Rivoluzione americana

 


 

LA RIVOLUZIONE AMERICANA

 

LE  RADICI DELLA RIVOLTA

Nelle colonie* inglesi d’America è vivo (forte) lo scontento contro la madrepatria (Inghilterra) in quanto (perché) è proibito (non si può) sia vendere le merci(prodotti) a paesi diversi dall’Inghilterra, sia fabbricare manufatti (un oggetto fatta a mano) in concorrenza* con quelli inglesi.
Inoltre i coloni vengono sottoposti a una crescente pressione fiscale ( devono pagare più tasse).
Nel 1773, una nuova tassa imposta sul tè scatena la rivolta dei coloni. Le 13 colonie inviano (mandano) i loro rappresentanti a Filadelfia dove formano il Congresso*, ( fanno l’assemblea) che affida a George Washington il compito di guidare un esercito contro gli inglesi.
Il 4 luglio 1776 il Congresso approva la dichiarazione d’indipendenza* delle colonie dall’Inghilterra. Esse prendono il nome di Stati Uniti d’America.

 

LA GUERRA D’INDIPENDENZA

 

La guerra d’indipendenza fu dura e lunga (durò oltre 7 anni, dall’Aprile 1775 al Novembre 1782) . L’indipendenza degli Stati Uniti fu riconosciuta dall’Inghilterra nel 1783 ( Trattato di Versailles). La 13 colonie erano abituate a governarsi autonomamente*. Dopo varie discussioni ci si accordò che il nuovo organismo diventasse una confederazione* di stati.
Ciascuna delle 13 colonie avrebbe mantenuto il suo governo e le sue leggi, i suoi tribunali(luogo dove i giudici fanno i processi dove si decide se condannare o assolvere  un accusato) le sue scuole. La confederazione doveva tuttavia avere anche un governo centrale, che si occupasse delle cose di interesse comune e del rapporto con le nazioni straniere. Altri stati avrebbero potuto aggiungersi alla confederazione, con pari diritti. Già molti coloni erano partiti verso le terre dell’Ovest, scacciando gli Indiani che le abitavano: erano i primi passi della famosa conquista del West, che si sarebbe sviluppata nell’800 ed esaltata da tanti film americani (i western). Nuovi stati si sarebbero col tempo aggiunti alla confederazione. Oggi sono 50. Nella loro bandiera: le strisce bianche e rosse sono sempre state 13, come le colonie che hanno fondato gli U.S.A. Le stella nel rettangolo blu sono invece aumentate nel tempo perché ciascuna simboleggia una stato della confederazione.

 

La Guerra di Indipendenza IN SINTESI

 

  • Dal 1775 al 1782 ha luogo la guerra d’indipendenza, che per l’esercito americano si rivela( si mostra, appare) più dura (difficile) del previsto. Ma le vittorie di Saratoga (1777) e di Yorktown (1781) determinano (provocano) infine la sconfitta degli inglesi.
  • Dopo la vittoria definitiva(finale), che sancisce* la nascita degli Stati Uniti, ha inizio la conquista dell’Ovest: a poco a poco gli originari 13 Stati divengono 50.

 

LA COSTITUZIONE AMERICANA

La costituzione approvata nel 1787 si ispirava ai principi illuministici della separazione dei poteri (Montesquieu).
Il presidente eletto ogni quattro anni dalle assemblee dei vari stati della confederazione, avrebbe avuto il potere esecutivo, cioè quello di fare eseguire le leggi. Le leggi erano preparate dal Congresso (che ha  il potere legislativo), i cui rappresentanti (coloro che parlano a nome di altri, cfr i rappresentanti di classe) erano eletti dai cittadini maschi di ciascun Stato che avessero una certa ricchezza o censo. L’autonomia del potere giudiziario, esercitato dai giudici eletti dal popolo, era assicurato dalla Corte Suprema federale. Ancora oggi la Costituzione del’87 è in vigore (valida) negli Stati Uniti.

 

LA COSTITUZIONE AMERICA IN SINTESI

- Nel 1787 viene approvata (accettata)la Costituzione degli USA ancora oggi in vigore= valida), che attua la separazione dei poteri: l’esecutivo spetta al Presidente, eletto ogni 4 anni; il legislativo al Congresso; il giudiziario a giudici eletti dal popolo.

COLONIA= paese sottomesso a un altro
CONCORRENZA= gara per ottenere qualcosa, per avere più clienti
CONGRESSO=Parlamento degli Stati Uniti d’America
PARLAMENTO= assemblea delle persone che rappresentano un popolo, elette dal popolo stesso
INDIPENDENZA= condizione di chi non è sottoposto ad altri, libertà
AUTONOMAMENTE= da solo
CONFEDERAZIONE= unione di due o più stati
SANCIRE (sancisce)=rendere valido per mezzo della legge ad esempio: la Costituzione sancisce il diritto di sciopero oppure rendere solido, fissare

 

Fonte: http://www.strarete.it/documenti/daniela/rivamer.doc

 

Rivoluzione americana

LA RIVOLUZIONE AMERICANA

  1. Cronologia: 1775-1783; conquista dell’indipendenza dalla Gran Bretagna delle 13 colonie inglesi dell’America del nord;
  2. Rilievo: uno degli eventi più significativi del ‘700 da diversi punti di vista:
    1. geopolitico: si conclude con la formazione degli Usa che diverranno protagonisti della storia contemporanea tra fine ‘800 e ‘inizi ‘900;
    2. rivoluzioni liberali e democratiche: si inserisce in quella linea di sviluppo politica e culturale che, dalle due rivoluzioni inglesi conduce all’affermazione dei valori illuministi e alla rivoluzione francese;
    3. età delle rivoluzioni: caratterizza, secondo una interpretazione tradizionale, il settecento come età delle rivoluzioni borghesi in campo politico, economico e culturale contribuendo a segnare una svolta epocale nella storia mondiale;
    4. colonialismo: costituisce il primo caso in cui una colonia extraeuropea, si ribella vittoriosamente alla madrepatria.
    5. premessa: per comprendere tale evento occorre ricostruire la situazione geopolitica, sociale e culturale delle colonie americane che era molto diversa  da quella tipica dell’Europa.
  3. La situazione a metà settecento: intorno a metà del settecento nella fascia costiera atlantica vivevano in tredici colonie un milione e mezzo di abitanti, compresi 300000 schiavi. La linea di sviluppo tendenziale era quella di un rapido incremento demografico (rapida crescita: 25000000 nel 1775) e di una espansione territoriale verso ovest favorita da fiumi navigabili, ricchezza del suolo, risorse naturali. Fondamentale per comprendere la rivoluzione e il futuro assetto degli Usa e la situazione sociale, economica, politica e culturale delle colonie che dipendeva dalle modalità di colonizzazione.
  4. La colonizzazione: avvenuta tra inizi ‘600 e metà settecento, la colonizzazione inglese non fu il risultato di una sistematica politica di conquista, ma presentò tempi e circostanze molto diverse ed eterogenee:
    1. Virginia: prima colonia fondata nel 1607 dalla compagnia commerciale Virginia Company e così chiamata in onore della regina Elisabetta;
    2. New England: insieme di quattro colonie fondate da perseguitati religiosi. La prima fu il Massachussets fondato dai padri pellegrini, calvinisti inglesi perseguitati dalla chiesa anglicana, che a bordo della Mayflower erano sbarcati nel 1620; in seguito colonizzarono Rhode Island, Connecticut e New Hampshire;
    3. concessioni regie fatte a privati tra il 1630 e il 1660, portarono alla formazione di: Carlo I, Maryland; Carlo II, Carolina (nord e del sud); Duca di York, New York
    4. Pennsylvania: fondata dai quaccheri nel 1681, guidati da Arthur Penn. Comunità protestante fondata sull’amore fraterno, la tolleranza, la libertà di coscienza e politica, il pacifismo. Perseguitati in Inghilterra, fuggirono e costituirono uno stato democratico, fondato sui loro principi. Lo stesso Penn Acquistò in seguito il futuro Delaware.
    5. Georgia: in onore di Giorgio II, nucleo dei coloni condannati per reati comuni cui veniva offerta la scelta di emigrare in America.
  5. Le migrazioni: ondate migratorie successive si svilupparono dall’Europa, le cause principali furono i conflitti sociali e le persecuzioni di carattere politico e religioso: cattolici irlandesi, ugonotti francesi, quaccheri inglesi, contadini espulsi dalle campagne per la rivoluzione agricola; ecc.
  6. La società americana prima della rivoluzione: popolazione eterogenea per cultura, tradizioni, religione, provenienza, determina le caratteristiche peculiari della società americana:
    1. tolleranza e vivacità culturale: la mescolanza produce contrasti ma anche vivacità culturale e tolleranza che spinsero a costituire una società diversa da quella europea, fondata sulla libertà di coscienza, anche perché molti dei coloni erano fuggiti a causa di persecuzioni religiose e/o politiche;
    2. ambiente: difficili condizioni ambientali (naturali e indiani) valorizzarono si ail solidarismo che la valorizzazione delle capacità individuali;
    3. struttura di classe: l’assenza di una struttura di classe gerarchica e rigidamente determinata, sotto il controllo dell’aristocrazia e dell’alto clero determinarono una alta mobilità sociale, la impossibilità per i gruppi sociali privilegiati di controllare pienamente la situazione politica l’evoluzione democratica delle istituzioni;
    4. istituzioni politiche: simili nelle diverse colonie: colonie regie o di proprietà, governatore nominato dall’alto, consiglio nominato dall’alto. Emergere istituti rappresentativi: assemblee legislative elette a suffragio molto esteso, molte comunità erano poi dotate di organi di autogoverno, specie quelle periferiche e di origine religiosa.
    5. economia: si possono distinguere tre principali aree:
      1. colonie del nord: New England, villaggi rurali, cerealicoltura; lungo la costa: centri urbani commerciali e portuali, industria cantieristica, alimentare, pesca;
      2. colonie del centro: New York, Delaware, New Jersey, Pennsylvania. Simile alle precedenti.
      3. colonie del sud: Virginia, Maryland, Carolina N e S. Grandi piantagioni, schiavi, commercio cotone con madrepatria, supremazia grandi proprietari terrieri.
  7. Le cause della rivoluzione: individuazione delle principali cause della rivoluzione, esame dei principali eventi:
    1.  la relativa autonomia in campo politico e, di fatto, anche in campo economico, determinava una situazione di tranquillità nei rapporti tra le colonie e la madrepatria. Le colonie erano integrate nel sistema economico e commerciale inglese, sul piano politico veniva tollerata una certa autonomia. Le principali caratteristiche del rapporto tra colonie e madrepatria erano le seguenti:
      1. obbligo di non praticare attività manifatturiera;
      2. obbligo di commerciare solo con la madrepatria, monopolio inglese nell’impor e nell’export compensato da un intenso contrabbando;
      3. protezione militare nei confronti della presenza francese nel nord (Canada);
    2. punto disvolta: guerra dei sette anni (1756-63): comincia a cambiare la situazione:
      1. guerra produce coesione tra colonie e germe identità;
      2. mancanza necessità protezione militare madrepatria;
      3. strategia geopolitica inglese: imposizione sistema di dazi e tasse al fine di finanziare le spese di amministrazione e difesa dell’impero:
        1. Sugar Act: 1764, ristrutturazione sistema dazi e imposte doganali su molti beni;
        2. Stamp Act: 1765, tassa bollo su atti legali, giornali, fatture commerciali;
        3. protesta: in base al principio “No Taxation Without Representation”, tumulti, boicottaggio, atti intimidatori, organizzazioni segrete;
        4. monopolio commercio del tè alla compagnia delle Indie, 1773, gravi danni per i coloni, e rivolta di Boston (Boston Tea Party);
        5. leggi intollerabili: 1774, punizione di Boston (chiusura porto) e Massachussets (privazione autonomie e sostituzione funzionari americani con britannici);
  8. La guerra: la tensione gradualmente crescente aveva portato sull’orlo della crisi:
    1. 1774: primo congresso di Filadelfia:

