Aztechi storia e curiosità

 

 

 

Aztechi storia e curiosità

 

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Luogo:  il popolo azteco si stabilì nel altopiano messicano, e fondarono la loro capitale Tenochtitlan nel XIV sec.

Tenochtitlan vista da Est

Origini: sulle origini di questo popolo vi è una leggenda, la quale narra che il popolo fosse partito anni, i mexicas gettarono le fondamenta della loro capitale, Tenochtitlàn, su un isolotto nel lago Texcoco. Oggi Tenochtitlàn è diventata Città del Messico ma l'aquila della profezia è rimasta al centro della bandiera messicana. Una parte della leggenda nonostante tutto è reale, infatti il popolo azteco arrivò nell’altopiano messicano in cerca di un clima più favorevole, rispetto a  quello arido del nord del Messico. Qua però non furono ben accetti dagli abitanti, i tolteci, ma riuscirono comunque sia a stabilirsi.

 

 

 

Religione: gli aztechi seguivano una religione politeista, creata da vari dei tra cui i più importanti Quetzalcoatl e il Sole. Quetzalcoatl significa il serpente piumato ed è una divinità già venerata dal popolo di Teotihuacan. Questo era considerato il padre della civiltà, e per l’appunto era un dio della sapienza. Secondo una leggenda, si era allontanato dal mondo vivente promettendo però di ritornarvi.

 


Secondo la visione mitologica azteca il mondo è sospeso nel vuoto e la natura è ricca di forze distruttive che vanno sorvegliate dagli esseri umani. La concezione del tempo vedeva un periodico ritorno di momenti di catastrofe, attraverso 4 o 5 tutte concluse da eventi disastrosi.

 

 


Alla fine di ogni era, formatta da 52 anni, avvenivano i sacrifici,eseguiti dai sacerdoti sulle grandi piramidi a gradoni, per far mantenere vivo il mondo.

Raffigurazione del dio Quetzalcoatl

 

Economia: come gli altri popoli preamericani, gli aztechi vivevano di agricoltura. Fondarono la loro capitale nel 1325 sul un isolotto del lago Tezcoco, Tenochtitlan, unacittà galleggiante, simile alla nostra Venezia, infatti le strade e le piazze erano formate da canali. Questa raggiunse il massimo splendore, assieme alla sua popolazione, nel 1428 con la sottomissione delle città vicine, allargò i propri confini fino al golfo del Messico. Le conquiste assicurarono alla città dei tributi e le varie cose che erano presenti nella pianura e non nell’altopiano, oltre ciò ci furono vari prigionieri che vennero usati non come schiavi, ma come sacrifici per permettere che il loro sangue portasse in vita il Sole.

 

Fonte: http://anki.altervista.org/appunti/Aztechi_gherazzu.doc
Autore: Marina Gherazzu

 

 


 

Aztechi storia e curiosità

 

Conquiste spagnole

La conquista spagnola della parte meridionale del subcontinente venne facilitata, oltre che dalla superiorità in fatto di armi degli invasori, dalla discordia prevalente fra i popoli nativi della regione. Particolarmente violenti erano i disordini all'interno del potente impero azteco, che cadde nelle mani di Cortés nel 1521. Anche i Maya, l'altro grande popolo messicano che viveva soprattutto nella penisola dello Yucatán, erano divisi e incapaci di offrire un'efficace resistenza contro gli spagnoli. Benché decine di migliaia di nativi del Messico e dell'America centrale fossero stati sterminati durante la conquista e il dominio spagnoli, gli aztechi, i maya e altri popoli sopravvissero e si moltiplicarono. I loro discendenti costituiscono la maggioranza della popolazione attuale di queste regioni.
Cortés giunse nella regione della penisola di California nel 1536. Fra gli altri comandanti delle spedizioni esplorative della prima metà del secolo XVI si ricordano Pánfilo de Narváez e Alvaro Núñez Cabeza de Vaca, i quali esplorarono parte della Florida, le coste settentrionali e orientali del golfo del Messico e parte del Messico settentrionale fra il 1528 e il 1536; Hernando de Soto, che raggiunse e attraversò il fiume Mississippi nel 1541; Francisco Vázquez de Coronado che, dal 1540 al 1542, esplorò ampie zone della parte sudoccidentale degli attuali Stati Uniti. St Augustine, in Florida, fondata nel 1565 dall'esploratore spagnolo Pedro Menéndez de Avilés, è il più antico insediamento permanente europeo degli odierni USA.
Fino al 1600 gli spagnoli avevano sottomesso i popoli nativi di gran parte delle isole delle Indie Occidentali, la penisola di Florida e il Messico meridionale (Nuova Spagna). Dopo aver consolidato il controllo sulla Nuova Spagna, si spinsero pian piano verso nord, completando la conquista del Messico e prendendo il sopravvento in estese regioni del sud degli attuali Stati Uniti. La politica coloniale spagnola nell'America settentrionale fu identica sotto tutti gli aspetti a quella adottata nell'America meridionale: fu, cioè, una politica di spietato sfruttamento economico. Considerando le colonie quali mere fonti di ricchezza, i dominatori imposero tasse opprimenti e mantennero il monopolio del commercio coloniale, impedendo anche gli scambi fra le colonie.

