Rivoluzione cubana

 


 

Rivoluzione cubana

 

La crisi di Cuba :

All’inizio del 1959, un movimento rivoluzionario guidato da Fidel Castro ed Ernesto “Che” Guevara, poneva fine alla dittatura di Fulgenico Batista, sostenuta dagli americani.
Il progetto di Castro si proponeva una politica di riforme di stampo popolare ma le ostilità dimostrate dagli USA nei confronti della rivoluzione, spinsero Cuba a stringere rapporti sempre più stretti con la lontana Russia.
Il I dicembre ’61 Cuba si dichiarò repubblica democratica socialista.
La Russia diventò il principale partner economico di Cuba e tutte le imprese dell’isola vennero nazionalizzate.
All’inizio del suo incarico, il presidente americano Kennedy tentò di soffocare il regime socialista cubano sia boicottandolo economicamente ( l’embargo contro Cuba è ancora in vigore )sia appoggiando i gruppi di esuli anti-castristi che tentarono nel 1961 di sbarcare nella “baia dei porci” per raggiungere l’Avana e rovesciare il regime castrista.
L’azione però fallì miseramente soprattutto grazie al mancato appoggio del popolo agli anti-rivoluzionari.
Nella tensione così creatasi, si inserì l’Urss che non solo offrì ai cubani assistenza economica e militare, ma iniziò l’installazione sull’isola di basi per il lancio di missili nucleari. Gli USA scoprirono ciò solo nel ’62 e Kennedy ordinò subito un blocco navale attorno a Cuba per impedire che navi russe raggiungessero l’isola.
Per sei terribili giorni ( 16-21 ottobre )il mondo fu nuovamente vicino ad un conflitto atomico ma alla fine il primo ministro russo Krusciov cedette e si accordò con Kennedy per il ritiro dei missili in cambio dell’impegno americano a non invadere l’isola.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: http://www.iisalessandrini.it/progetti/studenti/ariva/file/testo/storia/CUBA.doc

 

Rivoluzione cubana

 


un film di
Steven Soderbergh

 

 

CHE – L’Argentino, uscita 10 aprile
e
CHE – Guerriglia, uscita 1 maggio

 

 

 

 

Via Marianna Dionigi 57
00193 ROMA
Tel. 06-3231057 Fax 06-3211984
www.bimfilm.com

 

 

 

Paese di origine: USA / Francia / Spagna
Anno di produzione: 2008
Durata del film: Che – L’Argentino - 131min • Che - Guerriglia - 132min
Rapporto: 1.85
Suono: Dolby 5.1
Produzione: Laura Bickford Productions / Morena Films

Wild Bunch e Telecinco presentano una Produzione Laura Bickford/Morena Films

 

 

“Sono stato attratto dal Che come soggetto di un film (o due) non soltanto perché la sua vita stessa è un’avventura, ma perché mi affascinano le sfide pratiche legate alla realizzazione su vasta scala di un’idea politica. Volevo sottolineare le doti fisiche e psicologiche necessarie per affrontare due campagne come queste, e raccontare il processo attraverso il quale un uomo nato con una volontà di ferro, scopre la sua capacità di ispirare e guidare gli altri.”
STEVEN SODERBERGH


 

CHE– L’ARGENTINO

IL CAST

BENICIO DEL TORO (CHE)
SIN CITY (2005), 21 GRAMMI – IL PESO DELL’ANIMA (2003), TRAFFIC (2000), BASQUIAT (1996), I SOLITI SOSPETTI (1995)

DEMIÁN BICHIR (FIDEL CASTRO)
NESSUNA NOTIZIA DA DIO (2001), SEXO, PUDOR Y LÁGRIMAS (1999), PERDITA DURANGO (1997)

SANTIAGO CABRERA (CAMILLO CIENFUEGOS)
HEROES (TV, 2006-2007), VIVERE UN SOGNO (2007)

ELVIRA MÍNGUEZ (CELIA SANCHEZ)
GRIMM (2003), THE RECKONING (2003), DANZA DI SANGUE - DANCER UPSTAIRS (2002)

JORGE PERUGORRÍA (JOAQUIN)
REINAS – IL MATRIMONIO CHE MANCAVA (2005), FRAGOLA E CIOCCOLATO (1994)

EDGAR RAMIREZ (CIRO REDONDO)
PROSPETTIVE DI UN DELITTO (2008), THE BOURNE ULTIMATUM – IL RITORNO DELLO SCIACALLO(2007), DOMINO (2005)

VICTOR RASUK (ROGELIO ACEVEDO)
ADRIFT IN MANHATTAN (2007), EMIL (2006), BONNEVILLE (2006), LORDS OF DOGTOWN (2005), RAISING VICTOR VARGAS (2002)

ARMANDO RIESCO (BENIGNO)

CATALINA SANDINO MORENO (ALEIDA GUEVARA)
L’AMORE AI TEMPI DEL COLERA (2007), L’AMORE GIOVANE (2006), FAST FOOD
NATION (2006), PARIS, JE T'AIME (2006), MARIA FULL OF GRACE (2004)
Premi per MARIA FULL OF GRACE:
CANDIDATA ALL’OSCAR, MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA, 2005
CANDIDATA ALLO SCREEN ACTORS GUILD AWARD, MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA, 2005
PREMIO INDEPENDENT SPIRIT AWARD, MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA, 2004
PREMIO DEL PUBBLICO, SUNDANCE FILM FESTIVAL, 2004
ORSO D’ARGENTO, MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA, BERLINALE 2004

RODRIGO SANTORO (RAUL CASTRO)
LOST (TV, 2006-2007) 300 (2006), SCARFACE: THE WORLD IS YOURS (2006), LOVE ACTUALLY (2003), CHARLIE'S ANGELS: PIU’ CHE MAI (2003)

UNAX UGALDE (PICCOLO COWBOY)
L’AMORE AI TEMPI DEL COLERA (2007), SAVAGE GRACE (2007), L’ULTIMO INQUISITORE (2006), IL DESTINO DI UN GUERRIERO - ALATRISTE (2006), ROSARIO TIJERAS (2005), REINAS – IL MATRIMONIO CHE MANCAVA (2005)

YUL VÁZQUEZ (ALEJANDRO RAMIREZ)
AMERICAN GANGSTER (2007), MUSIC WITHIN (2007), LA GUERRA DEI MONDI (2005),
BAD BOYS II (2003), I  SOPRANO (TV, 2002), TRAFFIC (2000), SE SCAPPI… TI SPOSO (1999), FRESH (1994), I RE DEL MAMBO (1992)


IL CAST TECNICO

REGIA STEVEN SODERBERGH

PRODUTTORE LAURA BICKFORD

PRODUTTORE BENICIO DEL TORO

PRODUTTORI ESECUTIVI:
                ÁLVARO AUGUSTÍN - Telecinco
IL LABIRINTO DEL FAUNO (2006), EL ORFANATO (2007)
                BELÉN ATIENZA - Telecinco
                FREDERIC W. BROST
                GREGORY JACOBS
                ALVARO LONGORIA - Morena Films

SCENEGGIATURA PETER BUCHMAN
ERAGON (2006), ALEXANDER (2004), JURASSIC PARK III (2001)
tratta da DIARIO DELLA RIVOLUZIONE CUBANA
di Ernesto Che Guevara

DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA PETER ANDREWS

SCENOGRAFIA ANTXÓN GÓMEZ
SALVADOR – 26 ANNI CONTRO (2006), LA MALA EDUCACIÓN (2004), PARLA CON LEI (2002), TUTTO SU MIA MADRE (1999)

COSTUMI BINA DAIGELER
VOLVER (2006), PRINCESAS (2005), FRÁGIL (2004), IMMAGINI (2003),
GRIMM (2003), DESEO (2002), DANZA DI SANGUE - DANCER UPSTAIRS (2002),
NOVIOS (1999), TUTTO SU MIA MADRE(1999)

MUSICA ALBERTO IGLESIAS
IL CACCIATORE DI AQUILONI (2007), VOLVER (2006), THE CONSTANT GARDENER – LA COSPIRAZIONE (2005), LA MALA EDUCACIÓN (2004), COMANDANTE (2003), PARLA CON LEI (2002), DANZA DI SANGUE -DANCER UPSTAIRS (2002), LUCÍA Y EL SEXO (2001), TUTTO SU MIA MADRE (1999), GLI AMANTI DEL CIRCOLO POLARE (1998), L’IMMAGINE DEL DESIDERIO (1997), CARNE TRÉMULA (1997), TIERRA (1996),
IL FIORE DEL MIO SEGRETO (1995)
Selezione di premi:
2008 – CANDIDATO ALL’OSCAR, MIGLIORE COLONNA SONORA ORIGINALE, IL CACCIATORE DI AQUILONI
2008 - CANDIDATO AL GOLDEB GLOBE, MIGLIORE COLONNA SONORA, IL CACCIATORE DI AQUILONI
2007 - CANDIDATO ALL’OSCAR, MIGLIORE COLONA SONORA ORIGINALE, THE CONSTANT GARDENER
2006 - PRIX FRANCE MUSIQUE, FESTIVAL DI CANNES, THE CONSTANT GARDENER
2006 - EUROPEAN FILM AWARD, MIGLIORE COLONNA SONORA, VOLVER
2004 - EUROPEAN FILM AWARD, MIGLIORE COLONNA SONORA, LA MALA EDUCACION
2002 - PREMIO ROTA, MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA, DANZA DI SANGUE – DANCER UPSTAIRS


CHE – L’ARGENTINO
SINOSSI

26 novembre del 1956 Fidel Castro salpa per Cuba con 80 ribelli. Uno di quei ribelli è Ernesto “Che” Guevara, un medico argentino che condivide il sogno di Fidel - rovesciare la dittatura corrotta di Fulgencio Batista.

