichissima idea che la politica consista nel governo del diverso sul diverso, del migliore sul peggiore.

1.2. IL SOVRANO
a) Potere del sovrano
Il sovrano, in quanto ha il potere di tutti, ha un potere indivisibile, incondizionato, irresistibile.. Quindi non è possibile separare i tre poteri: il sovrano ha potere legislativo esecutivo e giudiziario. Può nominare i ministri e dichiarare la guerra e non deve rendere conto a nessuno del suo operato.
b) Potere legislativo
Il sovrano è soprattutto colui che fa le leggi, le quali sono legittime per il solo fatto che sono l’espressione della volontà della persona che rappresenta la razionalità di tutti.
La sovranità legislativa è assoluta ma non arbitraria, perché è vincolata alla logica per cui è stata istituita “la pace dei sudditi con se stessi e la loro difesa contro un comune nemico”
c) Il diritto di condannare a morte
Non è ammissibile, se non nel caso in cui dalla morte di quell’uomo dipenda la vita del Leviatano.
Allo stesso modo il Leviatano non può costringere a fare la guerra, perché andare in guerra vuol dire correre il rischio di morire (il diritto naturale all’autodifesa è irrinunciabile) a meno che dalla sconfitta in guerra ne derivi la distruzione del Leviatano.
d) Obbedienza e Libertà
Il Leviatano è nato dall’unità dei singoli e non dalla loro libertà. Pertanto non vi è libertà all’interno dello stato, infatti la legge è “la restrizione della libertà naturale, senza la quale non vi può essere alcuna possibilità di pace”
Tuttavia obbedire non è credere; con questa affermazione neutralizza il conflitto con la religione lasciando libera l’interiorità dell’uomo.

 

e) Pace e guerra
Data la pluralità dei Leviatani, tra di loro la guerra è sempre possibile, come avveniva tra gli uomini allo stato di natura.
Hobbes distingue tra ciò che si fa dentro e ciò che si fuori dallo stato. Il crimine avviene dentro lo stato, mentre il male che si fa ad un nemico non è un crimine, ma un atto di guerra.
La guerra è un atto di sovranità, perché gli stati sono tra di loro in uno stato di natura
f) Morte del Leviatano
Lo stato è un Dio mortale: è un artificio fatto dagli uomini che errori e casualità possono distruggere.
Le cause sono molte: l’incomprensione della necessità dell’assolutezza del potere del sovrano e dell’obbedienza che gli è dovuta e nella pretesa di avere diritti che precedono lo stato, come il diritto alla libertà, alla proprietà privata.
Benché gli si debba obbedienza, però, lo stato non è che uno strumento e merita obbedienza finché funziona … una sconfitta in guerra libera i sudditi dalla leatlà verso il sovrano.

1.3. TEOLOGIA POLITICA
a) La religione
Per Hobbes le religioni hanno avuto origine dalle superstizioni, dall’ignoranza dei fenomeni naturali, dalla paura, ecc. Fa eccezione la religione cristiana, che definisce la nostra religione.
Il problema è: come si può obbedire al Dio cristiano e non essere in contrasto col Leviatano?
b) Lo Stato cristiano
Lo stato non può prescindere dalla religione, anzi lo stato può nascere solo dalla retta comprensione del comando divino. Quindi la politica laica deve presentarsi come teologia politica
L’obiettivo di Hobbes è di presentare la sua politica razionalistica come l’unico modo corretto di interpretare la religione cristiana. Il rapporto con Dio è tenuto soltanto dallo stato, cioè da l sovrano, che è il vicereggente di Dio sulla terra.
c) Interpretazione delle scritture
Hobbes sostiene che regno di Dio significa in realtà regno civile di Dio che regna su un popolo. In un primo momento direttamente (i profeti di Israele) poi indirettamente (già con Israele nel periodo dei Re).
Attualmente Dio continua a regnare sugli uomini per natura, cioè attraverso le leggi razionali. Dio è inconoscibile e l’unico modo per rendergli onore è obbedire alle sue leggi. Ma la legge fondamentale è quella della pace … e l’obbedienza al Leviatano è l’unico modo per vivere in pace. Quindi chi obbedisce al Leviatano, obbedisce a Dio.
Le scritture contengono la parola di Dio, ma hanno bisogno di interpretazione, ma quella del sovrano per essere decifrate e obbedite. La Bibbia è legge solo dove i sovrani civili l’hanno resa tale. Nonostante questa posizione Hobbes riconosce che in cuor suo ogni suddito è libero di credere o di non credere
d) Polemica anticattolica
Hobbes confuta le posizioni del Bellarmino che sostiene che il papa, avendo un potere sulle anime può fare appello alla coscienza dei fedeli e anche incitarli a disobbedire alle leggi dei sovrani che ritiene contrarie alle leggi di Dio.
Per Hobbes è inaccettabile. La Chiesa non è la gerarchia, ma l’insieme dei fedeli che credono in Cristo; la gerarchia ha avuto il compito di insegnare le verità di fede e di obbedire al sovrano.
La Chiesa di Roma è uno stato come gli altri, pretendere che i cittadini di uno stato obbediscano al Papa è come pretendere che i cittadini di uno stato obbediscano a uno stato straniero..
Il cristianesimo è la fonte del potere politico di uno stato e i re sono i supremi pastori del gregge cristiano, il che significa che potere politico e potere religioso sono la stessa cosa.

 

e) Neutralizzazione politica della religione
Il pensiero di Hobbes è quindi il contrario della tradizionale fondazione religiosa della politica, è semmai una politicizzazione della religione, ma nel senso che il controllo dello stato sulla religione serve solo a impedire che la religione abbia effetti politici conflittuali.

 

2. LOCKE (1632 – 1704)

Vita:

-- nasce nel 1632
-- segretario di Lord Ashley (le sue vicende lo costringono all’esilio due volte)
1672 Francia 1679 olanda
-- si associa con Gugliemo D’orange (tornando dall’esilio), e non sid edica dopo essere rientrato in patria all’attovità politica diretta
-- pubblica I saggi sulla legge di natura, Epistola sulla tolleranza, i due trattati sul governo , il saggio sull’intelletto umano. I pensiero dell’educazione, la ragionevolezza del cristianesimo.
-- vissee gli ultimi annia  Oates e morì nel 1704.

Rispetto a Hobbes Locke ha un diverso obiettivo politico

  • Hobbes mirava alla costruzione di uno Stato assoluto capace di neutralizzare le guerre civili di religione
  • Locke ha per obiettivo la rivoluzione antiassolutistica

Quindi Locke costruisce un modello di ordine politico che possa limitare il potere del sovrano, a beneficio del cittadino.
Introduce la suddivisione dei poteri e alcuni concetti chiave del costituzionalismo moderno
I due trattati sul governo sono il manifesto del Parlamentarismo e della limitazione per costituzione del potere del re, contro l’assolutismo cattolico degli Stuart (e contro R. Filmer che teorizzava il diritto divino del re).
L’obiettivo di Locke era:

  • colpire la modernità cattolica (di Filmer che teorizzava il diritto divini dei Re) estranea al contratto(primo trattato)
  • rendere le dottrine moderne del contratto di Hobbes, prospettate in modo assolutistico, adatte a rispettare le libertà sociali e individuali (secondo trattato)

2.1. IL PRIMO TRATTATO SUL GOVERNO
Anche Locke in questo primo trattato fa una sorta di “teologia politica” come Hobbes contro le tesi del Bellarmino riprese da Filmer.  
Filmer sostiene che nessun uomo nasce naturalmente libero, ma soggetto ad un re. Questo perché Dio ha dato ad Adamo un’autorità paterna sul genere umano. L’autorità del re Adamo si è trasmessa attraverso i Patriarchi fino ai re di Israele ed è il titolo che grazie al quale ogni re regna.
Locke dimostra che Adamo non ebbe da Dio  alcun potere sugli uomini né sulle cose. Quindi Adamo non è sovrano, né per creazione, né per donazione divina, né per paternità.
Inoltre l’eredità di Adamo, se ci fosse stata, non sarebbe trasmissibile ai suoi eredi, perché ogni figlio di Adamo, ogni uomo, avrebbe potuto goderne.. Quindi se la regalità fosse di diritto divino, non sarebbe trasmissibile, e anche se fosse stata trasmessa, la discendenza di Adamo sarebbe irriconoscibile.
Quindi non è Dio ma la ragione umana a costituire la base e il fondamento di legittimità del potere politico.

2.2. IL SECONDO TRATTATO SUL GOVERNO
2.2.1. Lo stato di natura e i diritti
a) Lo stato di natura
Lo stato di natura è la condizione umana naturale di perfetta libertà ed uguaglianza.. Pertanto gli uomini non devono nuocersi a vicenda. Non solo, ma ciascun uomo è giudice ed esecutore della legge di natura e può punire chi la trasgredisce, ed ha diritto a chiedere riparazione.
b) Instabilità dello stato di natura e differenze da Hobbes
La posizione di Locke è più complessa di quella di Hobbes

  • La guerra: lo stato di natura può trasformarsi in stato di guerra, essendo essa un diritto di autodifesa, ma una volta iniziata la guerra ben difficilmente trova fine o soluzione. Per Locke non è la condizione normale dell’umanità, ma si presenta come ingiusta aggressione o come giusta resistenza a questa ingiusta aggressione.
  • La proprietà privata: Per Locke è un diritto naturale come la libertà e la vita. L’uguaglianza di natura viene modificata nel tempo da lavoro, che consente la disuguaglianza tra gli uomini proprio a causa della diversa quantità che ciascuno compie.
  • L’autorità: per natura gli uomini sono sottoposti a una sola autorità, quella dei genitori, che si esercita sui figli minorenni. Locke sostiene anche la superiorità del marito sulla moglie, ma nello stesso tempo afferma che ciò vale per la vita privata e non per quella pubblica.

 

2.2.2. ll corpo politico
a) La legge morale naturale
Locke ha una visione più positiva di Hobbes, infatti sostiene anche che lo spirito umano è in grado di controllare impulsi e desideri, quindi già in natura vi è una legge morale di reciproco rispetto degli uomini e della proprietà.
Quindi l’ordine politico, artificiale, non è l’opposto dello stato di natura, i due ordini possono coesistere. Il contratto razionale non azzera la natura, la migliora.
b) Difetti dello stato di natura e loro superamento
Lo stato di natura ha tre difetti: non vi è legge certa (ognuno la interpreta soggettivamente), non vi è un giudice riconosciuto ed imparziale, infine non vi è un potere esecutivo
Pertanto è necessario che ogni uomo rinunci al suo potere naturale e lo rimetta nelle mani della comunità, che diventa arbitra delle controversie. Questa comunità è la repubblica.
Quindi emerge un patto, in senso moderno, fondato sulla logica dell’autorizzazione: ciascun cittadino autorizza la società politica a fare le leggi.
E’ un patto tra uguali. A differenza di Hobbes questo patto non richiede che la logica dell’autorizzazione dia vita all’istituzione di un sovrano
c) I diritti naturali
Quando un individuo entra in una società rinuncia sia al proprio diritto alla vita, libertà e proprietà, sia al diritto di giudicare ed applicare la legge naturale, cioè al diritto di fare giustizia. Ma solo quest’ultimo è veramente ceduto al corpo politico, mentre gli altri diritti sono ceduti solo per vederseli restituiti garantiti dalla legge, trasformati in diritti civili e politici.
d) Creazione del sovrano
Il potere legislativo non può essere assoluto, perché un sovrano assoluto è sottratto alla legge … e nessuno può essere così stupido da darsi in pasto al Leviatano. La storia dimostra invece che gli ordini politici nacquero da contratti adatti a salvaguardare la libertà naturale degli uomini associati

2.2.3. I poteri
a) La tripartizione
Locke sostiene la tripartizione dei poteri:

  • il potere legislativo: appartiene al popolo che lo delega ai suoi rappresentanti riuniti in

      parlamento; non può essere in contraddizione con i diritti naturali della libertà e della
proprietà

  • il potere esecutivo: il governo che ha il potere di applicazione delle leggi e di punire i trasgressori, quindi anche il potere giudiziario
  • il potere federativo: ha il compito di gestire la politica estera

Poiché nello stato di natura lockeano vige la legge naturale di giustizia, si può parlare, contrariamente che in Hobbes, di guerra giusta e ingiusta.
Altra differenza è che il re non è il sovrano assoluto, perché il re ha il potere esecutivo e, quindi è subordinato a quello legislativo. Inoltre l’esecutivo ha un incarico fiduciario e, se rompe questo rapporto di fiducia, diventa illegittimo e il popolo può reagire.

 

b) Teoria della rivoluzione
Il re può deliberare anche in assenza di legge, ma solo se va a vantaggio del popolo, mentre se lo danneggia il popolo può ricorrere all’appello del cielo, cioè ribellarsi.
Locke tratta anche della tirannide, che l’esercizio illegale, abusivo o eccessivo del potere. Contro la tirannide c’è diritto di resistenza. In questo caso il popolo sovrano torna ad affidare ad altri l’incarico di governare. Il punto centrale del pensiero di Locke è quindi che il sovrano ha un potere in quanto gli è delegato dal popolo, in quanto lo rappresenta.
c) Nascita del liberalismo moderno
In Locke, e per il liberalismo, esiste una dimensione pubblico-sociale che non è del tutto occupata dalle istituzioni, cioè dallo Stato.
Diversità dalla tradizione repubblicana:

  • pensiero liberale: libertà privata e sociale da esercitare con la garanzia  delle leggi;
  • pensiero repubblicano: la libertà è assenza di dominio e partecipazione diretta del cittadino virtuoso alla vita politica.

2.3. LA TOLLERANZA
a) Politica e religione
Per Locke la tolleranza religiosa si attua attraverso due strategie:

  • la separazione tra stato e chiesa
  • l’impossibilità di stabilire quale sia la vera religione

b) Separazione tra stato e chiesa
Locke sostiene che la politica:

  • non può legittimarsi appoggiandosi alla religione
  • non è accettabile la interpretazione laica della religione di Hobbes
  • la società politica ha come scopo la conservazione della vita, della libertà e della proprietà, non rientra quindi nella sfera politica la materia religiosa

In conclusione sostiene che la religione è un fatto libero e privato, perché la cura dell’anima spetta al singolo e non alle autorità esterne, stato o chiesa che siano.
La religione ha anche la forza di porsi come un diritto pubblico di libertà, del singolo e della comunità ecclesiastiche. E il potere politico non solo non può coartare la libertà di coscienza, ma non può neppure interferire nella libertà di culto delle varie chiese.
c) Limiti della tolleranza
Sette e chiese religiose devono essere tollerate dal potere politico, tuttavia vi è un limite da porre: il potere politico non può tollerare le chiese che si fondino su dogmi contrari alla società umana e ai buoni costumi, né le sette che pretendono di avere il monopolio della verità e di fondare su di esso il potere politico, né i cattolici, perché papisti, cioè obbediscono al pontefice di Roma anziché al loro sovrano

 

3. SPINOZA ( 1632 – 1677)

Vita:

à nasce nel 1632 in Portogallo
à filosofo olandese di famiglia eraica
à nel 1652 viene espulso dalla comunità ebraica di amsterdam con accusa di eresia
à si guadagnò da vivere come levigatore di lenti e telescopi
à le sue opere principali sono: “l’etica ordine geometrico demonstrata”; “il trattato teologico politico”; “il trattato politico”.

 

Occupa una posizione anomala nella filosofia politica occidentale.
La sua è una filosofia della vita e della gioia dell’uomo che non è guidato dalla paura della morte, ma desidera direttamente il bene. Nel suo pensiero si ricollega al Mac dei Discorsi, teorico della Repubblica tumultuaria e apporta un contributo importante ad una variante del pensiero repubblicano: non si tratta di neutralizzare gli antagonismi tra gli uomini, ma di conciliare il massimo ordine con il massimo disordine.
L’indagine di Spinosa non riguarda tanto le forme di stato e di governo, ma le forme di liberazione

3.1. NATURA E POLITICA
a) Potentia e potestas
Spinosa prende le distanze da Hobbes in quanto mantiene integro il diritto naturale, non solo ma rivendica il primato del diritto sull’autorità.
Il diritto viene definito potentia e l’autorità potestas. Il primato del diritto è l’elemento costituente della forma politica, non è una limitazione del potere del sovrano ma è qualcosa di assoluto
b) Diritto naturale
Il diritto naturale  sta nella complessa trama che si crea fra affetti e ragione e deve essere mantenuto integro anche all’interno dello stato. Il diritto naturale è la radice dell’eguaglianza tra tutti i cittadini, è il motore delle relazioni tra le persone che sono anche contrassegnate dalla possibilità di collisione tra i diversi diritti naturali, cioè la guerra.
c) Composizione delle potenze individuali
Spinosa riconosce una spontanea tendenza a degli uomini ad associarsi. Da ciò sorge un potere che trae la propria forza dalla dinamica della composizione delle potenze individuali.

3.2. L’IMMAGINAZIONE
a) Monarchia e democrazia
Partendo dalla critica ai pregiudizi che riguardano la religione, Spinosa mostra un nesso strettissimo tra:

  • timore, superstizione e regime monarchico, il cui segreto sta nel mantenere gli uomini nell’inganno e nel dominarli con la paura … e …
  • pubblica libertà  e libero giudizio del singolo , che sono il fondamento di una comunità democratica

b) Immaginazione e potenza
La paura non è sufficiente a sostenere un regime politico, è necessario invece stringere un rapporto costitutivo con il popolo.
Decisiva è in questo caso l’immaginazione.  A questo proposito cita i profeti dell’antico testamento, che hanno colto le rivelazioni divine attraverso l’immaginazione e ne hanno fatto un racconto in forma tale da suscitare l’immaginazione del popolo e motivarne l’animo all’obbedienza e alla devozione.
L’immaginazione collettiva del popolo è l’elemento costitutivo della democrazia.
Non è superstizione, perché la superstizione pone il popolo nella soggezione a potenze esterne, la cui origine è sconosciuta.
c) Il cristianesimo come cesura
La grande divisione portata dal cristianesimo è valorizzata da Spinosa nella misura in cui rende possibile il superamento della superstizione. La venuta di Cristo innesca un duplice movimento:

  • l’universalizzazione della fede,
  • la sua interiorizzazione

In termini politici rende possibile la democrazia in cui “tutta quanta la comunità deve tenere collegialmente il potere in modo che tutti in ultima analisi obbediscano a se stessi e nessuno sia tenuto ad obbedire al suo uguale.”

3.3. LA DEMOCRAZIA
Il regime democratico è quello che si accosta di più all’ordinamento naturale e che meglio corrisponde a quella libertà che la natura concede a ciascuno.
Nel regime democratico nessuno cede il suo diritto a favore di un altro, ma a favore della totalità del corpo sociale. Per questo  tutti gli individui restano uguali come lo erano prima nello stato di natura.
L’asserzione più importante di Spinosa è che la democrazia è la forma politica per eccellenza perché è quella che maggiormente si avvicina allo stato di natura.
a) Potenza e collettività
La democrazia non è un trasferimento di diritti, ma uno spostamento delle potenze individuali per comporre una potenza collettiva
Il potere sovrano si limita ad esprimere questo spostamento e sarà tanto più potente quanto più ampio sarà l’aggregato dei poteri individuali. La libertà di pensiero e di espressione sarà l’indice di una vera democrazia.
b) Libertà in campo politico
   Prima che l'uomo si consociasse in forma politica, il diritto di ognuno era misurato dalla forza.
Quando gli uomini si sono accordati per instaurare una regola comune è nato lo stato e perché i
patti siano rispettati, ognuno deve cedere la propria potenza, il proprio diritto, al potere comune.
Lo stato deve essere però finalizzato alla libertà. Se il potere è assoluto, il suo uso può essere dispotico o moderato e solo in quest'ultimo caso il potere dello stato sarà saldo.
Più uno stato limita la libertà del cittadino, più deve impegnarsi a prevenire e punire.
Tuttavia uno stato deve guardarsi dall'emanare leggi che è impossibile rispettare. E' questo il caso delle leggi che proibiscono la libertà di pensiero e la sua diffusione. Infatti uno stato che proibisce la libera circolazione delle idee è uno stato fragilissimo, perché proibisce un comportamento naturale dell'uomo. Di conseguenza dovrà provvedere ad un controllo esasperato sui cittadini, sarà dispotico e avrà durata aleatoria.
E' vero che i cittadini hanno ceduto ogni loro diritto allo stato, ma non senza condizione: la condizione che l'uso del potere sia finalizzato alla massima utilità
Veramente forte è lo stato che persegue la felicità dei cittadini e che concede libertà di pensiero e di critica. Un cittadino libero di esporre il proprio pensiero non diverrà mai un sovversivo. La libertà di stampa è il migliore antidoto contro la sovversione

 

  • L’ANTICO REGIME E L’ILLUMINISMO

1. MONTESQUIEU ( 1689 – 1755)

Vita:

à nasce nel 1689
à consigliere del parlamento di Bordeaux
à le sue opere principali sono: “Disserzione sulla politica dei Romani nella religione” (influenza Machiavelli); “lettere persiane”; “Riflessioni sulla monarchia universale in Europa”; “Considerazioni sulle cause edella grandezza dei Romani e della loro decadena”;  La più importante opera è  : lo spirito delel leggi (scritto nel 1748)
à morì nel 1755

 

a) Lo spirito delle leggi
“Molte cose governano gli uomini: il clima, la religione, le leggi, le massime del governo, gli esempi dell’antichità, le usanze: se ne forma uno spirito generale che ne è il risultato”.
Questo è lo spirito delle leggi
Mont introduce nel campo della politica un nuovo metodo per determinare il concetto di legge: cogliere i rapporti necessari che derivano dalla natura delle cose. In altre parole un metodo capace di spiegare la relazione che intercorre tra le leggi naturali (determinate dalle condizioni geografiche, economiche, culturali) e le leggi umane.
b) Formazione delle istituzioni politiche
Gli ordini politici non si costruiscono artificialmente, ma evolvono lungo il corso della storia.
E’ perciò necessario ordinare il conflitto, che deriva dal vivere in società, con la legge. Gli uomini non potrebbero vivere senza leggi, perché sono le leggi che sorreggono la trama dei loro rapporti.
Uscendo dallo stato di natura si sono formate delle istituzioni politiche, e la legge positiva  diventa perciò necessaria
c) Dialettica di natura e principio
La teoria delle forme di governo viene elaborata secondo la dialettica di natura e principio. La differenza tra natura e principio è la seguente:

  • la natura è ciò che lo fa essere ciò che è
  • il principio è ciò che lo fa agire

Le forme di governo legittime sono tre:

  • monarchica:    il principe ha il potere sovrano e lo esercita secondo le leggi.

                              Il principio che la regge è l’onore

  • repubblicana:  il popolo detiene il potere sovrano. La repubblica può essere

                             * democratica: il principio che la muove è la virtù
* aristocratica: il principio è la moderazione

  • dispotica: un uomo solo governa arbitrariamente

                               Il principio che la regge è la paura
Allargando lo sguardo all’Oriente, lo considera lo specchio negativo dell’Europa, per il suo dispotismo.
d) L’Inghilterra
Considera l’Inghilterra come lo stato in cui vi è il massimo riconoscimento della libertà politica. La costituzione inglese è un modello esemplare in cui leggi e libertà costituiscono la libertà della nazione. Soprattutto la distinzione dei poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario sono la condizione ideale perché possa esistere libertà politica
e) Francia
Mon sostiene con forza la funzione dei parlamenti nei confronti del potere monarchico. Il suo ideale è una monarchia moderata  che richiede la formazione istituzioni intermedie (i parlamenti) a baluardo della libertà della nazione. Si devono quindi ricercare freni e contrappesi al potere del sovrano per garantire la libertà dell’individuo.
f) Funzione della religione
Mente Hobbes affida al sovrano anche il potere di determinare il culto pubblico, Mon afferma la tolleranza, il pluralismo religioso, come il male minore. Lo stato ha comunque il dovere che non si introducano nella compagine politica nuove religioni.
Mon dà così alla tolleranza una connotazione di elemento di civiltà, che anticipa Voltaire. Per Mon la tolleranza non è più solo una esigenza politica, ma un valore civile ed etico.

 

 

2. L’ITALIA
In Italia l’Illuminismo si sviluppa soprattutto a Milano e a Napoli. In Italia vi è però una differenza rispetto alla Francia:

  • i principali esponenti del pensiero illuminista partecipano al governo delle loro città
  • la necessità di stabilire un rapporto di confronto politico con la chiesa cattolica.

