Il calendario romano

 

 

 

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Il calendario romano

Originariamente in Roma si divideva l’anno in dieci mesi, indicati mediante aggettivi (riferiti al sostantivo mensis, espresso o no):

Martius, il mese sacro a Marte, marzo (che apriva l’anno);
Aprilis, da aperio, il mese che apre la terra, aprile;
Maius, il mese sacro a Maia, maggio (Maia era antica divinità italica, più tardi identificata con l’ellenica Maia);
Iunius, il mese sacro a Giunone, giugno;
Quintilis, il quinto mese, Iulius, luglio, in onore di Cesare, solo a partire dal 44 a. C.;
Sextilis, il sesto mese, Augustus, agosto, in onore di Augusto, solo a partire dall’8 a. C.;
September, il settimo mese, settembre;
October, l’ottavo mese, ottobre;
November, il nono mese, novembre;
December, il decimo mese, dicembre.

Molto presto, forse nel V secolo a. C., ma la tradizione risale addirittura a Numa Pompilio, furono aggiunti, in apertura d’anno, altri due mesi:

Ianuarius, il mese sacro a Giano, gennaio;
Februarius, febbraio, il mese sacro ai februa, solennità purificatrici in onore di Februus, divinità etrusca degli inferi.

Dopo tale aggiunta l’anno cominciava quindi con il mensis Ianuarius, come per noi; i mesi erano lunari, con un totale annuo di 355 giorni (avevano 29 giorni ciascuno, tranne febbraio che era di 28 e marzo, maggio, luglio, ottobre che erano di 31).
L’anno solare naturalmente non combaciava con l’insieme dei mesi lunari: ne venivano scompensi, cui si cercava di ovviare con un mensis intercalaris, un mese, cioè, che si aggiungeva ogni tanto, ma senza periodicità ben calcolata. Nel 46 a. C. si ebbe l’importante riforma di Giulio Cesare che portò al Calendario Giuliano, entrato in vigore il 1O gennaio del 45 a. C.: il numero dei giorni per mese era portato a quello ancora attuale, per un totale annuo di 365 giorni; un’eccedenza di sei ore veniva assorbita aggiungendo un giorno ogni quattro anni . Il giorno aggiunto era detto bis sextus (donde «anno bisestile ») perché, anziché aggiungere il 29 febbraio, si contava due volte il 24 del mese, che era appunto il sextus giorno antecedente le successive kalendae di marzo.
Gli anni erano indicati con i consoli eponimi (= che danno il nome all’anno) ed erano calcolati rispetto alla data della fondazione di Roma, fissata in un anno che corrisponde al nostro 753 a. C. Tale punto di riferimento era indicato con la locuzione ab Urbe condita o post Urbem conditam, «dalla fondazione della città» o «dopo la fondazione della città» (condo, is, condidi, conditum, ere = fondare; urbs, urbis = città).
Con il trionfo del cristianesimo e per opera dei suoi storici, in particolare del monaco scita Dionigi il Piccolo, si cambiò il punto di riferimento: non più l’origine della città pagana dava l’avvio al computo del tempo, ma la discesa di Dio in terra divideva l’età del mondo in due grandi epoche, quella antecedente e quella successiva alla nascita di Cristo: ante Christum natum (a. Ch. n.) e post Christum natum (p. Ch. n.).
Il calendario giuliano era esso pure approssimato di undici minuti all’anno: a questa imprecisione ed agli inconvenienti che ne derivavano rimediò nel 1582 papa Gregorio XIII con un’ultima definitiva riforma (attuale calendario gregoriano).
Il computo dei giorni all’interno dei mesi avveniva prendendo come riferimento tre giorni particolari:

Kalendae, arum       le Calende      il primo giorno di ogni mese;
Nonae, arum            le None          cadevano il 5 di ogni mese, ma il 7 per i mesi di
marzo, maggio, luglio e ottobre;
Idus, iduum              le Idi              cadevano il 13 di ogni mese, ma il 15 per i mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre.

Kalendae, da calare = gridare: nel primo giorno del mese, infatti, il Pontefice Massimo dichiarava, calabat, in quali giorni sarebbero cadute le Idi, se cioè il 13 o il 15.
Da Kalendae deriva kalendarium = libro dei crediti, scadenzario, in cui erano segnati i debitori, che ogni primo giorno del mese dovevano pagare gli interessi maturai.

Nonae perché cadono sempre il nono giorno prima delle Idi.

Idus, secondo Varrone (uno studioso della lingua latina del I sec. a. C.) è parola di origine etrusca indicante la «metà del mese».

I restanti giorni del mese erano calcolati rispetto a queste date fondamentali, che erano espresse all’ablativo semplice, in quanto determinazioni di tempo: Kalendis Ianuariis (abbr. Kal. Ian.) = il 1º gennaio; Nonis Iaunariis (abbr. Non. Ian.) = il 5 gennaio; Idibus Ianuariis  (abbr. Id. Ian.) = il 13 gennaio.

Se si trattava del giorno immediatamente precedente o successivo rispetto ad una delle tre date fondamentali, esso si esprimeva con pridie = il giorno prima, o postridie = il giorno dopo, seguiti dall’indicazione della data fondamentale in accusativo:

pridie Kalendas Ianuarias (prid. Kal. Ian.) = il 31 dicembre
postridie Kalendas Ianuarias (post. Kal. Ian.) = il 2 gennaio
pridie Nonas Ianuarias (pr. Non. Ian.) = il 4 gennaio
postridie Nonas Ianuarias (post. Non. Ian.) = il 6 gennaio
pridie Idus Ianuarias (pr. Id. Ian.) = il12 gennaio
postridie Idus Ianuarias (post. Id. Ian.) = il14 gennaio

Tutti gli altri giorni erano indicati precisando quanti giorni mancavano da quello che interessava per arrivare alla data fondamentale successiva (contando sia il giorno da calcolare, sia il giorno della data fondamentale):

ante diem tertium Nonas Ianuarias (a. d. III Non. Ian.) = il 3 gennaio
ante diem octavum Idus Ianuarias (a. d. VIII Id. Ian.) = il 6 gennaio
ante diem XII Kalendas Februarias (a. d. XII Kal. Feb.) = il 21 gennaio
ante diem V Idus Maias (a. d. Id. Maias) = l’11 maggio

 

Quella settimanale è una divisione del tempo ignota ai Romani: essa è di origine ebraica. In Italia fu introdotta da comunità ebraiche e cristiane; si impose solo con il definitivo affermarsi del cristianesimo sotto Costantino nel IV sec. d. C. In memoria del mondo romano, ai giorni furnon dati i nomi degli dei pagani (Lunae dies, Martis dies, Mercurii dies, Iovis dies, Veneris dies) con l’eccezione del sabato e della domenica, che mantennero i loro nomi di origine (Saturni dies, poi Sabbata; Solis dies, poi Dies dominica).

Il giorno solare era diviso in due parti: dies (dall’alba al tramonto) e nox (dal tramonto all’alba). A sua volta il dies era diviso in 12 horae: ciascuna hora era un dodicesimo del tempo intercorrente dall’alba al tramonto. Ne consegue che era più o meno lunga a seconda della stagione, giacché il dies in estate è molto più lungo della nox.
La nox era divisa in quattro vigiliae (= turni di guardia). La durata assoluta della vigilia variava, come per le horae, con le stagioni: era massima nel solstizio invernale, minima in quello estiva; teoricamente era di tre ore durante gli equinozi.

 

Fonte: http://www.collegiobentivoglio.it/Resource/ILCALENDARIOROMANO.doc

Sito web da visitare: http://www.collegiobentivoglio.it

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