 

Fonte: http://www.studenti.it/download/scuole_medie/America%20settentrionale.doc

 

Il ritorno di Qetzalcoatl

 

La conoscenza dei fatti e delle dinamiche della scoperta e della conquista del Nuovo Mondo è in gran parte affidata ai testi lasciatici dagli scopritori e dai conquistatori. Cronache dei protagonisti, lettere, diari e relazioni ci restituiscono con l’immediatezza e l’efficacia della testimonianza diretta, l’ansia di navigazione, le difficoltà, lo stupore degli esploratori, l’ostilità dell’ambiente, il mistero delle civiltà sconosciute, il rumore delle battaglie, la scoperta dei tesori, il trionfo della civiltà europea e cristiana, l’orgogliosa consapevolezza della propria superiorità di fronte agli indigeni. A dare forza alla legittimazione delle voci dei protagonisti, altre voci si levano dal Vecchio Mondo: esse provengono da Bolle papali, leggi della Corona spagnola e portoghese, trattati di dotti teologi, di giuristi e filosofi delle università, elogi celebrativi che offrono una giustificazione della conquista, persino delle violente distruzioni che l’hanno accompagnata e della successiva schiavitù di indios d’America e neri d’Africa. Il punto di vista di queste fonti e quello dei vincitori. Per scoprire l’altro volto della storia è necessario interrogare le testimonianze lasciate dagli indigeni. Purtroppo ben poco è sopravvissuto alle distruzioni dei Conquistadores: i racconti, i canti, i poemi delle popolazioni indigene sono infatti rari e lacunosi, quasi tutti successivi alla conquista e in qualche caso, scritti da spagnoli e meticci che li hanno raccolti dai diretti testimoni. Seguendo uno schema che tende a ripetersi, i racconti si aprono con i numerosi presagi  che annunciano l’arrivo degli stranieri, per proseguire con la storia dei primi fiduciosi contatti e del successivo disinganno di fronte alla condotta spietata dei conquistadores, e infine chiudersi con la consapevole, desolata presa d’atto, da parte dei vinti, della fine irreparabile del loro mondo. 

I PRESAGI
Historia general de las cosas de la Nueva Espagna,
Libro XII
Testo nahuatl del Codice Fiorentino (Laur. Medie. Palat. 220ff. 408r-494r).

Capitolo I: Ove si dice come siano apparsi, come siano stati scorti i segni, i presagi di sventura, prima che gli Spagnoli approdassero qui, in questa terra, prima che ne avessero notizia i suoi abitanti.