Il Che si rivela indispensabile come combattente e impara presto l’arte della guerra di guerriglia, diventando il beniamino dei suoi compagni e del popolo cubano.
Che – L’Argentino racconta l’ascesa del Che nella rivoluzione cubana, da medico a comandante, a eroe rivoluzionario.

IL CONTESTO STORICO

Nel 1952, il Generale Fulgencio Batista architetta un colpo di stato a Cuba, assume il controllo della presidenza e sospende le libere elezioni. Nonostante la sua dittatura corrotta sia sostenuta da un esercito di quarantamila uomini, un giovane avvocato di nome Fidel Castro incita il popolo alla ribellione attaccando la base militare Moncada, il 26 luglio del 1953. L’attacco fallisce e Castro trascorre due anni in prigione prima di venire esiliato in Messico.

Nel frattempo, un giovane idealista argentino di nome Ernesto Guevara ha cominciato a fare attività politica in Guatemala. Nel 1954, quando il governo di Jacobo Árbenz, liberamente eletto, viene rovesciato nel corso di un’operazione militare organizzata dalla CIA, Guevara fugge in Messico dove, grazie ad alcuni contatti presi in Guatemala, raggiunge un gruppo di esiliati cubani.

Il 13 luglio 1955 segna un evento privato ma determinante nella storia della rivoluzione cubana: in un modesto appartamento di Città del Messico, Guevara viene presentato al fratello minore di Fidel, Raul. Guevara si arruola immediatamente in una operazione di guerriglia per rovesciare il dittatore cubano. I cubani ribattezzano il giovane ribelle “Che”, un appellativo molto popolare in Argentina.

Il 26 novembre 1956, Fidel Castro salpa per Cuba con 80 ribelli – solo 12 di loro sopravviveranno. Uno di loro è il Che, che si è unito al gruppo come medico di bordo.
Il Che impara presto l’arte della guerra di guerriglia e si rivela indispensabile come combattente, diventando il beniamino dei suoi compagni e del popolo cubano.

Che – L’Argentino racconta l’ascesa del Che nella rivoluzione cubana, da medico a comandante, a eroe rivoluzionario.


A PROPOSITO DEL FILM

“A quarant’anni dalla sua morte, sono molte le ragioni per cui il Che resta un simbolo di grande forza ancora oggi” - spiega Laura Bickford, una delle produttrici del film di Steven Soderbergh Che – L’Argentino. “Incarna l’immagine della ribellione giovanile e dell’idealismo – due cose che, secondo me, non hanno età, sono eterne. Non ci interessa l’attuale politica cubana. Siamo cineasti e vogliamo solo fare un film su un particolare periodo storico visto attraverso gli occhi del Che.”

“Abbiamo parlato con i protagonisti di tutte le parti coinvolte e condensato i risultati delle nostre ricerche nella sceneggiatura. Non riusciremo mai ad accontentare tutti – è impossibile ricostruire con esattezza ogni dettaglio. Ci abbiamo messo tre anni per documentarci sulle vicende che sono diventate Che – Guerriglia. All’inizio, volevamo raccontare in modo dettagliato una sola parte della vita del Che. Ma poi abbiamo scoperto che senza realizzare anche Che – Guerriglia non saremmo riusciti a spiegare il contesto in cui era nata la decisione del Che di andare in Bolivia.”

“Quando abbiamo deciso di aggiungere le parti su Cuba e New York, e ci siamo messi a lavorare sulla struttura del film, il progetto ha cominciato ad allargarsi sempre di più. A quel punto, ci siamo resi conto che di film dovevamo farne due.”

“Quando Benicio ed io abbiamo iniziato a interessarci al Che e a incontrare diversi sceneggiatori, ci è stato fatto il nome di Peter Buchman, che aveva scritto ALEXANDER. Peter ha passato un anno a leggersi tutti i libri sull’argomento. Poi, però,  io ho dovuto mettermi a lavorare alla produzione di “TRAFFIC” e le nostre strade si sono divise per un paio d’anni. Quando siamo tornati a lavorare al progetto, Steven [Soderbergh] aveva già accettato di dirigere il film. E’ Steven che ha voluto includere anche Cuba e New York, oltre alla parte sulla Bolivia.”

“Una delle maggiori difficoltà che hanno incontrato Steven e Benicio nella sceneggiatura è stato mettere insieme tutte le informazioni e le storie che avevamo raccolto”, prosegue la Bickford. “Riuscire a condensarli e al tempo stesso a raccontare una storia avvincente è stato estremamente impegnativo.”

“Ce n’erano tanti di sceneggiatori pronti ad aiutare Steven a realizzare questo progetto, ma ci avrebbero messo almeno un anno per prepararsi e mettersi a scrivere. A quel punto, mi ha chiamato Peter per ricordarmi che lui aveva già fatto tutte le ricerche. Ho ringraziato il cielo! E’ stato eccezionale, ci ha dato un aiuto prezioso per costruire la struttura del film.”

 

Ricorda Buchman: “Circa cinque anni dopo aver finito le ricerche, ho chiamato Laura per dirle che se avevano bisogno di uno sceneggiatore pronto a sedersi con Steven in una stanza per mettere tutto nero su bianco, io sarei stato felice di farmi usare come cassa di risonanza. Questo accadeva due anni e mezzo fa. Sono volato a New York e ho incontrato lui e Benicio. Fondamentalmente, l’idea di realizzare solo il film sulla vicenda boliviana non mi convinceva perché pensavo che lo spettatore si sarebbe trovato di fronte al finale tragico di una storia di cui avrebbe voluto sapere di più - senza conoscere quello che era successo prima, era difficile farsi coinvolgere.”

“Sono tornato a casa e mi sono messo a scrivere un’unica sceneggiatura con tre diverse tracce narrative: la vita del Che e la rivoluzione cubana, la sua caduta e, tra le due, il viaggio a New York per il discorso alle Nazioni Unite.”

“Io cerco sempre di essere fedele alla realtà storica, ma so che quando devi raccontare una vicenda così complessa in un unico film, alla fine sei costretto – per ragioni di tempo - a distorcere quella realtà. In questo caso, però, tutti noi sapevamo di maneggiare materiale molto delicato, perché c’erano ancora moltissime persone pronte a difendere con passione la propria versione dei fatti.”

“Steven era convinto che un’unica sceneggiatura non avrebbe reso giustizia a ognuna delle tracce principali, e ha proposto l’idea dei due film. Poiché il palazzo delle Nazioni Unite stava per essere sottoposto a una radicale ristrutturazione, abbiamo girato subito le scene del Che che parla di fronte all’Assemblea Generale, nel 1964. Laura si è girata verso di me e mi ha chiesto: ‘Non è un momento da festeggiare?’ E io le ho risposto: ‘Festeggerei volentieri, se non dovessi correre a casa a scrivere due sceneggiature!’”

“Sono stato costretto a rivedere la struttura della parte cubana perché inizialmente ne avevo scritta una versione troppo condensata. Ho dovuto ripercorrere tutte le tappe della storia – un lavoro al quale hanno partecipato attivamente anche Steven, Benicio e Laura.”


SETTE ANNI DI LAVORO DI RICERCA

“Interpretare il Che è stata un’esperienza diversa da tutte le altre per me”,  dichiara il produttore e protagonista del film, Benicio Del Toro. “In questo caso, trattandosi di un personaggio realmente esistito, abbiamo dovuto partire dalla sua biografia e dagli scritti che aveva lasciato. Così, ci siamo imbarcati in sette anni di ricerche durante i quali abbiamo letto tutto quello che era stato scritto da lui e su di lui. Ma, essenzialmente, per interpretarlo ho cercato di basarmi soprattutto sulle cose scritte da lui.”

“In questi sette anni” aggiunge la Bickford, “siamo stati a Cuba, in Bolivia, a Parigi e a Miami: ovunque andassimo, trovavamo qualcuno che aveva qualcosa da raccontarci. Il bello di girare un film sulla rivoluzione cubana è che c’è ancora tanta gente che la rivoluzione l’ha vissuta in prima persona, da una parte o dall’altra della barricata. Se giri un film sulla rivoluzione americana, francese o messicana – non hai la stessa fortuna.”

“C’è molto materiale, molte foto. I ribelli hanno documentato con estrema cura la loro esperienza.”

“Pombo, Urbano e Benigno sono tre uomini che hanno incontrato il Che durante la rivoluzione cubana e lo hanno seguito in Bolivia, riuscendo a sopravvivere. Compaiono tutti e tre sia nella prima che nella seconda Parte del film. Li abbiamo intervistati singolarmente, oppure insieme, per farci raccontare i fatti di Cuba e Bolivia. Urbano è stato anche nostro consulente in Spagna. La loro presenza ha trasmesso a noi e agli attori un senso della realtà dei fatti assolutamente unico. La verità è che si potrebbe fare un film su ognuno di loro - ognuno ha la sua storia.”