I principali esponenti furono:
a) Antonio Muratori
In Muratori, storico, il tema illuministico della felicità viene declinato alla luce del tema cristiano della carità e dell’amore del prossimo, che da un punto di vista politico altro non è che la volontà del bene pubblico. Tutti devono collaborare al miglioramento del mondo.
b) Pietro Verri
Verri vede alla base dell’unione fra gli individui un contratto sociale stipulato in nome della libertà. Questo porta a sostenere uno stretto legame fra libertà politica e libertà economica: gli uomini sono guidati in ogni ambito della vita dalla ricerca dell’utile e del piacere. E’ indispensabile anche una riforma della giustizia. Gli uomini del Caffè sostenevano la difesa della dignità umana, la centralità della libertà economica e civile, il primato dell’opinione pubblica, contro il governo asburgico che tendeva a rinnovarsi centralizzando il potere.
Verri sostiene quindi uno stato con ordinamento costituzionale, basato sulla rappresentanza nazionale, in accordo con i principi della rivoluzione francese.
c) Cesare Beccarla
Importante figura dell’illuminismo francese, che ha affrontato soprattutto il problema della giustizia e della riforma del diritto privato. Famoso è il suo trattato Dei delitti e delle pene.
Oltre a questo sostiene una visione utilitaristica e contrattualistica del corpo sociale, fondata su un principio di egualitarismo di tutti di fronte alla legge, in polemica con i privilegi della nobiltà. Lo stato riformato secondo il Beccarla deve garantire la massima felicità possibile divisa nel maggior numero di persone e il sovrano è inteso come depositario e garante delle leggi stesse.

    • VICO (1688 – 1744)

 

Vita:
à nasce nel 1668
à Filosofo e insegnò a Napoli (università)
à rimase estraneo ai circoli illuministici dell’epoca e al dibattito su dimensione europea
à le sue opere più importanti sono: De antiquissima italorum sapentia; De rebus gestis Antonj Caraphei; Diritto Universale; L’autobiografia; la più centrale opera: Principj di Scienza nuova d’intorno alla comune natura delle Nazioni.
à morì nel 1744.

Un posto a parte merita il pensiero di Giovanni Battista Vico. Contro la ragione Cartesiana e il metodo delle idee chiare e distinte sostiene una ragione che comprende sia l’azione dell’uomo, che è creatore della propria storia, sia la guida della Provvidenza.
Rifiuta quindi i motivi illuministici
a) Politica e sapere
Sostiene la contrapposizione tra politica e sapienza. La politica infatti è il risultato di  una istintività del carattere, è machiavellicamente l’uso della forza senza alcuna fondazione sapienziale.
Cerca però di mettere d’accordo la forza con le tradizionali virtù cristiane: chi conquista il potere è il più forte , ma è il più forte chi è il migliore anche dal punto di vista delle virtù morali.
b) Il ciclo delle forme di governo (corsi e ricorsi storici)
Sostiene che vi è un cerchio eterno (ciclo) della storia. I cerchio è quello delle tre età: degli dei (governo teocratico), degli eroi (governo aristocratico), degli uomini (governi monarchici e democratici  caratterizzati dall’uguaglianza  o dall’obbedire alle stesse leggi).
Il concludersi di un ciclo storico non è però prodotto da fato ma dalla responsabilità umana. La teoria dei corsi e ricorsi storici è elaborata da Vico per spiegare che tutte le civiltà umane compiono gli stessi passaggi. Il ricorso avviene quando i due principi che reggono la vita sociale , la verità e i fatti concreti, non coincidono più.

 

 

  • HUME (1711 – 1776)

Vita.
à nasce nel 1711
à filosofo scozzese
à compose le seguenti opere: trattato sulla natura umana (nella quale studia la natura umana)  Saggi morali e politici, Discorsi politici (dalle conclusioni del trattato ne trae tale opere); Enquiries concerning Human Understanding and te Principles of Moral ,  Dialogues concernine NAtural Religion  (nella quali analizza la fonte religiosa); History of England (  nella quale studia gli effetti dela religione sullo siluppo della società) .
à la riflessione di hume porta al superamento dell’innururalità di qualsiasi forma religiosa
à muore nel 1776

Hume sostiene che alla base dell’ordine sociale:

  • non vi è un contratto stipulato da individui liberi e razionali, ma necessitato da un ordine diverso da quello naturale
  • vi è invece la conseguenza dell’evoluzione lungo il corso della storia dell’ordine naturale stesso.

Secondo Hume infatti non vi è profonda diversità tra uomo presociale e uomo sociale, perché l’uomo di natura è sostanzialmente sociale e mosso da empatia verso gli altri
a) La società civile
Quindi l’uomo sociale si identifica con l’uomo di natura e il principio che guida l’azione umana è l’utilità sociale che è la fonte anche del sentimento morale.
La naturale socievolezza dell’essere umano è una necessità, è il modo in cui possono essere soddisfatti i desideri in modo più sicuro. L’utilità è legata ad ogni azione umana ed è fondata sul criterio dell’esperienza, non è un postulato a priori.
b) Società politica
L’aumento dei bisogni dell’uomo, lungo il corso dell’evoluzione rende necessaria la costituzione di un sistema organizzativo per regolamentare una struttura sociale sempre più complessa, così ha origine la società politica e il governo. Questo perché la naturale socievolezza e la simpatia tra gli uomini sono troppo deboli per garantire spontaneamente un ordine pacifico. Così il governo e una teoria della giustizia che tutelino in particolare la proprietà sono indispensabili.
Quindi il governo non è l’origine della struttura politica, ma solo un suo aiuto per il buon funzionamento. Di conseguenza la società politica non nasce da un contratto, ma è solo un miglioramento di ciò che già c’era in natura.
c) Virtù naturali e civili
Nella società civile coesistono le virtù naturali e le virtù civili. Questa mescolanza è il principio e il fondamento della giustizia, che è razionale, in quanto fondata sull’utilità ed emerge nelle società complesse soprattutto come difesa della proprietà
d) Autorità e libertà
Hume poi indaga il problema della stabilità della società politica e il rapporto tra autorità e libertà.
Modifica quello che è uno dei problemi centrali della politica moderna: la necessità dell’autorità come garante dell’ordine e della pace sociale. Riconosce tuttavia la necessità di una forma di coazione per salvaguardare la convivenza civile, ma nello stesso tempo afferma l’imprescindibile dovere di salvaguardare la libertà del singolo

 

  • LA RIVOLUZIONE AMERICANA

 

a) La Dichiarazione di indipendenza (4 Luglio 1776)
E’ uno dei testi fondamentali della modernità occidentale. Fu redatta da Jefferson e corretta da Franklin e Adams.
Pur situandosi nella tradizione giuridica inglese, in realtà è un documento politico del tutto nuovo, perché distrugge il legame tradizionale tra sovrano e sudditi, proclamando il diritto del popolo di scegliere la forma di governo, oltre ai diritti naturali alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità.
E’ distinta in due parti:

  • nella prima si parla dell’eguaglianza tra gli uomini, dei diritti naturali e della  sovranità popolare
  • nella seconda vi è l’elenco dei torti subiti dal re, che viene accusato di tirannia e la constatazione che ha abdicato. Ciò determina la necessità di una secessione tra inglesi e americani e l’indipendenza delle tredici colonie.

b) L’elemento repubblicano
Le Cato’s Letters sono uno dei più importanti testi del repubblicanesimo inglese, in esse il tema centrale è la virtù politica, la difesa della libertà contro la tirannide.
Nessuna nobiltà di nascita, nessuna competenza legittimano il dominio di una minoranza, perché il popolo è in grado di governarsi da sé.
c) Influenza di Locke
Il questo testo troviamo i temi lokeani del contratto, del rapporto fiduciario che lega i governanti e governati, della necessità del controllo su chi esercita il potere, della proprietà come principio primo di ogni potere.
Nel testo della Dichiarazione vi è tuttavia una innovazione, in quanto la proprietà viene sostituita con la felicità
d) Creazione di un popolo nuovo
Vi è anche un elemento teologico: la fuga dalla chiesa d’Inghilterra verso una Nuova Israele, verso un mondo nuovo e selvaggio fuori dalla civiltà e quindi civilizzabile.
La Dichiarazione di Indipendenza rende così possibile sia la creazione di un popolo universale, il popolo americano, sia l’introduzione del concetto di nazione in cui non sono riconosciuti, e quindi  esclusi, gli inglesi, i negri e le donne.
e) Tassazione e rappresentanza
Burke in due scritti afferma la necessità del nesso tra tassazione e rappresentanza. E’ a favore di un compromesso che riconosca ai coloni il diritto alle libertà inglesi e tenda conto della comune utilità

4.1. La Costituzione federale
L’indipendenza americana riconosceva anche l’indipendenza dei tredici stati, ognuno dei quali si diede una costituzione scritta basata sul principio della sovranità popolare.
Si trattava ora di ratificare una nuova costituzione degli Stati Uniti nella forma di federazione
a) Il Federalist
Dal dibattito nacque una forma politica nuova: quella della repubblica federale. Con la federazione saltava la logica della sovranità perché all’interno di uno stesso sistema politico (gli Stati Uniti) venivano a coesistere assemblee legislative indipendenti: quella federale e quelle statali, non sovrane, ma fornite di competenze per lo più fiscali e amministrative. Il grande propugnatore di questo sistema fu Hamilton che scatenò una campagna giornalistica per convincere l’opinione pubblica che all’inizio era ostile a riconoscere una costituzione valida per tutti gli stati.

 

Con Hamilton collaborarono anche Jay e Madison.
- Di Jay erano gli articoli sulla politica internazionale in cui emerge il concetto di nazione
- Di Madison quelli in cui si pone l’accento sulla necessità di limitare il potere, anche quello
federale  e sull’esigenza di stabilire strumenti di controllo e di bilanciamento su di esso
- Di Hamilton gli articoli che sostengono l’esigenza di un potere federale forte e in grado di agire.
b) Democrazia e Repubblica federale
Gli articoli del Federalist presentano sempre un ragionamento fondato sul buon senso.
La Federazione deve essere scelta perché è la forma politica più adatta a mantenere la pace, non solo ma è anche un antidoto contro possibili fazioni interne, perché permette l’accentramento degli interessi di carattere generale e il decentramento di quelli locali.
Fondamentale è anche la distinzione tra Democrazia e Repubblica. Un regime democratico, infatti può esistere anche in uno stato monarchico, mentre il regime Repubblicano è una democrazia in cui opera il regime di rappresentanza, cioè la partecipazione diretta dei cittadini al governo.
Ciò che poi contraddistingue la virtù del popolo americano è la lotta contro la tirannia del monarca inglese. Il sistema repubblicano deve anche prevedere elezioni a brevi periodi di distanza, in modo da esercitare uno stretto controllo del popolo sui suoi rappresentanti.
In conclusione emerge una costituzione repubblicana, democratica per quanto riguarda il principio fondante, ma non rigorosamente unitaria, anzi bilanciata nell’articolazione dei poteri:

  • bicameralismo (Congresso e Senato)
  • potere di veto del presidente nei confronti del Congresso
  • consenso del senato per l’esercizio di determinati poteri presidenziali: ad es. la politica estera è decisa dal Presidente, mentre la dichiarazione di guerra spetta al senato

c) Il Bill of Rights
La costituzione venne in seguito emendata con successivi 21 articoli. I primi 10 costituiscono il Bill of Rights. Di fatto inseriscono nella costituzione la Dichiarazione dei diritti dell’Individuo, in particolare il 1° emendamento che afferma le garanzie di libertà di parola, di stampa e di religione

4.2. PAINE

Vita:

à nasce nel 1737
à origine inglese ed emigra in America e prende parte alla rivoluzione
à si trasferisce poi In fRancia dove su incarcerato tempo dopo nel periodo di Robespierre (del terrore) poi torno nel 1802 negli Stati Uniti.
à le sue opere più imposrtanti: The common Sense; The Right of man; The age of Reason.
à Morì nel 1809.

 

Paine nelle sue opere distingue tra società e governo: la società è frutto dei bisogni dell’individuo, il governo nasce dalla perversità umana, quindi è un male necessario.
Da ciò deriva la necessità di staccarsi dal governo della monarchia inglese. Il governo migliore è certamente la Repubblica e le colonie americane così facendo devono mostrare al mondo le possibilità di una nuova via segnata dalla libertà e dalla salvaguardia dei diritti umani.
Ritorna anche sul tema dei diritti degli individui che sono la conseguenza dell’uguaglianza e, contro il privilegio della nobiltà, afferma il primato della costituzione, emanazione della volontà del popolo sovrano sul governo.

 

  • RAGIONE E RIVOLUZIONE

 

1. ROUSSEAU (1712 – 1778)

Vita:
à nasce a Ginevra nel 1712
à si sposta tra Il Piemonte e la Svizzera poi si trasferisce a  Parigi; va a Venezia per poi tornare come ambasciatore nella capitale francese.
à scrisse le seguenti opere:  Enciclopedie (con Diderout);  discorso delle scienze e delle arti; Il discorso sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini; Nuova eloisa; Contratto sociale e l’emilio (che vengono entrambi condannati dal parlamento francese e di Ginevra).
à muore a Ermononville nel 1778; durante la rivoluzione le sue ceneri sono trasferite al Pantheon di Parigi.

1.1. LA CRITICA DELLA CIVILTA’
   Il pensiero di Rousseau è in aperta frattura con il suo tempo, perché rovescia l’immagine positiva e ottimistica dell’illuminismo: l’epoca presente, dice, è il regno della falsità, in essa la verità delle cose è nascosta. Le scienze e le lettere non sono altro che mezzi di occultamento dell’ingiustizia.
Il suo è il primo grande gesto critico contro la società del suo tempo.
Le sue riflessioni prendono lo spunto dalla tradizione, cioè da Seneca, Plutarco, ma anche da Montaigne e Montesquieu. Il centro della sua critica è nella coppia antinomica apparenza-realtà.
   L’idea costante della sua riflessione è la visione della società come ciò che corrompe la natura umana.. I veri mali della società sono la diseguaglianza economica, lo sfruttamento sociale, il dispotismo politico. Bisogna perciò ricercarne le cause, perché la diseguaglianza non esiste in natura, è un prodotto del progresso e delle leggi, quindi è contraria al diritto naturale. Questa sua tesi sarà esposto nel “Discorso sull’origine e sui fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini”.

 1.2. “DISCORSO SULL’ORIGINE  ... DELLA DISUGUAGLIANZA ...”

   1.2.1. Prefazione
Nella prefazione esamina il concetto di “stato di natura”.
Secondo Rousseau vi è sempre stato un errore di fondo nel considerare lo stato di natura, ed è consistito nel proiettare sull’uomo naturale le caratteristiche dell’uomo civilizzato. Anche l’idea di legge naturale dei giusnaturalisti suppone un uomo razionale. Ma quali erano i caratteri originari dell’uomo naturale?
   Per rispondere al quesito bisogna liberarsi dal pregiudizio per cui l’uomo attuale sia il modello dal quale partire. Bisogna invece dare uno sguardo dentro l’anima umana.
Poiché non esistono testimonianze circa l’uomo naturale, bisogna utilizzare ragionamenti ipotetici che ci aiutino a mostrare la vera origine dell’uomo.
Anche lo stato di natura, poiché non esiste più, va inteso come ipotesi teorica e non come dato storico.

   1.2.2. Prima parte: i caratteri dell’uomo naturale
   Rousseau attribuisce all’uomo naturale una duplice differenza rispetto agli animali:
- la possibilità di esercitare una volontà e una scelta
- la facoltà di perfezionarsi.
Questa capacità di perfezionarsi rivela una tragica ambivalenza:
   - il progresso
   - la corruzione.
In altre parole l’enorme sviluppo della potenzialità umane va di pari passo con la rottura definitiva e irreversibile dell’equilibrio originario dell’unità naturale.

   1.2.3. Seconda parte: civilizzazione, progresso, decadenza
Il progresso è una crescita straordinaria delle capacità tecniche e intellettuali dell’uomo, cui però corrisponde un deterioramento progressivo delle relazioni sociali e delle condizioni morali e spirituali.
E’ in questo processo che si istituisce la disuguaglianza, che, nello stato di natura, era molto modesta tra individuo e individuo.
Con lo sviluppo della produzione e dell’economia e con l’istituirsi della proprietà privata della terra, la divaricazione tra ricchi e poveri non solo si forma, ma tende ad aumentare sempre di più.

 

   Solo a questo punto l’usurpazione e la sopraffazione generano quello stato di conflitto che Hobbes ha erroneamente  fatto risalire alla natura stessa dell’uomo.
Solo a questo punto si rende necessaria la stipulazione di un patto, un patto che vede protagonisti i ricchi e che non è altro che la legalizzazione del sopruso e dell’arbitrio.
Vi è quindi una profonda diversità  tra il pensiero dei giusnaturalisti e quello di Rousseau.
- I Giusnaturalisti muovono dalla concezione dell’uomo naturale come essere morale razionale,
titolare di diritti inalienabili; la conseguenza è che la società si fonda:
. sul contratto come strumento per il pieno esercizio di questi diritti
        . su un diritto positivo come prolungamento di quello naturale
- Rousseau sostiene che l’uomo naturale non è sociale né morale, quindi:
. il contratto è un momento istitutivo, una novità, dell’uomo sociale
. se è iniquo, come quello descritto,  non può che produrre una socializzazione malvagia,
. decreta perciò la piena soppressione della libertà naturale.

1.3. IL CONTRATTO SOCIALE
   Con queste riflessioni Rousseau non intende sostenere che bisogna tornare alla natura, ma vuole indicare se, attraverso la politica, sia possibile la creazione di una nuova società e di un nuovo uomo.
Il modello di questa nuova società legittima, è esposto nel “Contratto sociale”
  
   1.3.1. Il contratto come patto di associazione
Rousseau respinge come illegittima ogni autorità politica fondata sul divino o sul paterno, sulla legge del più forte ... Il diritto si fonda sulla convenzione, la legittimità dell’autorità politica richiede il consenso espresso da un patto.
Anche per Rousseau l’autorità si fonda su un contratto, però la sua concezione è diversa da quella degli altri “contrattualisti”, ed è innovativa
Costoro, infatti sostenevano che il contratto si fondava su un duplice atto:
- pactum unionis: la decisione degli individui di costituirsi in società,
- pactum subiectionis: la decisione di assoggettarsi al sovrano rinunciando in tutto (Hobbes) o in
parte (Locke) alla propria libertà e ai diritti originari.   
Rousseau non ammette il pactum subiectionis come cessione al sovrano della libertà di cui ogni individuo è titolare per natura, sarebbe una schiavitù.
   Il patto è di ciascun individuo con se stesso, poiché consiste nella cessione del proprio potere individuale alla comunità, che non è altro che l’insieme, il corpo sociale degli individui che hanno deciso di consociarsi.
   Si tratta quindi di un patto di associazione, è così che va inteso il contratto.
In questo modo produce una trasformazione qualitativa: produce un corpo morale che riceve da quest’atto unità, io comune, vita, volontà.
In questo “io comune” ogni “io particolare” ritrova assicurata la garanzia dei propri diritti e della propria libertà.
Perché ciò avvenga è necessaria un’unica condizione: che la cessione di tutti i diritti dell’individuo alla comunità sia totale, senza riserve, solo così sarà garanita un’uguaglianza assoluta, non vi sarà dipendenza fra gli individui, ma solo dipendenza di ciascuno dal corpo politico.

   1.3.2. La volontà dei cittadini in quanto corpo comune
Ciascun individuo ha una volontà particolare, volta all’interesse personale. La decisione di costituirsi in società crea una volontà generale, che non è la semplice sonmma delle volontà particolari; vi è una differenza qualitativa perché si definisce rispetto all’oggetto, cioè al fine, che è il bene pubblico, l’interesse collettivo. Solo l’interesse comune rende possibile l’accordo degli interessi personali.

   1.3.3. La sovranità popolare  come fondamento del potere politico
La sovranità è l’esercizio della volontà generale e la sua espressione è la legge.
La sovranità appartiene al popolo e non può essere alienata, né divisa, né rappresentata.
Rinunciare alla sovranità significa rinunciare alla libertà e quindi alla qualità stessa di uomo
   Quindi: rifiuto del principio della delega: ogni legge che non sia stata ratificata dal popolo non è
               una legge.
La rappresentanza può aver luogo su atti particolari, ma non sul piano della legislazione generale.    
Di qui il rifiuto della divisione dei poteri; come Hobbes, sostiene che la sovranità è indivisibile.

   1.3.4. La separazione tra sovranità e governo
Rousseau separa nettamene sovranità e governo:
- il governo non è titolare di alcuna sovranità, quindi non può legiferare
- è semplicemente incaricato dell’esecuzione delle leggi
- non è istituito da un contratto, ma da una legge
La conseguenza è che Rousseau diventa possibilista verso le varie forme di governo:
- la democrazia, è idealmente la migliore, ma poco praticabile e poco opportuna, perché confonde
legislazione con esecuzione   
- l’aristocrazia elettiva è l’ordinamento migliore, i più saggi devono governare
- la monarchia, invece, è fortemente criticata perché il suo fine non è la pubblica felicità; i re
hanno solo interessi personali (contrario quindi anche all’assolutismo illuminato).

   1.3.5. Il significato del contratto: stato e libertà
Rousseau intende trovare una forma di associazione che difenda e protegga, con tutta la forza comune, la persona e i beni di ciascun associato, ma che nello stesso tempo faccia sì che un individuo obbedisca solo a se stesso e resti libero come prima.
Sicurezza e libertà sono ciò che il cittadino deve ricevere dalla comunità politica. In questo modo si contrappone all’assolutismo di Hobbes.

   1.3.6. La libertà del cittadino
La società politica è il luogo in cui l’individuo realizza la sua libertà.
Lo stato civile, diverso da quello di natura, produce un nuovo concetto di libertà: la libertà civile, che non è l’indipendenza dell’uomo originario, ma la libertà possibile entro rapporti sociali.
   Mentre la dipendenza da un singolo o da un gruppo è schiavitù, la dipendenza dalla volontà generale è libertà civile.
Il patto sociale trasforma così l’uomo in un cittadino che sviluppa le virtù sociali, che lo stato deve contribuire a formare

   1.3.7. I limiti della disuguaglianza
La società così creata legittima alcuni aspetti, che diversamente potrebbero degenerare:
- la proprietà da usurpazione diviene proprietà di diritto
- la disuguaglianza, di rango, potere, ricchezza, esiste senza alcun dubbio, ma l’uguaglianza va
posta accanto alla libertà, come i due massimi beni che la legge deve perseguire. Perciò la
     disuguaglianza è ammissibile solo sino al punto in cui non mette in pericolo la libertà di
     qualcuno, finché ad es. un cittadino non sia così ricco da poterne comprare un altro.

 

 

2. KANT (1724 – 1808)

Vita:
à nasce a Koninsberg (Prussia Orientale) nel 1724;
à uscito dal collegio studia filosofia matematica e teologia sempre all’università di  Koninsberg; diventa sottobibliotecario presso la biblioteca reale, poi professore ordinario a Koninsberg.
à le sue opere più importanti sono:   Critica della ragione pura; L0idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico; Che cos’è l’illuminismo;  la critica della ragione pratica; la Critica del giudizio; La metafisica dei costumi; Per la pace perpetua ; Il conflitto della Facoltà
à morì nel 1804.

Anche Kant, come Rousseau, ha l’obiettivo di rigenerare la società con la ragione e di affermare la virtù attraverso la politica, ma con caratteristiche diverse.
Il pensiero di Kant sta nella rigorosa applicazione della ragione alla politica e nella tesi che se la politica non coincide con la morale razionale della libertà, tuttavia:

  • non ne può essere il contrario
  • non può godere di morale autonoma (Mac)
  • non può fondarsi su una morale utilitaristica (Hobbes)

2.1. Morale, diritto, politica
a) La morale: il dovere
La morale kantiana sta nella perfetta coincidenza tra libertà assoluta e dovere incondizionato, conseguenza dell’imperativo categorico.
La morale consiste nel dovere che il soggetto ha nei confronti degli altri: deve trattare ciascun uomo come se fosse un fine in sé e non uno strumento.
b) La politica: il diritto
Il potere deve essere sottomesso al diritto che regola la convivenza tra gli individui.
Il diritto deriva dalla ragione pura pratica intesa come la facoltà di agire secondo leggi universali. Nella forma politica il diritto è legge. Il comando della legge è però solo esterno ed è obbligante.
Il fine della politica è promuovere il regno del diritto in modo che sia riconosciuta ciascuno una sfera di indipendenza personale protetta dalle leggi.

