Storia alimentazione

 

 

 

Storia alimentazione

 

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STORIA DELL’ALIMENTAZIONE

 

Preistoria
Il pasto tipo degli uomini primitivi probabilmente sembrerà poco attraente. Gli uomini delle caverne si nutrivano di termiti, cavallette, formiche o piccoli topini di campagna. La dieta “vegetariana” comprendeva invece qualche uovo di uccello, tuberi o radici.

Neolitico
Nel neolitico le abitudini alimentari erano già diverse. Era stata appena scoperta l'agricoltura e l'allevamento, così la dieta comprendeva anche i cereali e le carni degli animali.
La scoperta del fuoco cambia radicalmente la vita dell’uomo. Scoperto in Cina circa 300.000 anni fa ed in Europa 100.000 anni fa, fu utilizzato per cuocere gli alimenti solo intorno al 7.500 a.C.

Età dei metalli
Ancora più avanti nel tempo, nelle età dei metalli, si aggiungono ai cereali la frutta e i prodotti dell'orto.

4000 a.C. Egiziani
All'epoca degli antichi egiziani, cioè da almeno 4000 anni prima della nascita di Cristo, la dieta comprendeva molto pane. Fatto con farina di frumento o, più spesso, di orzo, questo era infatti alla base dell'alimentazione degli antichi egizi. Gli egiziani non  usavano  quasi mai la carne; così insieme al pane si mangiava del pesce sotto sale, affumicato o seccato al sole, formaggio, legumi e frutta. Cruda, oppure sotto forma di focaccia dolce con frutta e miele. Da bere c'era già il vino e la birra, però era un po' diversa da quella che conosciamo oggi: non aveva bollicine.

Sumeri
La dieta dei Sumeri era largamente vegetariana in quanto i bovini erano considerati animali da lavoro e macellati solo al temine della loro vita lavorativa. Le materie prime della dieta dei Sumeri comprendeva orza, frumento, ceci, miglio, cipolle, lattuga. Il pesce veniva consumato normalmente.

Babilonesi
Più o meno nello stesso periodo, però in Mesopotamia, si praticava molto la lessatura dei cibi. I babilonesi bollivano tutto, quindi probabilmente la dieta consisteva di un buon lesso di carne preparato con cipolla, porri, aglio, sangue, formaggio fresco e magari anche samidu e shuhutinnu: due qualità di piante aromatiche. Come condimento avremmo usato olio di sesamo o di oliva, e come dolcificante il miele o la frutta, che avremmo mangiato anche cruda, proprio come oggi.

1000 a.C. Ebrei
Anche per questo popolo il pane era alla base dell'alimentazione, e oltre al pane lievitato veniva preparato anche un pane senza lievito, detto pane azimo. La  carne era prevalentemente di montone, di vitello o di bue; quella di maiale no, perché era proibita. Queste pietanze venivano lessate o arrostite, ma si trattava di cibi non comuni e riservati ai giorni di festa. Quindi non avremmo trovato molto spesso la carne in tavola, in compenso legumi, frutta e formaggio. Da bere anche qui c'era il vino, e insieme a questo bevande ricavate dalla fermentazione dell'orzo, del miele e delle mele.