“A loro, gli attori hanno chiesto informazioni molto specifiche, del tipo: come tenevano le pistole in quella situazione? Come si orientavano per spostarsi da un posto a un altro? Che tipo di formazione adottavano per procedere nella giungla? Insomma, informazioni tecniche molto specifiche. E questo ha dato una marcia in più al cast. Gli attori che interpretano questa parte della rivoluzione cubana e della vita del Che abbracciano l’intero spettro politico. In questo film è rappresentata ogni singola posizione politica sulla situazione cubana.”


LE RIPRESE

“Non credo che saremmo riusciti a girare questi due film, nonostante tutti i soldi che ci avevano dato, se non ci fosse stato lui [Soderbergh] a dirigerli. La velocità con cui abbiamo dovuto muoverci è stata ogni giorno una sfida impegnativa per gli attori e per la troupe” – dichiara la Bickford.

Fin dall’inizio Soderbergh aveva deciso di usare solo la luce naturale. E poiché la maggior parte delle scene si svolgono in esterni, alla fine è stata usata solo qualche lampada ogni tanto.

La produzione è riuscita a ottimizzare i tempi grazie all’uso di una nuova, innovativa cinepresa digitale, la RED. All’inizio, quando si sperava di poterla utilizzare, è arrivata la notizia che la camera non era ancora disponibile. “A quel punto, si è verificato un piccolo incidente provvidenziale”, ricorda la Bickford, “un ritardo nei nostri visti per la Spagna che ha bloccato me e Benicio a Los Angeles per una settimana. E proprio quella settimana l’azienda produttrice ha chiamato per dirci che il prototipo era pronto.”

La RED è una cinepresa digitale ad alte prestazioni che offre la qualità di una pellicola 35 mm e la convenienza del digitale puro. Il corpo è stato progettato per esaltarne la flessibilità e la funzionalità. Estremamente maneggevole, pesa solo 4 chili e mezzo.

“Girare con una RED è come ascoltare i Beatles per la prima volta”, dice Soderbergh. “La RED vede attraverso i miei occhi. Un giorno spero di scoprire come siano riusciti a creare uno strumento così tecnologicamente avanzato e al tempo stesso così compatto, così meravigliosamente conforme al più naturale dei fenomeni – la luce. Ma per ora sono solo contento di avere avuto la possibilità di usarla, perché ha reso unici questi due film.”


GLI AUTORI DEL FILM

 

Il regista STEVEN SODERBERGH ha vinto un Oscar per la Miglior Regia con il suo dramma corale “TRAFFIC” nel 2001, anno in cui era candidato nella stessa categoria anche per  il film “ERIN BROCKOVICH”, con Julia Roberts nel ruolo che le è valso l’Oscar per la Miglior Attrice Protagonista. In precedenza, Soderbergh era già stato candidato all’Oscar (Migliore Sceneggiatura Originale) per “SESSO, BUGIE E VIDEOTAPE”, il suo debutto nella regia cinematografica, con cui ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1989.

Che – L’Argentino  è il diciottesimo film di Soderbergh dopo “OCEAN’S THIRTEEN”, “INTRIGO A BERLINO”, “BUBBLE”, “OCEAN’S TWELVE”, “SOLARIS”, “FULL FRONTAL”, “OCEAN’S ELEVEN”, “L’INGLESE”, “OUT OF SIGHT”, “GRAY’S ANATOMY”, “SCHIZOPOLIS”, “TORBIDE OSSESSIONI”, “PICCOLO, GRANDE ARON” e “KAFKA” – solo per citarne alcuni.

Inoltre, Soderbergh ha prodotto o è stato produttore esecutivo di film dei generi più diversi, tra i quali ricordiamo “IO NON SONO QUI” di Todd Haynes, “MICHAEL CLAYTON” di Tony Gilroy e il documentario di Marina Zenovich “ROMAN POLANSKI: WANTED AND DESIRED”. Tra i suoi altri titoli come produttore o produttore esecutivo citiamo anche “WIND CHILL – GHIACCIO ROSSO SANGUE” e “CRIMINAL” di Gregory Jacobs, “GOOD NIGHT AND GOOD LUCK” e “CONFESSIONI DI UNA MENTE PERICOLOSA” di George Clooney, “A SCANNER DARKLY – UN OSCURO SCRUTARE” di Richard Linklater, “VIZI DI FAMIGLIA” di Rob Reiner, “SYRIANA” di Steven Gaghan, “KEANE” di Lodge Kerrigan, “LONTANO DAL PARADISO” di Todd Haynes, “INSOMNIA” di Christopher Nolan, “WELCOME TO COLLINWOOD” di Anthony e Joseph Russo, “PLEASANTVILLE” di Gary Ross, e “THE DAYTRIPPERS” di Gregg Mottola.

Il produttore BENICIO DEL TORO, anche interprete del film nel ruolo del Che, ha ottenuto numerosi riconoscimenti nel corso della sua carriera di attore. Ha vinto un premio Oscar come Miglior Attore Non Protagonista per il film di Steven Soderbergh “TRAFFIC”, che gli è valso anche un Golden Globe, i premi Screen Actors Guild, BAFTA, New York Film Critics Circle, National Society of Film Critics, e Chicago Film Critics Association, e un Orso d’Argento alla Berlinale.

Del Toro è stato anche candidato all’Oscar per il suo ruolo nel film di di Alejandro Gonzales Inarritu “21 GRAMMI – IL PESO DELL’ANIMA”, per cui ha vinto anche il Premio del Pubblico per il Miglior Attore alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, nel 2003. Ha anche ricevuto due Independent Spirit Awards come Miglior Attore Non Protagonista per il film di Bryan Singer “I SOLITI SOSPETTI” e per “BASQUIAT” di Julian Schnabel. Di recente, lo abbiamo visto in “NOI DUE SCONOSCIUTI” di Susanne Bier, e in “SIN CITY” di Robert Rodriguez.

Del Toro ha fatto il suo esordio nel cinema  in “AGENTE 007 – VENDETTA PRIVATA” di John Glen, accanto a Timothy Dalton. Tra i suoi film successivi ricordiamo “FEARLESS – SENZA PAURA” di Peter Weir, “IL PREZZO DI HOLLYWOOD” di George Huang, “FRATELLI” di Abel Ferrara, “UNA RAGAZZA SFRENATA” di Marco Brambilla, “PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS” di Terry Gilliam, “LE VIE DELLA VIOLENZA” di Christopher McQuarrie, “SNATCH – LO  STRAPPO” di Guy Ritchie, “LA PREDA” di William Friedkin, e “LUPO SOLITARIO” e “LA PROMESSA”, entrambi diretti da Sean Penn.

Nato a Puerto Rico, Del Toro è cresciuto in Pennsylvania. Ha frequentato la University of California a San Diego, e ha studiato recitazione allo Stella Adler Conservatory sotto la guida di Arthur Mendoza. Attualmente vive a Los Angeles.

La produttrice LAURA BICKFORD è stata candidata all’Oscar per “TRAFFIC”, la sua prima, fortunata collaborazione con Soderbergh e Del Toro. Il film ha vinto 4 delle 5 statuette per cui era candidato.

La Laura Bickford Productions si è fusa con la River Road Entertainment per due anni, nel corso dei quali ha prodotto, fra gli altri, il pluripremiato film di Ang Lee “I SEGRETI DI BROKEBACK MOUNTAIN”, il film di Steven Shainberg “FUR: UN RITRATTO IMMAGINARIO DI DIANE ARBUS” con Nicole Kidman, e il testamento artistico dello scomparso Robert Altman, “RADIO AMERICA”.

La Bickford ha esordito come produttrice nel 1995 con “CITTADINO X”, realizzato per la HBO Pictures. Tratto dalla storia vera del serial killer russo Andrei Chikatilo, il film è stato scritto e diretto da Chris Gerolmo e ha ricevuto un Cable Ace Award per il Miglior Film, e numerose candidature ai premi Emmy e Golden Globe.

Il consulente della produzione JON LEE ANDERSON scrive dal 1998 sulla rivista New Yorker le sue corrispondenze da Iraq, Afghanistan e Libano. E’ anche stato inviato in Liberia, Angola, Colombia, Venezuela, Cuba e Iran, e ha scritto numerosi profili di leader politici tra cui Hugo Chavez, Fidel Castro, Augusto Pinochet, re Juan Carlos, Saddam Hussein, Hamid Karzai e Jalal Talabani.

Anderson è anche autore di diversi libri, tra cui Che: una vita rivoluzionaria (Baldini & Castoldi); The Lion’s Grave: Dispatches From Afghanistan; Guerrillas: Journeys in the Insurgent World;e, più di recente, La caduta di Baghdad (Fandango Libri).

La sua biografia di  Ernesto Che Guevara è stata il frutto di cinque anni di ricerca, tre dei quali trascorsi a L’Avana. Per il libro, Anderson è anche stato in Argentina, Bolivia, Messico, Paraguay, Spagna, Svezia, Stati Uniti e Russia. Nel 1995 ha rivelato in un articolo pubblicato sul New York Times  il luogo segreto in cui si trovavano i resti del Che, sepolti in Bolivia.