2.2. Stato di natura e contratto originario
a) Origine dello stato
Per Kant vi è una doppia origine dello stato: una reale, dalla forza, e una ideale, dal contratto.
Lo stato deve comportarsi come se fosse nato da contratto.
Stato di natura
Lo stato di natura non è una condizione pregiuridica, ma è l’orizzonte del diritto privato, cioè naturale. E’ una ipotesi intellettuale, perché nello stato di natura non esiste un’autorità  legittima che dirima le controversie in maniera giuridicamente vincolante. Poiché il diritto è una forma di relazione tra uomini liberi dettata dalla ragione, il superamento dello stato di natura è necessario secondo ragione.
Il contratto
Questo superamento coincide con l’affermazione della volontà generale uscendo dallo stato di natura ove ognuno fa di testa sua. Lo stato di diritto è la comunità razionale che garantisce a ciascuno la libertà e affida la decisione sul diritto al potere pubblico e non a persone private.
Per questa ragione Kant  ricorre allo strumento concettuale del “contratto originario” che stabilisce una costituzione giuridica tra uomini che hanno deciso di rinunciare allo stato naturale.
Come in Rousseau: il contratto ha luogo tra individui che si riuniscono attraverso la comune sottomissione alle leggi, per superare lo stato naturale
A differenza di Rousseau: la volontà comune si esprime attraverso il principio della rappresentanza
secondo la regola della maggioranza e senza che venga eliminata la distinzione tra legalità e moralità, tra sfera pubblica e privata.
b) Il sovrano rappresentativo
Il sovrano è obbligato a fare leggi in modo non arbitrario, ma come se dovessero derivare dalla volontà comune di tutto il popolo, che la riconosce come sua. Di conseguenza il popolo è tenuto ad obbedire alla legge.
A differenza di Hobbes: Kant riconosce al popolo diritti inalienabili, derogando ai quali il sovrano commette un’ingiustizia nei confronti dei cittadini.
Il popolo non ha alcun diritto di resistenza: avanzare pretese personali non è altro che lo stato di natura contrapposto allo stato di diritto pubblico ordinato dalla ragione.
c) Libertà del cittadino
Nonostante questo il cittadino ha la possibilità di esprimere pubblicamente il proprio motivato dissenso nei confronti dei decreti del sovrano. Il sovrano può essere criticato, ma se la critica non dovesse raggiungere il suo scopo l’obbedienza deve sempre essere dovuta.
d) Razionalità del potere
Per superare il dispotismo assoluto Kant sostiene che il sovrano, anche se non nasce da un patto, deve comportarsi come se da un patto fosse in realtà legittimato, perché attraverso il sovrano si realizza la volontà generale razionale.
Come in Hobbes: la politica scaturisce dalla necessità di uscire dallo stato di natura
Diversamente da Hobbes: L’idea di contratto ha valore regolativo, non segue la logica utilitaristica, ma serve ad attuare l’idea stessa di diritto. Una seconda differenza sta nel fatto che per Kant è necessario che i singoli rinuncino alla libertà selvaggia dello stato di natura per riprenderla nella società civile.

2.3. Stato e democrazia
a) Stato di diritto
Lo stato di diritto è quello a cui pensa Kant e la politica è la pratica del diritto. In sintesi lo stato cui pensa Kant è un ordine politico che renda possibile l’accordo fra libertà esterna e l’interiore riserva morale.
Lo stato di Kant è teorico, non tratta del diritto positivo, ma traccia le linee teoriche di uno stato conforme ai principi della ragione.
Lo stato deve garantire:

  • la libertà di ogni membro della società, come uomo,
  • l’uguaglianza di ogni membro con ogni altro, come suddito, di fronte alla legge
  • L’indipendenza di ogni membro di un corpo comune, come cittadino; pertanto lo stato deve offrire al cittadino l’opportunità di godere della propria indipendenza economica. La conseguenza è che la proprietà privata diviene di importanza centrale

b) Naturalità della proprietà
Hobbes: la proprietà è creazione dello stato
Locke: è fondata sul lavoro
Kant: preesiste allo stato e si fonda sul possesso. In un primo momento è un rapporto naturale e fisico tra l’uomo  le cose; in seguito si trasforma in un rapporto regolato da diritto.
Per Kant la proprietà nasce dallo stato di natura e lo stato civile si costituisce per difendere la proprietà privata, non solo, ma solo il proprietario ha la qualità di cittadino.
Bisogna quindi osservare che quella di Kant non è una vera democrazia, perché per godere integralmente dei diritti politici bisogna possedere un certo censo
c) Forme di governo
Kant accoglie il principio della divisione dei poteri. Per lui l’alternativa fondamentale è tra forma repubblicana e forma dispotica.
Il regime ideale è quello repubblicano, perché si fonda sulla divisione dei poteri, che è il fondamento del principio rappresentativo. La democrazia è invece dispotismo, perché in essa ognuno vuole essere signore, per cui è impossibile la rappresentanza.
Ogni forma di governo che non sia rappresentativa e non conosca la divisione dei poteri è un non-stato. Il vero potere sovrano è quello legislativo, che può anche deporre o riformare l’esecutivo; ma né il sovrano (legislativo) né il reggitore (esecutivo) possono giudicare
d) Repubblica e democrazia
Qualche anno dopo Kant muta il suo pensiero nei confronti della democrazia e sostiene che può essere avvicinata alla forma di governo repubblicano, quindi certamente compatibile con il principio della rappresentanza. Bisogna però evitare che coloro che vengono eletti annullino la separazione tra i tre poteri e pertanto facciano degenerare la democrazia in dispotismo

2.4. La storia, l’illuminismo e l’ordine razionale.
Per Kant vi è un disegno naturale, un filo conduttore nella storia umana: un cammino dell’umanità verso un ordine civile razionale.
a) Interpretazione della rivoluzione francese
Come forma violenta: non può essere giustificata
Come obiettivo giuridico e storico: è un atto di entusiasmo e di passione che nasce dal diritto di un popolo di darsi una costituzione che esso crede buona
b) Uso pubblico della ragione
L’illuminismo, che per Kant è lo scopo della storia, non esprime tanto il desiderio di emancipare l’umanità dai vincoli giuridici, ma da quelli politici, ossia a indebolire la tutela che il potere esercita sull’uomo.
Bisogna distinguere tra uso privato e pubblico della ragione. L’uso pubblico è quello degli studiosi, è cioè l’uso che ne fa uno studioso dinanzi all’intero pubblico dei lettori e che deve poter contare sulla piena libertà; l’uso privato coincide con l’impiego o la funzione civile che gli viene affidata, in questo caso devono ispirare la propria condotta alla volontà del governo
c) La guerra
Non vi è solo il rapporto tra i cittadini all’interno dello stato, ma anche quello tra stati, che non hanno tra loro rapporti necessariamente pacifici. E’ proprio questa conflittualità tra gli stati ad essere immorale, irrazionale ed ingiusta. L’unico aspetto positivo della guerra, nel passato, è stato quello di disperdere ovunque il genere umano e quindi di popolare il pianeta.
d) Relazioni internazionali
Il diritto internazionale deve consistere nella sottomissione volontaria dei sovrani alla razionalità universale della legge internazionale, che non è una legge esterna agli stati, ma un imperativo della ragione a cui è possibile rispondere positivamente.
Il diritto internazionale deve fondarsi sopra una federazione di liberi stati, che deve essere una tappa intermedia rispetto l’obiettivo finale, che è la lega dei popoli

 

 

 

 

 

                                                    MANUALE DI STORIA

DEL PENSIERO POLITICO

 

Parte quarta: OTTOCENTO

10. La Dialettica
* Fichte
- rivoluzione e libertà politica
                           - Lo Stato e la rappresentanza
                           - La società e la nazione
* Hegel
- Dagli scritti giovanili alla <<fenomenologia dello Spirito>>
                          - La <<Filosofia del diritto>>
                          -  Conclusioni

11. L’ordine dopo la rivoluzione
* I controrivoluzionari: Burke
* Liberalismo e positivismo in Francia: Comte
* La Germania: Clausewitz
* Inghilterra:
                       - Bentham
                       -  Mill

12. Società e nazione
* La questione sociale
* Marx:
                      - La società
                      - La storia
                      - Il <<Manifesto>>
                      - La critica dell’economia politica
                      - la Politica 
* Toqueville:
- L’uguaglianza
                     - Le minacce alla libertà
                     - la Francia
* Mill:
                     - Libertà, personalità, rappresentanza
                     - La soggezione delle donne
* Liberalismo e darwinismo sociale:
- il Liberalismo inglese
                     - Spencer
                     - Il darwinismo sociale
* la questione nazionale:
- Giuseppe Mazzini e il risorgimento italiano
- La guerra di secessione americana
- Treitshke e l’unificazione tedesca
- il giuspositismo tedesco

 

10.  LA DIALETTICA

à La dialetica antica si rifà su basi filosofiche
à La dialettica moderna invece trae il proprio inizio dalle contraddizioni specifiche del pensiero razionale moderno: (es: tra soggetto e Stato, fra libertà e ordine politico, fra particoalare e universale che porta ad oscillare tra obbedienza e rivoluzione.
IN PRIMO LUOGO: Tale inizio di dialettica parte da Kant e dalla rivoluzione francese:
à Kant sottolinea che no è possibile una conciliazione tra soggetto (portatore di libertà morale) e ordine politico (che rappresenta la limitazione delle libertà esteriori)
à Nella rivoluzione francese tali libertà si manifestano quando trasformate in potenza e contraddizioni del pensiero razionale moderno.
IN SECONDO LUOGO: se i razionalismo moderno diventa campo d’applicazione della ragione umana lo fa anche il pensiero dialettico moderno ma esso  critica il  razionalismo e illuminismo perché astratti, che è la causa prima delle loro contraddizioni  e dei loro fallimenti.
Caratteristiche del pensiero dialettico sono:

  • Prendere sul serio le contraddizioni del progetto razionalistico e di sottolineare l’insuperabilità, all’interno delle logiche del razionalismo;
  • Rendere comprensibili quelle contraddizioni da un diverso punto di vista, nelle diverse categorie che ne diano ragione e ne permettano il raggiungimento verso una nuova concretezza.

 ‘rendere comprensibili ’ le contraddizioni è consentire che vengano riconosciute come attività umane; loro ‘ concretezza ’ significa l’apertura della filosofia politica alla storia e alla realtà , cioè il principio di nazionalità e l’economia capitalistica.
Il pensiero dialettico si sforza di far si che le contraddizioni dell’età moderna possano essere vissute non come un cieco destino ma gradini verso la libertà (che ha bisogno della filosofia per essere intesa). Con Marx il superamento della contraddizione equivale all’eliminazione e all’abolizione della libertà quindi alla rivoluzione, che instaura nella storia una libertà veramente e definitivamente concreta.
Il pensiero dialettico è caratterizzato dall’enfatizzazione della contraddizione , della sua interpretazione in chiave storica e infine dalla libertà come liberazione (filosofica o reale) dalla contraddizione. Il pensiero dialettico è più esigente, ma anche più ottimistico dl razionalismo moderno, perché chiede alla politica di non essere soltanto  la dimensione in cui si realizza la composizione parziale o imperfetta, attraversata dall’ estraniare morale e politica, tra libertà e ordine, ma di accogliere e di ospitare tanto di critica radicale, (approfondire contraddizione) quanto di libertà, assoluta che storica.
Da questa finalità  è facile presumere perché il pensiero dialettico è degno di critica

  • produce effetti di  supremazia del tutto sulle parti.
  • di passività politica ( e giunge ad affidare la realizzazione della libertà non all’agire umano ma alla necessità della storia)

la dialettica depurata dalle sue pretese assolute, può essere anche forma di autocritica della ragione che esce dall’ottimismo del razionalismo e dell’illuminismo, e anche liberalismo e che ne mostra le contraddizioni.

 

  • Fichte

Vita:

-- nasce in Sassonia nel 1762
-- studia teologia nelle Università di jena, Lipsia e Wittemberg.
-- dal 1783 fa il precettore privato
-- Nel 1791 conosce Kant
-- nel 1794 diviene professore a Jena e vi rimane sino al1799
-- Appartengono a questo periodo le opere: Dottrina della scienza, Dottrina morale, Dottrina del diritto.
-- nel 1799 scoppia la cosiddetta polemica sull’ateismo e abbandona la cattedra
-- nel 1805 (università di Erlangen) e nel 1807 (università di Königsberg) a Berlino insegna.
-- Diviene preside di facoltà filosofica e rettore nel 1811
-- Muore nel 1814 a Berlino

 

<< Superamento della filosofia kantiana>>

Secondo Fichte il tema kantiano della libertà , diviene principio e fine di un azione filosofica che attraversa sia la rottura della rivoluzione francese, sia il rapporto con lo Stato per affermare una positività morale realizzabile grazie allo Stato di ragione.
La ripresa e il rafforzamento dell’autonomia del soggetto e della sua libertà si traduce in una prospettiva che vuole organizzare la politica in modo da poter superare la distinzione tra il mondo morale dello spirito e quello empirico (della storia).
(Differenze tra Fichte e kant):
à Questo dovere morale si traduce in Fichte in azione politica a differenza di kant, di affermazione progressiva della libertà ma anche dello Stato e la nazione.
àAltre differenze di Fichte e Kant sta nel fatto che essendo comune ad entrambi l’esigenza di rivendicare la libertà di pensiero, in Fichter (come in kant) non si valuta solo la rivoluzione come evento storico importante ma c’è l’esigenza (a cui Kant invece si estranea) di pensarne alla legittimità  (sul carattere giuridico)
à Fichter (a differenza di Kant) si rende conto dell’ineguatezza tedesca di fronte alla rivoluzione e si impegna perché la germania realizzi e costruisca l’ultima tappa del processo morale (l’umanità tra gli uomini) [su questo Fitcher più di Kant punta sugli intellettuali che siano guida verso la libertà].

1.1. Rivoluzione e libertà politica

Ficher sostiene una concezione contrattualistica e antidispotica dello Stato, mostrandosi sensibile al tema della libertà di pensiero.
Fichte critica sia l’assolutismo che la guida paternalistica connessa, rielaborando l’argomento kantiano volto a distinguere la felicità, che l’uomo si attende da Dio, dalla protezione dei diritti esterni, che il cittadino si aspetta dal sovrano.
Il tema della libertà di pensiero viene sviluppato in base alla distinzione tra diritti che al  momento del patto sociale sono inalienabili e diritti che sono inalienabili. Tra questi vi è la libertà di critica della dimensione pubblica  (che non viene considerata “se limitata” conflittuale nei confronti del’ordine politico).

<<libertà delle volontà individuali>>

Il contributo è un saggio di August Wilhelm che ha lo scopo di dimostrare la legittimità della rivoluzione dal punto di vista teorico. Questa deriva dal fatto che gli uomini dispongono del diritto inalienabile di modificare la propria volontà, e del fatto che lo Stato è solo uno strumento per l’affermazione delle volontà libere degli uomini. Per Renhberg ogni generazione ha avuto in eredita il quadro istituzionale di quella passata per una sorta di linea di continuità, Fichte invece ritiene che proprio il futuro, la dimensione del progresso, obblighi gli uomini a non considerare le condizioni immediate, opponendosi alla legittimità del lungo tempo e, esternamente, nell’equilibrio ormai consolidato europeo.

<< Stato e libertà>>

la legittimità della rivoluzione discende da un diritto naturale – razionale che appartiene al soggetto. Lo stato quindi è il prodotto delle volontà libere degli uomini ed è un sistema coercitivo meramente esteriore. Il fine vero dell’umanità è realizzabile solo attraverso una libertà empirica in uno Satto fondato sul contratto. Fichte definisce lo Stato come uno strumento per fini superiori, semplice mezzo in vista di una società perfetta, insieme di individui liberi e ragionevoli. Per realizzare tale scopo è necessario mobilitare chi ha una conoscenza teorica più sviluppata ovvero i dotti,  che hanno responsabilità sociali.

<<Teorie delle sfere concentriche>>

In Fichte è precoce la tensione  tra esigenze di ordine e quelle di libertà. Un primo tentativo di conciliare queste due tendenze contrastanti è dato nei Contributi, dalla distinzione di 4 cerchie concentriche di diversa grandezza e valore decrescente dalla più esterna alla più interna: la prima pià ampia circoscrive il terreno della coscienza , (legge morale); l’ultima, la più piccola, coincide con la sfera del contratto statale  (di uno con tutti t di tutti con uno). I cerchi intermedi rappresentano i diversi ambiti nei quali l’uomo è sottoposto a quella particolare specificazione fenolica della legge morale ovvero il diritto naturale e in cui può concludere contratti, incluso quello sociale. Fichte si porta al di la del paradigma giuridico: il diritto naturale non esiste in quanto diritto, dal momento che la sua fondazione è di ordine essenzialmente morale.

1.2. Lo Stato e la rappresentanza

Questo è i punto più saliente della sua opera più importante: Fondamento del diritto naturale secondo i principi della dottrina della scienza (1796). In essa la libertà morale e razionale dell’individuo, viene posta in tesi, mentre la dimensione giuridica della coesistenza di più libertà in antitesi. L’ingresso nello Stato è un atto necessario sebbene Fichte parli di diritti originari, egli dichiara espressamente che un diritto naturale, non esiste realmente prima di essere garantito dallo Stato, che da forma alla libertà naturale di tutti attraverso il ‘ riconoscimento ’ e la protezione reciproca.  La politica in quanto realizza il diritto, è lo snodo per l’affermazione della libertà e della morale : ancora una volta fichte carica lo Stato di un compito morale, obbligandolo a giustificare  come uno strumento necessario verso la libertà.

<<Rappresentanza>>

Tale obiettivo, si realizza solo se lo Stato è rappresentativo: è solo nella rappresentanza politica in senso moderno che ciascuno può riconoscere come propria la volontà unica e razionale dello Stato. Il potere rappresentativo delegato rappresenta il primo principio di ogni costituzione.
Da qui nasce la critica di Fichte alla forza della democrazia diretta,  che è per lui l’orientamento più insicuro, in quanto tutti esercitano lo stesso potere che dovrebbe essere alla comunità nel suo insieme. La contraddizione che ne nasce  (nella democrazia) è che la comunità è giudice e parte in causa nello stesso tempo, cioè da un lato esercita direttamente il proprio potere , e dall’altro pretende di giudicare in merito alla conformità al diritto nell’esercizio del proprio potere. Per impedire questo è necessario che la comunità non sia titolare del potere di governo e non sia giudice della propria causa; ciò è possibile se la comunità trasmette il proprio potere a un organo che autorizzato dalla comunità può legittimamente esercitare il proprio potere su di essa. A differenza di KAnt, in Fichte i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) non sono separati ma si concentrano nel governo in linea con l’unità del potere.

<<Controllo del potere dello Stato>>

La distinzione tra uno Stato conforme al diritto e uno contrario non dipende dalla divisione del potere di governo dagli altri due ma da una distinzione più originaria, che implica la separazione tra l’organo (che riassume la totalità de potere esecutivo), articolato nelle 3 funzioni, e un organo di controllo a cui spetta in maniera esclusiva <<il diritto di sorvegliare e di giudicare come il potere venga amministrato>>. Tale funzione deve rimanere all’intera comunità , che no può essere alienata e che porta all’istituzione di una magistratura elettiva, gli efori, la cui funzione è giudicare i titolari del potere di governo. L’organo esecutivo è responsabile come se fosse di fronte all’intera comunità. Gli Eufori, eletti a suffragio universale ra gli uomini più esperti e probi, non dispongono di un diretto  potere di intervento. La loro funzione è piuttosto quella di emanare l’interdetto, cioè di sospendere la validità di tutte le norme giuridiche. Spetta al popolo , immediatamente convocato, di decidere tra le ragioni dei governanti e le ragioni degli efori. La parte sconfitta   viene deposta e condannata all’esilio. Senza l’appello degli eufori il popolo non può riunirsi, e non ha diritto di resistenza. Se invece insorge ed è organizzato dagli eufori naturali allora gli viene garantito diritto di resistenza. La rivoluzione è legittima , è una sospensione del diritto grazie all’istanza morale: cioè il perfezionamento del genere  umano.

    • La società e la nazione

 

Fichte conserva una impostazione individualistica:
à da un lato, gli Euforinon hanno nulla a che fare con quelli di cui parlava Althusius, che affidava loro il compito di difendere e rappresentare comunità organizzate in strutture civili autonome.
à dall’altro, allo Stato spetta solo il compito di garantire i contratti di proprietà che i singoli stipulano tra di loro.

 

<< Organizzazione della società>>

Una società complessa comincia con il recupero dei ceti o delle corporazioni, ai quali egli attribuisce valore morale; grazie ai ceti, l’autodeterminazione del singolo viene ad inserirsi in un attività socialmente utile e riconosciuta. Rivalutando i ceti si registra una trasformazione del ruolo dello Stato, che da difensore dei diritti diviene promotore di moralità ed educatore alla libertà.
Fichte all’inizio aveva preso le mosse del diritto del singolo per arrivare alla comunità e alo Stato, ora tende ad attribuire allo Stato un vero e proprio potere di costruire a società giuridica. Il ruolo predominante dello Stato si manifesta, sia nell’organizzazione  del corpo sociale, sia nello sforzo d raggiungere l’autosufficienza economica. In questo modo lo Stato deve organizzarsi senza contatti con l’estero, sostituendo l’economia liberale di mercato e il commercio mondiale come un organizzazione economica pianificata e in isolamento dagli Stati. L’intervento dello Stato nell’economia ha il compito di sorvegliare l’intera produzione e distribuzione dei beni, nel quadro di una società in cui domina la piccola proprietà contadina, e che è articolata per ceti.  Ficher riteneva possibile una conciliazione tra l’egoismo dei singoli e la vita in comunità.. sceglie di armonizzare i propri interesso con quelli degli altri.. ma ci sono delle resistenze, quali l’immaturità che richiedono un azione educativa e pedagogica dello stato sulla moralizzazione degli uomini.
Fichte tende a sottolineare il ruolo che lo Stato ha nel potere ordine nella società: non è più la libertà a infrangere il dispotismo e spianare la strada alla virtù ma è l’intervento pedagogico dello Stato che prepara la virtà e quindi la liberò. Il fine dello Stato è organizzare tutte le sue relazioni secondo leggi della ragione.

<< Unità nazionale >>

La disfatta di Jean e l’occupazione della Prussia offrono a Fichte l’azione filosofica alla base del suo pensiero politico. Fichte si rivolge direttamente al popolo tedesco per analizzare le sue caratteristiche storiche, così da ravvivare l’orgoglio nazionale e da riguadagnare l’indipendenza e l’unità nazionale. Il principio di nazionalità , di origine francese, fa sì che la perfezione del genere umano divenga compito di una nazione singola, e porta la tradizione illuministica della libertà e della ragione dal piano europeo al piano nazionale. La nazione tedesca può assumere questo compito a causa delle sue caratteristiche contraddittorie:
à da una parte è tagliata fuori dalla storia (ha una lingua incontaminata che è espressione della vita del popolo a diff, di Italia e Francia.
à dall’altra parte dee farsi erede e continuatrice della moderna ragione europea
Lo Stato nazionale tedesco è lo Stato più vicino alla natura e più lontano dalla storia, popolo primitivo rimasto integro e puro, può così realizzare la natura più umana e più alta, vale a dire la libertà. Fichte sembra istituire una gerarchia al cui vertice viene posto l’Eterno, ossia la libertà assoluta, che viene ad assumere tratti sempre più religiosi, poi a nazione quale involucro dell’eterno, e infine quello dello Stato come strumento della nazione. Spetta allo stato tedesco, il compito di realizzare “l’umanità tra gli uomini” divenendo sale per la terra, ovvero forza trainante.

<< Missione della Germania>>

Una volta che la Germania sarà unificata, può diventare custode e garante dell’ordine europeo. All’idea dell’ equilibrio degli Stati subentra quella 800esca  dell’ordine delle nazioni: secondo Fichter la spada della Germania costringerà le spade gli altri stati a rimanere nel fodero. La missione tedesca è di pace e di cultura piuttosto che di dominio e egemonia, concludendosi l’impulso morale che aveva governato l riflessione Fichteriana, che si era configurata come impeto liberatorio verso la piena libertà. Tuttavia la libertà d’azione dell0individuo all’interno dello Stato è subentrato il problema della libertà del singolo nel contesto dello Stato come realtà etica e storica. Si tratta di u problema che risulterà tematizzato, nel pensiero di Hegel

 

2. Hegel

Vita
à nasce nel 1770 si forma a Turinga,

  • insegnò all’università di jena, e Heildelberg.
  •  1818 fu chiamato all’università di Berlino dove insegno fino alla sua morte
  • scrisse le seguenti opere:

 scritti teorici giovanili; il Sistema dell eticità; La maniere di trattare scientificamente il diritto naturale; la filosofia dello spirito Senese e II, la Fenologia dello Spirito, la scienza della logica, Enciclopedia delle scienza filosofiche in compendio, I lineamenti di filosofia del diritto; e una serie di lezioni  di filosofia storica, del diritto, della religione etc..