Greci
Nall'antica Grecia, all'ora dell'ariston, il pranzo, il pasto sarebbe stato veloce: olive, pesce fritto o formaggio e pane di orzo. In un panificio greco avremmo trovato tantissimi tipi diversi di pane Se ne conoscono addirittura 72, tra cui il daraton, che era un pane senza lievito; il phaios, un pane scuro; il semidelites, fatto con fior di grano; il caibanites, un pane composto da varie farine. E poi pani con olive, uva passa e fichi secchi. Anche qui non si mangiava molta carne, i greci la consideravano un cibo di lusso e compariva solo sulle tavole dei ricchi; la preferita era la carne di maiale, anche perché il pollame fece la sua apparizione solo nell'età classica. Una famiglia ricca avrebbe mangiato principalmente pane e legumi, oppure pesci sotto sale o affumicati, e forse il garon, una specie di salsina a base di pesce e erbe aromatiche. Una famiglia molto povera si sarebbe dovuta accontentare di pane e frutta. Ciliegie, uva e fragole erano molto comuni, mentre le pesche, di origine persiana, furono portate in Grecia dopo il IV secolo avanti Cristo. Da bere, anche qui, c'era il vino, che si consumava anche nei thermopolia, i bar dell'epoca. C'era anche un'altra bevanda, di dubbio gusto: si chiamava kikeon ed era a base di farina d'orzo, semi di coriandolo e lino, vino, formaggio grattugiato e foglioline di menta.
I greci ritenevano che il momento del pasto fosse occasione di nutrimento non solo del corpo, ma anche dello spirito. La loro moderazione, però non impedì loro di inoltrarsi nel campo delle sperimentazioni e delle novità. cominciarono a mescolare diverse sostanze e cibi, cercando di compensare sapori più forti. i greci introdussero l'uso dell'olio e dell'aceto, ritenuto curativo. Per attenuare o esaltare i sapori usavano aromi e miele, mentre facevano capolino alcune spezie, provenienti dal Medio Oriente e dall'Africa. tra i cereali spiccava l'uso dell'orzo, quasi sempre bollito, ma con il passare del tempo la coltivazione del frumento portò alla produzione del pane a pasta lievitata.
Fenici
Nella tavola dei fenici era spesso presente una buona zuppa di farro o legumi come lenticchie, fave o ceci. Insieme al pane, fatto con farina di orzo, avremmo mangiato cipolle, radici, cetrioli o lattuga. In una famiglia ricca anche dell'ottima selvaggina; in una povera, invece, del pesce. I fenici usavano conservare le pietanze facendole essiccare o mettendole sotto sale, quindi in occasione di una scampagnata si mangiava, per esempio, della carne secca, fichi, uva, datteri o melagrane. Come condimenti venivano usati olio, sesamo e miele per i dolci. Da bere birra e vino. La birra era una bevanda molto diffusa in tutta l'Asia Minore e in Egitto, terre in cui orzo e grano venivano coltivati in abbondanza; questa veniva consumata quotidianamente come dissetante e, in certi casi, anche come ricostituente. Il vino era di buona qualità e veniva consumato in tutto il Mediterraneo Orientale.

Tra il VII e il IV secolo a.C. Etruschi
A pranzo, tanto per cominciare, una bella farinata di cereali, un piatto tradizionale, e insieme a questa anche farro, orzo, fave, piselli, fichi, frutti selvatici, latte e formaggio di capra. La carne più usata era quella di maiale, ma venivano arrostiti anche cervi, lepri e qualche orso. Nelle città della costa si mangerebbe del pesce: piccoli tonni, pesci spada e razze. Nelle lagune di Maccarese e di Orbetello non mancavano le anguille e i capitoni, le spigole e le orate. Ma questi erano piatti per i ricchi. Il menù di una famiglia del popolo, invece comprendeva: pane e olive, polenta e verdure cotte o crude, pesci in salamoia, frattaglie, conserve sotto aceto e castagne. Il vino era la bevanda preferita anche se spesso veniva annacquato e poi c'era un'altra bevanda molto rinfrescante, fatta con latte fermentato.