Che Guevara: A Revolutionary Life  è stato pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1997, e da allora è stato tradotto in moltissime lingue tra cui spagnolo, portoghese, italiano, svedese, finlandese, danese, tedesco, serbo-croato, turco e farsi.

Negli anni ’80, Anderson ha raccontato per la rivista Timele guerre civili centro-americane, dopodiché si è spostato per raccontare i conflitti in Irlanda del Nord, Uganda, Sahara Occidentale, Sri Lanka, Birmania, Israele e Bosnia. I suoi reportage sono stati pubblicati su The New York Times, The Los Angeles Times, Harper’s, The Financial Times, The Guardian, El Pais e altre riviste.


 

CHE – GUERRIGLIA
IL CAST

BENICIO DEL TORO (CHE)
SIN CITY (2005), 21 GRAMMI – IL PESO DELL’ANIMA (2003), TRAFFIC (2000), BASQUIAT (1996), I SOLITI SOSPETTI (1995)

CARLOS BARDEM (MOISÉS GUEVARA)
LA ZONA (2007), L’ULTIMO IINQUISITORE (2006), IL DESTINO DI UN GUERRIERO - ALATRISTE (2006), PRINCESAS (2005), JUEGO DE LUNA (2001), VOLAVÉRUNT (1999),  TORRENTE, EL BRAZO TONTO DE LA LEY (1998), PERDITA DURANGO (1997)

DEMIÁN BICHIR (FIDEL CASTRO)
NESSUNA NOTIZIA DA DIO (2001), SEXO, PUDOR Y LÁGRIMAS (1999), PERDITA DURANGO (1997)

JOAQUIM DE ALMEIDA (BARRIENTOS)
BEHIND ENEMY LINES – DIETRO LE LINEE NEMICHE (2001), CAPITANI D’APRILE (2000), SOSTIENE PEREIRA (1996), DESPERADO (1995), SOTTO IL SEGNO DEL PERICOLO (1994), IL CONSOLE ONORARIO (1983)

EDUARD FERNÁNDEZ (CIRO ALGARANAZ)
IL DESTINO DI UN GUERRIERO - ALATRISTE (2006), EN LA CIUDAD (2003), FAUSTO 5.0 (2001)

MARC-ANDRÉ GRONDIN (RÉGIS DEBRAY)
C.R.A.Z.Y. (2005)

ÓSCAR JAENADA (DARIO)

KAHLIL MENDEZ (URBANO)

ELVIRA MÍNGUEZ (CELIA SANCHEZ)
GRIMM (2003), THE RECKONING (2003), DANZA DI SANGUE - DANCER UPSTAIRS (2002)

MATT DAMON (PARTECIPAZIONE STRAORDINARIA)

JORDI MOLLÀ (CAPITANO. VARGAS)
ELIZABETH: THE GOLDEN AGE (2007), LE VALIGIE DI TULSE LUPER, PART1 1, 2, 3 (2003/2004), THE TULSE LUPER SUITCASES: ANTWERP (2003), BAD BOYS II (2003), BLOW (2001), SECONDA PELLE (1999),
NADIE CONOCE A NADIE (1999), VOLAVÉRUNT (1999), EL PIANISTA (1998), IL FIORE DEL MIO SEGRETO (1995), HISTORIAS DEL KRONEN (1995), PROSCIUTTO, PROSCIUTTO (1992)

RUBÉN OCHANDIANO (ROLANDO)

JULIA ORMOND (LISA HOWARD)
INLAND EMPIRE – L’IMPERO DELLA MENTE (2006), IL BARBIERE DI SIBERIA (1998),
IL SENSO DI SMILLA PER LA NEVE (1997), SABRINA (1995), IL PRIMO CAVALIERE (1995),
LEGENDS OF THE FALL (1994), THE BABY OF MÂCON (1993)

GASTON PAULS (CIROS BUSTOS)
NOVE REGINE (2000), FRONTERA SUR (1998), TERRITORIO COMANCHE (1997), BEAUTIFUL (1993)

ANTONIO PEREDO

JORGE PERUGORRÍA (JOAQUIN)

LOU DIAMOND PHILIPPS (MARIO MONJE)
LAW & ORDER (TV, 2006), “24” (TV, 2002), IL GRANDE COLPO (1998), IL CORAGGIO DELLA VERITA’ (1996), YOUNG GUNS – GIOVANI PISTOLE (1988), LA BAMBA (1987)

FRANKA POTENTE (TANIA)
EICHMANN (2007), ROMULUS, MY FATHER (2007), ELEMENTARTEILCHEN (2006), CREEP (2004), THE BOURNE SUPREMACY (2004), LE VALIGIE DI TULSE LUPER, PARTE 2 (2004), THE BOURNE IDENTITY (2002),
STORYTELLING (2001), BLOW (2001), LA PRINCIPESSA E IL GUERRIERO (2000), ANATOMY (2000), LOLA CORRE (1998)

OTHELLO RENSOLI

ARMANDO RIESCO (BENIGNO)

RODRIGO SANTORO (RAUL CASTRO)
LOST (TV, 2006-2007), 300 (2006), SCARFACE: THE WORLD IS YOURS (2006), LOVE ACTUALLY (2003), CHARLIE'S ANGELS: PIU’ CHE MAI (2003)

MARK UMBERS (ROTH)
SOGNI E DELITTI (2007), COLOUR ME KUBRICK (2005), LOVE IS THE DEVIL (1998)

YUL VÁZQUEZ (ALEJANDRO RAMIREZ)
AMERICAN GANGSTER (2007), MUSIC WITHIN (2007), LA GUERRA DEI MONDI (2005),
BAD BOYS II (2003), I  SOPRANO (TV, 2002), TRAFFIC (2000), SE SCAPPI… TI SPOSO (1999), FRESH (1994), I RE DEL MAMBO (1992)

 

IL CAST TECNICO

REGIA STEVEN SODERBERGH

PRODUTTORE LAURA BICKFORD

PRODUTTORE BENICIO DEL TORO

PRODUTTORI ESECUTIVI:
                ÁLVARO AUGUSTÍN - Telecinco
IL LABIRINTO DEL FAUNO (2006), EL ORFANATO (2007)
                BELÉN ATIENZA - Telecinco
                FREDERIC W. BROST
                GREGORY JACOBS
                ALVARO LONGORIA - Morena Films

SCENEGGIATURA PETER BUCHMAN
tratta da DIARIO IN BOLIVIA
di Ernesto Che Guevara

SCENOGRAFIA ANTXÓN GÓMEZ

COSTUMI BINA DAIGELER

CONSULENZA JON LEE ANDERSON

MUSICA ALBERTO IGLESIAS

CHE – GUERRIGLIA

 

SINOSSI

Dopo la rivoluzione cubana, il Che è all’apice della sua fama e del suo potere. Poi improvvisamente sparisce, e ricompare in incognito in Bolivia, dove organizza un piccolo gruppo di compagni cubani e reclute boliviane destinati a dare inizio alla grande rivoluzione latino-americana.

Quella della campagna boliviana del Che è una storia di tenacia, sacrificio e idealismo - è il racconto della sconfitta di una guerra di guerriglia che alla fine lo condurrà alla morte. Ripercorrendo la sua storia, riusciamo a capire come il Che sia rimasto un simbolo dell’idealismo e dell’eroismo, ancora vivo nei cuori della gente di tutto il mondo.

 

IL CONTESTO STORICO

Che – Guerriglia ritrova il Che all’apice della fama e del potere, dopo la rivoluzione cubana. Più che un soldato è una figura di primo piano della scena internazionale. Ma all’improvviso sembra come sparire nel nulla. Perché ha lasciato Cuba? Dov’è andato? E’ ancora vivo?

Il Che ricompare in incognito in Bolivia: è irriconoscibile, e agisce nella più assoluta clandestinità. Organizza un piccolo gruppo di compagni cubani e reclute boliviane destinati a dare inizio alla grande rivoluzione latino-americana.

Quella della campagna boliviana del Che è una storia di tenacia, sacrificio e idealismo, è il racconto della sconfitta di una guerra di guerriglia che alla fine lo condurrà alla morte. Ripercorrendo la sua storia, riusciamo a capire come il Che sia rimasto un simbolo dell’idealismo e dell’eroismo, ancora vivo nei cuori della gente di tutto il mondo.


LA STORIA

 

Parlando di Che – L’Argentino e Che – Guerriglia, la produttrice  Laura Bickford dichiara che Guerriglia ha le caratteristiche di un thriller, mentre L’Argentino è piuttosto un film d’azione con grandi scene di battaglia.

“Questo è un progetto a cui Benicio, Laura e Steven lavorano da dieci anni”, spiega lo sceneggiatore Peter Buchman. “Benicio ha partecipato attivamente allo sviluppo della sceneggiatura fin dalle prime battute, e poiché inizialmente si era concentrato sulla parte boliviana della storia è stato per me una preziosa fonte di informazioni.”