<<lo spirito>>

la riflessione hegeliana nasce dalla contraddizione irrisolta di Fichteriana.  Quella fra libertà del singolo e la libertà assoluta  dell’universale , fra morale  e mondo storico. La trasforma nella contraddizione tra l’Idea e la realtà, e ne trova il superamento-comprensione nello Spirito. Lo Spirito è la Ragione , motore propulsivo di hegel, non è però il principio su cui costruire la politica è l’insieme universale delle contraddizioni storico-concrete che il soggetto incontra nel lavoro, nel rapportarsi all’oggetto ed o anche al tempo stesso il loro superamento e riconoscimento logico-ideale. In sintesi lui pensa ad una ragione non calcolante ma è l’idea, l’origine del pensiero e dell’azione, che si cala e si perde nel reale e che in esso si recupera, passando attraverso le contraddizioni della storia. Questo processo produce la lettura della storia e della politica come razionali e comprensibili non perché costruite razionalmente , quanto piuttosto elaborate storicamente dall’uomo, che in questo incessante lavoro paga il prezzo della propria alienazione. Egli rifiuta le antitesi classiche e moderne , perché non rendono comprensibile il reale, ingabbiato in schemi razionalistici costruiti a priori. Contro questa astrattezza lui pensa al concetto di concretezza, intesa come il necessario attraversamento e superamento della contraddizione.

  <<Critica del diritto naturale e del Terrore>>

Politicamente ciò significa che a diff. Del razionalismo, il soggetto hegeliano è certo attore ma non più l’origine della politica e dell’azione storica  eprchè l’origine e la fine è lo Spirito.
La teoria Hegeliana nasce dalla critica della teoria del diritto naturale e della critica del Terrore.. Il diritto naturale  e il terrore sono accomunati, da Hegel, dal fatto di essere prodotti di astrattezza. Quello che determina il fallimento sia del diritto naturale moderno sia del terrore è che  ,secondo hegel, il primo non tiene conto dell’origine storica e concreta dello Stato e il secondo che invece di realizzare la libertà di tutti forma il contrario, ovvero la morte ; consente di uscire da una contraddizione arrivando a trovarne una più superiore di comprensione . Il concetto di Aufheburg (letteralmente detto superamento) è in rapporto con il concetto di Erinnerung, cioè con memoria dello spirito che nel punto più in alto di comprensione di sé si volta indietro a contemplare il cammino logico e storico, riconoscendolo come proprio.
La contraddizione non è paralizzante o distruttiva per il reale ma bensì principio della sua riconoscibilità a partire dal contesto sistematico in cui si manifesta, è la negazione determinata. 

Dagli scritti giovanili alla <<Fenomenologia dello Spirito>>

<< Spirito del cristianesimo>>

Fin dagli scritti giovanili su cristianesimo le riflessioni Hegeliane si focalizzavano sulla polemica  condotta sul piano teologico, contro la positività di cui simbolo è la religione ebraica fondata sulla positività della legge che annulla il singolo di fronte all’assoluto. A ciò si contrappone lo spirito del cristianesimo innalzando il ruolo del soggetto al livello dell’assoluto.

<<Via tedesca alla rivoluzione>>

Nella costituzione della germania  Hegel afferma la necessità di un risveglio del sentimento nazionale tedesco e la necessità per la Germania di rivendicare la propria originalità nazionale. Nel deficit di concretezza che la Germania manifesta sta per Hegel la causa dell’incapacità dei tedeschi di resistere all’avanzata delle truppe napoleoniche. Hegel no rifiuta la rivoluzione francese ma evidenza uk problema di dare concretezza storica nazionale al messaggio universale di libertà che dalla rivoluzione viene. Con la costituzione della germania Hegel riconosce lo Stato come <<universalità fornita di potenza>, superando la riflessione razionalistica sullo Stato inteso solo come controparte della libertà dell’individuo.

 

 

 

<< Eticità greca >>

Tratto dal Sistema dell’eticità:
parla della conflittualità moderna tra soggetto e universale, tra individuo e Stato, che Hegel risolve attraverso il concetto di eticità , l’identità dell’individuo vivente con la totalità politica: l’idea di totalità che emerge è un idea compatta. Il mondo che Hegel descrive è la Polis greca, in cui ogni cittadino si riconosceva nella città, alla quale hegel ricorre per polemizzare contro l’astrattezza della libertà  borghese, del pensiero razionalistico moderno . L’eticità greca sarà definita come bella eticità , unità armonica e risolta in se stessa e che nel movimento della storia viene infranta dalla <<immane potenza del negativo>> che è la soggettività cristiana e moderna.

<< Superamento del contrattualismo>>

la ricerca della totalità in cui si separano le contraddizioni del presente, non rende Hegel contrario alla soggettività; vie è già l’esigenza concettuale che il Tutto sia attraversato e mediato dal soggetto; un soggetto pensato in maniera diversa da come l’ha pensato il razionalismo contrattualistico. Hegel nega la validità dello strumento del contratto: processo che dovrebbe portare la moltitudine dei singoli a unità politica, di per se impossibile, se si rimane nell’ambito del razionalismo; il tutto non può essere costituito dalle parti: i singoli individui si collocano già all’interno dell’idea del tutto e agiscono grazie a questa. Hegel afferma il primato logico e storico del tutto sulle parti, l’unitaria sovranità dello Stato, l’idea di totalità etica di popolo, radice su cui si costruisce la vita associata in opposizione ad ogni interpretazione che ponga il contratto e la difesa del proprio diritto naturale alla base dell’evidenza e dell’autonomia del momento politico universale.
Nella prefazione della Fenomenologia dello Spirito , Hegel individua la categoria di <<sostanza-soggetto>> svelando il processo che ha portato il soggetto ad essere <<immane potenza del negativo>> che attraverso la fatica del concetto, si apre allo Spirito e infine lo riconosce come origine  e fine del  proprio cammino di storia.

<< il processo di riconoscimento della coscienza>>

La fenomenologia dello Spirito, presenta il processo che si compie attraverso le tappe:
à della Coscienza (il sapere un Altro da sé)
à dell’Autocoscienza (i sapere se stessi)
à della Ragione (l’operare in sé)
à dello Spirito (l’operare l’opera dello Spirito)
questo processo viene descritto da Hegel con una serie di figure, appaiono quali momenti logici  (ma in parte anche storici) che mostrano il processo compiuto dalla singola coscienza la quale giunge a sapersi come autocoscienza  che vive non isolata, ma tra le altre autocoscienze, come un io che è Noi e che agisce nel mondo e sul mondo.
Scoperta la dimensione sociale del vivere umano, nella sezione Spirito le figure attraverso cui si manifesta possono ormai diventare le tappe del suo processo di manifestazione: e le tappe dello Spirito coincidono con i pensiero e la storia dell’occidente, a partire dalla polis greca attraverso al codificazione romana e il mondo dei rapporti sociali del feudalesimo per giungere alla rivoluzione francese e alla filosofia tedesca , e permettono di riconoscere la storia come la nostra storia m la storia dello Spirito.

 

 

<< nascita della soggettività moderna>>

La sostanza –soggetto della fenomenologia è il sistema di oggetti che esistono negandosi ed entrando in relazione con gli altri, cioè, lavorando. Attraverso le figure della lotta fra il sovrano e il signore, dello stoicismo dello scetticismo e della coscienza infelice si manifesta la dialettica del riconoscimento, la relazione dialettica che ha in Hegel il ruolo centrake che nel razionalismo aveva il contratto. Nella lotta tra le due autocoscienze per il riconoscimento della legittimità del proprio desiderio a disporre del mondo escono le due figure del signore, che lotta e che non ha paura della morte,  e del servo, colui che davanti al rischio della morte trema e si sottomette al signore e lavorando per lui. Hegel dimostra che in realtà il vinitore non è il sognore, che esonerato dal lavoro esce in realtà dlla storia, ma il servo, che attraverso il lavoro <<forma>>, entra in relazione con se stesso e con i mondo e si apre all’univerale. Con il lavoro l’uomo è libero e scopre che la realtà esterna è da lui formata. La razionalità del reale è garantita non dal contratto, ma dalla durezza della lotta e del lavoro, che crea la storia umana, la prospettiva di vera comunicazione , spere soggettivo dell’universale cioè della libertà.  Tramite questo soggetto (il suo lavoro, la sua vita reale, le sue esperienze, che lo Spirito è giunto a divenire esso stesso oggetto.. oggetto concreto, che è passato attraverso il lavoro, la lotta, il rischio della vita .. ovvero la perdita nel rapporto servo-signore;
Si passa dall’armonia della Grecia, passando per l’impero romano e attraverso la coscienza infelice del cristianesimo medioevale fino all’età moderna, l’alienazione e al sofferenza diventao libertà, Ragione che dopo smarriementi ritrova la forza di sottomettere la storia del mondo e confrontarsi alla pari con la religione

<<la sostanza-soggetto>>

 

Tale è Lo spirito che ha la forza di realizzare la riv.francese e di darle concretezza in Germania, dove la libertà può affermarsi senza rimanere prigioniera della lotta per abbatter il vecchio mondo e le sue istituzioni come invece è successo in Francia. In Germania grazie alla rivoluzione protestante  (che ha dato libertà interiore) , ha consentito il superamento della frattura rivoluzionaria , cioè le condizioni per la vera libertà come comprensione filosofica della realtà, come sapere assoluto.

 

La <<Filosofia del diritto>>

<< forme della libertà >>

nella prefazione Hegel afferma il principio della libera personalità finita prodotta nella riflessione romana sul diritto e della filosofa cristiana sostenendo che nella polis greca cl a liberà rimaneva soltanto un ideale. La libertà greca è una libertà indifferenziata, alla quale si contrappone la libertà soggetta prodotta dal mondo cristiano; questa è resa possibile dalla capacità critico-lavorativa del soggetto (la sua sofferenza infinita) , con il lavoro moderno storicamente identificato nel modo di produzione capitalistico. LA Filosofia del diritto nasce dalla consapevolezza che il processo che porta all eticità moderna, si è dato con la costruzione dello Stato. L’idea protagonista di tutte le pagine della Filosofia del diritto è quella della libertà, che si realizza attraverso le contraddizioni del reale. Nella prima parte (diritto) la libertà è indagata in quanto volontà strettamente libera che si dà nelle forme del diritto privato  (proprietà, contratto, illecito) che regolano però solo il rapporto fra individui in quanto persone giuridiche. Dopo il diritto Hegel pone la Moralità luogo della volontà soggettiva individuale , che è coscienza i se e d è realmente libera.
In questa sua libertà sta al responsabilità della coscienza e dunque anche la possibilità del male, possibilità determinata dalla libera scelta della volontà soggettiva. L’universatilità della libertà si realizza nell’Eticità dove il soggetto raggiunge l’autocoscienza, riconoscendosi nello Stato e realizzando l’identità della sua volontà particolare con quella universale .
Lo Stato nella autocoscienza dell’individuo ha la sua esistenza immediata, così come l’autocoscienza attraverso la disposizione d’animo  na nello Stato la sua liberà sostanziale.

<< La sede degli affetti>>

La famiglia in quanto sede degli affetti, centro amministrativo del patrimonio privato non è divisibile tramite il principio di soggettività; è la prima radice etica dello Stato. La distinzione tra famiglia e società è opera del lavoro , quando esce dalla casa, rompendo i rapporti con la vecchia economia europea, gettando il soggetto nelle dinamiche della modernità economica.

<<Il mondo economico>>

La società civile è una sfera pubblica universale (molteplicità dei soggetti e dei loro interessi); la differenziazione degli interessi provoca la scissione della società civile , costruendo u mondo individualità infinite dominate da concorrenza e mercato.
La società di Hegel è suddivisa in 4 momenti:
à <<sistema dei bisogni>> luogo dei disordine, momento di massimo isolamento de soggetto, in cui domina il valore dell’intellettuale.
à << amministrazione della giustizia>>  in un mondo dominato dalle particolarità antagonistiche dove ricompare l’elemento universalistico.
à <<polizia>> amministrazione interna dello Stato che riprende scienze camerali tedesche
à <<corporazione>>  seconda radice etica dello Stato, prima forma di totalità completa però ancora limitata perché totalità di interessi particolari e non ancora sostanziali
Pe hegel la società civile è universale perdita di sostanza, na anche luogo in cui si manifesta l’apertura de soggetto verso la realtà sovraindividuale; il luogo in cui si formano nuclei di eticità consapevoli, opera di quella che è l’ultima sfera dell’eticità, Lo stato.

 <<Universalità dello Stato>>

Lo stato è per Hegel l’universale, non un insieme di particolari di società civile o lo Stato libertà, ce per Hegel è appunto solo società civile; è universale certo di sé,  consapevole della propria origine. Questo non vuol dire che lo Stato operi la distruzione del singolo, perché anzi lo Stato per esistere ha bisogno di passare nella contraddizione della società civile  (luogo del lavoro sociale), che porta lo stato ad essere reale e razionale.

<< Valore degli interessi particolari>>

Nella società civile ciascuno è sia fine che parte del disegno che costruisce lo Stato. La società di hegel non si annulla nello stato, ma è al suo interno, in quanto è nella società che si manifesta il momento della libertà soggettiva, riconoscimento del valore infinito degli individui
Hegel riconosce gli interessi particolari per l’interesse universale, del valore delle sfere finite (chiamate Stände) a quella infinita dello Stato. Gli Stände, ceti o corporazioni, sono diverse associazioni di interessi legati alle diverse forme di lavoro che si danno nella moderna società, mostrando la predisposizione del particolare a riconoscesi quale universale nello Stato. Hegel ne individua principalmente tre (di stato):
à il ceto sostanziale (composto dai proprietari terrieri)
à ceto formale ( che rappresenta il mondo industriale)
àceto universale (composto da coloro che lavorano per i propri interessi, ma al servizio degli interessi universali)
In questo terzo ceto vede il ruolo principale della Burocrazia, potere esecutivo, e momento di mediazione tra governo e il popolo. Questa articolazione di ceti segna il passaggio nella sfera dello Stato. La rappresentanza cetuale, che Hegel istituisce in due camere dedicate al potere legislativo, si differenzia profondamente dalla rappresentanza del contrattualismo.
LA rappresentanza per Hegel è in maniera cetuale, i quali attraverso la forma della rappresentanza acquistano ora una connessione politica.

<< Eticità dello Stato>>

Lo stato di Hegel è organizzato in monarchia costituzionale, costituito da società, libertà moderna e distinzione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario), articolandosi in essi ma non ne è creato. In aggiunta Hegel parla di Stato etico ovvero non è un prodotto del soggetto, ma che anzi, sa realizzare l’unità di coscienza soggettiva e ordine oggettivo. Un'altra differenza tra Stato hegeliano e lo stato del razionalismo modernismo moderno sta nel rapporto fra religione e politica. Per Hobbes è di svuotamento della religione assorbita nella politica, che in Locke è di relativizzazione della religione , come diritto privato nella politica

<< Razionalità dello Stato>>

Lo stato  appare come mediazione concreta, e in ciò manifesta il suo essere razionale; una razionalità che non si produce per contratto, ma che sta nel fatto che lo Stato da origine , che rende possibile la civiltà complessa e contraddittoria della piena modernità, l’epoca storica in cui vie Hegel.

<< Finitezza dello Stato: l’individualità del monarca>>

Lo Stato hegeliano è un momento dello Spirito oggettivo, non dello spirito assoluto; nel sistema hegeliano dello Spirito (articolato in soggettivo, oggettivo e assolto) , lo Stato non è un punto di arrivo del processo dello Spirito , ma solo un momento del passaggio. La realtà pratica è il momento di conciliazione dello Spirito con se stesso che può avvenire solo con la filosofia. Lo Stato non ha perfezione in sé ma resa aperto, questo significa che accanto alla connotazione dello Stato come totalità, Hegel vede nello stato anche la singolarità: lo Stato è sovrano incarnato nella figura del monarca, tale per diritto di nascita , posto al vertice della costruzione statale; il sistema delle mediazioni tra concretezza nella persona del sovrano. La decisione suprema è affidata ad un individuo concreto, che è il momento decidente dell’intero. Hegel tramite questa manifesta il proprio realismo estremo politico .

<<Finitezza dello Stato: il giudizio della storia>>

Lo Stato è la realtà etica dell’idea .. l’incedere di Dio nel mondo che svela la propria universalità solo nel processo della storia da cui ottiene la propria verità, il proprio giudizio: lo Stato è un prodotto della storia e come tale è sottoposto alle regole e giudizi della storia. A storia del mondo. Tratto dalla filosofia della storia.  È letta come la storia della libertà che segue il corso del Sole, da Oriente a Occidente , realizzando infine lo Stato che non è l’ultima figura di questo processo.. c’è oltre i tribunale del mondo, il fato storico, signora della vita e morte degli stati, e che e  sancisce l’affermazione o la scomparsa a seconda che siano o non siano all’altezza dello Spirito del mondo. Tale concetto significa che nn può essere l’ottimo stato e neppure la verità calata nella politica ma solo che di volta nella storia uno Stato determinato rappresenta la consapevolezza e la realizzazione delle realizzazioni storiche / politiche di un epoca.

 

<< Finitezza dello Stato della plebe>>

lo Stato hegeliano non è mai definitivamente conciliato perché in esso appaiono delle contraddizioni che comprende e non risolve tuttavia. Una contraddizione che lo Stato incorpora ma che non supera mai e che produce miseria che colpisce la plebe, cogliendo uno dei difetti delle dinamiche capitalistiche  che si producono in seno alla società civile. La plebe è il prodotto dei processi dell’attività industriale  di accumulazione della ricchezza, che determina la dipendenza della classe che è legata al lavoro.  Tale dipendenza non permette alla plebe di entrare nelle dinamiche di riconoscimento e di libertà che sottostanno alla dialettica del lavoro, ma che da queste resta esclusa  e di esse è perciò la costante negazione.   (questi concetti anticipano il concetto marxismo del proletariato)

 

Conclusioni:

(fa un punto generale della prospettiva hegeliana sui punti visti, leggere dal libro è una paginetta)

 

                          11. L’ORDINE DOPO LA RIVOLUZIONE

 

1. I CONTRORIVOLUZIONARI

    BURKE

Vita: assente sul libro

Burke dà un giudizio negativo sulla rivoluzione francese; a suo parere è stato un evento distruttivo e innaturale, a differenza della gloriosa rivoluzione inglese del 1608.
La rivoluzione inglese si era limitata  a ripristinare una antica tradizione costituzionale, mentre quella francese ha fatto tabula rasa del passato  ed ha costruito dal nulla un nuovo ordine fondato sui principi di una ragione astratta e priva di spessore storico.
Per Burke la vita associata degli uomini è governata non dalla ragione astratta, ma dallo scorrere delle generazioni.
Condanna anche la pretesa dei filosofi di imporre al mondo i lumi della propria e individuale razionalità e derivarne una politica scientifica, dimenticando gli elementi extrarazionali (affetti, istinti, abitudini) che hanno il loro peso nella vita politica.
La scienza politica, più che deduttiva, è sperimentale, nel senso che richiede saggezza, prudenza, osservazione, gradualità …
L’eguaglianza morale dell’umanità non è nei diritti naturali dell’uomo, ma nella virtù dei singoli, così come l’equilibrio sociale non scaturisce dall’opera dello stato, ma dalla naturale composizione del dissidio tra interessi reciprocamente conflittuali.
Tra ordine naturale e ordine politico, vi è una perfetta simmetria fondata sul principio evolutivo.
Nei confronti della rivoluzione osserva che all’aspetto distruttivo, deve seguirne uno costruttivo, deve cioè sorgere un nuovo stato più potente, perché deve realizzare nuove istituzioni perfettamente razionali.
Per questo respinge la soppressione delle istituzioni intermedie (es. parlamenti e corporazioni). Il loro mantenimento è utile perché sono le uniche in grado di arginare la pretesa del potere politico di governare ogni aspetto della vita sociale e degenerare così in dispotismo.

 

2. LIBERALISMO E POSITIVISMO IN FRANCIA

    COMTE (1798 – 1857)
Vita:
à nasce a Montpellier nel 1789 poi si trasferisce a Parigi e frequenta l’encolè Polytecnique, dopo che chiusa ritornerà a Montpellier
à Ritorna a Parigi  diventa segretario e collaboratore di Saint-Simon (fidanzata).
à Stende Cours de philosophia positive poi la interrompe a causa di una malattia psichica
à Muore nel 1857 a Parigi

Nella società industriale è necessaria una solidarietà che deve essere assicurata da un sistema intellettuale simile alla religione cristiana. Il modello di riferimento è il medioevo , che era una vera società organica. Tuttavia la riproposizione di quel sistema è improponibile, perchè corrispondeva ad un’epoca precedente alla nascita delle scienze.
L’illuminismo ha distrutto quell’ordine e ha consentito il progresso; bisogna far in modo che il sistema della società industriale si appoggi sulla conciliazione tra ordine e progresso che può essere assicurata dal potere degli scienziati e degli industriali.
a) La legge dei tre stadi
Comte afferma la priorità dello sviluppo intellettuale su quello politico e pensa che l’avvento di un nuovo sistema sociale vi sarà solo quando il sapere sarà giunto a conclusione; cioè quando tutte le scienze avranno raggiunto uno stato positivo.

L’evoluzione delle scienze è vista evolversi attraverso tre stadi:

  • Stadio teologico o fittizio: passaggio dell’uomo dalla natura alla cultura; l’uomo cerca di dominare la natura attraverso pratiche magiche e mistiche. La società è fondata sul lavoro degli schiavi  e sulla guerra. Il governo è di tipo teocratico e militare.
  • Stadio metafisico: le fantasie religiose sono sostituite da entità astratte del pensiero filosofico. Nella società si affermano l’individualismo, l’egoismo e l’utilitarismo; la società non è più basata sull’autorità del sovrano, ma su un astratto patto sociale che attribuisce sovranità al popolo
  • Stadio scientifico o positivo: sostituisce alla fantasia e al ragionamento astratto l’osservazione e il rispetto dei fatti.; promuovere questo stadio è compito della filosofia positiva.

b) Il sistema industriale
Anche la società industriale viene qualificata in termini di consenso, ossia nella necessità di assicurare armonia sociale tra le diverse componenti e per assicurare di conseguenza un ordine politico.
Per risolvere l’antagonismo tra imprenditori e lavoratori è necessario un coordinamento, prima intellettuale, poi morale, infine politico.
L’autorità intellettuale e morale del sapere legittima l’esercizio dell’autorità politica facendo prevalere lo “spirito d’insieme”. Ma la solidarietà tra le diverse componenti sociali non deve essere tali da ostacolare il progresso.

 

3. LA GERMANIA

    CLAUSEWITZ (1780 – 1831)

Vita:
à nasce a Berg nel 1780
à entra giovanissimo nell’esercito prussiano e verrà fatto prigioniero in guerra
à successivamente al suo rilascio, lascerà l’esercito e partecipa alla liberazione della Russia nel 1813; nel 14 parteciperà alla battaglia di Waterloo.
à dirigerà la scuola di guerra di  Berlino
à le sue opere più importante è: Della guerra.
à muore a  Breslavia nel 1831.

La sua opera più nota è “Della guerra”. Oltre all’aspetto pratico cui tende, l’esigenza di dotare la Prussia di uno strumento militare al passo con i tempi, il suo pensiero è legato al rapporto tra guerra e politica.
a) Teoria della guerra
Clausewitz non muove da una teoria astratta della guerra, ma dall’esperienza della guerra reale: la guerra napoleonica. Pensa che nel passato sia stato un errore teorico considerare le guerre dell’antico regime come separate dalla politica.
L’antico regime aveva trasformato la guerra in uno strumento puramente militare, mentre la rivoluzione francese la fa diventare guerra del popolo, capace di mobilitare l’entusiasmo e l’energia di una nazione contro nemici interni ed esterni.
Quindi la guerra non è più cosa a sé stante, ma è una parte del lavoro politico, nasce dalla politica, anzi è uno dei due volti della politica.
b) Politicità della guerra
La guerra è un atto politico formato da una triade: popolo, condottiero, governo.
Clausewitz interpreta la guerra assoluta di Napoleone proprio nel suo stretto rapporto con la politica: è il modello cui egli si ispira (proveniente dalla rivoluzione francese) che è capace di servirsi attivamente delle enormi energie politico-militari della guerra di popolo, che fa comprendere lo stretto legame tra guerra e politica.
L’obiettivo pratico di Cluasewitz è quello di spingere a organizzare un esercito di popolo  per liberare la Prussia dall’invasore francese.