 

Gianfranco Marini

Fonte: http://anki.altervista.org/appunti/riassunti/rivoluzione_americana_schema_cause.doc

 

Rivoluzione americana

LUIGI COMPAGNA
Il liberalismo tra rivoluzione americana e rivoluzione francese

 

        Nella storia del liberalismo, l'età della rivoluzione americana e della rivoluzione  francese, rispettivamente  1776 e  1789, è l'età  delle grandi formulazioni, delle grandi dichiarazioni dei diritti. Mi propongo di seguire la pista che distingue, ma  anche accomuna,  rivoluzione americana e rivoluzione francese in quest'ultimo quarto del secolo decimo ottavo, partendo proprio da una fondamentale differenza: nella rivoluzione americana non c'è dubbio che  nascono le grandi dichiarazioni dei diritti, (a partire dalla Virginia, la più importante, poi negli altri stati), ma nasce soprattutto e immediatamente un solido impianto costituzionale. Per cui della rivoluzione americana, della esperienza storica  e politica americana noi che cosa ricordiamo? La costituzione. Non dico che essa sia rimasta invariata fino al 1999, però l'impianto è assolutamente stabile. Tant'è vero che le modifiche costituzionali  sono avvenute attraverso gli emendamenti, mentre la storia non dico abbia cancellato, perché non cancella nulla, ma  ha archiviato quei manifesti ideologici  importantissimi, che furono la dichiarazione della Virginia, eccetera, per dare ruolo protagonista alla costituzione.
Se andiamo a vedere la storia francese è accaduto esattamente il contrario. Che cosa ha fatto la storia della Francia rivoluzionaria? La dichiarazione dei diritti  del 26 agosto 1789. Si ricordi che di dichiarazioni dei diritti ce ne furono parecchie altre, a cominciare da quella del  1793; però quando  si parla di  dichiarazione dei diritti tutti intendono quella del 1789. Non è così quando si parla di costituzione. La costituzione fu del 1791, ma non ebbe seguito. Ce ne furono tante altre, l'una divorata dalle altre.
Allora, l'originalità della nostro tema storico è: come è possibile che un identico tronco di cultura, a vario titolo riconducibile all'illuminismo, al liberalismo, abbia dato luogo ad una vicenda, quella americana, in cui le dichiarazioni vanno in archivio e la costituzione è entrata nella storia e ad un'altra nella quale in archivio vanno tantissime costituzioni mentre la dichiarazione è ancora oggi irrinunciabile? Quelli di voi che faranno esperienza in diplomazia, o semplicemente in giornalismo o in politica contemporanea si accorgeranno come tante volte quando si dice la dichiarazione dei diritti si intende  quella del 1789 e non quella del 1948 di San Francisco. E non è una gaffe perché quando si decise, nel secondo dopoguerra, dopo aver conosciuto i mostri del totalitarismo, di ritornare la liberalismo delle dichiarazioni dei diritti, a che  cosa si pensò? Si pensò al  1789 francese. Per comprendere quanto differenti siano state le esperienze americana e  quella francese, paradossalmente invece di dire guardiamo prima l'americana e poi la francese o viceversa dobbiamo fare, dal punto di vista storiografico, una operazione diversa: cioè dobbiamo ulteriormente allargare il campo. In quale direzione? In quella che forse può essere considerata la testa di serie numero uno del liberalismo, cioè l'esperienza inglese, la rivoluzione del 1688, anche se nel liberalismo teste di serie non c'è ne possono essere. Ovviamente c'è una cultura liberale che si sente figlia della rivoluzione inglese  contro la rivoluzione francese, così come c'è una cultura liberale che si sente figlia della rivoluzione francese contro  la rivoluzione inglese; non è liberale stabilire quale delle due è quella veramente liberale. Questo perché vive all'interno dell'Internazionale Liberale, ricordano con qualche autorevole supporto storiografico e filosofico che  in realtà non esiste una rivoluzione inglese, 1688, una rivoluzione americana, 1776, una rivoluzione francese, 1789, ma esiste una unica  grande rivoluzione atlantica: un grande fiume  la cui idea è la libertà, che ha un percorso di tipo lockiano in Inghilterra, un percorso ancora lockiano in America, ma molto integrato da Montesquieu, e poi un percorso di rimbalzo che viene dalla America in Francia con i primi rivoluzionari (tra cui Monsies che attraversò anche il periodo napoleonico) molti dei quali furono uccisi dalla forca giacobina, in quella che Furet chiamava il derapage totalitario del 1793: il terrore.
E allora questa unica rivoluzione atlantica, questa grande onda rivoluzionaria occidentale, su che cosa si basa? Si basa su una interpretazione in cui la cosa veramente centrale, veramente irrinunciabile del liberalismo, sono i diritti. Che poi questi diritti siano stati rivendicati e conquistati in nome della tradizione, è il caso inglese; o siano stati rivendicati e conquistati in nome della rivoluzione, della contrapposizione rispetto al passato, è il caso francese; metà e metà nel caso americano; è una questione assai meno appassionante  rispetto alla dottrina liberale.
La dottrina liberale è al tempo stesso dottrina dei diritti da dichiarare (abate Sieyes nella Francia del 1789, cioè fondiamo  una costituzione in un paese che non ha una costituzione: la Francia) oppure diritti da dichiarare. Che cosa vuol dire? I diritti sono semmai da preservare (Inghilterra del 1688), cioè rivendichiamo non  i nuovi diritti ma ristabiliamo i diritti dei nostri avi  contro un sovrano  eversivo e una dinastia golpista, così diremmo oggi, e quindi il tema non è quello del potere costituente che opera ma quello invece di una costituzione da ereditare dai propri avi e da trasmettere alle generazioni successive ed è una costituzione talmente forte, talmente cogente che non si è immeschinita dall'essere espressa in una norma scritta, perché è un'abitudine, è una tradizione, è una consuetudine e ovviamente allora avremo l'esperienza di paesi, quelli anglosassoni, che sono dei paesi a diritto giurisprudenziale, nel senso che  il diritto lo si ricava da come si è deciso giuridicamente in casi precedenti.
Nella accezione anglosassone il diritto è giurisprudenziale perché i diritti vengono prima e sono più importanti del diritto, mentre invece gli altri Paesi, quelli che ricadono nell'area continentale e non insulare e cioè quelli legati alla rivoluzione francese, si sono avute  esperienze costituzionali nelle quali si è cercato  non di fare conservazione ma di fare  rivoluzione, cioè c'è qualcuno che si è attribuito il ruolo, il rango, l'onore, l'onere di essere il potere costituente.
Il caso dell'Inghilterra  per quanto testa di serie  numero uno,  va lasciato però in una sorta di introduzione, se no non arriveremo mai alla Francia e all'America, perché la rivoluzione americana e quella francese avvengono circa un secolo dopo la rivoluzione conservatrice inglese. Che cosa avviene in Inghilterra nel 1688? Il partito liberale, il partito Wigs, trascinando in qualche modo il partito Tory, che era un partito a tasso di legittimazione costituzionale un po’ inferiore. Ha chiamato  un sovrano straniero, Guglielmo d'Orange, e lo ha incoronato insieme a sua moglie, che era una Stuart, in nome di quella cosa che una volta in Inghilterra si diceva  può fare tutto tranne cambiare un uomo in donna, cioè il parlamento.
La dinastia ha così assunto l'impegno di fronte al parlamento di operare secondo uno schema di governo misto: c'è il popolo,  ci sono i lord, c'è il re. Che cos'è questo schema di governo misto? Dicono gli inglesi che è una cosa che già c'era, però l'elemento nuovo di questo sistema è il governo. In Inghilterra la dottrina politica conosce pochissimo la parola state; il governo di chi è? Non è più di sua maestà il re ma è il governo del parlamento. Quindi contrariamente a quel che sembrava a Montesquieu, il quale nella prima metà del 700 guarda all'Inghilterra ed esalta la separazione dei poteri,  la separazione c'è rispetto alla giurisdizione, ma tra governo e parlamento c'è una fortissima saldatura. Quale è lo strumento attraverso il quale un governo è il governo  del parlamento? Il fatto che il governo sia una responsabilità politica, quindi partitica. I ministri hanno indosso, una casacca, un colore, o Wigs o Tory. Si diventa ministro attraverso connections con il parlamento, non si diventa più ministro attraverso l'anticamera di sua maestà, o magari della sua amante. Il centro del potere politico, e quindi del controllo costituzionale, della dialettica, della libertà è il rapporto governo-parlamento. Il  re  non è più il vertice del potere esecutivo, ma è un simbolo, una tradizione, neanche un arbitro, ma è quello che ha consentito questa trasformazione.