“Io non sono mai stato in Bolivia”, aggiunge Buchman, “quindi ho dovuto ricavare lo sfondo e tutte le informazioni possibili dai diari del Che, e da Benicio e Laura, che c’erano stati e avevano raccolto interviste e testimonianze prima ancora che io fossi contattato. Ho letto fonti delle varie parti coinvolte, tra cui alcuni documenti declassificati del Dipartimento di Stato americano sulla visita del Che a New York, e rapporti del periodo in cui si trovava in Bolivia. Dovevamo ricostruire quello che sapevano gli Stati Uniti – e quando – delle attività del Che in Bolivia.”

“Abbiamo parlato con le persone più diverse, indipendentemente dalla loro appartenenza politica”, dichiara la Bickford. “Abbiamo incontrato il capitano boliviano che ha catturato il Che, oltre  ai tre cubani (Urbano, Benigno e Pombo) che lo hanno seguito in Bolivia e sono riusciti a fuggire e a tornarsene a casa dopo la sua esecuzione. Urbano, che vive a Cuba, è venuto con noi in Spagna in veste di consulente.”

Aggiunge Buchman: “C’erano già diversi gruppi di ribelli che agivano in molti paesi latino-americani. Il Che aveva deciso di andare in Bolivia, centro del continente, per istituire una organizzazione ‘a ombrello’, un luogo di addestramento per quei gruppi. Dovevano seguire un periodo di addestramento di sei mesi, un anno, e poi decidere quando iniziare le ostilità. Non si aspettavano di essere scoperti così presto.”

“Non è stato il Che a scegliere la Bolivia, ma Fidel”, spiega Jon Lee Anderson, l’autore della più autorevole biografia di Guevara, oltre che l’uomo che ha ritrovato i resti del Che in Bolivia, e li ha riportati a Cuba.

“La teoria dei focolai  - un gruppo di uomini che aprono un fronte di guerriglia, combattendo e conquistando zone di territorio liberato, e addestrano altri internazionalisti di paesi vicini –  avrebbe anche potuto funzionare, in Bolivia. Il fronte si sarebbe poi allargato al Perù, all’Argentina, al Cile e al Brasile, e così via.

“Ma il gruppo della guerriglia peruviana, sostenuto dai cubani, era appena stato sconfitto; il focolaio argentino guidato da Jorge Masetti aveva fallito e i suoi membri erano stati estradati; e i venezuelani non volevano il Che nel loro paese. Fidel, allora, ha parlato con Mario Monje, capo del Partito Comunista Boliviano, che si è dichiarato disposto ad accoglierlo. Sulla base di questo accordo, il Che è tornato segretamente a Cuba per scegliere e organizzare gli uomini da portare con sé in Bolivia.”

“Il Che è arrivato in Bolivia come uomo d’affari uruguayano, con un passaporto falso e un taglio di capelli completamente diverso. Ma il suo arrivo clandestino, in realtà, è rimasto segreto per poco”, spiega Anderson. “Quando in Bolivia è stato arrestato Régis Debray, noto esponente della sinistra internazionale, e vicino a Fidel, è apparso subito chiaro a tutti che era stato col Che.”

Uno dei primi problemi che il Che ha incontrato in Bolivia è stato il voltafaccia di Mario Monje, che gli ha subito ritirato l’appoggio del Partito Comunista Boliviano. Secondo Anderson, “Monje era allineato con Mosca, e contro quelli che riteneva radicali scissionisti, forse filo-cinesi, aiutati e coperti da Cuba per portare la rivoluzione nel suo paese. Dopo aver incontrato il Che, Monje ha rotto con lui e ha chiesto ai boliviani che lo avevano seguito di lasciare il Partito. Storicamente, la grande vergogna del Partito Comunista Boliviano è stata di non aver messo a disposizione del gruppo del Che la sua rete di sostegno, che era capillare e diffusa in tutto il paese, lasciandoli soli.”

“Senza un vero preavviso, gli uomini del Che sono stati costretti ad affrontare la battaglia molto prima di quanto avessero previsto, e senza l’aiuto dei boliviani, sul quale contavano. Avevano perso la rete di sostegno locale che avrebbe dovuto rifornirli di cibo e reclute, al bisogno. Come se non bastasse, si trovavano in una zona molto più aspra e isolata di quanto si aspettassero. Faceva un caldo bestiale d’estate, e l’inverno era gelido e piovoso.”

“Io ci sono stato, e il territorio inospitale è fatto di grandi distese e altopiani aridi e senza alberi, da cui è possibile vedere a chilometri di distanza”, prosegue Anderson. “Era molto difficile nascondersi. C’erano pochissimi abitanti e quei pochi avevano una scarsa coscienza politica. Le persone più impegnate politicamente erano i minatori, ma si trovavano in un’altra regione del paese.”

“A peggiorare le cose”, aggiunge Buchman, “dopo aver scoperto che l’esercito del Che era composto quasi esclusivamente di cubani, il Presidente Barrientos ha annunciato che i comunisti cubani avevano invaso il paese - notizia allarmante per i locali che avrebbero dovuto appoggiare il Che. La gente era fuggita dai villaggi, e gli uomini del Che passavano da un’imboscata all’altra, traditi dalla gente del posto.

“Sono stati costretti a darsi alla fuga prima di aver finito l’addestramento, e prima di essere riusciti a mettere i piedi una rete di supporto”, osserva Anderson.

“Inoltre, il Che soffriva fin da bambino di una grave forma d’asma, che la vita della guerriglia aveva reso ancora più grave. C’erano volte in cui era talmente debole che doveva essere portato a braccia. La sua salute era andata deteriorandosi e il fisico era allo stremo.”

“Spazzata via la retroguardia, era rimasta in piedi solo una colonna di guerriglieri. Da quel momento in poi, al Che e ai suoi uomini non restava che raggiungere i minatori sulle Ande, e lasciare la Bolivia. La loro sopravvivenza era appesa a un filo sottilissimo.

“Quando sono arrivati a La Higuera e alla Quebrada del Yuro erano veramente demoralizzati. Avevano visto i loro compagni e amici venire uccisi sotto i loro occhi, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Ed era stata soprattutto la grande forza di volontà del Che a farli andare avanti.”

 

Fonte: http://www.pierrotlefou.eu/documenti/che.doc

 

LE RIVOLUZIONI FRUSTRATE IN AMERICA LATINA

  • Introduzione

 

  • Non faremo  uno studio accademico delle rivoluzioni in AL, sarebbe necessario un corso di diversi anni per portarlo alla fine. Questo è solo un avvicinamento al tema, con un esame dal punto di vista storico-politico, che incorpora anche  elementi della cultura propria del “Continente Meticcio” (Benedetti) Parleremo di due periodi rivoluzionari della storia del continente americano. Dobbiamo parlare di due rivoluzioni in due tempi differenti: l’ epoca coloniale e gli anni 60 e 70 dello scorso secolo. Concluderemo con un riferimento alle relazioni tra uno e l’altro fenomeni e la attuale evoluzione politica latinoamericana, che viene  mostrando una chiara deriva verso la sinistra.
  • La Rivoluzione Indipendentista e la Rivoluzione Socialista potrebbero essere i grandi titolari con i quali si identificano ambedue periodi. Ambedue  sono in qualche modo inesatti ma sufficientemente illustrativi come per un impiego utilitario in questa presentazione.

 

  • Si ratta di due rivoluzioni frustrate, quanto meno parzialmente frustrate. Vediamo il perchè
    • La rivoluzione che ha incendiato il continente tra gli anni 1810 e 1824 ha compiuto perfettamente uno dei suoi obbiettivi: la liberazione dal dominio coloniale spagnolo. Ma ha risultato frustrata nella sua altra meta fondamentale, quella  di creare nella America Spagnola una sola gran nazione o, come massimo, due o tre grandi nazioni. È il sogno della Patria Grande, incompiuto 200 anni fa ed ancora in vigore. Questo fallimento costituisce, come vedremo, una parte sostantiva della spiegazione del ritardo dell’ America Latina e la sua condizione di continente sottosviluppato.

 

    • La rivoluzione degli anni 60 e 70 si  esprime in innumerevoli  lotte politiche e sociali, includendo le guerriglie urbane e rurali. Aveva come obbiettivi  fondamentali la presa del potere da parte delle forze popolari, la costruzione del socialismo e la integrazione latinoamericana. Il suo punto di partenza è il trionfo della Rivoluzione Cubana, che si  concreta il 1º gennaio 1959, aprendo un periodo di straordinaria attività rivoluzionaria in tutto il continente, senza eccezioni. Non è necessario dire che, salvo nel caso di Nicaragua (1979), nessuno di questi movimenti è riuscito a conquistare il potere, e quanto meno costruire il socialismo –finalità che anche si è frustata poco tempo dopo anche nella Nicaragua sandinista. L’integrazione è ancora oggi un debito storico che i latinoamericani abbiamo con noi stessi.