 

4. INGHILTERRA

    4.1. BENTHAM (1748 – 1832)

Vita:
à nasce a Londra nel 1748
à studia ad Oxford e legge all’Lincoln’s Inn
à si dedicherà dopo legge a iniziative di riforma filosofiche
à soggiornerà in Russia  e diventerà cittadino onorario francese.
à nel 1819 sostiene iil movimento per la riorma parlamentare e nel 1823 fonda la Westmister Review che diviene organo dell’ordine pubblico radicale.
à le sue opere principali sono:  Il frammento sul governo, l’introduzione ai principi della morale e della legislazione, i Sofismi anarchici, il codice costituzionale.

4.1.1. Critica ai diritti naturali: il radicalismo
Nei confronti della rivoluzione francese assume un atteggiamento critico, dimostrandosi contrario alla teoria del patto sociale e alla dottrina dei diritti dell’uomo.
L’ipotesi di un patto originario è puramente astratta e, comunque, smentita dalla storia.
Con il suo radicalismo riformista vuole opporre alla rivoluzione un progetto coerente di politica razionale, con metodo sperimentale (il riferimento è Newton) in modo da mettere al bando il linguaggio emotivo e retorico dei diritti naturali
Per lui l’espressione “diritti naturali” viene considerata come un sofisma anarchico, un non-senso.
Un diritto è tale solo in funzione dell’utilità sociale. Di conseguenza non esiste nessun diritto che non possa essere soppresso, se da questa soppressione deriva un’utilità sociale.
Altra conseguenza è che ogni dichiarazione dei diritti naturali è illegittima, perché vincola la volontà popolare a principi immutabili, mentre un coerente progetto di riforma richiede solo una logica utilitaristica, che faccia riferimento a elementi concreti come i bisogni degli individui e la ricerca della loro felicità.

4.1.2. Il principio dell’utile
Una politica razionale deve essere fondata su un’osservazione realistica della natura umana. La vita umana è fatta di piaceri e di dolori che sono grandezze omogenee e comparabili e misurabili mediante un calcolo edonistico basato su dei parametri.
Solo argomentando in termini di utilità, in base al principio etico che impone la massima felicità come benessere, cioè come soddisfacimento dei piaceri e sicurezza contro i dolori, si può individuare un presupposto oggettivo e imparziale per legiferare.
La ricerca della felicità è infatti un fine condiviso tanto dall’agire dell’individuo quanto del governo. In base a questo è possibile introdurre una legislazione che esprima una sovranità popolare e che corrisponda al principio di utilità come fondamento dell’ordine e della sicurezza sociali.

4.1.3. La democrazia rappresentativa
Si tratta ora di decidere quale sia la forma di governo che meglio si presta a raggiungere il fine dell’utile comune.
La sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso i suoi rappresentanti: la democrazia deve quindi essere rappresentativa e a suffragio universale. Il suffragio universale è giustificato con il principio che riconosce l’uguaglianza di tutti i cittadini nei confronti della felicità: quindi è legittimo in base al principio dell’utilità generale e non alla dottrina dei diritti naturali.
Sia il potere legislativo che quello esecutivo devono rispondere al potere costitutivo supremo: “il corpo elettorale”

4.1.4. Indivisibilità del potere
Bentham non accoglie però la divisione dei poteri. Per lui il potere è indivisibile, in quanto l’esecutivo e il giudiziario hanno solo il compito di attuare quanto stabilito dalla legge, ed ogni loro pretesa di autonomia rispetto al legislativo è un errore di origine anarchica.
Allo stesso tempo non dimostra simpatia per le autonomie locali, che dovrebbero contrastare l’egemonia del potere centrale

 

4.1.5. Radicalismo giuridico
Lo stesso modo di pensare lo troviamo in campo giuridico. Anche qui l’utilità è la sola considerazione possibile.
La proprietà
In ambito sociale l’utilità necessita di quella sicurezza che è garantita unicamente dalla proprietà; tuttavia poiché la distribuzione dei beni è spesso arbitraria, lo stato può procedere ad una ridistribuzione per ristabilire l’equilibrio tra sicurezza sociale e utilità individuale.
Il diritto penale
Ogni delitto comporta una punizione. Anche qui vige il principio utilitaristico: la pena deve superare in misura minima l’utile che il colpevole ha tratto  commettendo il delitto

4.1.6. L’economia: lo stato minimo
In campo economico Bentham non è così radicale. Sostiene che il libero mercato sia il presupposto fondamentale per il raggiungimento del benessere collettivo. Il liberismo in campo economico è l’attuazione del concetto di armonia spontanea. Ogni minaccia alla sicurezza della proprietà o alla società di mercato è una minaccia alla realizzazione del bene pubblico.

 

4.2. MILL (1773 – 1836)

Vita:
à nasce nel 1773 in Scozia
à Studia teologia e rinuncia poi alla cariera ecclesiastica per trasferirsi a Londra, dando inizio ad atività pubblicistiche radicali
à negli ultimi anni si dedica a studi filosofici
à pubblicherà insieme a Benham la Westmister review.
à Muore a Londra nel 1836.

4.2.1. Interesse individuale e interesse collettivo
Mill cerca di applicare al governo i principi di Bentham. Propone di modificare il sistema di rappresentanza alla camera dei Comuni per avere una rappresentanza più ampia. Questo ampliamento non fa appello
- né a concezioni astratte (dichiarazione dei diritti),
- né a concezioni generali (separazione dei poteri),
- né al principio della rappresentanza degli interessi
ma deve essere visto nella prospettiva di equilibrare l’interesse individuale con l’interesse collettivo.
La migliore forma di governo è la democrazia rappresentativa, che per evitare il dualismo tra elettori ed eletti, deve prevedere un mandato breve

4.2.2. Estensione del diritto di voto
L’educazione politica dei cittadini richiede una progressiva estensione del diritto di suffragio che tuttavia ha delle restrizioni: l’età (bisogna avere 40 anni) le donne (sono escluse), il censo (ci vuole proprietà e reddito).
La riforma auspicata da Mill venne realizzata nel 1832 e venne considerata una seconda Magna Charta, nonostante il diritto di voto fosse esteso solo al 5% della popolazione.

 

  •  SOCIETA’ E NAZIONE

 

La Questione Sociale
Proletari e Borghesi

  • Luis Blanc à la rivolta proletaria di Lione (1832) è una dimostrazione sanguinosa dei vizi dell’industrialismo
  • Proletario: “colui che possiede solo la prole” (definizione antica) à “professione di milioni di francesi che vivono del proprio lavoro e non hanno diritti” (Blanqui, 1832)
  • Borghesi: “privilegiati che vivono alle spalle dei proletari” (Blanqui)
  • Hegel: la plebe è il margine oscuro e minaccioso della società borghese
  • Tra il 1830 ed il 1848 emerge la questione sociale à diversa dalle precedenti manifestazioni à non bastano carità, assistenzialismo e repressione per risolverla
  • Finalmente la società si accorge che la povertà affligge milioni di persone in Europa, e queste persone sostengono economicamente l’industrialismo
  • Le classi agiate temono che i lavoratori più poveri minaccino l’ordine pubblico
  • Proposte di riforma economico-sociale

Una proposta di riforma sociale
Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi

  • Il sistema industriale è portato per natura al disequilibrio
  • Critica le tendenze economiche che allargano lo stacco tra ricchi e poveri
  • Il potere sociale ed il legislatore devono temperare le differenze (senza eliminarle) per permettere a tutti di godere dei benefici della nuova organizzazione sociale

Socialismo Utopistico

  • Critica alle crescenti disuguaglianze sociali intrinseca allo sviluppo del capitalismo
  • Fiducia in una riorganizzazione sociale razionale e scientifica che avrebbe consentito di realizzare ideali di giustizia senza rivoluzioni
  • Intorno al 1835 à Cartismo (miglioramento delle condizioni di vita proletarie + suffragio universale)
  • R. Owen, 1800 circa à capitano d’industria che riforma la sua fabbrica, ma quando tenta di riapplicare tale schema sociale di ispirazione socialista su ampia scala (negli U.S.A.) fallisce miseramente
          • Partecipa allo sviluppo del movimento sindacale inglese
          • Il libro della nuova morale
            • Il carattere dell’uomo è un prodotto sociale
            • Tono pedagogico illuminista
            • Importanza agli esperimenti sociali capaci di mostrare esempi di società alternative a quella esistente (base: interesse della comunità > interesse del singolo)
        • François Noël Babeuf (seconda metà del ‘700) pone le basi per la rivolta sanculotta à dottrina organizzativa e industrialista (Saint-Simon, Enfantin)
        • Charles Fourier (a cavallo tra XIII e XIX secolo)
          • Non ha molta fiducia nella lotta di classe
          • Simile a Owen, preferisce i modelli proposti da ricchi filantropi
          • Accusa il capitalismo di ridurre in schiavitù l’operaio e promuovere attività parassitarie (operazioni finanziarie e speculative)
          • Concezione della Storia: il periodo in cui ha vissuto è un passaggio intermedio tra Eden e Armonia futura
            • Piccole comunità produttive (falangi)
            • Raccolte in falansteri
            • Libero amore

Il progetto di riforma del sistema capitalistico
P. J. Proudhon à meno idealizzato e visionario, più realistico, sebbene faccia ricorso comunque a idee di esperimenti sociali

        • Pamphlet: Che cos’è la proprietà? à la proprietà è un furto
        • Concezione mutualistica e cooperativa dell’ordine sociale
        • Critica ad ogni tipo di centralizzazione à oscilla tra federalismo e anarchia
        • Critica i capisaldi del capitalismo
        • Criticato aspramente da Marx
        • L’operaio ha un diritto naturale di proprietà su ciò che produce
        • Fiducia in un’organizzazione superiore e scientifica della società à contrapposizione (1846) ad abitudine della politica economica ed alle utopie rivoluzionarie
        • I difetti del capitalismo sono causati dal denaro, dalla sua circolazione e dai capitali
          • Propone una “Banca Popolare” per il credito senza interessi di buoni acquisto, senza moneta effettiva

Tra riforma e insurrezione
L. Blanc

  • Dicotomia nel sistema socialista francese: possibile soluzione in Organizzazione del lavoro
        • Limitare la concorrenza capitalistica con “opifici sociali” diretti dallo Stato
        • Riforma pacifica

L. Blanqui

        • Linea ideale di continuità con la “Congiura degli Uguali” di Babeuf e F. Buonarroti
        • La rivoluzione comunista deve essere insurrezionale e con elementi dittatoriali

Germania
Circa 1830 – 1840: due filoni di pensiero politico liberale

  • F. C. Dahlmann
          • Filone “tedesco – settentrionale”
          • Impronta storicistica
          • La politica è fondata su un ceto medio largamente diffuso ed omogeneo, capace di unificare la società e di attuare un progresso moderato con la mediazione dell’opinione pubblica
        • K. Rottech
          • Filone “tedesco – meridionale”
          • Impronta razionalistica e giusnaturalistica
          • In collaborazione con K. T. Welcker stende una Staatlexikon (enciclopedia politica della borghesia liberale tedesca prima del 1848)
          • Individualismo: società = somma degli spazi di libertà dei singoli
        • Idee comuni ai due filoni
          • Società come spazio libero da rilevanti scissioni
          • La civilizzazione e la liberalizzazione dello stato hanno dei limiti: il rispetto delle forme tradizionali di governo precedenti (monarchia) e esclusione della “plebe” da ogni diritto

La sinistra hegeliana

        • Il rapporto tra razionale e reale è l’inizio di una critica a tutte le esistenze storiche
        • Prime formulazioni teoriche di un sistema di pensiero socialista
  • Divisione della scuola hegeliana sull’affermazione “il reale è razionale” e sulla critica alla religione (da parte della sinistra)
          • Per Hegel era da intendersi come affermazione riferita alla situazione già esistente
          • Per la “sinistra hegeliana” era da intendersi come intenzione di progresso non ancora realizzatasi
        • A. Ruge
          • Esistenza di monarchi ereditari, sistema bicamerale ecc. = prodotto della storia, non necessità logiche (come Hegel sosteneva)
          • Critica il liberalismo tedesco:
            • Di essere sceso a compromessi umilianti con lo status quo
            • La libertà è stata regalata dall’alto
            • Non ha capito che il Popolo è l’annullamento di caste e classi
          • Il Liberalismo può realizzarsi appieno solo dissolvendosi in nel Democratismo
          • Teme il Comunismo (vede come un abominio la plebe che fa filosofia)
        • L. Feuerbach
          • Alienazione religiosa: l’uomo proietta la divinità fuori di sé (anche se essa è un’entità interiore) e ne viene soggiogato
          • La realtà è solo speculazione
          • Propone un’umanizzazione della religione
        • B. Bauer
          • I vangeli sono solo un’opera letteraria
          • Il cristianesimo:
            • Ha introdotto nel mondo la “coscienza infelice”
            • Dice che il destino dell’uomo è il dolore
            • La libertà dell’uomo è governata da leggi esterne
          • Nega ogni religione
        • M. Hess (pubblicista) à espressione incisiva negli anni ’40 dell’Ottocento

Il concetto di classe
L. Von Stein: il movimento sociale è una minaccia

        • Paragona il movimento sociale alla Rivoluzione Francese: nella Rivoluzione era un ceto contro lo Stato, con il Movimento Sociale una classe contro la società
        • Movimento sociale = Rivoluzione sociale
        • La plebe si fa ceto sociale e s’impadronisce di concetti socialisti e comunisti per sovvertire l’ordine borghese
        • Proletari ≠ Plebe: la plebe è rassegnata e spera in un miglioramento, il proletario si ribella usando come moneta di scambio la propria forza-lavoro

Scienza della società e amministrazione

  • Scontro capitale – lavoro à la società è basata sui concetti di illibertà (non-libertà) e dipendenza (Stein)
  • Tensione con le basi teoriche libertarie dello Stato
  • Stein contrasta la Rivoluzione Sociale (minaccia ai valori borghesi di libertà e cultura), ma la questione sociale finalmente si apre allo scenario politico europeo
  • Serve una scienza della società che temperi la minaccia proletaria per inserirla nella società
  • Serve un’attività amministrativa che elevi i ceti inferiori ad un livello decente (diritto costituzionale)

Monarchia sociale
Origine di un riformismo statale (idea elaborata da Stein)

  • Prima realizzazione: obbligo assicurativo per il proletariato industriale (Bismarck, 1883 – 1889)
  • Ricerca scientifica e socio-politica: Associazione per le politiche sociali (Germania, 1872 – 1930 circa) à supporto al principe tedesco, dibattiti all’origine della sociologia e sul metodo economico

Marx
Vita:
à nasce a Traviri nel 1818 da una famiglia di ebrei
à studia giurisprudenza e filosofia a Bonn e Berlino
à redattore capo del gionale intitolato <<la gazzetta Renana>>
à dopo l’abrogazione del gionale si trasferisce dalla germania a Parigi, venne poi espulso su pressione della Prussia e si trasferisce in Belgio dove da vita alal <<lega dei giusti>> che diventerà << la lega dei comunisti>>
à dopo i moti del 48 che colpiscono l’europa si ritrasferisce in Germania dove diventa redattore capo della nuova gazzetta renana , organo democratico rivoluzionario.
à si trasferirà a Londra dove svolgerà attività pubblicistiche e studia economia politica
à Nel 1864 partecipa alla fondazione della <<Prima internazionale>>
à morì a Londra nel 1883

  • Istruito sui testi di Hegel
  • Testimone delle rivoluzioni sociali del suo tempo (moti del ’48, la Comune di Parigi)
  • Il Capitale: tre volumi, di cui due editi postumi a cura di F. Engels
  • Il pensiero di Marx è una serie di bozzetti a più riprese, più che un filo unico

La Società
Il Confronto con Hegel

  • Hegel: punto massimo della filosofia a lui contemporanea (secondo Marx)

La società civile è un continuo scontro “tutti contro tutti” basato sull’individualismo e sull’egoismo privato
Antagonismo sociale fra le classi
La società civile si contraddistingue per l’interesse privato e per la divisione in classi che si oppongono l’una all’altra

  • Società divisa in due grandi gruppi: borghesi e proletari (simbolo di “società civile” l’una, di “Stato” l’altra)
  • La politica è una guerra di rapporti sociali

Democrazia e comunismo

  • Da radicalismo democratico e comunismo
  • Borghese = cittadino (la distinzione era stata fatta all’epoca della Rivoluzione Francese)
  • Borghese = membro della società civile
  • I diritti dell’uomo sono separati da quelli del cittadino in quanto quest’ultimo è un egoista separato dalla società
  • Esistenza politica del singolo divisa dalla vita quotidiana della società in cui vive
  • La democrazia (uguaglianza formale davanti alle leggi) impedisce la liberazione umana, possibile solo eliminando la divisione tra Stato e Società civile
  • Rottura di Marx con la sinistra hegeliana (per Marx troppo speculativa e poco realmente attiva)
  • Il mondo deve essere trasformato
  • Marx: alienazione politica à alienazione economica
  • Alienazione del proletario quando la sua forza-lavoro è centrale per la produzione
  • Analisi del concetto di trasformazione della natura umana (scritti maturi)
  • I proletari possono, potenzialmente, ribellarsi alla costituzione in classi della società
  • Opposizione del proletario alla proprietà privata; il borghese non si può più appropriare del lavoro altrui

La storia
Materialismo storico
La storia è solo storia di lotte di classe
Comunismo definito come mera abolizione della proprietà privata, è però anche una potenziale risoluzione della storia (possibilità di superamento del “dominio dell’uomo sull’uomo”)
Critica all’ideologia
Economia e struttura sociale che su di essa si costruisce in un dato periodo à basi della struttura politica ed intellettuale di quella stessa epoca

  • La vita determina la coscienza
  • Ideologie: necessarie sublimazioni dell’esistenza materiale dell’uomo
  • L’ideologia legittima il potere di una classe sull’altra (le ideologie dominanti sono della classe dominante)

Modo di produzione
La struttura economica condiziona le sovrastrutture

  • L’insieme dei rapporti di produzione definisce la struttura economica della società, il “modo di produzione”
  • Quattro modi di produzione

    • Asiatico
    • Antico
    • Feudale
    • Borghese moderno
  • Lo sviluppo dei rapporti di produzione porta al passaggio da un modo al successivo, ma quando sono state sviluppate tutte le forze produttive non resta che la rivoluzione sociale
  • Rivoluzione comunista come atto ultimo, automatico e necessario à è davvero così? NO!
  • Storia = produzione e riproduzione della vita reale, non semplice struttura economica
  • La storia è costruita dagli uomini in base alla tradizione e alle circostanze immediate, non su base del completo libero arbitrio
  • Scontro teorico intestino al movimento operaio e marxista (tra fine Ottocento e Prima Guerra Mondiale

Il “Manifesto”
Classe in sé e classe per sé

  • Classe in sé: oggettiva posizione sociale degli individui
  • Classe per sé: entità politica che si contrappone ad altre classi
  • I comunisti lottano per la classe “in sé” (lo fanno anche altri), ma risvegliano negli operai la coscienza di classe “per sé” in lotta con la borghesia
  • I comunisti sono l’elemento più avanzato nel movimento reale
  • I socialisti sono additati come “passatisti”
  • La borghesia non può esistere senza cambiare i rapporti sociali
  • La rivoluzione è proiettata esclusivamente al futuro

Critica del socialismo utopistico
Nonostante abbia scoperto l’antagonismo tra classi, il socialismo utopistico è da criticare, perché eccessivamente astratto

  • La concezione marxista di comunismo resta invariata, cambia il suo orizzonte di realizzazione
    • Nel Manifesto la crisi del capitalismo è imminente
    • Dopo i moti del ’48 sedati nel sangue, Marx vede questa rivolta come un grandioso avvenimento, ma solo come banco di prova dell’esistenza del proletariato come soggetto politico; i reali tempi di realizzazione sarebbero stati molto più lunghi
  • Marx à serie di scritti sui moti del ’48: analisi delle classi e concezione della politica
    • Necessità di libertà civili per il consolidamento della lotta proletaria (gravi conseguenze della loro soppressione, legata al capitalismo)
    • Studio dell’economia politica invece dell’attività pubblicistica
    • Primi abbozzi de Il Capitale

La critica dell’economia politica
Valore d’uso e valore di scambio

  • Merce = astrazione reale (come il denaro)
    • Prodotta dal lavoro umano
    • Ha un valore d’uso (utilità per chi compra)
    • Ha un valore di scambio (dominante su quello d’uso): è, in astratto, una data quantità di lavoro umano

I rapporti sociali vengono ridotti a rapporti tra cose

  • Nel capitalismo vengono considerati solo gli scambi tra libere persone, socialmente alla pari
  • La produzione capitalistica in realtà si basa sullo sfruttamento

Forza-lavoro, pluslavoro, plusvalore

  • L’operaio concede la propria forza-lavoro, non lavoro in sé
  • Il salario è il compenso per la forza-lavoro data
  • Lavoro necessario (quello effettivamente necessario per produrre una data merce) + pluslavoro (attività dell’operaio non retribuita)
  • Dal pluslavoro nasce il plusvalore, a tutto vantaggio del capitalista (= sfruttamento)

Il concetto di sfruttamento

  • Il capitalista cerca di estendere al massimo la giornata lavorativa per avere più pluslavoro, facendo valere il suo diritto di acquirente della forza-lavoro
  • L’operaio vuole limitare la giornata lavorativa in qualità di venditore di forza-lavoro
  • Capitale = rapporto sociale antagonistico capitalista-operaio

Plusvalore assoluto e relativo

  • Il concetto di sfruttamento è dinamico e mutevole
  • Una volta posto il capitale come grandezza fissa di riferimento, il primo modo in cui il capitalista può accrescere il pluslavoro è aumentare le ore di lavoro: plusvalore assoluto
  • Lotta per la durata della giornata lavorativa, anche con l’intervento dello Stato: al capitalista non resta che intensificare il lavoro necessario con l’ausilio delle tecnologie: quello che si ricava dal cambiamento dei rapporti tra lavoro necessario e pluslavoro è il plusvalore relativo
  • Sussunzione formale del lavoro al capitale: il capitale sottomette alle proprie leggi un modo di lavoro nato prima del capitalismo
    • Il plusvalore può essere prodotto solo aumentando le ore di lavoro (p. assoluto)
  • Sussunzione reale del lavoro al capitale: il capitale organizza i modi di lavoro
    • Promuove l’applicazione della scienza al processo produttivo (p. relativo)

La politica

  • La socializzazione del lavoro è una base della transizione al comunismo, in quanto sviluppa la contraddizione tra carattere sociale della produzione e  carattere privato dell’appropriazione
  • Non esiste un modello di transizione definito da Marx
  • Cenni generici dell’organizzazione della società comunista
  • Marx non è un utopista, non sogna il mondo immaginario, ma si sofferma sulle contraddizioni interne alla società capitalistica da cui può nascere la coscienza di classe degli operai

Giustizia naturale

 

La Comune di Parigi

  • È una sfida alle teorie di Marx
    • Segue una guerra in cui si è abbandonata la lotta di classe in favore del nazionalismo
    • Esito di una rivoluzione proletaria non nel cuore del capitalismo (che per Marx è in Inghilterra) ma in Francia
  • Primo governo della classe operaia
  • Forma politica che consente l’emancipazione dal valore economico del lavoro
  • La classe operaia non può solo prendere lo Stato e farlo funzionare secondo i suoi fini
  • La libertà sociale e politica, nella Comune coincidono

La dittatura del proletariato

  • La Comune è un esempio di forma politica finalmente scoperta
  • Rivoluzione proletaria à dittatura rivoluzionaria del proletariato
  • Transizione tra società capitalistica e comunista
  • Nella politica sovietica del XX secolo, questo concetto diviene autorizzazione dello Stato a dominare sulla società in modo dispotico
  • Lo Stato libero è quello in cui è la società a dominare sullo Stato, e non viceversa

Deperimento dello Stato
La dittatura del proletariato (inteso come grande massa del popolo) ha come obiettivo il deperimento dello Stato

  • Difficile conciliazione tra “transizione dal capitalismo al comunismo” e “teoria degli stadi del percorso verso la società senza classi” (in cui il comunismo è differenziato dal socialismo per i marxisti ortodossi)
  • Per Marx, il comunismo si realizza in due fasi:
    • Prima fase: mantenimento di alcune strutture capitalistiche negli ambiti giuridici ed economici, non ha un’autonomia strutturale
    • Seconda fase: “ognuno secondo le proprie capacità, ad ognuno secondo i propri bisogni”, individui tutti uguali

Tocqueville
Vita:
à nasce a Parigi nel 1805
à si dedica a studi giuridici
à viaggiò in America, Italia, Svizzera, Algeria, e Inghilterra
à fù eletto alla Academie des Sciences Morales et politiques (1838) e ministro degli esteri della repubblica francese nel 1849
à dopo il colpo di Stato di Bonaparte si ritira dalla vita politica nel 1851
à morì a Cannes nel 1859