Questa trasformazione è già evidente, quando gli americani, che non sono altro che  europei   fuori Europa, dicono: no taxation without rapresentation, cioè o nel parlamento inglese possiamo esserci anche noi, oppure ci facciamo un altro parlamento affrontando ovviamente l'onere con la tassazione.
L'esperienza costituzionale americana è un'esperienza affascinante, ma elementare, perché l'America non ha né una sovranità, né  una aristocrazia, né una monarchia. L'America dice:  noi giovani popoli cominciamo  adesso. Quando questo affascinante esperimento rimbalza sulla Francia, uno solo è rispettoso dell'esperienza americana (ma dice che la Francia deve fare qualcos'altro) ed è l'abate Sieyes.
In Francia c'è il re, ci sono gli aristocratici, naturalmente senza sgozzarli (come esperienza di liberalismo sarebbe un po’ ardua). A sgozzarli ci penserà il Terrore. L'idea di Sieyes è che gli aristocratici non fanno parte della nazione. Seiyes ha un problema ed è la costituzione. La Francia non ha una costituzione; quella dell'antico regime è un'occupazione gotica della nazione francese. La nazione è l'insieme, il riferimento di cittadini che vivono in uno stesso regime giuridico; è, cioè, il concetto liberale di diritto comune (chi vuole un diritto speciale per se è come uno straniero: tali sono gli aristocratici, quindi se ne vadano, che poi  è quello che accade.
La rivoluzione americana questo problema non l'aveva, perché l'aristocrazia non c'era; mentre la rivoluzione inglese,  100 anni prima, il problema  lo aveva risolto esattamente al contrario, cioè aveva contrastato l'assolutismo limitandone l'assolutezza dalla parte dei corpi intermedi, da parte cioè del parlamento. Il problema della Francia è quello di fissare un riferimento di diritto comune; il che vuol fare una costituzione. Ma fare una costituzione non si può finché non abbiamo stabilito quali sono i diritti che hanno rango costituzionale. Ecco perché  Seiyes con grande lucidità nel 1789 non dice facciamo la costituzione,  dice facciamo prima la Dichiarazione dei diritti per poter fare poi la costituzione. E questa dichiarazione dei diritti chi ha titolo a farla? Non certamente  il popolo. Sieyes è un liberale, non  un democratico e quindi non ha il problema di affermare roussoianamente la sovranità della totalità del popolo. Per Sieyes questa rivoluzione viene fatta per intervento straordinario, dai rappresentanti del terzo stato. Cioè Sieyes intuisce da grande politico e da grande  dottrinario che la convocazione di questo vecchio organismo tipico dell'antico regime, tipico di una società di ordine feudale, che non si riuniva in Francia da un secolo e mezzo, avrebbe  determinato una tensione rivoluzionaria.
Come si fa la rivoluzione? Si fa separando i deputati del Terzo Stato dagli altri due e proclamando se stessi assemblea nazionale, cioè creando una frattura rivoluzionarie,  perché coloro che li avevano mandati agli stati generali non li avevano assolutamente dotati del mandato di fare una costituzione, meno che mai una dichiarazione dei diritti. Serve però qualcuno che  questa dichiarazione dei diritti la firmi  e la faccia a sua, e chi può essere? Il popolo sovrano, no. Sua maestà il re. Sieyes non è affatto repubblicano, è un monarchico, che ha bisogno del re  per poter cancellare la sovranità monarchica dalla storia di Francia. Poi avviene che questa dichiarazione dei diritti francese viene firmata dal re, dopodiché si capisce che il momento monarchico è finito.
Ma perché Sieyes dà alla dichiarazione dei diritti tanta importanza? La dichiarazione dei diritti è un testo  molto bello (ma non meno bello di quelle dichiarazioni dei diritti di 20 anni  prima, quali quella della Virginia): è un testo in cui ogni proclamazione delle libertà liberali moderne è  un grande manifesto ideologico contro l'antico regime. Questa è la forza storica, antagonistica rispetto alla storia precedente che consente qui di usare a pieno titolo  l'espressione rivoluzione, espressione  che non so quanto sia pertinente nel caso americano e sotto certi aspetti è decisamente impertinente nel caso inglese, a meno che non si parli di rivoluzione in nome della conservazione. Allora il liberalismo che era apparso come motivo di antagonismo rispetto allo stato assoluto, rispetto alle monarchie centralizzatrici, aveva sostenuto il principio del diritto di resistenza alla legge ingiusta.
L'argomento che giustifica la rivoluzione atlantica (e cioè tutte e tre le rivoluzioni) è che esiste un diritto alla rivoluzione, un diritto di resistenza alla legge ingiusta. Cosa sulla quale Kant non sarebbe mai stato d'accordo, anche se questo non ci dice che Kant non sia un liberale. L'affermazione dei diritti non riguarda soltanto i diritti naturali della filosofia  giusnaturalistica, e massonica della fine del Seicento e della prima parte del Settecento, ma anche quelli che debbono imperniare la costruzione dello Stato. Il liberalismo non nasce come esigenza di contrapporsi allo Stato in nome della società, in nome della persona umana, dell'individuo, ma afferma che la libertà  individuale deve condizionare l'assetto dello Stato sia nella previsione programmatica sia nella organizzazione dei poteri dello Stato. Ecco perché c'è un liberalismo che si identifica con il costituzionalismo del XVIII secolo. Questo liberalismo  secondo me è una dottrina dello stato e non una dottrina dell'abbattimento, dell'estinzione dello stato, perché questo liberalismo è un liberalismo, (come si vede in pensatori come Locke e come Sieyes) che è impregnato non soltanto di tecniche di costituzionalismo rispetto ai poteri dello Stato ma è un liberalismo al cento per cento liberista. Richiamo la grande lezione liberista della Scozia, umanistica e massonica del XVIII secolo, pensiamo a grandi scrittori quali Adamo Smith e Hume che fondano  quel ramo della filosofia morale destinato a diventare economia politica, i quali scoprono il mercato come garante e regolatore di libertà fondamentali, ma lo scoprono in un ordinamento, la civil society, che è  anche autorità.
Quelli che ritengono che liberalismo e liberismo abbiano strade diverse ripropongono la  finta polemica tra Einaudi e Croce. Dico finta perché poi quando Croce doveva fare un programma economico si rivolse al liberista  Einaudi. E viceversa: quando Einaudi, presidente della repubblica doveva mettere mano alla tabella della costituzione, e stabilire  quali fossero le fondazioni che dovevano avere soldi pubblici si rivolse a Croce. Però l'idea che il liberismo possa essere un tipo di liberalismo che non costruisce lo Stato ma lo abbatte, è molto diffusa in alcune tendenze  degli ultimi trent'anni soprattutto in America. Io ho l'impressione che ciò tenda un  poco ad espellere dal liberalismo le proprie radici di costituzionalismo. Se io faccio la storia dell'Ottocento, sia in America sia in Francia, noto  che c'è stato prima il liberalismo col liberismo, poi la democrazia, poi la tendenza ad allargare il suffragio, eccetera, cioè come se ci fosse stato un missile a tre stadi: prima c'è il liberalismo che arriva fino a Luigi Filippo, poi  la democrazia, poi il socialismo. Schema   tragicamente sbagliato perché quando poi la coscienza moderna ha scoperto, nel XX secolo, quell'assolutismo moltiplicato per mille e ben più assoluto dello stesso assolutismo che è stato  il totalitarismo, il mondo uscito dal totalitarismo ha riscoperto proprio le dichiarazioni dei diritti, quelle radici di costituzionalismo che si erano, dal punto di vista storico, onorate facendo diventare limitato il potere legibus solutus e che erano perciò riferimenti irrinunciabili. Il fatto che un potere sia espresso dal popolo invece che dal re non significa che quel potere abbia titolo ad essere potere assoluto ed è questa la ragione per cui la dottrina liberale ha una sua intensità ed una sua specificità del tutto diversa da quella democratica. Quando noi usiamo l'espressione liberal-democratico la usiamo per comprenderci; però la democrazia  può essere liberale e può essere illiberale. Il liberalismo non è necessariamente democratico, non perché è antidemocratico, ma perché ha un tipo di tensione ideale, un tipo di preoccupazione, un tipo di strumentazione che risale a queste vicende della rivoluzione atlantica, che hanno un'identità su cui tuttora vale  la pena di soffermarsi.