 

  • La guerra di indipendenza

 

  • Anche sé la situazione dell’America Spagnola agli inizi del S. XIX poco ha che vedere con quella dell’America del Nord nella stessa epoca, e niente in comune con quella del Francia nello stesso periodo, la rivoluzione indipendentista è figlia ideologica della Rivoluzione Nordamericana (1776) e della Rivoluzione Francese (1789). Le idee liberali  si aprono vie e i fatti – cosi come i documenti (tra questi la prima costituzione degli EEUU) serviranno di alimento ideologico e ispirazione agli  ispiratori della ribellione contro l’ impero spagnolo.
  • Alla fine di poco più di 300 anni, il dominio coloniale della  Spagna era in crisi. Il sistema di amministrazione coloniale faceva acqua da tute le parti, ed il progressivo indebolimento della corona spagnola faceva più allentati i vincoli, meno intensi i controlli, meno utili le relazioni reciproche, più fragili le autorità coloniali. Nelle colonie quella debolezza  è percepita e le elite coloniali cominciano a sentirsi capaci di governarsi a se stesse e di fare attenzione esclusivamente ai suoi propri interessi, scuotendo il giogo della schiavitù.

 

  • Quella crisi arriva al suo punto più alto quando gli eserciti napoleonici al comando di Giuseppe Bonaparte (Pepe Bottiglia) invadono la penisola  iberica (1808), incarcerando il monarca (Fernando VII) e ottenendo la sua abdicazione. Nella Spagna nascono una forma di resistenza militare al invasore (la guerra di guerriglie) ed una forma di resistenza politica e autogoverno (le giunte -o consigli-), ambedue di origine prevalentemente  popolari. Nelle  colonie americane, la prigione del re ed il movimento “giuntista” –che esprimano  la debolezza della monarchia e diffondono l’esempio del autogoverno- operano come sparatori degli impulsi indipendentisti, fino allora latenti  occulti  o nascosti.
  • Caratteristiche della rivoluzione indipendentista

 

    • Non è una rivoluzione ispirata, diretta o organizzata dai popoli aborigeni di America. Un numero considerevole di indigeni  partecipo, generalmente come parte degli eserciti liberatori ma sempre in condizioni di soldati subordinati. Le insurrezioni indigene sono state scarse,  fondamentalmente nel secolo XVIII e sono state velocemente represse dalle forze militari colonizzatrici  (i capeggiati da José Gabriel Condorcanqui, “Tupac Amaru” e Caupolicán sono sicuramente i più importanti)
    • E’ una rivoluzione spinta, organizzata e diretta dai “creoli”, vale a dire, dai discendenti degli spagnoli che colonizzarono il continente e che, insieme  ad alcuni meticci fortunati costituivano la elite economica, politica e sociale, illustrata

 

    • L’ obbiettivo esplicito è quello di mettere fine alla dominazione spagnola. Questo manto copriva altre idee, altri propositi ed altre realtà:
      • Nel sogno dei grandi eroi (Bolívar, San Martín ed Artigas in speciale) la idea di una gran nazione americana costituiva una parte sostanziale del progetto liberatore.
      • Per i latifondisti ed i grandi commercianti, la “oligarchia creola”, cercava di liberarsi dal giogo coloniale per prendere il potere nelle loro mani e gestirlo nel loro proprio beneficio.
      •  I settori popolari (creoli poveri, meticci ed indigeni) che costituivano la immensa maggioranza della popolazione, si vedevano spronati per la speranza di migliorare la loro condizione. Idee di riforma sociale e di una maggior giustizia appaiono allora con maggior o minor intensità embricate nella panoplia ideologica che compone le bandiere della rivoluzione. Nei fatti, non sarà più che  una apparenza, smentita radicalmente dai fatti.
      • Solo uno degli eroi americani, José Artigas, sviluppa in profondità le idee di democrazia sociale, politica ed economica. Nei pochi anni che ha avuto nelle sue mani una frazione di potere, implemento una riforma agraria di taglio popolare e di una attualità sconvolgente (il Regolamento di Terre del 10  settembre 1815) e impulso forme democratiche di governo e partecipazione nella presa di decisioni, cosi come il progetto più concreto, meglio concepito e più profondo di integrazione che comprendeva l’Uruguay attuale, inoltre delle attuali province argentine di Corrientes, Entre Ríos, Santa Fé e Córdoba. Un antecedente fortissimo del Mercorsur che, durante il breve periodo nel quale sopravisse, e arrivato molto più lontano di quanto è arrivato fino adesso questa iniziativa regionale.

 

  • La rivoluzione indipendentista ha ottenuto finire con il dominio coloniale spagnolo, pero non portò avanti il progetto della Grande Nazione Latinoamericana e, molto meno, quello  di giustizia sociale e democrazia.
    • Le elite “creoli” appena pretendevano che il potere potesse cambiare di mani
    • Per questo si opponevano a qualsiasi progetto di integrazione, di unità continentale, che mettevano in tela di  giudizio loro privilegi e loro proprietà
    • In particolare, perchè una integrazione di quel tipo, al fine di  una guerra, solo poteva essere opera dei grandi “caudillos” capi militari che capeggiavano gli eserciti liberatori, eserciti composti per il “populacho”, che era imprescindibile disarmare per impedire che  la rivoluzione andasse avanti più in là del mero cambio di mani del potere
    • Un fattore decisivo l’ha costituito l’ Impero Britannico. Interessato in indebolire  al massimo il suo rivale spagnolo, appropriarsi  di tutto o parte del suo dominio coloniale, assicurare materie prime per la sua nascente industria e mercati per i suoi prodotti, l’ Inghilterra appoggiò  politicamente, ma anche con armi e munizioni agli eserciti patrioti.
    •  Poi, seguendo la antica massima romana “divide et imperas”, in stretta collaborazione con le oligarchie locali (che funzioneranno di ora in poi come soci e direttori degli  interessi imperiali inglesi) operò politicamente e con la efficacia straordinaria del Foreing Office sempre in forma attiva e intensa, per suddividere il continente ed evitare la nascita di una grande potenza sudamericana.
    •  In poche decade Stati Uniti si trasformerà nella potenza egemonica, spostando  progressivamente l’ imperio britannico

 

  • E’ giusto allora dire che si tratto di una rivoluzione frustrata. Arrivò a uno dei suoi obbiettivi principali, ma di tale forma che, allo stesso tempo, creava le condizioni  del suo proprio arretrato, della sua dipendenza e della sua povertà. Dal dominio coloniale spagnolo passò al dominio imperiale inglese (con otri metodi, con altro sistema) e finalmente cadde nei bracci dell’ impero nordamericano. Da sempre, l’America Latina è stata sotto la egida di una potenza imperiale, da sempre è stata funzionale agli interessi dell’ imperio di turno, durante 500 anni soffri diverse forme di sfruttamento che assicurarono il trasferimento  ininterrotto di risorse verso le economie dominanti. Ecco li le radici storiche del arretrato e la povertà del nostro continente.
  • Lo schema classico del sistema egemonico latinoamericano è rimasto invariabile durante quasi due secoli: un gruppo oligarchico dominante, che costituisce allo stesso tempo la elite economica, politica, culturale e sociale, associato in maniera più o meno stretta con gli interessi stranieri (spagnoli nel passato coloniale, inglesi dopo, nordamericani più tarde) in una relazione di mutuo beneficio.  Certamente lo schema ammette varianti e presenta diverse intensità nei vari paesi, pero nello sostanziale lo sposto risponde alla  realtà.

 

  • Lo impulso rivoluzionario degli anni 60 e 70
  • La Dottrina Monroe (1823) governerà queste relazioni per un secolo e mezzo, quando sarà sostituita per la non meno nefasta Dottrina della Sicurezza Nazionale. Dalle sfere di potere degli Stati Uniti si è concepita l’America Latina come il “cortile  di dietro”, la sua area privilegiata di influenza e decisione. Incontabili interventi armati dei marines nordamericani hanno avuto luogo per restituire il potere ai suoi soci oligarchici li dove lo avevano perso o rischiavano di perderlo; con il passare degli anni i metodi diventarono più sofisticati, gli interventi si trasformarono in “operazioni nascoste” (colpo di stato in Brasile nel 1964 - Generale Castelo Branco; Bolivia - Generale Hugo Banzer;  Cile, Generale Augusto Pinochet ecc, sono alcuni esempi noti).

 

  • In questo punto si arriva alla riva della seconda rivoluzione frustrata della America Latina. La rivoluzione cubana ha trovato sprovveduti agli Stati Uniti, che non ha capito la sua natura fino a quando era già troppo tardi quando il potere rivoluzionario si era già consolidato. Allo steso momento, questa rivoluzione “dimostrò” che era possibile in America Latina prendere il potere per la via delle armi e cominciare un processo di grandi trasformazioni, anche “nelle stese barbe del imperio”. I movimenti allo steso tempo “antimperialisti e antioligarchici” hanno raggiunto un notevole sviluppo allo lungo e largo di latino america.
  • Allentata per la vittoria rivoluzionaria del Movimento 26 Luglio in Cuba, una onda di movimenti populisti si e propagata per il continente. La rivoluzione “era nell’ordine del giorno” e sembrava a portata di mano.  Dalla mobilizzazione delle masse alla “guerriglia” –urbana o rurale, assecondo della configurazione fisica di ogni paese-, il continente si è visto scosso per la agitazione popolare. I movimenti di studianti, che acquisirono un grado di mobilizzazione, organizzazione e voluminosità inusuali –con apice nel 1968, in concomitanza con il “maggio francese”-, i sindacati, le comunità cristiane di base, le organizzazioni indigeni e una miriade di gruppi di tutti i tipi si sono messi in azione per spingere i cambiamenti. È nata la Teologia della liberazione, a partire dal pensiero del sacerdote peruviano Gustavo Gutiérrez (1968) ed un numero crescente di attiviste di origine cattolico si aggiunsero alle file rivoluzionarie.