Tra il III secolo a.C. e il X secolo d.C. Romani
Tra i romani primitivi i pasti erano decisamente frugali, me se nelle epoche successive, e in particolare in quella imperiale, i cambiamenti furono notevoli. I romani avevano per la buona tavola un amore che non risparmiava cure e non badava a spese. Anche per loro il pane era alla base dei pasti, però il suo uso si diffuse solo verso il II secolo avanti Cristo. Prima si mangiava una specie di pappa di farro e grano, detta puls. Questa veniva consumata con legumi come fave, lenticchie e ceci, oppure con la carne allo spiedo. Tra i romani, oltre alle solite carni come bue, agnello e vitello, si usava anche quella di asino, di ghiro, di cinghiale, di fagiano e di pavone. Nelle villae si allevavano i pesci, la selvaggina e gli uccelli che venivano poi cucinati con maestria dai cuochi: i funghi venivano cucinati col miele; i piccioni con datteri, pepe, miele, aceto, vino, olio e senape; e le pesche venivano preparate come noi facciamo le anguille marinate. Si trattava di una cucina in cui venivano mescolati sapori pungenti e sapori dolciastri: nelle stesse pietanze, accanto all'aceto e alla menta, si usavano il miele, il mosto cotto e la frutta ridotta a purè. Anche qui il vino era la bevanda preferita, e si beveva caldo anche nei bar, che, a giudicare da Pompei, erano diffusi come ai giorni nostri.
Nell'antica Roma
Dalla frugalità all'abbondanza
Agli inizi della civiltà di Roma la cucina degli antichi romani era certamente frugale. Non bisogna dimenticare che la civiltà romana si sviluppò da un piccolo villaggio di agricoltori. Furono i contatti con la Magna Grecia a far iniziare l'evoluzione di nuove coltivazioni e quindi di nuove preparazioni. All'inizio erano soprattutto polente a base di cereali, primi tra tutti l'orzo, il miglio, e poi il farro, la base dell'alimentazione. Il sale era usato pochissimo perchè bene assai prezioso e costoso e a volte il cereale veniva fatto bollire nell'acqua di mare. La carne era poca, soprattutto di maiale e si preparava nei giorni di festa. Le polente potevano essere arricchite con formaggi, miele oppure uova. Progressivamente, con le conquiste e la possibilità di conoscere nuovi prodotti dell'agricoltura, nuove spezie e nuove abitudini alimentari, la cucina romana si trasformò con un'abbondanza di ingredienti e preparazioni da far tremare i dietologi.
Salse e cottura 
Dietologi veri e propri tra i Romani non esistevano, ma ben presto ci si rese conto che gli eccessi alimentari erano fonte di un gran numero di malattie. Così, accanto ai primi trattati di gastronomia, nacquero alcuni rudimentali trattati di dietetica, i cui principi rimasero in voga fino al Medioevo. ed erano ben giustificati, se si pensa che i banchetti del periodo imperiale potevano annoverare fino a cento e più portate. Due le caratteristiche principali nelle preparazioni dei Romani: l'introduzione delle salse, che avevano il compito di "coprire" il gusto dei cibi mal conservati, ma che in seguito divennero elementi distintivi delle ricette, e la cottura dei pesci che venivano, infatti, bolliti prima di essere fritti o arrostiti. Lentamente il pane sostituì le polente di cereali. Dal pane alla pasticceria, anche se primitiva, il passo fu breve: bastò aggiungere miele, uvetta e noci e nocciole.
Peccati di gola
Quali erano i cibi più ricercati tra gli antichi? Come ai giorni nostri, era la scarsità a decretare il successo di un particolare alimento. Così anche tra i Greci e i Romani i tartufi e i funghi erano prelibatezza riservata ai ricchi. Alcune verdure, come gli asparagi o i fichi, erano oggetto di alcune leggi speciali. I Romani impararono le tecniche della conservazione delle carni e della produzione dei salumi, che poiché erano lavorati con il sale e le spezie, beni preziosi, erano una vera prelibatezza. Ostriche e aragoste erano i più apprezzati tra i prodotti ittici. E, a proposito di salse, una squisitezza che compare in tutti i trattati di cucina era il garum o liquamen. Era un condimento ricavato da interiora di pesce impastate con sale e con erbe odorose. Lasciamo alla fantasia del lettore immaginare quali caratteristiche di gusto e profumo avesse...
I cibi e la mensa dei Romani
I pasti giornalieri dei Romani durante gli ultimi secoli della Repubblica e nell’età Imperiale, erano normalmente tre:
1) Ientaculum, la prima colazione, composta da formaggio, latte o uova;
2) Prandium,, composta di cibi piuttosto leggeri, caldi o freddi, innaffiati dal mulsum, una miscela di vino e miele.
3) Caena, il pasto principale della giornata. La cena comprendeva la gustatio, la cena propriamente detta e le secundae mensae. La gustatio era l’antipasto; si mangiavano funghi, olive, uova sode, tartufi, verdure, anche qui accompagnate dal mulsum. La cena propriamente detta era composta da tre diverse portate, dette prima, seconda e termia cena; tra le carni venivano servite quella di cinghiale o di lepre, per la cacciagione carni di pavone, fagiano, merli e tordi, pesci come le triglie, storioni, ma anche ostriche. Le secundae mensae consistevano in frutta fresca e secca e dolci a base di farina e mosto cotto.