 

http://www.fondazione-einaudi.it/Download/lezione%20Compagna%20su%20rivoluzioni.doc

 

Rivoluzione americana

IL PERIODO

  • 1775/1783: guerre di indipendenza delle 13 colonie inglesi vs. la madrepatria.
  • E’ la prima lotta di liberazione vittoriosa vs. un paese del vecchio continente.

 

IL TERRITORIO E LA POPOLAZIONE

  • Vasta fascia della costa atlantica, limitata a nord dai Grandi Laghi, a ovest dagli Appalachi e a sud dalla Florida spagnola.
  • Ci vivono 1,5 milioni di coloni, che tendono ad allargarsi verso l’interno lottando con le tribù indiane, ostili alla colonizzazione.

 

I FATTORI DELLA COLONIZZAZIONE

  • Iniziative di compagnie commerciali.
  • Emigrazioni di minoranze politiche e religiose.

 

IL NORD

  • Ci sono 4 colonie della Nuova Inghilterra, fondate nel periodo 1620/1680 dai Puritani.
  • Qui si sviluppano:  -coltivazione dei cereali.

-villaggi rurali in stile puritano; nei centri urbani sulla                costa (vd. Boston) fiorisce l’industria cantieristica.

IL SUD

  • Ci sono 5 colonie, in cui l’economia è incentrata su piantagioni dove lavorano gli schiavi.

 

IL CENTRO

  • Ci sono 4 colonie, con una situazione economica simile alla Nuova Inghilterra, ma ci sono differenze per: -la struttura della proprietà terriera.

        -i marcati squilibri sociali.

LA DIPENDENZA ECONOMICA

  • La madrepatria aveva il monopolio sui commerci da e per le colonie, e si sviluppa quindi il commercio clandestino.

 

L’AUTOGOVERNO

  • Le colonie hanno una grande autonomia politica: anche se sono sottoposte al controllo di un Governatore e di Consigli di nomina regia, si costituiscono assemblee legislative che danno luogo a un Governo rappresentativo.
  • Anche le comunità locali hanno molta autonomia, e si fondano sui valori del pluralismo e della tolleranza (ma non per gli indiani e gli schiavi). Questi valori avevano un fondamento religioso: i coloni si considerano un popolo eletto a realizzare il vero cristianesimo.

 

I VINCOLI CON L’INGHILTERRA

  • I coloni si sentivano soprattutto sudditi inglesi, e quindi erano troppo deboli i rapporti tra le colonie perché si sviluppasse spontaneamente una identità americana.

 

LA PROTESTA DELLE COLONIE

  • Il boicottaggio delle merci inglesi fu attuato quando l’Inghilterra impose alle colonie forti dazi doganali e una tassa di bollo.
  • Per difendersi, i coloni facevano appello alla legge inglese del “no taxation without representation”

 

LE “LEGGI INTOLLERABILI”

  • 1773: il monopolio della vendita del tè va alla Compagnia delle Indie, danneggiando i coloni.
  • A Boston, essi assalgono le navi della Compagnia e gettano in mare il carico.
  • C’è una dura reazione inglese, che emana le “leggi intollerabili”.

 

IL CONGRESSO CONTINENTALE

  • 1774: il primo Congresso Continentale delle colonie decide di portare avanti il boicottaggio delle merci inglesi.
  • 1775: primi scontri presso Boston.
  • 1775: il secondo Congresso Continentale forma un esercito (Continental Army) e ne affida il controllo a George Washington. E’ guerra aperta.

 

LA DICHIARAZIONE D’INDIPENDENZA

  • 4 Luglio 1776: viene approvata la Dichiarazione d’Indipendenza, che sancisce la nascita degli Stati Uniti d’America.

 

IL CONFLITTO

  • Le prime fasi non sono favorevoli agli americani.
  • Washington evita gli scontri campali e logora gli avversari, che subiscono la prima dura sconfitta  a Saratoga, 1777.
  • Per arginare la crisi finanziaria i coloni dovettero ricorrere a imposte straordinarie.
  • A favore degli americani c’era l’opinione pubblica europea, e dal 1777 arrivarono volontari dall’Europa.
  • Aiuti arrivarono soprattutto dalla Francia: -1777 riconosce l’indipendenza.

        -1778 firma un’alleanza militare.

  • 1781: assedio a Yorktown, e la guerra può dirsi conclusa.
  • 1783: Trattato di Versailles, col quale è riconosciuta l’indipendenza americana.

 

L’OPERA DELLA CONVENZIONE

  • I singoli stati agivano senza coordinamento in politica e commerci.
  • 1787, Filadelfia. Si apre la Convenzione Costituzionale per emanare gli articoli della Confederazione; questi si ispiravano al principio di equilibrio e divisione dei poteri, e davano vita ai nuovi Organi federali, trasformando la Confederazione in Unione.

 

IL POTERE LEGISLATIVO

  • Era esercitato da due Camere, dette Congresso:

               -Camera dei rappresentanti, eletti in proporzione al numero di abitanti.
-Senato, con due rappresentanti per stato.

 

IL POTERE GIUDIZIARIO

  • Era posto sotto il controllo di una Corte Suprema federale.

 

IL POTERE ESECUTIVO

  • Era accentrato nelle mani del Presidente della Repubblica, eletto ogni 4 anni con voto indiretto.
  • Aveva il comando dell’esercito e poteva bloccare le leggi del Congresso, che a sua colta aveva il potere di accusarlo.

FEDERALISTI        E       ANTIFEDERALISTI

  • Vogliono rafforzare il potere centrale
  • Ceti conservatori legati a commercio e industria, 
  • Temono di non essere rappresentati in un governo centralizzato
  • Ceti medio-bassi

 

LA SOLUZIONE FEDERALISTA

  • La tesi federalista prevale quasi ovunque.
  • 1789: George Washington viene eletto Presidente.
  • 1789/1791: vengono emessi 10 Emendamenti a favore degli antifederalisti; gli articoli tutelano i diritti dei cittadini e la prerogativa dei singoli stati vs. il potere federale.

GLI SCHIERAMENTI POLITICI

  • Il governo federale viene organizzato in Dipartimenti.
  • Al Tesoro c’è Alexander Hamilton, che risana le finanze e promuove la Banca degli Stati Uniti.
  • La politica di Hamilton favorisce i ceti commerciali e finanziari del centro-nord, suscitando l’opposizione dei proprietari del sud e dei coloni dell’ovest, che trovano un punto di riferimento in Thomas Jefferson.