 

  • La risposta nordamericana è stata la Dottrina della Sicurezza Nazionale. Non era già sufficiente la associazioni con le oligarchie locali per assicurare le permanenza dello status quo. Minati  dalla inefficacia, la corruzione ed il clientelismo, apparivano come attori deboli ed “storicamente condannati” di fronte all’immensità e varietà della mobilizzazione popolare. Adesso era necessario associarsi con gli eserciti, i quali quadri erano  educati nella contro insorgenza e nella Dottrina nella tristemente famosa “Scuola delle Americhe” di Panamá. Trasformati in invasioni dei suoi proprie paesi ed i persecutori dei suoi propri popoli, gli eserciti di America hanno incarnato successivi Colpi di Stato, orientati dal Dipartimento di Stato nordamericano ed assistiti politica, economica, militare ed ideologicamente occuparono di fatto il continente nelle decade degli anni 70 e 80.
  • Il presente: latino america si rinnova

 

  • La rivoluzione “socialista” degli anni 60 e 70 è stata sconfitta in tutti i terreni cominciando per il militare: le guerriglie sono state schiacciate e distrutte; attualmente solo  sopravvivono le organizzazioni colombiane (ELN e FARC) ed il nuovo movimento zapatista che, d’altronde, non si propone l’insedio al potere.
  • Le dittature militari degli anni 70 e 80 diroccarono il movimento popolare nel continente: migliaia di militanti ed attivisti risultarono morti o sono spariti, migliaia marciarono all’esilio, tanto altri sono stati in carcere, subirono la tortura e gravi lesioni fisiche e psichiche. Le organizzazioni popolari sono state proscritte e disattrezzate. Il terreno è rimasto nudo e fertile per l’implemento delle soluzioni neoliberali, “penultimo invento” attraverso il lungo camino dello sfruttamento  delle masse popolari.

 

  • A metà degli anni 80, le dettature militari incominciarono a sparire. In generale cadevano per il loro proprio peso: la mancanza di legittimità, l’impotenza di fronte ad una resistenza tenace ed in molti casi eroica, la debolezza intrinseca dal punto di vista ideologico e la fragilità politica, la pressione internazionale,  l’incapacità per offrire soluzioni ai problemi economici e sociali che sempre hanno addolorato il continente. I “salvatori” quasi appena riuscirono a salvarsi ed alle porte di un disastro maggiore restituirono il potere ai civili, sotto condizionamenti e minacce. Viviamo allora la decada delle democrazie “tutelati”.
  • Alle dettature le succedono dei governi che adottarono come guida (soprattutto nelle politiche economiche) i lineamenti del “Consenso di Washington” mettendo alla pratica le chiamate “ricette neoliberali”. Il risultato è, in linea di massima, disastroso. Questo sistema di conduzione economica – che si paragona al processo della globalizzazione, del quale non è sino una parte attiva, quella che aggiusta le condizioni di ogni paese a quelle che dettano i poteri dominanti nel piano internazionale e particolarmente le imprese multinazionali- ha avuto effetti simili al livello universale: la ricchezza aumenta ma si concentra in poche mani, la povertà aumenta e sfrutta la emarginazione. In altre parole: i ricchi sono ogni volta più ricchi ed in un numero minore; i poveri e quelli esclusi invece sono più poveri ed il loro numero cresce.

 

  • Questo fenomeno –questi effetti- risultano particolarmente esplosivi in America Latina e, un’altra volta, incoraggiarono l’organizzazione e la mobilizzazione popolare. Si è potuto verificare allora che la rivoluzione sconfitta aveva lasciato profonde tracce ed un lascito il quale, ricuperato ed adattato al presente, si e rivelato come un vero patrimonio dei popoli latinoamericani facendo la sua opera:
    • Le lotte del passato lasciarono come eredita l’espansione della conoscenza della povertà, lo sfruttamento e le sue cause. I movimenti populisti sconfitti  20 anni fa, videro rinnovati i loro principi e ratificate le loro ragioni nel aggravarsi le situazioni delle masse dopo di una decada e mezza di dettature militari ed altra decada e mezza di governi di orientamento neoliberale

 

    • Queste lotte lasciarono inoltre come eredita le esperienze di organizzazione le quali, riprese ed aggiornate in funzione delle condizioni particolari del presente risultarono di straordinaria utilità per la riorganizzazione posteriore
    • Lasciarono anche una memoria impressionante: quella dei morti e gli scomparsi “desaparecidos”, i martiri, i leader perduti trasmutati in riferenti storici.  Si è affossata e consolidata una vera cultura in questo senso

 

    • Lo smantellamento delle organizzazioni classici (partiti di sinistra, sindacati, movimenti studenteschi) e la loro persecuzione durante la dettatura, costringi agli attivisti a cercare altri terreni di azione meno pericolosi. Si svilupparono le organizzazioni della società civile, in generale di tipo tematico, abbracciando i diritti umani, quelli della donna, il medio ambiente, il problema delle migrazioni, i diritti delle minoranze (indigeni, afro discendenti, omosessuali ecc), cooperative (di produzione e di consumo); è cresciuta l’“economia alternativa” (banche “verdi” e microcrédito, movimento cooperativi, economia dello scambio o “senza moneta”)
    • Senza proporsi adesso la rivoluzione (l’arrivo al potere), il movimento populista si è diversificato  e moltiplicato. Le stese idee di giustizia ed uguaglianza, gli stesi ricorsi di cambiamenti profondi nella economia e la gestione dello stato, l’esigenza della partecipazione cittadina nella vicenda pubblica, ritornarono attraverso migliaia di percorsi e diversi discorsi ma convergenti al centro della attività sociale e progressivamente riuscirono a  sboccare in forme diverse, ingegnose e nuovi di espressione politica.

 

    • La globalizzazione ha contribuito ad omogeneizzare ed internazionalizzare questi processi. Nacquero i Fori Sociali Mondiali ed attivisti di tutto il mondo, si incontrarono –a Porto Alegre nelle prime edizioni dell’evento, nella India ed Africa dopo – permettendo di comprendere e verificare l’universalità del fenomeno. Una nuova conoscenza, adesso di orbita globale, nasceva e richiamava qui e là dei cambiamenti: “Un’altro mondo è possibile” è stata la sua consegna.
    • Esaurita la esperienza neoliberale, acciaccati gli Stati Uniti per motivo dei loro interventi nei guerre lontane e costose (le “guerre contro il terrorismo”), subendo un déficit fiscale crescente e già praticamente esplosivo, dispersi in uno e cento posti del pianeta per attendere i loro interessi egemonici, divisi per la ambizione di condurre il mondo come un gendarme e da un unilateralismo primitivo che ignora il diritto internazionale e le organizzazioni universali esistenti; ricuperato, rinnovato ed aggiornato il “popolo” a partire dalle esperienze delle lotte e della riorganizzazione post dittatoriale, si lancia una rinnovata battaglia, questa volta nel seno della democrazia.

 

    • È  in quella battaglia  che cominciano a vincere le sinistre. Il panorama non è omogeneo, le peculiarità di ogni paese e di ogni società creano espressioni  e profondità diverse, ma  in buona parte dei paesi del continente comincia a prodursi (ed in qualcuno dei casi a ripetersi e consolidarsi) un fenomeno inedito: cominciano a trionfare i partiti e gli raggruppamenti progressisti in elezioni democratiche.
    • Oggi coincidono governi progressisti nella maggior parte dei paesi di America (Uruguay, Cile, Brasile, Bolivia, Ecuador, Venezuela); in altri, se bene non sia esatta la classificazione dentro questa categoria, al meno si registra una orientazione generale positiva –con maggior chiarezza se si paragona con la situazione esistente sotto i  governi precedenti- (è il caso della Argentina, il Paraguay ed il Perú). Al di là delle contraddizioni, debolezze, imperfezioni, marci indietro e avanti e in qualche caso tendenze che non si possono condividere o che appaiono pericolose, la orientazione generale dell’ America Latina sembra stare in un forte processo di cambio.

 

    • Gli obbiettivi non raggiunti  dalle due rivoluzioni della nostra  America continuano all’ordine del giorno: la integrazione latinoamericana, la giustizia sociale, la consolidazione e approfondimento della democrazia. Sembra che piano il continente si orienta  nella direzione giusta, che non è altra che quella della sua propria  storia.
    • Al margine della considerazione anteriore rimane il tema del socialismo. Dopo la caduta del muro di Berlino (1989), la sparizione dell’ Unione Sovietica (1991) e la debacle del “socialismo reale”; dopo la rivelazione definitiva delle più buie verità riguardo i  regime che lo spinsero, la questione del socialismo è assoggettata a un dibattito i cui risultati sarebbero uno sproposito anticipare. Aggiungeremo come finale quattro appunti che consideriamo utile per questo dibattito:

 

      • La “costruzione del socialismo” come obbiettivo politico è oggi in America Latina fuori della realtà. Non ci sono condizioni ne possibilità in quel senso, puo darsi alcuna eccezione, ma questo e il panorama generale
      • Possiamo considerare la concezione socialista in due punti di vista: come una continuazione o adattamento  al presente della corrente originale e le sue varianti, o come una nuova elaborazione, ancora molto distante di raggiungere. Nella nostra opinione, quello che è veramente sposto come tema centrale è un’altro: qual’è la alternativa al sistema capitalista che  incorpori la giustizia come un valore innegoziabile
      •  In qualsiasi opzione, dovranno contemplarsi simultaneamente due condizioni: la libertà e la giustizia. La economia di mercato, storicamente ha generato disuguaglianza, ingiustizia, povertà e emarginazione. Il socialismo reale annientò le libertà e non raggiunse risultati economici e sociali perdurabili.
      • Nessun sistema per promissorio che sembre può ne deve essere assoluto. Ogni soluzione umana sarà imperfetta, vale a dire, colpirà in qualche misura la giustizia, la libertà o ambedue alla volta. Ogni sistema sarà perfettibile. Considerarlo definitivo (“il fine della storia”, Francis Fukuyama) conduce a congelare le sue peggiori conseguenze. E queste sempre significano sofferenze e frustrazioni per milioni di esseri umani.