  • I moti del ’48 sono stati necessari (per rendere di nuovo Parigi padrona di se stessa) ma anche funesti (non hanno sedato i futuri tentativi di rivolta)
  • Prima trasformazione del paradigma liberale: moderazione giocata contro socialismo e comunismo (invece che contro i Giacobini)
  • Il ruolo socio-politico del borghese medio è l’autodifesa
  • Seconda metà del XIX secolo: diffusione in Europa dei concetti liberali e costituzionali
  • Proprio dai Liberali vengono le obiezioni più ostiche al suffragio universale ed alla democratizzazione delle strutture politiche
  • Tocqueville à conservazione della libertà in un mondo tendente all’uguaglianza democratica

L’uguaglianza
Democrazia come stato sociale

  • Teoria della democrazia:
    • Forma politica adatta a anche a grandi Stati, non solo a territori piccoli (concezione del Settecento)
    • Insieme di dinamiche politiche fondate su di un “assetto (o stato) sociale”
    • Uguaglianza delle condizioni

Uguaglianza delle condizioni

  • Tendenza secolare in Europa all’uguaglianza sociale; realizzata in America
    • Accentuazione della mobilità sociale
    • Eliminazione quasi totale del censo per via ereditaria
    • Individualismo indifferenziato nella società
  • Democrazia = esito ineluttabile di questa tendenza
  • L’uguaglianza delle condizioni non si basa sul livellamento della ricchezza (la ricchezza alimenta la disuguaglianza), ma sull’abolizione di ceti statici
  • Tutti si trasformano continuamente
  • In America sono stati raggiunti i massimi livelli; tendenza in Europa

Un nuovo tipo umano
Non è più possibile reinstaurare una società aristocratica, esiste un “ceto” che

    • Ha senso dell’indipendenza
    • Rifiuta il privilegio come cardine nell’organizzazione sociale
    • Prova insofferenza alle distinzioni permanenti
  • Tocqueville prova una sorta di malinconica nostalgia al pensiero della società aristocratica
  • L’uomo moderno afferma il proprio dinamismo, ma porta con sé nuove minacce alla libertà
  • Serve una nuova scienza politica per un mondo completamente rinnovato

Le minacce alla libertà
Livellamento sociale e conformismo

  • Sovranità dell’individuo à scioglimento degli antichi legami sociali
  • Livellamento che tende alla mediocrità, uomini tutti uguali
  • Mediocrità + uniformità = conformismo
  • Conformismo à pregiudizi socialmente potenti

Un dispotismo di tipo nuovo
Dispotismo che sorge dal basso, che doveva invece essere la fonte della libertà dei moderni

  • Dispotismo mite e molto esteso, che avvilisce gli uomini senza tormentarli
  • È assoluto, sistematico, previdente
  • Gli individui democratici, egoisticamente occupati dai loro interessi personali, ignorano il dispotismo che incombe dall’alto, simile all’autorità paterna (li mantiene all’infanzia, invece di prepararli alla vita adulta)
  • Il dispotismo del sovrano li libera dalla responsabilità pubblica à agli occhi dell’uomo democratico è un vantaggio
  • Timore di una spoliticizzazione della società per via delle innumerevoli altre attività
  • Formazione del “partito dell’ordine”, in cui l’unico interesse è l’amore della tranquillità

Libertà politica come unico rimedio ai rischi dell’uguaglianza
Libertà politica come rimedio alla spoliticizzazione della società

  • Tocqueville prende ad esempio l’America:
    • Profilo antropologico: sono un popolo giovane ed irrequieto, che deve ancora conquistare le terre che ha intorno à rimedio alla mediocrità
    • Profilo istituzionale: divisione federale, decentramento amministrativo, autonomie locali e giudiziarie à rimedio al dispotismo democratico
    • Profilo sociale: associazioni eterogenee à surrogato della società aristocratica
  • Il dispotismo democratico tende a restaurare il dominio paterno
  • Le associazioni tendono a mettere in luce la fraternità à tutti seguono la legge in quanto la considerano opera propria
  • Unione di libertà individuale e collettiva, fiducia reciproca tra le classi
  • Le condizioni per la realizzazione sono complesse, in testa c’è l’attivismo politico

La Francia
Marx individuava nella storia francese un crescente rafforzamento del potere esecutivo à idea simile a quella di Tocqueville e J. S. Mill
La centralizzazione politico-amministrativa nella storia francese moderna

  • Tocqueville sostiene la continuità tra
    • Livellamento dei rapporti sociali
    • Azzeramento dei corpi intermedi
    • Centralizzazione politico-amministrativa monarchica
  • La Rivoluzione Francese era stato il risultato di un’evoluzione lunghissima della storia francese, senza sforzi sovrumani ed istantanei; l’espropriazione del potere all’aristocrazia dell’Antico Regime era iniziata prima della manifestazione plateale
  • L’amministrazione assolutista anticipa alcuni caratteri della rivoluzione
  • La rivoluzione scoppia nel momento in cui si entra in contraddizione evidente con le vecchie forme costituzionali

Fine della nobiltà

  • Tramonto di un insieme di valori, non solo di una casta
  • La distruzione della nobiltà non ha dato una nuova “religione civile” che si occupasse della politica, e l’individualismo ha fatto il resto à sgretolamento della virtù pubblica
  • Tocqueville rifiuta un ritorno al passato, ma evidenzia come la tendenza all’uguaglianza (originata dalla monarchia assoluta) porti verso un dispotismo, che in America non può realizzarsi (mancando le basi monarchiche assolutistiche europee)

Critica del socialismo

  • La rivoluzione sociale tanto temuta da Tocqueville è in pieno corso di realizzazione proprio nel momento del suo ritiro dall’attività politica
  • Rivoluzione esterna e contraria alla borghesia
  • Giustificazione del desiderio di abolire la proprietà privata da parte dei proletari, perché è vista come l’ultimo ostacolo verso l’uguaglianza (visto che gli altri privilegi erano già stati abbattuti)
  • Socialismo = conseguenza della centralizzazione che avrebbe realizzato il dispotismo democratico (che tenta di reintrodurre quelle innumerevoli regole abolite dalla Rivoluzione Francese)
  • Socialismo: sistema politico in cui lo Stato è tutto, l’individuo conta zero, la società agglomera in se stessa tutta la forza
  • La libertà individuale si dissolve con lo scomparire della proprietà privata

John stuart milL
Vita:
à nato a Londra nel 1806
à a 17 anni entrò nella Compagnia delle Indie
à Fece un intensa attività pubblicistica e assunse la direzio ne della London review
à fu membro della camera dei comuni per battersi per la rappresentanza sindacale e il suffragio femminile
à morì nel 1873 ad Avignone in Francia.

  • Legge Tocqueville à interesse alla realizzazione concreta della democrazia liberale
  • Rielabora le teorie di Tocqueville

Rielaborazione dell’utilitarismo

  • Si distacca dalla concezione benthamiana di “personalità morale”, considerata troppo arida (Mill subisce le influenze del Romanticismo)
  • Attenzione agli aspetti qualitativi della felicità ed alla dimensione interiore di personalità e carattere
  • Utilitarismo: maggior benessere per il maggior numero possibile di persone (definizione precedente)
  • Gli unici scopi sono il piacere e la liberazione dalla sofferenza (definizione precedente a Mill) à Mill: gerarchia dei piaceri à disposizioni intellettuali e sociali > piacere sensibile à riduzione dell’“egoismo” utilitaristico
  • Il benessere deriva da diversi fini, non solo dalla ricerca dell’utile à personalità umana complessa, libertà individuale

Produzione e distribuzione

  • Aderisce al Radicalismo
  • Interesse crescente per la questione sociale (accentuato dal confronto con il Cartismo)
  • Mill preannuncia forme di autogoverno cooperativo volontario dei produttori
  • Mill non è socialista (come invece sostiene Schumpeter)
  • Divisione tra produzione (regolata da leggi fisiche e naturali) e distribuzione (regole sociali à modificabili)
  • Suggerimento per modificare il sistema capitalistico senza danneggiare la produzione e la proprietà privata con un intervento statale redistributivo

Libertà, personalità, rappresentanza
Libertà e autoprotezione

  • Difficile distinzione tra sfera pubblica e privata
  • Alcuni governi agiscono per la convenienza generale giustificati solo dall’autorizzazione generale
  • La tendenza politica generale è rafforzare la società ed indebolire il potere del singolo
  • L’unica giustificazione all’intervento (privato o pubblico) sulla libertà di un individuo è la necessità di autoproteggersi dal suddetto individuo
  • L’autoprotezione va a braccetto con l’utile, e si applica alla sfera coercitiva e di controllo
  • Tirannia della maggioranza = opinione pubblica su un singolo

Autonomia individuale

  • Libertà di coscienza, di seguire le proprie inclinazioni, di associazione à serve un elemento che tuteli l’autonomia individuale per realizzarle
  • Lo “stigma sociale” che mette al bando le idee eccentriche minaccia l’autonomia individuale
  • Formazione di una mediocrità collettiva (dalla classe media) che soffoca il carattere dell’individuo
  • Libero sviluppo della personalità come base per la libertà à riferimento politico alla classe media: la vitalità dello spazio sociale regola il processo di democratizzazione

Il governo rappresentativo

  • Le opinioni delle personalità influenti e l’autorità unanime degli intellettuali sono importanti
  • Governo rappresentativo (basato sulla partecipazione del popolo)
    • Riflessione intellettuale
    • Coraggio
    • Spirito d’intrapresa
    • Piena valorizzazione degli elementi volti alla moderazione degli eccessi
    • Contrasto dei pericoli

Mill è a favore del suffragio universale (ma solo se pagano le tasse)

  • È però vero che così facendo si escludono comunque dal voto quelli che non possono sostentarsi autonomamente con il proprio lavoro à rischio di una legislazione di classe imposta da un’unica classe sociale (quelli che hanno i soldi per pagare le tasse e quindi possono votare)

Sistema elettorale proporzionale e voto plurimo

  • Serve una rappresentazione delle minoranze à solo con il sistema proporzionale
  • Differenziazione del peso decisionale dei singoli elettori à alcuni gruppi sociali hanno un voto plurimo
  • La persona con “qualità superiori” ha diritto ad avere maggior peso politico à non si riferisce alla proprietà ma all’istruzione
  • Spetta alla cultura controllare il governo e il corpo rappresentativo
  • Il rappresentante deve godere di un andato libero dalle istruzioni dei suoi mandanti à deve seguire solo la propria personalità e la propria coscienza

La soggezione delle donne
L’analisi di Bagehot

  • L’efficacia del sistema inglese è dovuto alla stretta collaborazione tra sovrano, Camera dei Lord e Camera dei Comuni
  • Migliore soluzione: fusione tra esecutivo e legislativo
  • Servono solide maggioranze parlamentari, impossibili con il sistema proporzionale

L’impegno di Mill per il suffragio femminile

  • Non ha successo nelle battaglie per il suffragio femminile
  • Difesa di parte liberale delle donne
  • Sposa Harriet Taylor (suffragette)

Suffragismo

  • Harriet Taylor
    • Legge M. Wollstonecraft à donne = schiave (rivolto alla classe media)
    • Criticata dalle donne socialiste (donna subordinata all’uomo = capitalista)
    • Separazione tra sfera domestica e pubblica della donna
  • Mill è perplesso riguardo il libero accesso al lavoro delle donne (messa in discussione dei ruoli)

Analogia tra matrimonio e schiavitù

  • La donna è subordinata all’uomo per tradizione storica, non naturale
  • La soggezione della donna è basata sui sentimenti
  • Nella società progressista e liberale la donna è ancora subordinata all’uomo à scandalo
  • La parità tra i sessi è una destinazione ineluttabile della società

Liberalismo e darwinismo sociale
Il liberalismo inglese

  • Dilemma “intervento statale” vs “libertà individuale”
  • Bagehot, Lowe à liberalismo conservatore
  • B. Disraeli à rinnovamento dell’ideologia conservatrice: combina tradizione e tenue riformismo (sociale e del suffragio); rivendicazione dell’imperialismo britannico

Nuovo liberalismo

  • Liberalismo aperto a democrazia e ruolo positivo dello Stato
  • T. Hill Green à ispirato all’idealismo tedesco
    • Diritti del singolo e diritti della nazione sono legati
    • Lo Stato amplia la libertà e i diritti dei cittadini
  • Tesi riprese da B. Bosanquet (hegeliano) e L. Trelawny Hobhouse (riformulazione riformatrice e democratica del liberalismo britannico)

Spencer
Teoria dell’evoluzione
Attacca il nuovo liberalismo

  • Esiste un unico processo evolutivo nei sistemi politici e sociali come nella natura (si rifà alle teorie di Darwin)
  • Reciproche influenze da diversi campi à evoluzione
    • Filosofia e scienze umane (Lamarck)
    • Biologia e scienze naturali (Darwin)

Ogni evoluzione = incoerente omogeneità à coerente eterogeneità

    • Anche l’evoluzione sociale ha seguito questo schema à divisione del lavoro
    • Società militari (organizzazione statica) à società industriale (differenziazione e specializzazione)

Compresenza dei due modelli nella società contemporanea a Spencer
Tendenza al prevalere della società industriale

    • Produzione
    • Cooperazione volontaria
    • Rapporti tra individui regolati da contratti

Status e contratto

  • H. Sumner Maine à Opposizione tra status e contratto

La società industriale è sostanzialmente pacifica (critica l’espansionismo britannico)

  • Lo sviluppo della società industriale promuove una superiore armonia sociale
  • Nella società a lui contemporanea, Spencer individua la “lotta per la sopravvivenza”: sopravvive il più adatto, il più forte

Filosofia di Manchester

  • Fine del secolo liberale annunciata da sviluppi storici e dottrinali à Spencer si ostina a riproporre elementi di liberalismo estremo
  • A favore della libertà individuale
    • Organismi biologici à insiemi concreti (con un unico centro)
    • Organismi sociali à insiemi discreti (molti centri di coscienza individuali)
  • Società = aggregato di individui à caratteristiche della società determinate dagli elementi à posizione individualista (opposta all’olismo)
  • Problemi sociali risolvibili solo attraverso azioni individuali
  • Lo Stato deve solo garantire l’ordine, la libera concorrenza e la libertà
  • Anti-socialismo: la società socialista è militare (retrograda)

Il darwinismo sociale
Marxismo influenzato dal darwinismo

  • Darwin come esempio per la sinistra liberale (H. Preuss) e anarchici russi (P. A. Kropotkin)
  • Marx si oppone a F. A. Lange (questo leggeva la “lotta per l’esistenza” darwiniana come fantasia di popolamento malthusiana)
  • Engels à dubbi su “lotta per la vita” e “selezione naturale”
  • Enfatizzazione di questi due temi à darwinismo sociale

Il darwinismo sociale in senso stretto

  • Liberalismo estremo
  • Toni conservatori à razzismo scientifico (Spencer se ne allontana)
  • L. Gumplowicz à contrasto “darwinismo sociale” vs individualismo à le razze sono superiori ai singoli elementi che le compongono

Sviluppi statunitensi

  • Libertà come elemento negativo: assenza di limitazioni esterne alla libera iniziativa individuale
  • Celebrazione dell’individuo à apologia del sistema sociale capitalistico
  • Il governo deve garantire la proprietà agli uomini e l’onore alle donne
  • Superamento formale della schiavitù à l’inferiorità sociale era attribuita a differenze razziali

la questione nazionale
Sviluppo parallelo alla questione sociale

  • Crisi dell’ordine tradizionale (al Congresso di Vienna si ridisegna l’Europa)
  • Modello di integrazione politica spesso anti-socialista delle contraddizioni date dal progresso dell’industrializzazione

Democratizzazione ed idee imperialistiche coesistono
Discriminazione delle minoranze
Critica dell’immagine tradizionale dei nazionalismi ottocenteschi

  • La nascita dei nazionalismi viene fatta risalire all’Ottocento per giustificare un nazionalismo “sempre esistito”
  • Il nazionalismo viene prima delle nazioni
  • La comunanza di elementi è insufficiente a definire una nazione intesa nel senso moderno
  • La nazione è il prodotto di complessi sistemi politici e culturali
  • La “produzione” di tradizioni nazionali occupa gli storici ottocenteschi

Nozione civica e nozione etnoculturale

  • Concetto di nazione à si inserisce di forza nel panorama politico con la Rivoluzione Francese
  • Nozione civica di nazione: si fa parte di una nazione nel momento in cui ci si assoggetta alle sue leggi giuridiche e costituzionali (Francia)
  • Nozione etnoculturale di nazione: condivisione dello spirito del popolo, lingua e cultura (Germania)

Terra e sangue

  • Nonostante le precedenti definizioni, anche in Francia è esistito un nazionalismo di tipo etnoculturale che ha casato razzismo e antisemitismo
  • La nazione è un plebiscito quotidiano (E. Renan) à culto degli antenati e del passato eroico

Grecia e Polonia

  • Il nazionalismo non è un fenomeno solo europeo (Sud America dopo la decolonizzazione)
  • Lotta della Grecia contro l’Impero Ottomano
  • Polonia divisa tra Prussia, Austria e Russia
    • A. Mickiewicz: partecipazione sentimentale a tutte le lotte di liberazione dai popoli invasori
    • Atteggiamento “slavofilo” contro l’occidentalizzazione
  • Socialismo populista per valorizzare la produzione comunitaria delle campagne russe

Panslavismo e pangermanismo

  • Panslavismo: formazione di un impero continentale attorno alla Russia zarista
  • Pangermanismo: nazionalismo aggressivamente imperialistico e disposto ad accogliere le dottrine razziste à sviluppo dell’antisemitismo
  • T. Herzl à movimento sionista: reazione alla persecuzione e alla discriminazione antisemita

Giuseppe Mazzini e il Risorgimento italiano
La nazione italiana

  • Nazionalismo etnoculturale à concezione patriottica
  • Nonostante numerose divisioni, i patrioti italiani sono uniti sulla concezione di nazione italiana
  • Produzione virtuale della concreta realtà politica nelle opere letterarie
  • Intenzione: ridestare il soggetto politico oppresso all’azione politica
  • Delusione dei patrioti dopo le spaccature post-unitarie dell’unità olistica italiana
  • Il nazionalismo italiano si muove tra ideali civici repubblicani (‘700) e comunità etno-nazionale compatta con storia, tradizioni e cultura comuni

La critica mazziniana della teoria individualistica dei diritti

  • Umanitarismo individualistico e cosmopolitico (Mazzini giovane) à contro la teoria dei diritti e il loro fondamento individualistico (Mazzini maturo)
  • Evoluzione data da esperienze personali
  • Primato della dimensione morale su quella materiale à tono pedagogico, il sacrificio è nobile anche se inutile nell’immediato
  • Individualismo ed enfasi sui diritti sono per Mazzini elementi materialisti ed opportunisti

Idea del dovere e patria

    • L’origine del dovere è Dio
    • La sua immediata realizzazione è la patria
    • La patria è una comunità fraterna dove si superano i limiti dei contrasti sociali
    • Coniugazione di principio sociale e principio nazionale
    • Punti di contatto con la critica alla società borghese da parte dei socialisti
    • La proprietà è sacra (anti-comunista)
    • Sdegno morale per le condizioni degli operai

L’intransigenza di Mazzini: nazione e democrazia

  • Avversione alla politica del “giusto medio”
  • Opposizione al moderatismo di Cavour (“rifiuto di ogni via di mezzo tra libertà e dispotismo”)
  • Per Mazzini idea nazionale e idea democratica coincidono à auspica una divisione dell’Europa in base alle tendenze dei popoli, non ai desideri dei sovrani
  • Criticato da sinistra: C. Pisacane (lo accusa di misticismo), G. Ferrari critica gi aspetti cospirativi della tattica politica mazziniana
  • Ferrari vede nel povero il protagonista della rivoluzione nazionale italiana; sostiene la riforma agraria; si occupa delle radici sociali del brigantaggio post-unitario

Il federalismo

  • Progetto di un’Italia composta da più repubbliche democratiche federate
  • C. Cattaneo usa la formula “Stati Uniti d’Europa”
    • Pensatore federalista del Risorgimento
    • Individua nei tratti burocratici degli Stati nazionali centralizzati una minaccia per libertà, individualismo e diversità
    • Valorizzazione di autonomie municipali e decentramento amministrativo

L’unità nazionale

  • G. Romagnosi à Annali universali di statistica, economia pubblica, storia, viaggi e commercio à rivista per il confronto tra situazione economica lombarda, italiana e delle nazioni più economicamente avanzate dell’epoca
  • Questa rivista diventa l’avanguardia teorica del capitalismo italiano
  • Temi centrali: libertà di commercio, sviluppo del mercato nazionale
  • Al centro della riflessione di Romagnosi stanno i concetti di utile e di diritto alla felicità (non solo morale, ma anche economica e politica)
  • Romagnosi immagina una monarchia costituzionale retta da un sovrano-ordinatore dello Stato e da un protettorato che controlli il monarca

La politica della mediazione

  • Proposta di legge di M. Minghetti à prudente decentramento in favore delle borghesie liberali provinciali, contro la democraticizzazione
  • Esigenza di sviluppare un moderato controllo statale in campo economico e sociale, contro un dominio di un’assemblea eletta dal popolo e da esso manovrata
  • Esponente della tendenza al compromesso della borghesia italiana post-unitaria

La guerra di secessione americana
La questione della schiavitù

  • Ruolo fondamentale della Guerra di Secessione
  • Abolita non per il bene dei neri ma per quello dei bianchi (Tocqueville)
  • Contrasto stridente con i diritti della libertà repubblicana americana
  • A. Lincoln persegue l’ideale unitario, abolendo la schiavitù negli Stati di nuova formazione, pensando che così essa si sarebbe cancellata anche negli Stati più vecchi (a Sud)

Il movimento abolizionista

  • Sostenuta da un movimento eterogeneo (ex-schiavi, bianchi)
  • Sostengono che i neri, schiavi o liberi che fossero, erano compatrioti dei bianchi, e come tali vadano trattati
  • La schiavitù rappresentava un colpo all’unità nazionale

Disobbedienza civile

  • Consenso anti-schiavismo al Nord (H. D. Thoreau)
  • Individualismo libertario: esistono leggi a cui un cittadino ha l’obbligo morale di opporsi, fino a giungere ad una “secessione personale” dallo Stato che la applica
  • Scontro ineluttabile tra Nord e Sud: rivoluzione nera (gli schiavi neri fuggono dalle piantagioni per arruolarsi tra i Nordisti)

Il diritto di secessione

  • Sfida all’interpretazione del federalismo americano (J. Caldwell Calhoun, sudista) à nella federazione, ogni Stato rimaneva comunque singolarmente autonomo
  • Ogni Stato aveva il diritto di dichiarare nulli gli atti federali
  • Estremizzato, questo concetto consentiva la rottura del patto confederale (diritto di secessione)
  • Sconfitta dei Sudisti à sconfitta di questo pensiero
  • Esiste un’Unità prima dei singoli Stati membri
  • La questione dei diritti dei neri resta aperta fino agli Anni ’60 del XX secolo
  • Diffusione del darwinismo applicato in contesto razzista
  • Esclusione dal suffragio di neri e donne

Treitschke e l’unificazione tedesca

  • Esuli politici tedeschi (dal fallimento della rivoluzione) sul fronte della Secessione americana
  • Germania
    • Repressione del dissenso
    • Nata dal sangue
    • Emblema del militarismo
    • Aggressiva politica di potenza
  • Movimenti nazionali tedeschi à liberali e democratici

Unificazione grande-tedesca e piccolo-tedesca

  • Opposizione tra le due idee
    • Grande-tedesca: comprende l’Austria, cuore dell’Impero Asburgico
    • Piccolo-tedesca: ruolo centrale della Prussia à vincente sotto il profilo storico
  • Dubbi sulla forma: federale, confederale, unitaria… del nuovo Stato
  • Rapporto libertà – unità
  • Parte del movimento liberale prussiano antepone l’unità alla libertà
    • Processo complesso
    • Sviluppi dottrinali
    • Crescita di una nuova borghesia industriale
  • Strenua opposizione a Bismarck anche dai settori moderati del liberalismo
    • Gli si uniscono a guerra finita

Il liberalismo giovanile di Treitschke

  • Fautore del pangermanismo
  • Formazione: liberalismo prussiano
  • Contro il conservatorismo del ceto e gli eccessivi particolarismi locali
  • Critica chi vuol separare “scienze della società” da “scienze dello Stato” (liberali)
  • Soluzione alla tensione: unificarle sotto l’idea nazionale
  • Confronto con Mill e Tocqueville (liberali)
  • I liberali tedeschi hanno una concezione negativa della libertà perché si sentono inferiori ai loro equivalenti europei
  • Treitschke propugna il mantenimento degli ideali liberali di diritti civili e governo costituzionale