 

I PARTITI

  • Si formano così due partiti:
  • Repubblicano-democratico: Jefferson
  • Federalista: Hamilton

L’ESPANSIONE TERRITORIALE

  • 1787: Ordinanza del Nord-Ovest, con la quale le regioni da colonizzare ottengono la condizione di Territori, cioè aree poste sotto la tutela del Congresso.

 

Fonte: http://www.mcurie.com/admin/fckeditorDocenti/userfiles/245/file/RIVOLUZIONE%20AMERICANA.doc

 

Rivoluzione americana

IL COLONIALISMO (XVI – XVIII sec.) E LA RIVOLUZIONE AMERICANA (1775-1783)

Gli illuministi dicevano di credere nell’uguaglianza di tutti gli uomini, ma forse intendevano dire di tutti gli uomini “occidentali”, di razza bianca ed europei. Tutte le altre popolazioni con cui gli uomini europei erano entrati in contatto (Indios, Pellerossa, Cinesi, Indiani) erano considerate dagli illuministi come bambini ancora da educare o, dai non/illuministi, come animali da disprezzare; in ogni caso erano persone da sfruttare. Questo atteggiamento si chiama colonialismo ed è esploso nel 1800, ma le sue origini risalgono al XVI secolo, con la conquista e lo sfruttamento dell’America da parte di Spagnoli e  Portoghesi. Nel XVIII secolo, invece, gli Olandesi e gli Inglesi furono le maggiori potenze coloniali.
Per capire come funzionava il colonialismo si può descrivere la situazione del Congo, che nel 1500 era  un ricco regno feudale, con un re e i suoi vassalli. Nel Congo lo schiavismo era considerato normale, se gli schiavi erano prigionieri di guerra. I Portoghesi, quando vi giunsero per la prima volta, furono bene accolti dal Re, che addirittura si convertì al cristianesimo. Il re iniziò a vendere i suoi schiavi (prigionieri catturati durante le guerre contro altre tribù africane) ai Portoghesi, i quali, dopo un po’ di tempo, chiesero al re di vendere loro i suoi stessi sudditi. Il re, nonostante le minacce dei trafficanti di schiavi, rifiutò ma i Portoghesi pagarono i vassalli per fare una guerra contro il sovrano; poi fornirono fucili ad una tribù rivale del re del Congo, che venne così sconfitto. Un vassallo, chiamato Ngola (= principe) firmò un trattato per rifornire permanentemente i trafficanti portoghesi di schiavi. In cambio divenne il sovrano, ricco e potente, dello stato che si chiamò Angola dal suo titolo. L’Angola divenne così il più grande centro della tratta degli schiavi. Questo commercio avveniva più o meno nello stesso modo nei vari luoghi del mondo in cui i colonizzatori europei erano arrivati. In seguito, ai Portoghesi si sostituirono gli Inglesi, che ottennero il monopolio della tratta degli schiavi. Gli Inglesi guadagnarono cifre enormi con quello che oggi chiamiamo commercio triangolare. Funzionava così: offrendo in cambio fucili, stoffe, alcolici o cavalli (che permettavano ai signori delle varie tribù africane di diventare superiori militarmente, e dunque di sconfiggere in guerra gli altri capi tribù), i negrieri (= trafficanti di schiavi neri) inglesi si rifornivano di schiavi, che venivano stipati fino all’inverosimile nelle navi (sulle quali spesso morivano per le orribili condizioni del viaggio). Arrivati in America, gli schiavi erano venduti all’asta ai coloni, sempre alla ricerca di manodopera a basso costo per le piantagioni di tabacco, canna da zucchero e cotone. Così i negrieri tornavano con le navi cariche di merci americane da rivendere in Europa, da cui poi ripartivano dopo aver comprato i fucili e gli altri prodotti da scambiare con gli schiavi in Africa. Il continente africano subì dunque una vera catastrofe: si calcola che più di 20 milioni di persone (soprattutto uomini tra i 14 e i 40 anni) vennero deportate, e di queste forse solo 11 milioni giunsero vive a destinazione.
Nella costa orientale dell’America del Nord sorgevano tredici colonie (con città – ancora molto piccole - come New York, Boston, Philadelphia), nelle quali durante il 1600 sbarcarono numerosi emigrati europei (spec. britannici, in particolare i puritani, poi avventurieri, contadini poveri…). Il Parlamento di Londra regolava interamente le attvità che si potevano svolgere: ai coloni era vietato creare delle imprese economiche importanti (tutti i prodotti principali dovevano essere acquistati dall’Inghilterra), ed era vietato commerciare liberamente i prodotti delle attvità legali (legname, farine, tabacco, cotone grezzo) che venivano esportati nella madrepatria a prezzi di favore. C’era dunque il rischio del sottosviluppo, anche se c’era il vantaggio di non pagare le tasse e di essere protetti dalla marina inglese.
Quando il Parlamento inglese, a corto di soldi, decise di colpire le colonie nordamericane, applicando varie tasse (sul tè, sullo zucchero, sui giornali e altro ancora) i coloni si ribellarono: prima con il boicottaggio (= azione che serve ad ostacolare un’attività) delle merci inglesi, e poi con il gesto clamoroso dell’assalto alle navi inglesi nel porto di Boston, durante il quale i coloni gettarono in mare tonnellate di tè (1773). I coloni protestavano soprattutto perché non avevano la possibilità di discutere nel Parlamento di Londra le loro esigenze o i provvedimenti che li riguardavano (da cui lo slogan della rivolta: No taxation without representation). La loro lotta si svolse anche attraverso articoli sui giornali, che venivano pubblicati in gran quantità. Dopo vari mesi di proteste, i coloni organizzarono un esercito di volontari affidandone il comando a George Washington (1732-1799), un proprietario terriero del sud: cominciò così la Guerra d’indipendenza o Rivoluzione americana (1775-1783). A Philadelphia (il 4 luglio 1776)  i rappresentanti delle tredici colonie firmarono la Dichiarazione d’indipendenza (scritta, tra gli altri, da Thomas Jefferson, che diventerà il terzo presidente degli Stati Uniti), in cui erano enunciati alcuni princìpi fondamentali, che sono ancora oggi alla base di ogni democrazia: l’uguaglianza di tutti i cittadini e il loro alla libertà, alla vita e alla ricerca della felicità (princìpi che in qualche modo erano stati già affermati da molti illuministi). L’esercito dei volontari ebbe all’inizio qualche difficoltà a causa dell’impreparazione: ma l’abilità e la determinazione di Washington, il fatto di combattere per difendere la propria terra, la propria famiglia e la propria libertà, ed infine l’aiuto che provenne dalla Francia, portarono i coloni alla vittoria. Nel 1781, dopo la sconfitta a Yorktown, gli Inglesi si ritirarono. Nel 1783, a Parigi, venne firmato il trattato di pace che segnava ufficialmente la nascita degli Stati Uniti d’America. Nel 1787 le ex colonie decisero di adottare una Costituzione che rese gli Usa una Repubblica federale: in questo modo ogni stato era libero di avere le proprie leggi, una propria polizia e i propri tribunali, scuole, ospedali; ma vi era anche un Governo centrale con sede a Washington, il quale prendeva importanti decisioni nel campo della difesa, dell’economia e della politica estera. La nuova nazione fu  organizzata in base al principio illuminista della divisione dei poteri (teorizzato da Montesquieu): il potere legislativoandava al Congresso e al Senato, il potere esecutivo al Presidente (il quale, eletto ogni 4 anni, ha un ampio potere, come quello di bloccare le leggi approvate dal Congresso; a sua volta però il presidente può essere destituito), il potere giudiziario alla Corte suprema  e ai giudici dei tribunali. Il primo presidente degli Stati Uniti fu proprio George Washington. 

 

Fonte: http://digilander.libero.it/umorizmo/79colonrivamer.doc

 

Rivoluzione americana

La formazione degli Stati Uniti: cenni storici

 

Alcuni caratteri della colonizzazione inglese in Nord-America:

Le origini degli Stati Uniti, e la stessa vicenda rivoluzionaria, sono profondamente influenzate dal tipo di colonizzazione inglese in Nord America, che si avviò secondo tre forme diverse di insediamento:

- la Compagnia commerciale, i cui poteri erano precisati da una Carta coloniale concessa dal Re: la Compagnia del Massachusetts si distingue perché ‘trasporta’ la sede della compagnia nella colonia, con ciò riunendo poteri interni alla Compagnia e gestione del territorio > es. Virginia, Massachusetts

- la concessione di un territorio ad un privato, con poteri di governo del territorio indicati da una Carta: è una forma di gestione in parte assimilabile al rapporto ‘feudale’ > es. Pennsylvania, Maryland, Carolina N. e S. 