“Prima che arrivassero gli Spagnoli, dieci anni innanzi, un presagio di sventura apparve una prima volta nel cielo, come una vampa, come una lingua di fuoco, come una aurora. Essa sembrava piovere a gocce minute, come se fendesse il cielo; si allargava alla base, si assottigliava mano a mano che saliva. Fin nel mezzo del cielo, fino al cuore del cielo essa giungeva, fino al più profondo del cuore del cielo saliva. In tal guisa, la si vedeva, laggiù verso oriente si mostrava, scintillava nel cuore più oscuro della notte, sembrava far giorno, e più tardi il sole sorgendo la dissolveva. Aveva avuto inizio in un anno Dodici-Casa. Quando appariva, la gente prorompeva in lamenti, si batteva la bocca, ne era sgomenta, ogni lavoro smetteva.
Un secondo presagio di sventura sopraggiunse qui, a Messico. Da sola, da se medesima andò in cenere, senza che nessuno vi avesse appiccato fuoco, la dimora del diavolo Uitzilopochtli. Era detta sua dimora divina, la dimora designata come Tlacateccan. Allo sprigionarsi del fuoco, subito, le colonne di legno, squadrate, bruciarono. Dal suo interno, divampò la fiamma, la lingua di fuoco, la lama di fuoco. In un baleno, ha divorato l'armatura del tempio. Subito si è lanciato l'allerta: " Messicani, senza indugio accorrete, il fuoco sarà soffocato dai vostri orci d'acqua! " Ma, quando essi vi gettavano acqua, quando cercavano di estinguere il fuoco, esso riavvampava più forte. Non si estinse, tutto andò in cenere.
Un terzo presagio di sventura. Un tempio fu colpito dalla folgore, dal lampo. Altro non era che l'umile dimora dal tetto di paglia che si ergeva su un luogo detto Tzummulco, il tempio di Xiuhtecuhtli. Non a scrosci pioveva, appena cadeva una pioggia leggera, e ciò fu tenuto per funesto presagio. Cosi, si diceva: "Altro non fu che una scintilla del sole, il tuono, nessuno l'ha udito".
Un quarto presagio di sventura. Quando ancora il sole splendeva nel cielo, una cometa cadde, suddivisa in tre parti. Essa sorse dal lato d'oriente, poi sfrecciò verso occidente, come piovessero braci. Molto lontano si stenderà la sua scia, molto lontano giungerà la sua coda. E quando la videro, alto e continuo si levò un mormorio, quasi che un brusio di conchiglia di mare si fosse levato.
Un quinto presagio di sventura. L'acqua si mise a ribollire; non era il vento a sollevarla sulla superficie del lago; era come se da se stessa vorticasse: come se, precipitando, producesse un gorgo. E quando si sollevò, assai lontano si spinse, arrivò fino alla soglia delle nostre dimore, sommerse e distrusse le nostre dimore. Ciò accadde nel grande lago che si stende intorno a noi, qui, in Messico.
Un sesto presagio di sventura. Sovente s'udiva una donna che vagava piangendo, che vagava gemendo, di notte senza posa gemeva, vagava gridando: "Figlioli diletti, ecco che è giunto il tempo della nostra partenza! " Di tempo in tempo diceva: "Figlioli miei cari, dove mai vi condurrò?"
Un settimo presagio di sventura. Accadde che la gente che viveva sul lago, prese nella rete qualcosa, qualcosa restò impigliato nelle sue reti, un grande uccello cinereo, simile ad un trampoliere. Senza indugi, accorsero a mostrarlo a Motecuhzoma, al Collegio-del-Nero'. Il sole aveva appena iniziato a declinare, da poco aveva percorso la metà del suo corso. L'uccello portava sul capo come uno specchio di forma rotonda, una sfera, come forata nel centro. In esso si distingueva il riflesso del cielo, gli astri, la costellazione dei Gemelli. E Motecuhzoma fu grandemente turbato quando vide le stelle, e i Gemelli. E quand'egli scrutò per la seconda volta il capo dell'uccello, vi scorse sullo sfondo come della gente che s'appressasse da ogni parte accorrendo, che si fosse mossa a convegno, che venisse disposta alla guerra e veniva portata da cervi. E subito interrogò gli indovini, i sapienti. Disse loro: " Sapete che cosa ho veduto? Come se la gente s'appressasse da ogni parte accorrendo". Ma subito, quando ancora cercavano di darvi risposta, ciò che essi vedevano si era dissolto; essi non dissero più nulla.
Un ottavo presagio di sventura. Sovente apparivano uomini, rattrappiti, con due teste, su un corpo solo. E subito venivano portati al Collegio-del-Nero, subito venivano mostrati a Motecuhzoma; e non appena ne erano ammessi al cospetto, subito scomparivano.”
All’arrivo di Cortez, proveniente dalla Spagna, il popolo Nahuat esibiva ancora la sua civiltà fatta di piume variopinte, gioielli d’oro e di giada, pittogrammi, piramidi a gradini, sacrifici umani. L’Impero Azteco era retto da un sovrano Montezuma, considerato il dio sole, e l’economia si basava sulla guerra di conquista attuata con armi di pietra come mazze e fionde, simili a quelle in uso presso i comuni antenati cinesi, che valicarono lo stretto di Bering 30.000 anni prima di Cristo (vedi bibl.: Von Hagen, Gli Aztechi). Gli Aztechi non furono mai teneri con i popoli loro sottomessi e gli Spagnoli si comportarono con loro, esattamente come i Nahuat si erano comportati con i loro avversari fino a quel momento. Un fatto, però, li aveva messi in netto svantaggio nei confronti dei nuovi arrivati: essi attendevano il ritorno di Quetzalcoatl, dio alto, biondo, bianco e barbuto, che aveva ripreso il mare dopo essere stato sconfitto da Tezcatlipoca, e Cortez corrispondeva fisicamente alla sua descrizione.
Fortemente influenzato da una serie di fatti anomali (cfr. “i Presagi”) che si erano verificati negli anni precedenti, il Sovrano passava il suo tempo consultando indovini e preparandosi al compiere di questo destino: egli dunque scelse di ingraziarsi i visitatori offrendo loro regali principeschi, ospitalità e ogni sorta di beni, tentando al tempo stesso di capire le loro intenzioni; ma ciò si rivelò un errore fatale, poiché la ricchezza dei doni offerti non fece che incrementare l’avidità degli spagnoli e dissolse ogni dubbio sulla pericolosità dell’impresa. Cortés d’altra parte adotta la stesso comportamento: agli emissari di Montezuma Cortés comunica di essere l’inviato del più grande re della terra e di voler stabilire dei rapporti amichevoli e di commercio con gli Aztechi, mentre in realtà già progettava un piano rapido ed efficace per appropriarsi delle ricchezze degli aztechi e della splendida capitale Tenochticlan. A questo punto (siamo nella primavera avanzata del 1519) gli spagnoli iniziano l’avvicinamento alla capitale, nel corso della quale entrano in contatto con alcuni popoli dell’impero, rendendosi conto del malumore generale contro gli aztechi.
L’odio dei popoli sottomessi dagli aztechi contribuì largamente al successo di Cortés e più generalmente alle operazioni di conquista spagnola. Le guerre di conquista azteche avevano come scopo principale il conseguimento di schiavi da sacrificare agli dei,  offerti soprattutto a Tonathiu, dio del sole, e l’ottenimento di merci pregiate. Pertanto i popoli sconfitti erano soggetti a pesanti tributi in beni e vite umane. Basti pensare che in occasioni particolari, i loro sacerdoti potevano sacrificare persino 20000 vittime per volta.