Carlos Abin

http://www.comunicazione.uniroma1.it/materiali/22.50.02_LE%20REVOLUZIONE%20FRUSTRATE%20DALLA%20AMERICA%20LATINA.doc

 

Nuovi scenari di guerra fredda?
La Russia di Putin sfida l’America di Bush

 


Correva l’anno 1959 quando a Cuba  Fidel Castro, attraverso una rivolta popolare, rovesciò il regime filo-americano retto da Batista abbracciando l’ideologia comunista sovietica. La rivoluzione cubana fu, infatti, resa possibile anche grazie all’aiuto dei russi, che fornirono armi e munizioni ai ribelli. Il neoeletto Presidente degli Stati Uniti, John Kennedy, che prestò giuramento come 35° presidente degli Stati Uniti il 20 gennaio 1961, dovette così affrontare una delle più grandi minacce che avesse mai scosso il popolo americano.
Il comunismo professato da Castro, infatti, non solo poneva potenzialmente Cuba come un territorio a disposizione dei sovietici, ma l’isola poteva essere considerata come una pericolosa bomba ad orologeria, poiché avrebbe potuto innescare la diffusione dell’ideologia comunista anche in America Latina. Fu forse per tale motivo che Kennedy decise, all’inizio del suo mandato, di avviare una campagna di supporto economico a favore proprio dell’America Latina. In ogni caso è certo che, sull’onda del recente successo elettorale, il Presidente, nel tentativo di riacquistare potere sull’isola di Cuba, attuò una politica attivista (interventista), organizzando uno sbarco controrivoluzionario nella Baia dei Porci (12 aprile del 1961). Come noto a tutti, l’impresa fallì miseramente; l’operazione non si delineò  solo come un vero insuccesso americano sul campo (1.500 cubani anticastristi vennero, infatti, sconfitti dalle forze regolari cubane), ma comportò anche un grande smacco politico per il capo della Casa Bianca. La tensione si riaccese ferocemente nel giugno del 1962, quando si consumò la crisi dei missili a Cuba.
Per tentare di fermare l’armamento dell’isola Kennedy decise d’attuare il blocco navale intorno a Cuba, impedendo così ai Russi di sbarcare sulla terra ferma. Proprio in questo momento la crisi raggiunse il suo culmine. La situazione si appianò grazie al buonsenso e alla diplomazia dei due Presidenti, il già citato Kennedy e Kruscev.
Si evitò, in tal modo, lo scoppio di una terza guerra mondiale, che tramite l’utilizzo delle armi nucleari, avrebbe certamente decretato la fine del mondo. Preoccupato dai pericoli a lungo termine della contaminazione nucleare e della proliferazione delle armi nucleari, Kennedy spinse inoltre per l'adozione di un trattato che proibisse i test nucleari in atmosfera. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e l'Unione Sovietica furono i primi firmatari del trattato. Kennedy ratificò tale trattato nel 1963, pochi mesi prima della sua morte. Tra diverbi e riappacificazioni continue le due nazioni mantennero un relativo equilibrio fino ai giorni nostri; in particolare con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e l’ascesa al potere di Gorbaciov si giunse ad un nuovo clima di distensione e collaborazione tra i due paesi. La “nuova” Russia, intanto, iniziò a tramutare la sua economia che divenne, con il passare del tempo, sempre più simile a quella del sistema capitalista.
Ma oggi nuove, e al contempo vecchie, diatribe si sono riaccese: mentre da un lato, infatti, la Russia afferma il diritto di Teheran (in Iran) di portare avanti i propri programmi nucleari, gli Stati Uniti minacciano, invece, d’adottare sanzioni contro questo tipo di progresso, proprio alla luce del trattato stipulato da Kennedy. Per lo staff della Casa Bianca, infatti, l’Iran sta adottando “un comportamento atto a suscitare inquietudine nel mondo.” Ancora una volta Russia e Stati Uniti, com’era stato già nel passato, prendono posizioni contrapposte, le due super potenze riaccendono lo scontro per la supremazia del mondo.
Pare, dunque, che le tensioni non siano più così assopite come, invece, si pensava. Il tempo, forse, ha solo sotterrato gli antichi dissapori, celandoli agli occhi dell’umanità.
Ad alimentare le fiamme delle tensioni ci hanno poi pensato le parole di Fidel Castro che, ad 81 anni, è ancora il capo di Cuba, anche se oggi è forse più da considerarsi una guida morale visto che, a causa dei suoi problemi di salute, ha lasciato l’amministrazione al fratello Raul, di quella stessa nazione che, nel 1960, aveva fatto passare numerose notti insonni al Presidente Kennedy e a tutto il popolo americano.
Pochi giorni dopo le dichiarazioni di Putin riguardo allo sviluppo nucleare dell’Iran, Castro, durante una chiacchierata televisiva con il Presidente del Venezuela, ha, per l’ennesima volta, riconfermato il suo astio nei confronti non solo del sistema capitalistico e prevaricatore americano, ma ha duramente criticato anche la politica estera condotta dagli Stati Uniti.
Quest’odierna è una tensione, così come quella del passato, che si gioca anche, e forse soprattutto, attraverso i mass media. Inoltre non sono solo le sconfitte o le vittorie politiche, economiche o militari che contribuiscono ad alimentare le tensioni, ma anche le conquiste che i due paesi attuano nei processi d’evoluzione tecnologica che hanno il potere di modificare il precario equilibrio tra Washington e il Cremlino.
Fu, infatti, un durissimo colpo per gli americani quando, nel 1961, i russi riuscirono, per primi, a mandare un uomo in orbita. Da questa pesante sconfitta nacque la decisione di Kennedy d’aumentare i finanziamenti a favore della NASA.
Ciò che, però, probabilmente la Russia e gli Stati Uniti non hanno attentamente considerato è che, oggi, a differenza del 1960, ci sono più paesi che concorrono al predominio nel mondo; basti pensare al crescente, ed inarrestabile sviluppo della Cina, dell’India o del Giappone. La lotta per affermare la propria supremazia potrebbe, quindi, tramutarsi in un’estesa, e per tale motivo estremamente pericolosa, crisi globale. Tale tensione non risparmierebbe neppure la nostra cara, vecchia Europa, che si vedrebbe costretta a reagire, perché stretta tra due fuochi contrastanti.
Possiamo pertanto augurarci che a capo di queste nazioni vi siano uomini che, come negli anni ’60, siano in grado, attraverso la diplomazia, d’attenuare le tensioni e raggiungere il loro interesse solamente dopo aver pensato alla salvaguardia del mondo, anche se su questo fronte ci troviamo ad essere estremamente pessimisti.
Infatti, a capo degli Stati Uniti vi è un Presidente, George W.Bush, disposto, pur di affermare il potere a stelle e strisce, ad accendere qualsiasi conflitto (guerra in Iraq docet); a capo del governo della Russia troviamo Putin, colui il quale con le sue parole ha, di fatto, riacceso, o forse solamente portato alla luce, l’antico conflitto, ma il cui mandato ha una scadenza imminente (il leader non potrà, come prevede la Costituzione russa, riproporsi alle presidenziali se non fra quattro anni).
Per concludere vorremmo citare le parole dell’uomo che, a detta dello stesso Kruscev, fu un cardine fondamentale nel meccanismo che portò alla pace, Kennedy. Nonostante le diverse ideologie, infatti, il Presidente russo ha sempre riconosciuto al suo alter ego americano un amore innato per la pace. Ma, ritornando alla citazione che stavamo per fare, Kennedy affermò: ”Non chiedetevi cosa lo Stato può fare per voi, ma chiedetevi cosa voi potete fare per lo Stato”. Dunque, seguendo quest’ottica, la pace non può essere considerata come un processo avviato e condotto dalle grandi personalità politiche anche perché, se questa fosse lasciata nelle loro mani, forse non s’otterrebbe mai una pace vera e completa; le tensioni vanno appianate e sedate attraverso i comportamenti d’ogni individuo, perché solo collettivamente si potrà scongiurare l’avvento di una nuova guerra fredda.

Mazzoni e Casellato, VD

http://www.sanvitale.net/giornalino%20dicembre%2007/guerra%20fredda%20articolo.doc


 

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