- il dominio diretto della Corona, che escludeva per definizione la presenza di una carta coloniale, e si basava su governatori e funzionari nominati da Londra > es. New York, New Jersey  

Dal punto di vista giuridico le prime due forme sono entrambe regolate da “carte di concessione” attraverso le quali il re assicurava la proprietà di un territorio e i poteri per amministrarlo.

Dopo l’affermazione del Parlamento con la Glorius Revolution, questo tende a regolare più strettamente le colonie, affiancando agli organi di autogoverno un proprio rappresentante. In questo modo, alla vigilia della rivoluzione la figura del governatore è presente in tutte le colonie.

Altri caratteri distintivi :   

  • impronta religiosa nel New England (Compagnie e comunità) > deriva dalla Grande migrazione dei puritani di John Wintrop del 1630, che dà vita al Massachusetts e alla città di Boston

 

  • fin dall’inizio si definiscono patti e testi costituzionali scritti : il Mayflower Compact dei Padri Pellegrini, i Fundamental Orders del Connecticut (1638), il Body of Liberties of Massachusetts (1641) e altri  > con questi si fissano i principi dell’autogoverno e le libertà dei coloni > ovunque fin dall’inizio si formano assemblee locali elettive
  • va però fatta una distinzione fra questa prassi costituzionale precoce e i contenuti di queste norme, che non sempre furono liberali o ugualitari > le comunità puritane erano spesso chiuse e intolleranti, non separavano peccato e reato (perciò in certi casi proibivano il gioco, il ballo ecc), e spesso tracciavano una demarcazione rigida tra i “fedeli” (gli eletti) e il resto della popolazione: anche per superare questa separazione i coloni ‘comuni’ (immigrati in tempi successivi, o legati ai proprietari da vincoli di servitù) chiederanno ben presto proprie rappresentanze, dando vita alle prime assemblee coloniali.

 

Le colonie prima della Rivoluzione: alcuni cenni storici.

Le colonie vivono nel Settecento una spettacolare crescita demografica ed economica: è un dato da tenere sempre presente, perché altrimenti non riusciamo a spiegare la “maturità” e la vivacità del dibattito prima e durante la rivoluzione. Per capirne le forme occorre tener presente la distinzione tra le colonie, diverse dal punto di vista sociale, economico e culturale. Ecco alcuni dati significativi:

popolazione :

  • dal 1715 al 1776 la popolazione passa da 400.000 a 2.500.000, con una grande ondata di immigrazione soprattutto di irlandesi, scozzesi e tedeschi. Il carattere poliglotta è il carattere fondamentale del popolo americano. Per un confronto, ricordiamo che nel periodo 1700-1760 l'Inghilterra e il Galles aumentano la loro popolazione del 23%, mentre l'aumento americano è del 600 % ! La popolazione americana sarà di 5.000.000 alla fine del XVIII secolo.
  • ma gli abitanti sono distribuiti diversamente: al Sud vivono a metà secolo solo 250.000 persone > Boston , la città più popolata, contava a metà secolo circa 22.000 abitanti : ma al Sud la città più popolosa (Charleston) ne aveva 10.000.
  • le ondate migratorie settecentesche sono essenziali per capire la Rivoluzione: esse portano gruppi sociali, come gli scoto-irlandesi, che hanno già patito le decisioni del Parlamento inglese, carichi perciò di rancore verso il governo inglese. Ma anche altri gruppi di immigrati scelgono l’America perché insofferenti per le condizioni del loro paese di origine: si forma perciò una mentalità comune di insofferenza per la tradizione e di aspettativa di ‘riscatto’ sul piano personale e collettivo.

 

economia:

  • l’avvio dell’attività industriale, specie metallurgica, aveva potuto contare sulle enormi foreste, che fornivano il carbone di legna necessario al produrre la ghisa: le foreste, abitate dagli Indiani, erano state occupate dai coloni sulla base del principio che gli indigeni non avevano saputo sfruttarle
  • anche la cantieristica poteva contare su questa riserva naturale: il larice e la quercia per lo scafo e il pino bianco per gli alberi delle navi
  • a metà Settecento i cantieri del Massachusetts producevano 140 navi l’anno, di cui 1/3 venduto alla madrepatria, con disappunto dei costruttori inglesi di navi
  • altra produzione importante : il rum, di cui il Mass. produceva 7 milioni di litri l’anno, anche questo venduto in gran parte in Inghilterra
  • NB = quello della concorrenza è perciò un primo punto di scontro, precedente e indipendente dalla questione fiscale.

 


società:

  • gran parte della popolazione del '700 è definibile come ceto medio, e manca la nobiltà: anche il peso sociale e politico delle classi medie è perciò assai più rilevante che in Europa, anche perché rappresentavano aspirazioni e ideali largamente condivisi.
  • una delle correnti di fondo della storiografia è infatti la consensus history, secondo la quale la storia americana è caratterizzata non dal conflitto tra i gruppi sociali, ma dalla loro collaborazione. Nonostante la violenza, il settarismo, il problema degli schiavi, le rivolte, le guerre contro gli indiani, questi storici propongono una visione del Settecento come un mondo solido, dominato dalle aspettative e dalle idee della borghesia, una società produttiva, pluralista, tollerante.
  • ma altri storici mettono invece l’accento sulla crescente ineguaglianza economica e sociale, respingendo il mito di un'America felice e prospera, di cui la Rivoluzione sarebbe l'apoteosi.

 

L'espansione demografica comportò una vera fame di terre che spinse i coloni ad Ovest, in una espansione ha ebbe da allora in poi una progressione geometrica: 50 anni per giungere agli Allegani, e altri 50 per arrivare al ben più lontano Mississippi, fino alla celebre spedizione di Lewis e Clark nei primi anni dell’Ottocento che arriva alla costa pacifica via terra aprendo la pista alla colonizzazione dell’Ovest.

Il grande flusso immigratorio del '700, formato in gran parte da pietisti germanici, da ribelli scoto-irlandesi, e da servi a contratto decisi a svincolarsi da questo una volta in America, aveva radicato l'idea che ogni autorità che fosse diventata intollerabile doveva essere sconfessata. La presenza dello sterminato retroterra aveva permesso che la ribellione prendesse la forma dell'emigrazione, anziché di una rivoluzione, ma, comunque, sottomissione e conformismo non erano state mai considerate virtù sociali, come in Europa.
Di fronte a queste diversità, allo scoppio della Rivoluzione americana, l'opinione pubblica europea era convinta dell’impossibilità di uno stato unitario in America: era viva la lezione di Montesquieu, che aveva affermato che le "nazioni-continente" erano per loro natura portate al dispotismo, come mostravano gli imperi asiatici. Si riteneva che dalla rivoluzione sarebbero emerse almeno tre nazioni, corrispondenti ai tre blocchi territoriali e culturali delle colonie inglesi:

  • un Sud basato sulle piantagioni, sul lavoro degli schiavi, sulla monocoltura, colonizzato a suo tempo dai cavalieri fuggiti all'epoca di Cromwell, portatori di una cultura nobiliare e feudale;
  • un Nord (il New England) caratterizzato dalla proprietà individuale, dalla piccola comunità contadina, dalla chiesa come fulcro ideologico della vita sociale, dallo spirito comunitario, da un'alta partecipazione politica e democratica.
  • un Centro formato dalle colonie che costituivano una "cerniera" tra Nord e Sud: nello stato di New York persistevano le grandi estensioni delle famiglie olandesi del primo insediamento, che mantenevano caratteri semi-feudali che le avvicinavano alle società del Sud.

  

Relazioni e contrasti con la madrepatria.

   Dal punto di vista economico e commerciale, invece, ossia l'aspetto cui l'Inghilterra guardava con maggiore interesse, il governo inglese attuò precoci tentativi di chiusura del commercio con le colonie alle altre potenze europee. Allo scopo furono emanati vari provvedimenti, i Navigation Acts (il primo di Cromwell nel 1651, diretto contro la concorrenza olandese), che prevedevano:
1) tutto il commercio con le colonie doveva svolgersi attraverso navi di proprietà e di equipaggio inglesi;
2) nessuna nave straniera doveva essere ammessa nei porti delle colonie;
3) tutte le merci dirette alle colonie dovevano giungere in un porto inglese per essere trasbordate su navi inglesi;
4) le merci coloniali dirette all'esportazione dovevano essere spedite a un porto inglese per essere poi smistate alla destinazione finale.

   Con il tempo il Parlamento inglese emanò anche misure dirette al controllo della produzione manifatturiera coloniale: nel 1696 proibì l'esportazione dalle colonie di lana grezza e di prodotti lanieri, in seguito vietò la costruzione di laminatoi e fornaci per la lavorazione del ferro, mentre le costruzioni navali per l'Inghilterra furono incentivate. Nel 1733 si proibì l'importazione di cappelli fabbricati nelle colonie, e i cappellai delle colonie non potevano assumere più di due apprendisti.  
Quando la lotta si fece più aspra, Lord Chatham giunse ad affermare: "se l'America ha deciso di fabbricare un ferro di cavallo o un chiodo io le muoverò contro tutta la potenza d'Inghilterra". Cosa che poi avvenne.