Apologia dello Stato di potenza
Treitschke diventa sostenitore di Bismarck dopo la guerra

  • La Costituzione tedesca prevedeva una forma mista tra federalismo ed egemonia prussiana
  • Rottura con il liberalismo nazionale à diventa conservatore
    • Difesa dell’imparzialità della monarchia, del governo e della burocrazia
    • Opposizione alla parlamentarizzazione del sistema politico tedesco

Razzismo ed antisemitismo

  • Odio per i socialdemocratici
  • Respinge ogni forma di riforma sociale
  • Svolta religiosa à Afferma la naturale disuguaglianza tra gli uomini
  • Uso politico del concetto di razza
  • Diffonde in Germania l’antisemitismo
  • La Germania ha una missione purificatrice nel mondo à imperialismo ed espansionismo coloniale sono ampiamente giustificati

Il giuspositivismo tedesco
Scienza giuridica e unificazione tedesca
Scienza del diritto come struttura costituzionale

  • La “scuola storica del diritto” amministra le istituzioni di diritto necessarie al funzionamento della società capitalistica
  • Corpose cesure della storia della scienza giuridica tedesca prima del Secondo Reich
  • C. F. von Gerber
    • Il diritto pubblico deve far perno sulla personalità giuridica del potere dello Stato
    • Sintesi tra dimensione politica dello Stato e la sua posizione di unica fonte dell’ordinamento giuridico
  • Giuspositivismo: l’unico diritto è quello posto dallo Stato
  • Giuridificazione del pensiero politico
  • Polemiche da parte dei giuristi che ragionano sulla crisi dello Stato moderno

Stato di diritto

  • Legalità: criterio essenziale d’azione dello Stato e dell’amministrazione
  • P. Laband à legittimazione di molti assetti giuridici e politici
    • Compromesso tra federalismo, unitarismo ed egemonia prussiana
    • Compromesso tra principio monarchico e sovranità popolare
    • Compromesso tra residui feudali e società borghese
  • Costituzione tedesca (1871)
    • Suffragio universale maschile per l’elezione del Parlamento imperiale
    • Isolamento del Parlamento dal vertice esecutivo (composto da Corona, governo e burocrazia)
  • Il potere sanzionatorio spettano al Bundesrat (camera che riunisce i rappresentanti degli Stati confederati, con maggior peso per la Prussia) in quanto isolato da influenze e controlli parlamentari

Auto-limitazione dello Stato

  • Il potere dello Stato non può inglobare l’intero diritto pubblico, fino a rendere il popolo solo l’insieme dei soggetti dominati dallo Stato (come sostengono Laband e Gerber)
  • G. Jellinek à giuspositivismo più liberale
  • Ogni diritto è il rapporto tra soggetti di diritto
  • Espansione dei diritti privati come auto-limitazione dello Stato
  • Rimette al centro della questione due punti quasi rimossi dal giuspositivismo:
    • La legittimità dello Stato e dei suoi scopi
    • Il rapporto spesso conflittuale tra realtà sociale e realtà giuridica dello Stato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MANUALE DI STORIA

DEL PENSIERO POLITICO

 

Parte quinta: IL NOVECENTO

 

13.La crisi dell’ordine politico moderno

Sezione prima: Il Nichilismo

    • Nietzsche
    • Weber

      Sezione seconda: Le ideologie e le trasformazioni della politica

    • Gli elitisti

- Mosca
- Pareto

    • Il Marxismo

- Lenin

    • Il nazionalismo

- Germania – Francia - Italia

    • Il cattolicesimo democratico

- Italia - Francia

    • Liberali e democratici

- Inghilterra – Stati Uniti - Italia

    • Politica ed economia

- Il piano – New Deal

    • I totalitarismi

- Il comunismo sovietico – Il fascismo – Il nazismo

     Sezione terza: Filosofia e politica

    • I pensatori radicali della crisi

- La questione della tecnica - Schmitt

    • Le critiche filosofiche della modernità

- Fra Germania e Stati Uniti – La Francia

 

 

 

  • LA CRISI DELL’ORDINE POLITICO MODERNO

 

SEZIONE PRIMA: IL NICHILISMO

1. NIETZSCHE (1844 – 1900)

1.1.  Il Nichilismo
Il nichilismo, dal latino “nulla”, è per N la condizione di mancanza, anzi di nullità, di mancanza di senso alle domande tradizionali, quando le risposte tradizionali perdono la loro forza vincolante.
Questo movimento si inserisce nel processo di svalutazione dei valori che segna la storia del pensiero europeo.
a) Metafisica, Religione, Stato
La metafisica che rappresenta la verità, Dio che è l’oggettività e la salvezza, lo Stato sono  le costruzioni che secondo N oggi giungono a rivelarsi come nulla.
L’origine della religione non è altro che espressione della paura davanti alla tragica conflittualità dell’essere e della vita. Il cristianesimo in particolare si configura come religione del risentimento dei deboli verso i forti. La “morte di Dio” è la fine del Valore supremo che giustificava i valori anti-vitali dei deboli.
Anche la politica è “nulla”. Lo stato, il suo ordine e i suoi valori nascono in realtà dalla violenza , da una violenza ipocrita che maschera col diritto e presunti valori la propria immoralità organizzata.
b) Nichilismo incompleto
Per N il nichilismo del suo tempo era un nichilismo incompleto, perché ancora dominato da un bisogno di verità, che si traduce nella credenza in nuove verità.
In campo politico queste nuove verità sono: il nazionalismo, lo sciovinismo, la democrazia, il socialismo, l’anarchismo.
Per N la democrazia è sinonimo di mediocrità, perchè è un conformismo di massa; è la forma tipica di una civiltà degli zero sommati. Tra democrazia liberale e socialismo non vi sono grandi differenze: entrambi propongono l’egualitarismo, cioè la morale degli schiavi predicata dal cristianesimo.
Il nichilismo incompleto ha, se non altro, il pregio di aver mostrato il fallimento delle logiche razionalistiche
c) Il nichilismo completo
E’ quello sostenuto da N che non solo distrugge il mondo dei vecchi valori, ma anche il luogo che essi occupavano, cioè il mondo della trascendenza, in modo che i vecchi valori non siano sostituiti da nuovi valori “che non ci sia verità, che non ci sia costruzione assoluta delle cose”.
d) Nichilismo passivo e nichilismo attivo
- nichilismo passivo: quando è indice di debolezza; è sinonimo di declino e regresso dello spirito
perché si limita a prendere atto del declino dei valori
- nichilismo attivo: è indice di forza. E’ segnale della cresciuta potenza dello spirito, che si sforza di
promuovere e accelerare il processo di distruzione; liquida ogni residua credenza in verità
metafisiche.


Causa e conseguenza di fatti e leggi; una volta nato, esso diventa causa prima di leggi, consuetudini e idee che governano una nazione

 

1.2. L’eterno ritorno
Per portare a compimento l’ipotesi nichilista dobbiamo pensare l’esistenza senza senso e senza scopo
A questo punto del suo pensiero formula l’idea dell’eterno ritorno. La condizione generale del mondo è il caos, nel senso di una mancanza d’ordine, dal mondo è escluso ogni carattere razionale: è dominato dal caos. Tuttavia ha in sé una necessità che è la sua volontà: quella di riaffermarsi e perciò dio ritornare eternamente su se stesso. Dall’eternità il mondo accetta se stesso e si ripete. E’ questa la verità dell’eterno ritorno: è il sì che il mondo dice a se stesso, è l’autoaccettazione del mondo, la volontà cosmica di riaffermarsi e di essere se stessa.

1.3. Il superuomo e la volontà di potenza
a) Il superuomo
Chi è in grado di dire sì alla vita accettando la prospettiva dell’eterno ritorno, di reggere alla morte di Dio, di emanciparsi dalla morale cristiana  e dalla metafisica è il superuomo.
Il superuomo di N non è un uomo con facoltà potenziate, ma un nuovo tipo di uomo, che ha superato l’uomo tradizionale in quanto ne ha abbandonato gli atteggiamenti, le credenze e i valori
Questa liberazione da ogni autorità umana e divina che lo contraddistingue non riguarda l’umanità nel suo insieme, ma solo un’elite di uomini superiori, che costituiscono una razza dominatrice che bisogno della schiavitù delle masse
Il pensiero di N è antidemocratico e antiegualitario, ma non deve essere interpretato come una proposta politica, è piuttosto una critica distruttiva degli ideali politici del suo tempo.
b) La volontà di potenza
N identifica la volontà di potenza con l’intima essenza dell’essere, e in particolare con la vita stessa, concepita come una forza espansiva e votata all’autoaffermazione.
La vita è volontà di potenza in quanto è il continuo, necessario superamento si se stessa

1.4. Le interpretazioni
a) Nietzsche e il nazifascismo
Spesso N è stato associato alla cultura nazifascista. In effetti N accenna all’immagine della “magnifica bionda bestia, avida di preda e di vittoria” e a una nuova “razza di dominatori e futuri signori della terra, una nuova enorme aristocrazia” che si servirà dell’Europa democratica per prendere in mano le sorti della terra. Quindi l’uso del pensiero di N nelle teorie nazifasciste  è uno sviluppo di potenzialità implicite nei suoi testi. E’ invece una falsità attribuirgli l’idea di un antisemitismo.
b) Nietzsche nel XX secolo
Al di là di ogni considerazione bisogna concludere che N offre nel complesso un’analisi impolitica della politica. Ciò che rifiuta è il valore stesso della politica, così come rifiuta il valore della metafisica e della religione.

 

2. WEBER (1864 – 1920)

2.1. Capitalismo e scienza sociale
Weber parte da un’analisi storico sociale del diritto e da l’ io suoi interessi si dirigono poi verso temi politici e culturali da lui ritenti importanti
Nelle sue prime opere vi è l’interesse per le condizioni materiali che hanno reso possibile l’affermazione del capitalismo in Europa, e l’interesse per la questione agraria.
a) La scoperta del capitalismo
Studiando la trasformazione dell’agricoltura prussiana constatò che il ceto nobiliare degli junker si era trasformato in una moderna classe di imprenditori capitalisti.
Così Weber nelle campagne della Russia scoprì il capitalismo che gli si presentò come una potenza sovversiva e nichilista (Marx e Nietzsche), perché la sua affermazione era contraria ad ogni comunità di interessi tra datori di lavoro e imprenditori
b) Il problema del soggetto
Il capitalismo è per Weber una potenza oggettiva destinata a dominare il presente e il futuro. Nello stesso tempo la sua riflessione si rivolge anche al soggetto, al tipo umano, che è all’origine del capitalismo: ciò è dovuto alla sua metodologia scientifica individualistica, secondo cui il mondo sociale è interpretabile solo a partire dalla comprensione degli orientamenti dei singoli individui.
Questa analisi lo porta a studi di sociologia delle religioni, in particolare considera la dottrina della predestinazione divulgata dal protestantesimo, che avrebbe originato nel credente il bisogno psicologico di trovare conferme della propria elezione nel successo nel mondo del lavoro, ponendo così le basi nell’affermazione dell’uomo capitalistico.
c) Razionalizzazione e disincantamento del mondo
Per Weber alle origini del capitalismo c’è una forma specifica di soggettività capace di dare un senso ad una vita terrena che non può più essere l’ambito nel quale ci si merita la salvezza attraverso le opere, come sostiene l’etica protestante. L’interpretazione delle origini del capitalismo viene inserita nel conteso dello sviluppo della storia dell’occidente come processo di razionalizzazione e di disincantamento del mondo.

  • razionalizzazione: alle origini c’è la religione giudaico-cristiana che ha liberato la sfera mondana  dall’animismo magico e l’ha resa disponibile alla ragione che si configura come lo strumento di dominio del mondo. Questo processo di razionalizzazione si ritorce contro le sue origini, poerchè porta alla secolarizzazione
  • disincantamento: la soggettività borghese presente agli inizi viene via via fagocitata dal capitalismo, che sviluppa relazioni sociali costrittive a causa della loro oggettività, imprigionandola in una “gabbia d’acciaio”. Il soggetto moderno cede così il posto ad una nuova oggettività, al suo stesso lavoro; inizia a questo punto l’interesse per la tecnica.

d) Burocratizzazione
Weber si mostra interessato ad un problema di fondo: il destino della borghesia, con la preoccupazione che i valori classici dell’illuminismo e del liberalismo scompaiano di fronte al crescente interesse per le tecniche del suo tempo, che spingono lo stato ad una crescente burocratizzazione.
Le due figure della soggettività moderna, l’imprenditore e il politico, appaiono sempre più marginalizzate da uno sviluppo della società statale che dà sempre più importanza a strutture burocratiche che funzionano come macchine.

2.2. Il pensiero politico
a) Nazione
Il pensiero giovanile di Weber è centrato sullo Stato Nazionale ai cui interessi la stessa economia politica deve essere subordinata
I problemi fondamentali che pone sono:
-  la composizione sociale della nazione tedesca
 - il compimento dell’unificazione nazionale
* La composizione sociale della nazione tedesca
Da questo punto di vista decisiva è l’analisi della trasformazione degli Junker. Gli Junker sono sempre stati il tradizionale puntello della monarchia prussiana, ma l’affermarsi del capitalismo pone in crisi il loro ruolo e apre il problema di u rinnovamento della classe dirigente. Emerge anche l’esigenza di un lavoro di educazione politica  attraverso cui sarebbe stato possibile porre le borghesia tedesca in condizione di uscire dalla sua storica condizione di minorità
* Il compimento dell’unificazione nazionale
Vi è l’esigenza di continuare il processo di unificazione sociale della nazione nei cui confronti diverrà convinto che questa non poteva che coincidere con la rimozione degli ostacoli alla democratizzazione interna del paese e con il coinvolgimento della socialdemocrazia in responsabilità di governo
b) Democratizzazione e suo governo
Momento decisivo nell’evoluzione del pensiero di Weber è la grande guerra. Si pone il problema di individuare le forme costituzionali in cui diventi possibile il suo governo. Weber si schiera per :
- il superamento del diritto elettorale prussiano delle tre classi
- a favore del suffragio universale come condizione necessaria di legittimità dell’esercizio del
potere politico
- il riconoscimento del ruolo essenziale dei nuovi partiti di massa.
c) Il parlamento e la selezione dei capi
Perché la Germania possa essere protagonista della politica mondiale è necessario il superamento dello stato autoritario e del suo parlamentarismo solo di facciata, com’era quello sotto Guglielmo II.
E’ necessaria pertanto la centralità del Parlamento. Che è l’arena in cui i capi partito si confrontano e lottano per la conquista della leadership.
E’ nel parlamento che avviene la selezione dei capi.
Naturalmente l’analisi di Weber verte sulla debolezza della Germania imperiale, sulla sua incapacità di fare politica e sulla sua tendenza a sostituirla con la razionalità calcolante tecnico-burocratica che ha solo capacità organizzative.
Tuttavia questa tecnicizzazione della politica non è solo un problema tedesco, ma è il destino di tutta la modernità.
d) Politeismo dei valori e lotta
La politica è quindi connotata anche dalla lotta. Questa è il conflitto tra diverse posizioni ideali, razionalmente non fondabili: questa diversità è chiamata da Weber “politeismo dei valori”.
Questa conflittualità è anche un elemento da cui deriva l’energia e la vitalità della forma politica.
Weber distingue poi tre tipi di potere legittimo:

  • potere tradizionale: la sua legittimità poggia sulla convinzione che l’autorità abbia un carattere sacro delle tradizioni valide per sempre
  • potere razionale: la legittimità deriva dalla credenza nella legalità degli ordinamenti e statuti
  • potere carismatico: la legittimità deriva dal riconoscimento dal carattere straordinario del capo.

e) Lo stato moderno
Lo stato moderno, che ha il potere dell’uso legittimo della forza fisica, è strutturato da elementi razionali. La sua prima fase la si ritrova nei comuni medievali, in cui il popolo usurpò il potere al principe e rivendicò la fondazione di una nuova forma politica, ponendosi come gruppo politico illegittimo e rivoluzionario.
La comunità politica che nasce nel comune medievale trae energia e legittimità proprio dalla rivoluzione.
Weber nei mesi successivi alla guerra constata che la fine della legittimità storica dell’impero tedesco apre una nuova situazione in cui resta solo la legittimità rivoluzionaria basata sul diritto naturale di una costituente che si fonda sulla sovranità del popolo.
Nello steso tempo però, sia per porre un argine ad una radicalizzazione di tipo socialista, sia per collegare il tema della legittimità rivoluzionaria a quello dello spirito direttivo, traduce in senso carismatico l’elemento rivoluzionario della politica e propone una democrazia parlamentare in cui il presidente della repubblica realizzi una nuova democrazia dei capi.

 

 

 

 

 

 

 

SEZIONE SECONDA

LE IDEOLOGIE E LE TRASFORMAZIONE DELLA POLITICA

 

1. GLI ELITISTI
Sono i teorici dell’elite che comprendono il ruolo centrale dell’ideologia in campo politico. La teoria dell’elite vuole spiegare su base scientifica il fatto che in tutte leo organizzazione sociali un gruppo ristretto di persone concentra nelle sue mani la maggior parte del potere
Ogni società è divisa in una minoranza che governa ed una maggioranza che è governata.
Il principale sostenitore di questa teoria è Gaetano Mosca

1.1. Mosca (1858 - 1941)
Mosca sostiene che ogni aggregato politico è retto dalla sua classe politica. Il potere è cioè nella mani di una minoranza organizzata
In questo modo vengono a cadere le classificazioni tradizionali delle forme di governo.
Mosca distingue tra classe politica, che gestisce il potere,  e classe dirigente, formata da coloro che rivestono posizioni dominanti nella società.
a) Struttura e formazione della classe politica
Mosca evidenzia una regolarità storica che vede l’umanità scontrarsi tra due opposte tendenze: quello democratica e quella aristocratica.
Quando prevale la tendenza democratica la classe politica viene rinnovata con l’ascesa di coloro che stavano ad un grado inferiore; quando prevale quella aristocratica si giunge sempre allo scontro con la classe che non è al potere. Si può avere così il rinnovamento nella classe politica o della classe politica.
Anche per quanto riguarda il rapporto con l’esterno possiamo avere due tipologie fondamentali:

  • l’autorità si impone gerarchicamente (principio autocratico)
  • la maggioranza delega ad una minoranza l’esercizio dell’autorità (principio liberale)

b) I tipi ideali di organizzazione politica
Per Mosca sono quattro:
- aristocratico- autocratico: l’autorità è al culmine della gerarchia
- aristocratico liberale: quando vi è una forma di partecipazoine politica
- democratico-autocratico: quando la classe politica si rinnova all’interno di una forte
organizzazione gerarchica
- democratico-liberale: quando si permette la partecipazione di tutti alla vita politica
c) La formula politica
Quindi per Mosca la classe politica coincide con quella ristretta cerchia di persone cui spetta, in ogni società, il potere politico. Proprio per questo è necessario che i governanti giustifichino il proprio potere attraverso una dimensione di consenso.
Per questo Mosca introduce la teoria della formula politica. Con questa indica l’insieme dei principi astratti che garantiscono il potere della classe politica in accordo con le convinzioni prevalenti nella società in cui governa. Si tratta in sostanza di un’ideologia che serve a giustificare il potere.
Non significa questo che le formule politiche sono degli inganni, ma corrispondono al principio, radicato nella natura umana, che invece di piegarsi al volere di una persona concreta è preferibile giustificare l’obbedienza in base ad una norma astratta.

 

1.2. Pareto (1848 – 1923)
La teoria delle elite di Pareto trae origine dalla constatazione delle disuguaglianze in termini di ricchezze e di potere presenti nella società
a) Sviluppo della società
Ogni società ha dovuto misurarsi con il problema dello sfruttamento e della distribuzione di scarse risorse. Il migliore sfruttamento di queste risorse è quella che viene assicurata da individui che hanno capacità superiori: la classe eletta o elite.
b) Classi dei residui
Il ricambio all’interno di una struttura di governo può avvenire orizzontalmente (all’interno della classe eletta di governo) o verticalmente (innalzamento dei meritevoli appartenenti alle classi inferiori)
Per capire come sono composte le elite, Pareto si avvale della teoria dei residui, che sono raggruppati in sei classi. I residui sono quelle caratteristiche umane tipiche dei sentimenti e degli istinti e che sono quindi la struttura più profonda dell’agire umano.
Ad esempio

  • la I classe è l’istinto delle combinazioni e rappresenta la propensione al cambiamento. 

      Sono quegli individui capaci di agire senza vincolarsi alle tradizioni. Quindi in ambito
politico i residui della classe I avranno condotte ispirate al cambiamento e le elite saranno
più aperte, tolleranti e progressiste

  • La II classe è la persistenza degli aggregati è indica la tendenza alla conservazione; la

      caratteristica sarà quella di un’ispirazione fideistica, patriottica o nazionalistica e le elite 
saranno chiuse, autoritarie e tradizionalistiche
Infine la classe eletta la governo e la circolazione delle elite possono essere ricondotte a quattro campi fondamentali: politico, economico, intellettuale, di governo
c) Legittimazione del potere
La classe governate deve servirsi delle derivazioni,che sono quelle spiegazioni che servono a giustificare, spiegare, dimostrare la loro azione. Hanno dunque una funzione ideologica perché servono a razionalizzare a posteriori la difesa dei propri interessi materiali.
Nel caso di società in cui al potere sono individui dotati di residui di classe I avremo un politica che si ispira al perseguimento di interessi materiali e pertanto il governo ricorre all’astuzia e alla frode, l’economia è di tipo mercantile e imprenditoriale, mentre la cultura è caratterizzata dal dubbio e dallo scetticismo.
Nel caso che al governo vi sia un’elite con individui dotati di residui di classe II avremo una politica formata da idealisti, l’elite al governo impiega politiche basate sulla forza, l’economia sulla rendita e il risparmio, la cultura è di tipo dogmatico e religioso.
d) Equilibrio dinamico del potere
Il cambiamento sociale dipende dai diversi modi con cui si realizza la circolazione delle elite, cioè il passaggi dalla classe non eletta alla classe eletta
Il cambiamento politico dipende invece dal modo in cui avviene il passaggio della classe eletta di non governo alla classe eletta di governo
Quando una società riesce a garantire una regolare immissione di individui dagli strati inferiori ai livelli superiori della classe  eletta , l’equilibrio dinamico dl sistema è assicurato

 

 

 

2. IL MARXISMO
Una delle principali ideologie è il Marxismo; è una ideologia nel senso di apparato dottrinale rivolto all’azione politica, infatti i marxisti rifiutano questo termine perché per loro il termine “ideologia” significa “falsa coscienza” dell’oggettività economica e politica.
Ora nel secolo XX si assiste ad una profonda trasformazione del quadro teorico tradizionale del marxismo, che vede ora nella rivoluzione un’azione politica volontaria e per nulla affidata ad automatismi storici.