Nel Medioevo
Il "povero" Medioevo
Con il declino dell'Impero romano, le invasioni e i saccheggi dei barbari, la gastronomia segna una battuta d'arresto. I contatti con le popolazioni barbare, nomadi e guerrieri, non portò alcuna novità, ma anzi impoverì la tradizione gastronomica romana. Solo con Carlo Magno, lo sviluppo del monachesimo e dopo l'anno Mille, con la rinascita delle città, ritornò un certo gusto per la buona tavola. Il Medioevo è il periodo dei pasti a base dei pochi cereali che i barbari non saccheggiavano, delle verdure provenienti da un piccolo orto. in questo periodo le polente dei romani si sostituirono con zuppe di legumi e cereali. Dopo il 1000 arrivano nuove coltivazioni che sono le basi dei successivi cambiamenti: la canna di zucchero e il riso, entrambi giunti in Italia grazie agli arabi. Nel Medioevo si incomincia a produrre il burro e il formaggio secco, antenato del nostro parmigiano
L'eredità Araba
Sempre il Medioevo fu il periodo in cui si cominciò ad utilizzare ogni parte del maiale, che divenne, per facilità di allevamento, una delle fonti principali di carne e prodotti di salumeria, soprattutto prosciutti e salsicce. Questo ovviamente dove non era presente la dominazione araba che, in conformità alle leggi del Corano, proibiva il consumo della carne di maiale. Durante il periodo di permanenza in Sicilia, gli arabi influenzarono moltissimo la preparazione dei cibi. Essi riducevano in polvere le spezie che venivano mescolate alle carni e ai pesci. Le preparazioni dei dolci erano celebri e assai apprezzate, ancora oggi da esse derivano il marzapane e il torrone.