Il controllo inglese si estendeva poi alla legislazione delle assemblee coloniale: ogni provvedimento doveva infatti avere l’approvazione del re, che deteneva però la prerogativa di revoca delle leggi coloniali, in genere dietro segnalazione del governatore. Il re fungeva in tal modo da arbitro nelle divergenze tra governatori e assemblee: un potere, come dirà Burke, che fino alla metà del '700 fu usato con "saggia e salutare negligenza". Questa astensione dall'interferenza diede così luogo ad una situazione che Burke definirà nel 1774, a posteriori, "condizione di servitù commerciale e di libertà civile".
Ciò serve a spiegare le ragioni dell’accettazione, pur tra proteste, dei provvedimenti sopra considerati: prima della guerra dei Sette anni prevale la consapevolezza di essere parte di un unico organismo imperiale che apportava anche vantaggi considerevoli: protezione militare, partecipazione se pure regolata al traffico atlantico, utilizzo di risorse regie (funzionari, giudici) a scopi locali.  

Tutto ciò muta dopo la guerra dei Sette Anni fra Inghilterra e Francia: dopo la pace del 1763 Londra assume il controllo di numerose colonie francesi in territorio americano, tra cui il Canada. Il sistema coloniale inglese assume le caratteristiche di un autentico impero continentale, che occorre ora riorganizzare in forme più solide, rinsaldando i legami tra colonie e  madrepatria.
Inoltre, gli enormi costi di una guerra condotta dagli inglesi per ‘difendere’ i loro coloni, spinge il Parlamento ad una serie di misure per compensare le spese attraverso un gettito derivante dai traffici atlantici e dalle colonie.
Anche la concorrenza delle colonie è ora messa sotto accusa: gli inglesi affermavano che le colonie dovevano allo sforzo militare inglese il fatto di non essere passate sotto la Francia: dunque, come si poteva tollerare che ora l’economia coloniale minacciasse quella inglese ?
Ma sull’altra sponda dell’oceano, i coloni maturano interpretazioni diverse dello scontro dei Sette anni. In primo luogo, se prima di allora le esigenze di difesa verso Indiani e le colonie francesi aveva fatto loro accettare il controllo inglese, ora, cessata la minaccia francese, queste ragioni venivano meno. Inoltre, le vittorie dei reparti coloniali in quella guerra aveva convinto gli americani delle loro potenzialità militari e anche delle loro capacità di auto-organizzazione. Ricordiamo che l’ipotesi di una unione coloniale permanente era stata proposta da  Franklin al Congresso di Albany del 1754: anche se non fu approvata, il seme era gettato, e l'ipotesi dell'unione iniziò ad essere argomento fondamentale del dibattito americano.
In sostanza, l'interdipendenza economica all'interno del sistema coloniale inglese non parve più un compenso sufficiente alle limitazioni imposte dalla politica mercantilistica di Londra: le stesse norme che avevano fino ad allora protetto le colonie parevano ora impedirne l'ulteriore espansione.

Un ulteriore motivo di contrasto fu il provvedimento con cui gli inglesi, nel 1763, avevano proibito ulteriori espansioni a Ovest dei coloni, con la ragione di volere proteggere gli indiani, ma anche per fermare la corsa ad Ovest, avviatasi in forme autonome e libere, e che Londra voleva invece controllare direttamente. Il provvedimento non frenò la migrazione verso i grandi spazi dell’Ovest, ma spinse alcune tribù indiane ad allearsi con la Corona: ciò non fece che accrescere l’attrito fra i coloni e gli inglesi.

Il mito del progresso americano: la libertà accompagna i coloni verso Ovest

 

L’avvio della rivoluzione

Le prime proteste organizzate furono quelle contro i provvedimenti doganali che la Gran Bretagna emanò all’indomani della pace del 1763. Si avviò allora una sorta di escalation: nel 1764 lo Sugar Act, nel 1765 lo Stamp Act, seguito sempre nel 1765 da un provvedimento che imponeva l'alloggiamento dei soldati inglesi nelle case private, a spese dei coloni. L'anno dopo si introdussero alcuni dazi su altri generi di importazione, e nel 1773 fu emanato il Tea Act, che segnò il vero punto di non ritorno nel conflitto con la madrepatria.
Tra questi provvedimenti, fu senza dubbio lo Stamp Act a fungere da catalizzatore della protesta, che proprio allora assunse forme organizzate unitarie e originali:

  • i Sons of Liberty, comitati informali per coordinare le iniziative nelle colonie
  • i Comitati di corrispondenza che attraverso l’invio di lettere circolari informavano sulle iniziative, le proposte, ecc., e raccoglievano le voci della protesta locale
  • lo Stamp Act Congress (ottobre ’64), prima assemblea delle colonie riunite per organizzare la protesta e negoziare con Londra

 
Fondamentale fu il richiamo al principio del “no taxation without representation”, con il quale i coloni richiamavano il principio della necessità del consenso alla tassazione. I coloni distinguevano tra imposte esterne, dirette a regolare il commercio imperiale e che il Parlamento inglese aveva perciò il diritto di stabilire, e imposte interne, che gravavano sulla vita interna, come appunto l’imposta di bollo: in questo caso era necessario il consenso alla tassazione da parte dei rappresentanti dei coloni, ossia delle assemblee coloniali.  La distinzione fu respinta dal Parlamento, anche se lo Stamp Act fu revocato: il parlamento ribadiva comunque la sua prerogativa di tassare le colonie.
Decisivo fu l’episodio del Tea Party a Boston, nel 16 dicembre 1773, quando un gruppo di coloni travestiti da indiani gettò a mare il carico di tè di una nave della Compagnia delle Indie Orientali. L’Inghilterra reagì imponendo il risarcimento dei danni, la chiusura del porto, l’accentramento di tutti i poteri nei  funzionari inglesi, e altri provvedimenti lesivi dell’autonomia coloniale, che gli americana indicarono come Intolerable Acts. Fu allora che Jefferson dichiarò che i coloni non erano più vincolati alle decisioni inglesi, perché non rappresentati al Parlamento, e che l'unica rappresentanza politica dei coloni erano le loro assemblee.
Con ciò gli americani andarono elaborando un'immagine federativa dell'impero, qualcosa di simile al commonwealth del nostro secolo: un insieme di società inglesi sparse per il mondo, ciascuna con la propria rappresentanza politica autonoma, e unite dal vincolo di fedeltà al re.   Di fronte al rifiuto inglese verso questa ipotesi gli americani abbandonarono le motivazioni giuridiche in favore dell'appello ai diritti naturali e al contratto sociale, che saranno poi al centro della Dichiarazione d'Indipendenza votata dal Secondo Congresso il 4 luglio 1776.

 

La Dichiarazione di indipendenza

>> esercitazione : lettura e commento vostro della Dichiarazione (sezione: Documenti), con particolare attenzione al linguaggio e alla successione logica dei principi affermati

La nascita di un nuovo stato

La guerra esula dal nostro tema: ricordo solo che la debolezza dell'esercito coloniale fu compensata dai tanti errori tattici degli ufficiali inglesi, poco esperti del territorio americano, dalle forti motivazione dei coloni, dall’aiuto di Francia, Spagna e Provice Unite, dall'abilità del suo capo, George Washington.

 Il trattato di Versailles del 1783 sancì l'indipendenza degli Stati Uniti: così le 13 colonie si erano chiamate nella loro prima costituzione provvisoria, gli Articoli di Confederazione entrati in vigore nel 1781 (vedere meglio nella lezione sulla costituzione).
Ogni colonia si era già proclamata ‘stato autonomo’ durante la rivoluzione, trasformando la  proprio assemblea coloniale in un vero parlamento.
Ogni stato si era poi dato una costituzione. Non esiste un modello unico di costituzione, ma i tratti comuni più ricorrenti furono:

  • la superiorità del legislativo affidato a un parlamento unicamerale
  • una riduzione del ruolo politico dei governatori, espressi dal partito dominante nelle assemblee
  • un riequilibrio della rappresentanza a favore delle zone di frontiera

   Il modello più radicale fu quello della Pennsylvania, che concentrava il potere in un legislativo unicamerale eletto anno per anno da tutti i contribuenti, senza particolari requisiti di proprietà, e che affidava l'esecutivo ad un consiglio di 12 deputati eletti direttamente dal popolo per tre anni, con poteri di sola amministrazione. Esisteva inoltre un Consiglio dei Censori, in carica per sette anni, che doveva indagare sui funzionari pubblici e su ogni atto legislativo o amministrativo sospettato di incostituzionalità.
Al polo opposto, la costituzione del Sud Carolina, colonia dominata dalle grandi piantagioni, in cui i grandi proprietari riuscirono a conservare intatto il loro potere: il diritto di voto fu ristretto ai proprietari di almeno 100 acri di terreno, mentre solo chi possedeva 500 acri e almeno 10 schiavi poteva essere eletto. Dopo soli due anni però, la spinta popolare riuscì a modificare la costituzione in senso più democratico, abbassando i requisiti per l'elettorato attivo e passivo, rendendo eleggibile direttamente anche la Camera alta, e sopprimendo il diritto di veto del Presidente.