2.1. Lenin (1870 – 1924)
a) La Rivoluzione Russa
Nell’ottobre del 1917 scoppia la rivoluzione in Russia. Questa è già una smentita del pensiero di Marx , perché questa rivoluzione scoppia proprio in un paese dove il capitalismo era poco presente, mentre vi era una società arretrata, quasi medievale
Vi erano due partiti:

  • il partito menscevico: puntava ad un progressismo gradualista di impronta socialdemocratica
  • il partito bolscevico: puntava ad una dittatura democratico-rivoluzionaria del proletariato e dei contadini  attraverso la presa immediata del potere da parte di un potere dittatoriale diretto da vertice del partito

b) La politica proletaria
Il leader della rivoluzione è Lenin che considera questo pensiero politico come ortodosso nella teoria marxiana. In realtà la sua è una forzatura attivistica della politica sia del modo di intendere il partito proletario, sia del modo di concepire la relazione tra rivoluzione democratico-borghese e rivoluzione socialista.
Anche per Lenin la politica proletaria ha come prospettiva la scomparsa della politica come istituzione statale centralizzata, che deve essere sostituita dalla partecipazione diretta della masse attraverso i soviet.
c) La teoria del partito operaio
Per realizzare questa forma di partecipazione è necessario passare attraverso un momento di mediazione politica, cioè attraverso il partito. Quindi è sempre un’avanguardia centralizzata che orienta e dà forma al movimento spontaneo della classe operaia.
Infatti  Lenin sostiene l’idea secondo cui la coscienza socialista nella lotta di classe è un elemento importato dall’esterno dal proletariato, e non qualcosa che ne sorge spontaneamente.
Così il compito del partito è di lottare contro lo spontaneismo, contro forme di rivendicazione puramente sindacale, in modo da imprimere alle lotte economiche una direzione disciplinata dall’organizzazione politica, affidata a rivoluzionari di professione.
Marx e Engels nel “Manifesto” attribuivano ai comunisti una funzione complementare e non sostitutiva dell’azione politica di emancipazione del proletariato; Lenin invece attribuisce al partito il ruolo essenziale di motore della rivoluzione.
Quindi assistiamo ad un primato del decisionismo, della dittatura del partito che riduce la classe operaia a materiale da plasmare e dirigere.
d) Rivoluzione democratica
Secondo Lenin la borghesia non era in grado di promuovere né di realizzare una rivoluzione democratico-borghese; pertanto ogni modificazione economica e politica doveva essere promossa e realizzata da un’alleanza tra classe operaia e contadina. Conseguenze:

  • la rivoluzione borghese sarebbe stata realizzata non dalla borghesia, ma proletariato contro la borghesia stessa
  • la repubblica democratica avrebbe dovuto assumere il profilo di una dittatura degli operai e dei contadini

Quindi:

  • sarà impossibile distinguere tra rivoluzione democratica e rivoluzione socialista
  • la dittatura del proletariato, di fatto, si trasformerà in dittatura del partito

Il marxismo sovietico è la conseguenza non solo delle condizioni della Russia, ma anche del pensiero di Marx che riteneva che la repubblica democratica era l’ultima politica della società borghese. Secondo Marx lo stato da organo sovrapposto alla società doveva diventare organo subordinato alla società, solo così sarà garantita la libertà. Nulla ha detto però come questo si sarebbe realizzato, ma solo che la dittatura del proletariato sarebbe stato un periodo di transizione.
e) I soviet
Prendendo come riferimento “La Comune di Parigi” Lenin vede nei Soviet l’autentica espressione di una democrazia rivoluzionaria e proletaria, un vero principio di forma politica, un’anticipazione della vita autonoma delle masse e della loro partecipazione diretta alla vita politica e la contrappone alla democrazia parlamentare, perché con i soviet la democrazia è trasferita direttamente nei luoghi di produzione.
f) Lo stato Sovietico
La partecipazione del popolo alla vita dello stato viene prevista in funzione della sua estinzione. Lenin infatti dice che lo stato è ancora necessario, ma è già uno stato transitorio. I funzionari devono essere semplicemente “esecutori dei nostri incarichi”, dove il noi, riferito prima ai lavoratori nel loro insieme, sarà poi riferito chiaramente al partito comunista e ai suoi organi dirigenti che governano in nome del proletariato.
Nel 1920 poi Lenin riconosce l’impossibilità di una “dittatura democratica” e di una “democrazia diretta”. Così si passa all’abolizione di una democrazia rappresentativa e anche all’abolizione di una democrazia anche all’interno dei soviet e dello stesso partito comunista.
Nasce la “democrazia centralizzata” : Il momento centralistico sta nell’attività direttiva del centro verso la base secondo le deliberazioni dei congressi.
Così il concetto di dittatura del proletariato si trasforma in dittatura sul proletariato

 

3. IL NAZIONALISMO

a) Origini del nazionalismo
Il Nazionalismo è l’altra ideologia che in questo periodo contende il primato con il marxismo.
A cavallo tra i due secoli la situazione in Italia e in Germania è caratterizzata da una debolezza della società civile e dalla fragilità delle istituzioni politiche, per questo si sviluppa il nazionalismo; anche in Francia si sviluppa, ma qui non è conseguenza della debolezza dello stato, ma è opposizione controrivoluzionaria agli ideali della rivoluzione francese.
b) Ambito di pensiero
Prima di tutto il nazionalismo si radica in correnti di pensiero che collegano il concetto di nazione a quello di umanità. Il nazionalismo dissocia i due concetti con la conseguenza che viene a collocarsi nell’ambito del pensiero irrazionalistico, che sostiene la divisione naturale del genere umano in nazioni sempre più simili a razze.
- Negazione dell’eguaglianza
Non solo ma vari autori dei questa ideologia negano l’idea di uguaglianza e di capacità degli individui di agire razionalmente, per cui l’individuo ha bisogno di autorità e gerarchia
- Destino della nazione in opposizione al socialismo
Il nazionalismo acquista un ruolo politico all’epoca della seconda rivoluzione industriale, nel momento in cui si pone il problema dell’integrazione delle masse, prima escluse dalla politica.
Alle masse viene proposta, in funzione antisocialista, un’identificazione con il destino della nazione
Si richiede quindi lealtà allo stato. La politica non si definisce più attraverso l’unione dei cittadini, ma attraverso il comportamento etica del cittadino.
L’occasione storica sarà la prima guerra mondiale

3.1. La Germania
a) Popolo e nazione
Il concetto di popolo è presente fin dall’età romantica.; attraverso questo concetto (che sostituisce quello di nazione) si esprimeva il desiderio d una ricerca di una identità più stabile e solida di quella che offre la politica.
Il poplo-nazione si esprime in sintesi come un radicamento allo stesso destino, allo stesso diritto di sangue, di lingua, di cultura.
Vi era poi un elemento polemico verso la Francia (più sviluppata politicamente) e verso l’Inghilterra (più evoluta economicamente e orientata al profitto)
Di fronte a questi modelli occidentali individualistici e utilitaristici, la Germania intende esprimere la propria specificità nazionale  e mostrare capacità di superarli.
b) Polemica contro la modernità
Le opere degli autori del tempo mostrano un nazionalismo tedesco sempre più antisocialista e anche in parte antiborghese: a tutto viene contrapposto l’organismo vivente della nazione , organizzato in corporazioni.
Il nazionalismo finisce con divenire antimoderno. La soluzione è spesso il razzismo: l’attribuzione degli aspetti dissolutori tipici della modernità alla razza ebraica, che ha pervaso la cultura occidentale con le ideologie moderne (Marx era ebreo)

3.2. La Francia
Il nazionalismo in Francia esprima una reazione agli ideali della Rivoluzione del 1789. L’esasperazione dello spirito nazionale nasce dal desiderio di rivincita contro la Germania per la sconfitta subita nella guerra Franco-Prussiana del 1870.
Anche in Francia gli estremisti nazionalisti svilupparono ben presto un razzismo antisemitico.
a) Politica nazionalista di Barres
Questo autore mescola il rifiuto tipicamente nazionalistico nei confronti degli stranieri con temi socialisti e appelli alla sovranità popolare.
Per Barres la lotta di classe e la competizione tra i partiti politici devono essere sostituite dalla solidarietà nazionale
Sul piano politico oppone al centralismo statale un ordinamento federale democratico e repubblicano, sull’esempio della Svizzera.
Sul piano economico sociale propone una socialismo corporativo, nazionale e protezionistico, basato sulla proprietà collettiva, che porti i lavoratori ad assecondare le superiori esigenze della solidarietà nazionale per effetto della loro trasformazione da salariati a soci dell’impresa produttiva.
b) Il Nazionalismo positivista di Maurras

3.3. L’Italia
In Italia si distinguono, pur su fronti opposi due pensatori: Enrico Corradini e Alfredo Rocco.
a) Il socialismo nazionale di Corradini
Corradini è il più coerente teorico del nazionalismo italiano ed elabora una prospettiva improntata ad una sorta di lotta darwiniana tra le nazioni, che oppone le nazioni povere (proletarie) alle ricche (plutocratiche).
L’Italia è una nazione proletaria ed a lei spetta il compito di guadagnarsi il proprio spazio vitale e di sviluppare quella missione di civiltà che ha origine dalla sua storia.
Nazione proletaria” e “socialismo nazionale” sono gli assi portanti della concezione politica di Corradini. Il nazionalismo quindi non è altro che il trasferimento della lotta di classe tra le nazioni (anziché all’interno delle stessa nazione).
Così i conflitti di classe saranno rimossi a vantaggio dell’unità nazionale, che va finalizzata all’espansione internazionale e all’egemonia razziale e spirituale, quale erede della Roma imperiale.
Se poi il nazionalismo deve essere socialismo nazionale, l’Italia deve assimilare tutte le forme politiche della moderna lotta di massa per trapiantarle nel mondo produttivo.
Per compiere la sua missione, l’Italia deve avere delle classi produttive che blocchino le classi parassitarie, e anche un’educazione degli italiani finalizzata alla promozione di una morale improntata ad un idealismo guerriero. Pertanto Corradini è sostenitore di uno stato forte capace di organizzare politicamente e moralmente gli italiani
b) Lo statalismo corporativistico di Rocco
Rocco fu un insigne giurista e si ispirò alle concezione del diritto tedesco nell’accentuare il ruolo fondante dell’autorità dello stato, in polemica con ogni concezione individualistica della libertà.
La libertà del cittadino non deriva dal diritto naturale, ma dall’autolimitazione dello stato.
Le corporazioni poi devono affermare una solidarietà nazionale che deve superare ogni contrasto e subordinare tutto agli interessi della nazione.

 

4. IL CATTOLOCESIMO DEMOCRATICO
Il pensiero politico cattolico sia presenta sia come proposta ideologica, sia come critica alla modernità.
Dopo la posizione intransigente di Pio IX che condanna il modernismo e oppone alle ideologie moderne l’autosufficienza della visione cattolica, grande importanza assume Leone XIII con l’enciclica Rerum novarum, che presenta maggiori aperture
Il nucleo di questo scritto è il pensiero tomista e il messaggio che trasmette influirà a lungo sull’evoluzione della dottrina cattolica. Il tema è la questione socialeEntro questa prospettiva sottolinea che è necessaria la cooperazione dello stato, della chiesa, dei datori di lavoro e dei lavoratori; insiste sulla necessità di giungere ad una conciliazione tra il principio del diritto alla proprietà privata  e le ragioni della solidarietà sociale; infine vi è il riconoscimento dell’associazionismo operaio e l’impegno della chiesa a suo sostegno.

4.1.L’Italia
L’insegnamento di Leone XIII trovò subito terreno fertile. Si distinsero in modo particolare Romolo Murri e Luigi Sturzo
a) Romolo Murri
Sui presupposti della tradizione Murri innesta nuovi elementi: la prospettiva dell’alleanza tra la chiesa e il proletariato e l’accettazione del  metodo liberale della competizione tra i partiti. Sitratta di riconoscere lo stato come forma storicamente necessaria per mediare il conflitto sociale.
La democrazia sta perdendo il proprio legane con il corporativismo tra le professioni e nello stesso tempo nasce sempre più una coscienza individuale verso nuove forme di responsabilità sociale.
A queste riflessioni si ispira la “Lega democratica nazionale” su iniziativi di un gruppo di giovani democratici cristiani.
Murri viene considerato uno degli esponenti più significativi del modernismo, in realtà il suo orientamento aristotelico tomista non permette di identificarlo in questo movimento.
Infatti il modernismo è il tentativo di avvicinare la cultura ecclesiastica ufficiale agli sviluppi del pensiero moderno
b) Luigi Sturzo e il liberalcattolicesimo
Sturzo, sacerdote, padre del popolarismo ed esponente di rilevo del pensiero liberale cattolico, cerca di sganciare il laicato dalla tutela della gerarchia sul piano politico e sociale, in modo da rivendicare la loro azione in modo aconfessionale, ma senza rivedere le posizioni tradizionali della Chiesa.
Estraneo al movimento della Democrazia cristiana promosso da Murri e alle polemiche scatenate dal modernismo, Sturzo ritiene che il movimento politico dei cattolici debba operare all’interno di una democrazia per difendere l’autonomia della personalità individuale, la libertà dell’iniziativa privata, la priorità dell’individuo rispetto alle istituzioni e la sua libertà di coscienza.

 

4.2. La Francia
In Francia si distinsero Emmanuel Mounier e Jacques Maritain.
a) Mounier
Il personalismo
E’ il movimento sorto in Francia sotto la guida di Mounier per affermare il valore assoluto della persona di fronte all’oppressione delle strutture.
Mounier è contrario tanto al marxismo quanto al liberalismo e sostiene che il rapporto che lega una persona ad un’altra persona non coincide con il nesso utilitaristico né con il materialismo. La base del rinnovamento sociale è una terza via: deve essere la valorizzazione della persona, intesa come libertà e trascendenza, ossia apertura agli altri e a Dio.
Alla persona come coscienza impegnata nel mondo è connaturata la dimensione associativa, in quanto senza il “tu” la persona non è effettivamente tale.
Lo Stato pluralista e personalista
Sul piano sociale il personalismo rivendica:

  • il riconoscimento dei diritti dell’uomo e della donna,
  • la socializzazione (ma senza statalizzazione) di quei settori produttivi che perpetuano  

            l’alienazione economico-sociale del proletariato,

  • il primato del lavoro sul capitale
  • il primato del servizio sociale sul profitto
  • della responsabilità personale nei confronti delle strutture anonime e impersonali

Sul piano politico propone una teoria personalista del potere fondata su uno statuto pubblico   della persona che giustifichi il diritto come strumento di garanzia istituzionale delle persone contro ogni forma di totalitarismo
b) Il neotomismo di Maritain
Alle deviazioni del suo tempo Maritain oppone di nuovo la filosofia tomista che è il punto di riferimento dell’umanesimo integrale che è il cuore del suo pensiero.
Per affrontare il problema procede dalla distinzione tra individuo e persona:

  • individuo: viene identificato in modo empirico e materiale
  • persona: è riferita all’anima spirituale.

L’umanesimo di Maritain non è solo antropocentrico ma centrato sul rapporto tra umano e divino.

 

5. LIBERALI E DEMOCRATICI

5.1. Gli Stai Uniti

Dewey
E’ il filosofo più importante che orienta il liberalismo verso la democrazia.
a) Pianificazione e nuovo liberalismo
Per Dewey le coercizioni alla libertà non vengono tanto dalla sfera pubblica, ma dai rapporti sociali che perpetuano le disuguaglianze dei redditi con la gestione privata di un’economia ormai collettiva.
Pertanto la libertà individuale può realizzarsi solo con il riordinamento pianificato dell’economia.
Per superare la propria crisi il liberalismo deve compiere un salto qualitativo, ossia rinunciare ai postulati liberisti e conferire all’autorità pubblica un compito di regolamentazione di tutte le fasi del ciclo economico.
Quindi la dottrina della non ingerenza dello stato va superata da una politica di interventi pubblici.
Questo è il nuovo liberalismo: le minacce illiberali nascono dall’affermarsi dei grandi potentati economici. La libertà individuale è destinata ad andare perduta in assenza di una socializzazione delle forze produttive.

b) Approccio scientifico allo studio della società
Tuttavia Dewey non ritiene che l’instaurazione di un nuovo ordine sociale possa riprodurre il modello sovietico di pianificazione.
L’elemento propulsivo del progresso sociale va individuato nel “metodo dell’intelligenza” o “metodo scientifico”.
Questo metodo non ha potuto ancora mostrare il proprio potenziale a causa del “ritardo culturale” nella prassi politica.
c) Crescita umana
Il fine indiscutibile è la crescita, la crescita  umana considerata come la realizzazione graduale delle potenzialità umane. Il fine della crescita è tanto un criterio del bene individuale quanto una concezione evolutiva dell’uomo e della società.
Per poter realizzare la ricostruzione sociale necessaria per realizzare la crescita è necessaria una concezione pluralista della società
d) Pluralismo
Il pluralismo è l’antidoto a ogni forma totalitaria di assorbimento da parte dello stato. Anche se il pluralismo è il centro della sua teoria politica, Dewey cerca di non intendere lo stato come semplice direttore d’orchestra, ma di intravedere il contributo positivocce può offrire al processo di crescita.
Per dare il suo contributo lo stato deve intervenire anche negli affari di famiglia, del clan, ecc. E per impedire che questo violi il principio del pluralismo deve essere messo in primo piano l’interesse e il benessere  “pubblico” come principio direttivo dell’attività di governo

 

6.2. L’Italia
In Italia non vi sono, in questo periodo, grandi pensatori politici salvo Croce ed Einaudi
I pensatori che ricordiamo sono:
- Guglielmo Ferrero tra i liberaldemocratici
- Godetti e Rosselli su un piano liberalsocialista
a) Ferrero
Nei rapporti sociali sottolinea l’elemento della paura. Paura di fronte alla natura, di fronte agli altri, al futuro … come dato originario e permanente.
Dal disordine universale dello stato di natura nasce la civiltà; anche le civiltà sono lo sforzo di annullare la paura o ridurre al minimo l’incertezza che preoccupa la vita umana.
Lo strumento di questo sforzo è il potere. L’uomo crea il potere per ridurre la paura, ma anche il potere diviene coattivo è finisce con l’essere l’espressione suprema della paura che l’uomo fa a se stesso.
Per risolvere questo paradosso è necessaria la convergenza tra potere e società, che permette di ridurre la reciproca paura.
L’ordine sociale non può essere garantito solo dalla coercizione, è necessario anche il consenso che legittimi il potere
Principi di legittimità
Solo la legittimità può liberare il potere dalla paura. I principi di legittimità sono variati lungo i secoli e si sono succeduti alternandosi tra di loro, ma anche con momenti di crisi in cui si è messo in discussione l’ordine stabilito per conflittualità dei diversi interessi sociali senza che ne sia sorto uno nuovo.
Pluralismo e democrazia
La democrazia  corrisponde ai valori della rivoluzione culturale affermatasi con la modernità. Il criterio di legittimità sta nella volontà popolare che delega l’autorità ai suoi rappresentanti
Ma la democrazia è legittima solo se garantisce alle minoranze sia il diritto di opposizione sia il diritto di diventare maggioranza. Il pluralismo non deve essere solo sociale, ma anche politico.

6. POLITICA ED ECONOMIA

Negli anni tra le due guerre emerge una serie di proposte nuove che riguardano la modifica dei rapporti tra politica ed economia

    •  Il Piano

a) Ragioni che portano alla modifica
- dal punto di vista delle politiche sociali: l’ampliamento del suffragio e al nascita dei partiti politici portano lo stato ad essere interventista e ad assumersi responsabilità dirette nel finanziamento e nell’amministrazione di programmi di assicurazione sociale.
- dal punto di vista delle politiche economiche: lo stato assume un ruolo diretto nell’economia e modifica il gioco concorrenziale delle forze di mercato.
b) La crisi del ‘29
E’ la crisi economica per sovrapproduzione che si abbatte sui mercati industrializzati. Questo porta alla necessità di pianificare l’economia all’interno della struttura statale
c) La politica sovietica dei piani
In Russia viene lanciata la NEP (nuova politica economica), che è la politica dei piani quinquennali, con cui intendevano dimostrare la superiorità del socialismo nei confronti dell’irrazionalità e anarchia capitalista.
In realtà è una politica economica finalizzata alla gestione di tipo militare della vita produttiva
d) Il planismo europea
E’ l’insieme delle correnti socialdemocratiche favorevoli alla pianificazione che però rinunciano alla forzatura rivoluzionaria e accentuano la dimensione nazionale dei problemi e propongono delle tappe intermedie per una trasformazione politico economica.
Condivide con il comunismo l’orientamento a porre la questione della pianificazione economica come soluzione di lungo periodo alla contraddizione della società capitalista.

 

    • Il New Deal

Anche gli Stati Uniti devono gestire la crisi dell’economia politica e creare il passaggio ad una politica economica
a) Riforme socioeconomiche
Il New Deal è il programma di riforme socioeconomiche varato da Roosvelt; corregge il vecchio automatismo di mercato attribuendo allo stato compiti inediti, ma con l’intento di risolvere la crisi conservando il regime dell’impresa privata
b)) Critica dei dogmi liberisti di Keynes
Il maggior sostenitore del New Deal fu l’economista Keynes che afferma che bisogna prendere come punto di partenza la considerazione che la crisi della sovrapproduzione fa parte integrante del sistema capitalistico.
Bisogna allora prender coscienza che è necessaria un’autorità esterna capace di regolare il sistema di mercato. Per intervenire sul livello di attività e di occupazione lo strumento immediatamente più utilizzabile dal governo è rappresentato dalla politica di bilancio, cioè la manovra della spesa pubblica e la tassazione.
-  Espansione della spesa pubblica
Se vi sono capacità produttive inutilizzate è l’ampliamento della spesa pubblica che può rimpiazzare la mancanza di domanda privata per investimenti e consumi. E’ importante quindi creare domanda; la spesa pubblica deve essere aggiuntiva, per questo è necessario far ricorso al debito pubblico per far fronte a una forma normale di intervento nei casi di recessione.
Si delinea così un intervento economico dello stato impensabile nel pensiero economico occidentale.
-  IL mercato
Keynes, nonostante la sua critica, non abbandona il principio del mercato che per lui rimane il meccanismo più adeguato alla produzione e alla distribuzione dei beni.
Ma la soola via che può permettere al sistema capitalistico di realizzare tutte le sue potenzialità consiste in una specie di socializzazione degl’investimenti, cioè nel sostegno della domanda globale mediante politiche di spesa pubblica.
Keynes non respinge i postulati fondamentali della concezione economica liberale né il terreno del liberalismo politico che per lui ha il merito di coniugare efficienza economica, giustizia sociale e libertà individuale.

 

  • I TOTALITARISMI

 

Il periodo tra le due guerre è caratterizzato dai totalitarismi che si servono dell’ideologia per rifondare la politica. I due veri totalitarismi, che propongono la politica come dimensione totale di ogni aspetto della vita e della società in tutte le sue sfaccettature, sono il Nazismo e il Comunismo, mentre il Fascismo più che totalitarismo fu autoritarismo, anche se l’origine del termine è italiana Fu, infatti, adoperato per la prima volta da Amendola, se ne appropriò poi Mussolini che ne rovesciò il senso, intendendolo in senso positivo, cioè come la volontà del regime di portare l’intera società all’interno dello stato
a) Riflessione teorica sul totalitarismo
La letteratura filosofica al riguardo ha identificato alcune caratteristiche indispensabili perché si possa parlare di totalitarismo

  • ideologia totalizzante: rifiuto di riconoscere l’oggettività della realtà; propone di trasformare l’uomo e il mondo in base ad un obiettivo spostato nel futuro (comunismo) o con richiami al passato (nazismo e fascismo)
  • partito unico: che sostituisce lo stato come vero centro del potere, detenendone il monopolio con la violenza
  • capo carismatico: che ha un rapporto diretto con le masse
  • potere terroristico: uso discrezionale e illegale del potere da parte dello stato e del partito contro la società con l’intento di distruggere intere classi, razze, gruppi umani
  • controllo delle comunicazioni e dell’economia: controllo quindi delle risorse simboliche e materiali

Dal punto di vista dell’interpretazione storico-politica le questioni principali delle dinamiche totalitarie sono tre:

  • la comparabilità tra fascismo, nazismo e comunismo
  • la continuità o la discontinuità dei totalitarismi nello stato borghese
  • l’interpretazione del  loro conflitto

b) Origine e significato politico del totalitarismo
Il totalitarismo è una risposta alla crisi sia dello stato sia del soggetto, dovuta

  • all’incapacità dello stato liberale ottocentesco di assorbire i potenziali umani, tecnologici ed economico industriali mobilitati nel corso della prima guerra mondiale.
  • All’ingresso sulla scena politica di una società di massa

Il totalitarismo risponde con una strategia di annullamento dei limiti  e dei confini tra stato, società e individuo, e tra politica, etica ed economia per realizzare la promessa di un mondo radicalmente nuovo.
Per comprendere il totalitarismo è centrale il fatto che esso è anche realizzazione priva di scrupoli di un’ansia di vendetta o di giustizia per le passate oppressioni o sconfitte.
I totalitarismi si sono poi serviti delle masse e della tecnica, che non sono di per sé totalitari, a scopi distruttivi del presente in vista di una rigenerazione futura
c) I totalitarismi e lo stato
I regimi totalitari risultano l’opposto dello stato, perché sono la negazione della politica formale istituzionalizzata nello stato moderno; non solo ma anche la stabilità dello stato è contraddetta dalla mobilitazione permanente che il totalitarismo porta in sé.
d) Il nemico
Il fatto che il totalitarismo non voglia garantire una società, ma trasformarla radicalmente, significa che i regimi totalitari perdono deliberatamente la distinzione tra guerra e polizia.
Infatti conducono “guerre” contro i nemici del regime che sono vere e proprie campagne. I nemici sono:

  • gli oppositori: sono dei nemici dichiarati, che sono gli oppositori del regime ;
  • i sospetti: dei nemici potenziali, che  in ragione della loro appartenenza sociale possono diventare oppositori del regime
  • i nemici oggettivi: vengono individuati di volta in volta a seconda delle esigenze del momento(es. i medici negli ultimi mesi della vita di Stalin)
  • il nemico biologico: gli ebrei per i nazisti

 

Titolo : manuale di storia

Autore : non identificabile dal documento

Visitate la fonte : http://www.scicom.altervista.org/linguaggi.html

 


 

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