Tra l'XI al XV secolo d.C.
Siamo giunti alle invasioni barbariche, e ora c'è poco da scegliere: grandi quantità di selvaggina cotta allo spiedo e un vino molto forte. In questo periodo, avendo la fortuna di partecipare a un banchetto, capiremmo che i cibi non venivano presentati con un ordine prestabilito ed erano cucinati piuttosto grossolanamente. Nel medio evo si faceva un uso massiccio di spezie, sia nei cibi che nelle bevande. Si mangiavano i cigni e le gru. Formaggi, verdure e frutta completavano i banchetti. Questo per i ricchi. I poveri, molto probabilmente erano denutriti e correvano anche il rischio di morire di fame. Una famiglia medio borghese mangiava uova sode. Comunque alla base dell'alimentazione medioevale c'era sempre il pane e tra le bevande quella che andava per la maggiore era la birra, poi il vino e il sidro. Nella seconda metà del 400 la successione delle portate diventa più curata e durante i pranzi si passa da piatti leggeri a piatti più sostanziosi, per finire con frutta e dolci.
Nel Rinascimento
La cucina moderna affonda le sue radici nel Quattrocento e nel Cinquecento per le novità che arrivano dal Nuovo Mondo e che cambiano e arricchiscono le tradizioni popolari.. Nasce in questo periodo il gusto per la presentazione dei piatti. Compaiono le minestre preparate con brodo o latte, riso e cereali, mentre le carni più pregiate sono selvaggina e pollame. E' di questo secolo l'abitudine di avvolgere le carni in croste di pane. Inoltre alla fine del Quattrocento compaiono le paste "all'italiana". Maccheroni e vermicelli conditi con uvette oppure con burro e sale, e le prime paste ripiene, antenate dei tortellini.
Le novità
Patata, mais, fagioli, tacchino, cacao dalle Americhe, caffè e tè dall'Oriente: sono queste le novità che modificheranno le abitudini in cucina. Arrivati in Europa questi alimenti ebbero bisogno di parecchio tempo  prima di affermarsi. La patata, ad esempio era destinata all'alimentazione animale e solo nel Settecento fu scoperta come cibo. Lo stesso discorso fu per il mais che cominciò ad essere consumato solo dopo le numerose carestie e pestilenze, che avevano decimato i raccolti e sottoforma di polenta divenne il re sulle tavole dei contadini. Per quanto riguarda il cacao e la bevanda da esso derivata, la cioccolata, essi conobbero il massimo splendore dopo il Seicento, quando divenne bevanda di re e principesse.
Dal 1500 al 1600
Ma la vera arte nella preparazione dei cibi inizia nel 1500. Con la scoperta dei nuovi continenti arrivano le patate, il riso, il mais, gli asparagi, gli spinaci, e finalmente è possibile realizzare insalate di pomodori. Tra il XVI e il XVII secolo, il mais diventa alimento di base dei contadini, soprattutto nell'Italia settentrionale,si afferma la polenta. In Francia nel XVII secolo i re cominciano ad occuparsi personalmente di cucina e se abbiamo i liquori dobbiamo ringraziare Luigi XIV. Luigi infatti amava molto le "bevande cordiali", che altro non erano se non alcol, zucchero e aromi. Al regno di Luigi XV risalgono il consommé e la fricassea di pollo e di piccione, e poi alcune salse che usiamo ancora oggi: la besciamella e la maionese. Il caffè, il tè e la cioccolata chiudevano i pranzi più importanti.
Niente più condimenti che coprono il sapore delle vivande, poche spezie a favore delle erbe aromatiche e del limone. La carne viene cotta molte ore fino a quando non si stacca dall'osso. Le vivande delle classi più umili sono fagioli, polenta di mais, pane casareccio farcito con formaggio. Pochi i condimenti, olio al sud e grasso di maiale al nord, burro per i nobili.
Nel Cinquecento aumenta il numero delle verdure utilizzate in cucina: carciofi, pomodori, fagioli, asparagi, spinaci, piselli e mais entrano stabilmente nelle abitudini alimentari delle persone.
1700
Se per disgrazia ci fosse capitato di vivere durante la grande carestia del 1769, sapete cosa ci avrebbe salvato dalla fame? Le patate! Queste venivano coltivate già da molti anni in Germania, ma furono introdotte in Francia solo sotto Luigi XVI. Nel XVIII il pranzo diventa un'occasione per riunirsi e a Parigi viene aperta la prima trattoria. L'arte della conservazione dei cibi fa enormi progressi ed ora è possibile avere marmellate, formaggi di molte qualità, salumi e salsicce. Nasce l'arte dolciaria. Torte, pasticcini e meringhe fanno il loro ingresso trionfale nei pranzi importanti.
Entra il vino nella cottura delle carni. Nasce il ragù e la gelatina. Entra il cavolo nella tavola dei poveri.

1800
Con il XIX secolo in seguito alle scoperte scientifiche applicate all'industria e all'agricoltura l'alimentazione cambia profondamente. All'inizio dell'ottocento viene impiantata in Francia la prima industria di lavorazione della barbabietola: grazie a questo ora diventa normale avere lo zucchero in tavola. Le teorie di Pasteur sulla fermentazione permettono progressi in campo enologico e caseario, quindi migliora la qualità dei vini e dei formaggi. L'abitudine del pranzo come occasione di riunione e festa si diffonde in tutte le classi sociali e le mamme diventano le regine della cucina.
Le minestre sono divise, dai cuochi francesi, in chiare (brodo), più spesse (minestre cremose) e vellutate.

1900  
Oggi i nostri pasti si vanno sempre più semplificando, sempre più spesso il pranzo è uno spuntino, si può scegliere tra hamburger, pizzette o panini al bar. I pranzi importanti, quelli con tante portate e piatti raffinati, sono ormai riservati alle occasioni particolari.
Alla fine degli anni cinquanta un gruppo di cuochi francesi inventarono una sorta di cucina basata su nuove combinazioni di piccole quantità di cibi presentati artisticamente in piatti di dimensioni superiori al normale guarniti e addobbati dagli stessi ingredienti delle ricette. E' la Nouvelle Cuisine che oggi conosce un momento di difficoltà: troppi improvvisati e approssimativi imitatori ne hanno decretato un lento declino, e le preparazioni raffinate restano appannaggio esclusivo di pochi, selezionati e molto costosi templi del buon gusto.
2000
Dall'esigenza di cucinare in modo rapido, oggi le ricette sono tornate ad essere più semplici: l'attenzione delle massaie si rivolge sempre più alla qualità dei cibi, con una riscoperta dei sapori semplici e una strizzatina d'occhio alle nuove cucine etniche. La riscoperta della dieta mediterranea, tuttora considerata ottimale per il gusto e per la salute, i principi della dietetica e delle combinazioni alimentari, sono i motivi conduttori della cucina che si affaccia al Duemila.