 

 

I costumi degli Aztechi erano effettivamente molto discutibili, al punto che lo stesso Cortez, non troppo avvezzo a complimenti e raffinatezze, rimase allibito di fronte a un festino di pietanze e intingoli confezionati con carne e sangue umani. I sacrifici dei prigionieri di guerra venivano consumati sulla cima di alti templi a gradoni. Nei primi giorni del mese di febbraio, invece, venivano sacrificati bambini in età da latte, con un procedimento simile a quello che i Fenici riservavano alle vittime coetanee offerte al dio Baal: i malcapitati venivano annegati e poi gettati nel fuoco, per essere cotti e mangiati. È dunque naturale, viste le violente abitudini azteche nei confronti dei popoli sottomessi, che questi ultimi provassero risentimento nei confronti dei loro oppressori, li odiassero e non aspettassero che il momento opportuno per dimostrarlo. Nell’agosto 1519 Cortés è ancora in viaggio ma ha fatto enormi progressi assicurandosi l’alleanza con i Tlaxcala, mercenari che odiavano i loro padroni aztechi e che ora possono finalmente scatenarvisi contro.

Lo sbarco vero e proprio avvenne a Veracruz nella primavera del 1519, il giovedì santo. Nel giro di una giornata arrivarono gli emissari di Montezuma II, imperatore degli Aztechi. Come già detto il sovrano era stato avvertito da tempo della presenza di stranieri barbuti e su strane navi lungo le coste del Messico, ma una profezia su tutte lo angosciava: il ritorno di Quetzalcoatl.

Egli era una divinità positiva di prima grandezza, il serpente con le piume, e giocò un ruolo importante nel crollo dell'impero Azteco. Questo dio civilizzatore e benefico dell’antico Messico, in perenne antagonismo con Tezcatlipoca, signore delle tenebre e del male  , era stato cacciato dal suo trono e doveva tornare un giorno dalla regione dove si alza il sole su una barca di canne. Secondo gli Aztechi tutto l’universo viveva della lotta fra le due divinità in un continuo processo di morte e rinnovamento. Nell’ultimo di questi rivolgimenti, Queztacoalt era stato temporaneamente sconfitto dall’avversario, e l’epoca vissuta dagli aztechi si svolgeva nel segno  di Tezcatlipoca. Queztacoalt aveva però promesso di tornare, ed una data possibile di questo ritorno era proprio il 1519. Nel 1519, infatti, un uomo dall'apparenza strana, arrivava dall'est con altri uomini, in sella a strani animali. Questi uomini avevano la pelle bianca e portavano un elmo di metallo che brillava al sole; l'imperatore Montezuma vide nel loro capo, Queztacoalt in persona.