 

 

BIBLIOGRAFIA :
AA.VV., La rivoluzione americana, a cura di T. BONAZZI, Bologna 1986.
A. AQUARONE, Due costituenti settecentesche, Pisa 1959.
B. BAILYN - G.S. WOOD, Le origini degli Stati Uniti, Il Mulino 1987.
Il Federalista, a cura di G. NEGRI e M. D'ADDIO, Pisa 1955 (anche altre edizioni).
M. FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, I, Le libertà: presupposti culturali e modelli storici, Torino, Giappichelli, 1991.
N. MATTEUCCI, La Rivoluzione americana: una rivoluzione costituzionale, Bologna, Il Mulino.
C.H. McILWAIN, La rivoluzione americana: un'interpretazione costituzionale, Il Mulino, Bologna, 1965.
R. PALMER, L'era delle rivoluzioni democratiche, Milano, Rizzoli.
E. TORTAROLO, Rivoluzione americana e cospirazione inglese. Alcune interpretazioni europee, in "Rivista storica italiana", 1983, I, pp. 102-134.

NB= molti documenti e testi in www.homolaicus.com/storia

 

Fonte: http://www.sp.units.it/Docenti%20Materiali/FRIGO/LEZIONI%202010-11/9.%20La%20nascita%20degli%20USA.doc

 

Le tredici colonie americane

 

Con “Guerra d’Indipendenza americana” si intende il conflitto che si scatenò tra le tredici colonie britanniche in Nordamerica e la madrepatria, fra il 1776 e il 1783, terminato con la costituzione di una nazione indipendente, gli Stati Uniti d’America.
Nel corso del 1600 nella zona compresa tra i Grandi laghi e la Florida si erano formate dodici colonie inglesi, che con l’unione della Georgia salirono a tredici. Le tredici colonie non rappresentavano un meccanismo unitario, ma erano sempre pronte alla lite e alla zuffa. Da sempre avevano come nemici esterni i Francesi e i Pellirossa, ed erano convinte che senza il legame con l’Inghilterra sarebbero state travolte. Le colonie inglesi ebbero una rapida crescita della popolazione per l’afflusso continuo di immigrati dalle isole britanniche. Le maggiori città erano Filadelfia, New York ( fondata dagli olandesi con il nome di New Amsterdam) e Boston. L’organizzazione politica era in mano ad un governatore il cui potere era  controbilanciato dalle assemblee rappresentative elette dai coloni. A causa delle differenze religiose ed economiche, queste colonie si possono dividere in tre gruppi:

  • quattro colonie del nord (Massachussets, Connecticut, New Hampshire e Rode Island), che formavano la regione del New England, a causa della maggioranza di popolazione inglese. Qui era forte la tradizione puritana ( molti coloni erano arrivati nel 1600, durante la persecuzione da parte della dinastia cattolica degli Stuart ). Prevalevano piccole fattorie familiari, che si dedicavano principalmente alla produzione di legname, resina e canapa e quindi alla costruzione delle navi, che erano utilizzate per la pesca, un’altra voce importante della loro economia.
  • quattro colonie del centro (New York, New Jersey, Pennsylvania e Delaware ), che possedevano i porti più importanti ed erano abitate da gente d’origine diversa: inglesi, olandesi, irlandesi e scozzesi. L’attività prevalente era l’agricoltura, seguita dalla caccia di animali da pelliccia nelle zone montuose più interne. La tolleranza religiosa era massima e nelle colonie centrali si trovavano protestanti di chiese diverse.
  • cinque colonie del sud ( Virginia, Carolina del nord, Carolina del sud, Georgia e Maryland ), che fondavano la loro economia sulle grandi piantagioni di tabacco, indaco e riso ( il cotone fu introdotto in seguito ). Qui dominava un’aristocrazia terriera di origine inglese e di confessione anglicana, formata da un esiguo gruppo di grandi proprietari, i piantatori, mentre i campi venivano coltivati da schiavi.

Le cause della guerra

Alla fine della guerra dei sette anni (1756-1763)  contro la Francia, l’Inghilterra si ritrovò a dover sostenere enormi spese di guerra. Allo scopo di far contribuire alle spese dell’Impero anche i coloni, il Parlamento inglese nel 1765 impose una tassa di bollo su tutti i documenti legali stampati in terra americana, chiamata Stamp Act. Poiché normalmente erano le assemblee locali ad emanare leggi fiscali, la tale legge venne percepita come una limitazione al loro autogoverno, quindi i delegati di nove colonie si riunirono a New York per far conoscere alla madrepatria le proprie lamentele. Il Parlamento fu costretto ad abolire la tassa così impopolare che in America i mercanti inglesi venivano cosparsi di catrame e piume e costretti ad ingoiare del tè, pena riservata ai ladri. La cancellazione dell’imposta non risolse in alcun modo i problemi perché la Corona britannica ben presto dovette imporre nuove tasse sull’importazione di vetro, piombo, vernici, carta e tè, inviando nel contempo delle truppe in America per imporre ai coloni l’osservanza della legge. Le tensioni tra coloni e madrepatria si acuirono sempre di più e sfociarono nel 1770 con il “Massacro di Boston”, quando dei militari inglesi uccisero cinque coloni perché provocati dalla folla. Si scatenò allora una nuova ondata di protesta che costrinse Londra a revocare la tassa sul tè. Ma tre anni dopo, quando il Parlamento inglese affidò il monopolio della vendita del tè in America alla Compagnia delle Indie Orientali, alcuni coloni travestiti da pellirossa salirono sulle navi ancorate nel porto di Boston e rovesciarono il carico di tè in mare, episodio noto come Tea Party of Boston. Il re d’Inghilterra Giorgio III ordinò allora la chiusura del porto di Boston fino a quando il tè non fosse stato risarcito. Per il Massachussets questo significò la perdita di ogni autonomia e allora le altre colonie corsero in aiuto della città di Boston. I rappresentanti di tutte le colonie si riunirono a Filadelfia nel settembre del 1774 per stabilire una azione comune da intraprendere per definire i diritti delle Terre d’America. Si inasprirono i conflitti. Nell’Aprile del 1775 il governatore inglese inviò un reggimento a requisire un deposito d’armi nei pressi di Boston, ma i coloni intercettarono le truppe inglesi che furono costrette a ritirarsi nella città, che fu messa sotto assedio dai ribelli. Allora gli inglesi inviarono un contingente di tremila soldati, gran parte dei quali erano mercenari tedeschi, ad attaccare le alture di Bunker’s Hill e di Breed’s Hill, dove un numero esiguo di coloni riuscì a respingerlo per ben due volte prima di essere sconfitto. Questi sviluppi determinarono, da parte dei coloni la costituzione di un esercito che venne posto sotto il comando di George Washington. I delegati riaffermarono la loro lealtà al re chiedendogli però di ritirare le truppe. Senza prendere in nessuna considerazione le richieste dei coloni il Re Giorgio III dichiarò guerra ai ribelli. In risposta alle decisioni inglesi il Congresso continentale emanò la Dichiarazione d’Indipendenza (4 luglio 1776 ), con la quale le colonie si costituivano in stati liberi e indipendenti, impegnandosi a respingere l’invasione di quella che era ormai considerata una potenza straniera. La guerra ebbe una svolta nel 1779 con l’entrata in guerra a fianco dei coloni della Spagna e soprattutto della Francia. La partecipazione dei francesi alla Guerra d’Indipendenza Americana ebbe un effetto inatteso: essi nelle colonie americane scoprirono infatti un mondo nuovo, pieno di gente colta ed entusiasta, che conosceva a fondo Voltaire e Rousseau, ma anche Newton e le macchine a vapore di Watt e che per la prima volta applicava l’Illuminismo e combatteva in nome dell’uguaglianza. Il trattato di Parigi del 1783 segnò la fine delle ostilità e la Gran Bretagna riconobbe l’indipendenza delle ex colonie. Nel 1787 a Filadelfia le colonie si riunirono in un’unica confederazione con la promulgazione della Costituzione degli Stati Uniti d’America, che costituiva una repubblica presidenziale e democratica. Il primo presidente fu George Washington.

 

fonte: http://eugen.altervista.org/cartella/La_rivoluzione_americana.doc

 

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