 

A TAVOLA DOMANI

Da una parte la guerra dei medici a sovralimentazione e cibi spazzatura, dall’altra la ricerca tecnologica di prodotti in grado di catturare la curiosità del consumatore. Da una parte il fast food, il take away, dall’altra lo slow food, il “bio” i cibi a denominazione di origine controllata, la riscoperta di ricette tradizionali.
Quale di queste tendenze prevarrà? I percorsi di sviluppo per il 2020 indicano due ipotesi. Nella prima si prospetta una società basata sull’equilibrio sociale, sul progresso economico sostenibile dove si impongono solidarietà, senso civico, work-life bilance (equilibrio tra lavoro e tempo libero) e si sviluppano politiche corrette nei confronti dei Paesi produttori di materie prima. Se questo sarà lo scenario, a tavola rivaluteremo cibi tradizionali,presteremo attenzione agli equilibri nutrizionali, aiutati da Campagne che inviteranno alla riduzione del peso; si imporrà il cibo tipico e regionale, che limita gli spostamenti delle merci, si vedranno con favore alimenti poco elaborati.
La seconda ipotesi è quella di una società basata sul progresso economico competitivo, favorito dal mercato globale, una società in cui si lavora molto di più. In questo scenario aumenterà l’acquisto di prodotti rassicuranti che promettono giovinezza, bellezza e salute. Accanto a merci che costano sempre meno, si troveranno alimenti con una vistosa componente salutistica, high tech, distanti dalla tradizione mediterranea ma arricchiti con fattori nutritivi. Si imporrà il “wellness food” in cui alimentazione, dermatologia, cosmesi e tecnologia si fonderanno insieme.

 

In esperimenti di laboratorio condotti già negli anni Trenta era emerso come le cavie sottoposte a diete snervanti vivono il 50% in più rispetto ad altre cavie ben nutrite. Secondo i sostenitori di tale “dieta” l’equivalente di 160 anni di vita umana.
In successivi test un identico rapporto dieta-longevità è emerso in ragni, vermi e cani. A dimostrare l’applicabilità di tale tesi sugli esseri umani è stato un gruppo di scienziati auto-esiliati in una enorme bolla di vetro nel deserto dell’Arizona vivendo per due anni in ecosistema autosufficiente che produceva il minimo indispensabile.
Tutti i componenti alla fine sono emersi più sani e più forti di quando sono entrati. Come si spiega tutto questo? Secondo alcuni è la minaccia della fame a scatenare meccanismi di auto-conservazione negli animali compreso l’uomo. Altri avanzano la cosiddetta “ipotesi del chilometraggio” secondo cui meno benzina significa minor strada da percorrere e quindi durata e performance maggiori per la “macchina cellulare”.

Questa sarebbe la “dieta no-food” valutabile in circa 1800 Kcal al giorno, definite “pericolosamente insufficienti” dagli scienziati. Oltre a una perdita di peso troppo rapida, tra i rischi ci sono il calo di testosterone e ossa più sottili e fragili.

Forse uno stratagemma per propagandare “ricette” servite su enormi piatti da portata, ma in cui la parte edibile è quasi trascurabile, e dove gli “ingredienti” sono distribuiti più come un’opera d’arte che non un qualcosa di commestibile?

 

http://massimoparisi.it/docs/Scienza%20dell%27Alimentazione%20(%20V%20Dirigenti%20di%20Comunit%C3%A0)/Appendice%201%20Storia%20dell%27alimentazione.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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