Naturalmente anche la visione religiosa aveva dei profondi risvolti politici: infatti Queztacoalt e Tezcatlipoca erano i  tutori e punto di riferimento delle fazioni “progressista-mercantile” e “oppressivo- militarista” presenti nelle popolazioni precolombiane. Quetzacoalt godette del massimo culto presso i Tolteci (predecessori degli aztechi), gli Aztechi invece elessero a loro protettore il truce Tezcatlipoca, in accordo con il loro atteggiamento aggressivo. Ciò finì per complicare il problema, poiché Montezuma era di discendenza tolteca cosicché egli si trovò coinvolto nello scontro tra le due divinità, per di più incapace di operare una scelta fra la ragion di stato azteca e il rispetto delle sue origini tolteche.  In ogni caso nessuno si rese conto degli effetti a lungo termine del suo comportamento, perché la cronaca prevale sempre sulla storia.

L’8 novembre Herman Cortés ed i suoi entrano nella capitale Tenochtitlan, accolti con onori da Montezuma; è il momento dello stupore e della meraviglia per le realizzazioni azteche. Il conquistador non perse tempo e colse la prima occasione per ingannare  Montezuma; egli viene accusato di tradimento e per provare la sua innocenza è costretto ad abbandonare la capitale e trasferire la sua residenza imperiale nel palazzo riservato agli spagnoli; praticamente è reso prigioniero. Quest’episodio ha il sapore dell’incredibile: è infatti impensabile che un grande re del passato come Augusto, Napoleone, Serse, Carlo V, si sottomettesse in questo modo al volere di uno straniero, il cui esercito assomma al numero delle proprie guardie del corpo. Eppure accade.Gli Spagnoli lessero in quest’esperienza un segno della Provvidenza, ed è difficile dar loro torto. In realtà Montezuma si perse di una lucida vertigine suicida perché si sentì abbandonato dagli dei, al culmine della crisi provocata dai presagi e dalle profezie, l’imperatore era paralizzato dal fatalismo e si presentò come una vittima sacrificale ai conquistadores, prigioniero con ciò dello schema azteco della vita e della morte.

E la gente? Finora la conquista sembra un fatto personale fra Cortés e la superstizioni di Montezuma. Ma la gente dov’era e soprattutto cosa ne pensavano le persone comuni di questa situazione? Nessuno ne parla, ovviamente, ma per come sono andate le cose forse è possibile indovinare: non pensavano a nulla se non al dolore di vedere il proprio mondo intero distrutto. Nella struttura sociale azteca il rapporto fra cittadino e le istituzioni si era assai indebolito e mancavano solidi legami fra il popolo e i suoi capi: tutto sommato lo stato era affare per pochi intimi. Esistevano certamente strutture tributarie (presenti sempre e comunque), ed efficienti gerarchie burocratiche, finalizzate alla gestione del potere e del controllo dei sudditi, tuttavia la gente non aveva la possibilità di esprimere i suoi sentimenti, le sue opinioni riguardo a nulla. La gente si riconosceva nella struttura sociale del suo paese? Sentiva la nazione come dipendente dal proprio contributo individuale? Percepiva l’importanza della propria persona, anche nel contesto globale? No. Agli Aztechi mancò la risolutezza nel prendere le decisioni, sempre fortemente legate alla sfera sacrale, l’arditezza di opporsi alle volontà di stranieri in nulla superiori alla loro civiltà, e soprattutto mancarono gli ordini, i capi, mancava l’atteggiamento e la pratica delle libertà. E di tutto questo il popolo Nuhatl prese coscienza troppo tardi, quando ormai la minaccia era evidente, palpabile e perciò ineluttabile. A quel punto era stata fatta strage dei vertici, e gli Aztechi, troppo ligi agli schemi gerarchici, restarono senza difesa. Comunque siano andate le cose, il fatto che lo svolgimento della Conquista sia prevalentemente riportato ed analizzato nei risvolti attinenti a Montezuma indica chiaramente che il resto del mondo azteco rimase largamente estraneo agli eventi preparatori della Conquista e della distruzione per il loro stesso mondo.

 

LA NOCHE TRISTE

Giugno 1520

La situazione era particolarmente insostenibile, tanto che il popolo, stanco di falsità circa la pace, sfocia in una sanguinosa rivolta che si conclude con la lapidazione del re dalla folla prima ancora della possibilità di dialogo. Cortés è costretto ad allontanarsi dalla capitale, ma gli Aztechi, stolti, non seguitano ad inseguirlo, poiché osservano il famoso detto: “a nemico che fugge ponti d’oro”. Fu un altro dei gravi errori commessi da questo popolo, probabilmente per inesperienza, che consentì agli avversari capeggiati da Cortés di riprendersi e ripartire alla volta di Tenhochtitlan. Quella stessa notte in cui il conquistador fu allontanato è passato alla storia come “la noche triste” (per Cortés e non certo per gli Aztechi), ma si del rivela significativa se pensiamo che per un attimo la situazione può capovolgersi a favore degli indigeni, che tuttavia dopo una buona riscossa, si giocano l’indipendenza, perdendo tempo a sacrificare i prigionieri catturati, anziché organizzare l’avanzata.

Attualmente della civiltà azteca non ci resta nulla, a parte ovviamente delle rovine malinconiche sepolte e mischiate agli edifici del Localo di Città Messico. La caduta della monarchia degli aztechi fu favorita dai numerosi fattori politici e strutturali propri della loro civilizzazione. Ma la cultura azteca fu spazzata via essa stessa con estrema rapidità. Allo stesso modo dello stato, la cultura era un privilegio per pochi, e morì insieme ai sacerdoti e ai capi che l’avevano usata per governare il loro popolo. La gente passò ad un altro dominio, con divinità diverse, diverse tradizioni, diverse regole e diversi re da rispettare e a cui ubbidire: aveva inizio il Messico moderno.

 

All’inizio del percorso abbiamo rivelato che risulta difficile interpretare le scarse informazioni che abbiamo circa il giudizio dei Nuhatl sugli invasori spagnoli. Tuttavia ci sono pervenute una serie di raffigurazioni e brevi testi in cui esprimono la loro tragica fine. La scomparsa del proprio mondo, travolto dai saccheggi, dagli incendi, dai massacri dei conquistatori, è dolorosamente sentita dagli indigeni che ne danno testimonianza in varie composizioni, come questo canto sulla fine del Messico:

 

Lungo le strade giacciono, spezzate, le nostre armi;

le chiome sono sparse.

Senza tetto sono le nostre case

E hanno rosse le mura.

Gli insetti pullulano per le strade e le piazze,

e i muri sono sporchi di brandelli di cervello.

Le acque scorrono rosse, come fossero tinte.

E quando beviamo

È come se bevessimo acqua di salnitro.

 

Il trauma della fine è rievocato dagli indios anche in grandi cicli di pitture in cui sono fissati i momenti decisivi che segnano il crollo della loro civiltà. Alcuni di questi cicli offrono una vera e propria cronaca visiva dell’incontro-scontro tra il popolo azteco e i soldati spagnoli: con l’immediatezza e la vivacità delle immagini, spesso ingenue per difetto di prospettiva e nelle proporzioni, gli anonimi disegnatori aztechi ci fanno scorrere davanti agli occhi, come in un film, le scene terribile della distruzione, delle mutilazioni, delle violenze che gli uomini spagnoli compiono sui templi, sulle donne, sugli animali.

 Con parole di sgomento misto a incredulità i vinti si interrogano sulla fine violenta dell’universo che aveva dato loro identità e norme di vita:

 

Ci dite

Che i nostri dei non sono veri.

E ci dite

Una parola nuova

Che ci turba

Che ci intristisce.    Perché i nostri antenati,

quelli che sono stati, che hanno vissuto sulla terra,

non usavano parlare così.

E ora dovremmo distruggere

 L’antica norma di vita?

      

 

BIBLIOGRAFIA

  • German Vàzquez Chamorro - Miguel Leòn Postilla - Paolo Emilio Taviani - Pedro A. Vives, “L’America di Colombo La scoperta del Nuovo Mondo”, UTET, Milano, 1979
  • MANZONI M. – OCCHIPINTI F., Le storie e la storia, (I Dal Medio Evo al secolo XVII), Einaudi scuola, Milano 2001
  • TODOROV T., La conquista dell’America, trad. it, Einaudi, Torino 1984

 

Autori :

Massimo Baldrighi       Umberto Bongianino
        Rachele Gobbi                Giulia Silvestri

 

Fonte: http://www.istitutosuperiorelagrangiavc.it/Materiali%20didattici/progetto%20cittadinanza/progetto%20cittadinanza/l%27altro%20lo%20straniero.doc

 

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