Ebrei e olocausto

 

 

 

Ebrei e olocausto

 

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Primo Levi nasce a Torino nel 1919, dove compie gli studi fino alla laurea in chimica pura. Nel 1944 viene deportato con un contingente di  Ebrei e assegnato al campo di concentramento di Auschwitz.

 

Scampato a quell’inferno, non sopravvisse ai ricordi che conservava dentro se stesso di quella immane tragedia. Morì suicida l’11 aprile del 1987 a Torino nella casa dove era nato, ed nella quale era tornato dopo l’olocausto.

 

Tornato in Italia alla fine del 1945, scrive in pochi mesi il racconto di questa esperienza dolorosa dal titolo “Se questo è un uomo”. Il libro pubblicato da Einaudi nel 1947, diviene ben presto un classico dei nostri tempi.

 

 


Queste sono le parole che Primo Levi, in apertura del suo libro, raccomanda ai lettori affinché non dimentichino quanto è accaduto. Perché qualcosa di orrendo era accaduto, qualcosa che all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale aveva lasciato sbigottiti ed increduli gli uomini di tutte le nazioni, quegli uomini che avevano sconfitto un nemico crudele e malvagio. Hitler e l’olocausto.
Un intero popolo era stato sterminato, era stato privato di dignità, segregato e torturato nei campi di concentramento. Sei milioni di ebrei avevano trovato la loro tragica fine nelle camere a gas, e coloro che erano riusciti a sopravvivere raccontarono quanto di ignobile, deplorevole ed orribile aveva compiuto un uomo ed uno Stato.
Da allora in poi intellettuali, poeti,  artisti, registi ed anche gli uomini comuni hanno lasciato traccia nella nostra memoria di quei fatti che altrimenti sarebbero caduti nell’oblio, nella dimenticanza.
Lo hanno fatto perché tutti i popoli e le generazioni future non dimenticassero che l’odio, l’intolleranza nei confronti del diverso per cultura, religione o altro genera morte e sopraffazione.
Alla memoria è affidato il messaggio di fede nella vita e nella libertà, tra gli orrori e il sangue di una tragedia che non può essere dimenticata.
Questo è tanto più valido e significativo oggi, in quanto la nostra società assume colori assai diversi, perché accanto a noi oggi vivono altre culture e religioni, e se non impariamo a rispettare le diversità, oggi più che mai possiamo incorrere negli stessi errori.
E allora la memoria di quanto è avvenuto durante la shoah ha una grande valenza. Rischiamo ogni giorno di commettere tanti piccoli olocausti se non impariamo l’importanza dell’accettazione e dell’integrazione. Perché maltrattare un extracomunitario è una ingiustizia altrettanto grave, prendersi gioco del suo colore della pelle significa non aver imparato nulla da quanto accadde agli Ebrei.
Il passato è comprensibile per noi soltanto alla luce del presente, e possiamo comprendere il presente unicamente alla luce del passato. Far sì che l’uomo possa comprendere la società del passato e accrescere il proprio dominio sulla società presente: questa è la duplice funzione della storia (Ed. H Carr).
Qual è il compito della storia?  Semplicemente quello di mostrare come le cose sono andate.
La memoria alla quale attinge la storia, che a sua volta la alimenta, mira a salvare il passato soltanto per servire al presente e al futuro. Si deve far in modo che la memoria collettiva serva alla liberazione, e non all’asservimento, degli uomini.
Impadronirsi della memoria e dell’oblio è una delle massime preoccupazioni delle classi, dei gruppi degli individui che hanno dominato e dominano le società storiche. Gli oblii, i silenzi della storia sono rivelatori di quei meccanismi di manipolazione della memoria collettiva.
E allora la memoria serve per non dimenticare, per non permettere che altri popoli, altre culture, altre razze possano soffrire e patire pene tanto più insopportabili quanto deplorevole è la follia che le genera; per imparare che la pacifica convivenza, la tolleranza sono sommi beni e tutti gli uomini giusti devono lottare affinché questi principi regnino sovrani in tutto il mondo.


 


 

 

E come potevamo noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
tra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto
anche le nostre cetre erano appese:
oscillavano lievi al triste vento.
“Alle fronde dei salici”
Salvatore Quasimodo

 

  



 

La  crudeltà dell’uomo  durante la seconda guerra mondiale fu talmente scon- volgente che, di fronte a quell’orrore neanche i poeti riuscirono a trovare le parole per cantare, per scrivere poesie. In questi versi Quasimodo rivolge quasi a se stesso ed al mondo intero una domanda, accorata e

                  

angosciosa sul significato della poesia in un  mondo sconvolto e distrutto, oppresso e soffocato dalla barbarie della guerra.
La risposta suona negativamente, nessun canto poetico può risuonare nel buio, e per l’immenso dolore che la follia dell’uomo ha generato non vi può essere consolazione, ma soltanto una silenziosa protesta contro le atrocità commesse.

 
Origini e discriminazioni contro gli Ebrei

Gli Ebrei sono erroneamente considerati come i promotori della razza semita, in quanto non si può parlare di una razza semita ben differenziata; gli Ebrei non appartengono più ai ceppi originari della Palestina poiché si sono disgregati dopo la "diaspora" (dispersione, abbandono della propria terra).
Il popolo ebraico ha forgiato gran parte della propria identità religiosa e culturale, esso si presentava come un gruppo umano particolarmente ben attrezzato, culturalmente e teologicamente, ad affrontare la dura prova della perdita dell'indipendenza politica, dell'esilio e della dispersione.  
L'ebraismo seppe dotarsi di una sorta di "ideologia dell'esilio" capace di preservare nel tempo e nella disperazione geografica un'originale concezione di sé e del proprio ruolo nella storia, e di interpretare il disastro nazionale e le tragedie che sarebbero seguite non come sconfitte, ma come motivi di forza. Nonostante il popolo semita si fosse disperso in varie nazioni,  si era integrato quasi completamente nella società in cui viveva, mantenendo solo alcune consuetudini ed usanze ebraiche come l'astensione da mangiare carne di maiale e l'uso di consumare pane azzimo nel periodo degli otto giorni della pasqua ebraica, l'attribuzione dell'importanza allo studio e di una conoscenza superficiale della lingua torah, una bibbia che si impara in età adolescenziale. Per questo gli Ebrei, soprattutto italiani, come lo stesso Primo Levi afferma, erano completamente inseriti sentendo persino amor patrio verso l'Italia ed i suoi problemi. Fu nel 1938, quando frequentava il secondo anno di università che Levi cominciò ad avvertire i disagi e le discriminazioni quando furono emanate le leggi antisemite, "La carta della razza" con cui si vietava agli Ebrei di frequentare ed insegnare nelle scuole pubbliche. Fu la prigionia ad Auschwitz che gli fece riscoprire le sue radici ebraiche anche se non divenne credente poiché come egli affermava: "se ci fosse Dio non poteva esistere Auschwitz con le sue barbarie, crudeltà ed ingiustizie".
La storia ci ricorda che le discriminazioni e l'odio verso le minoranze etniche ed in particolare  verso gli Ebrei sono sentimenti che da sempre irrazionalmente esistono nei popoli che si ritengono superiori.
L'odio nei confronti degli Ebrei risale agli anni prima di Cristo: nella Bibbia si racconta che nel V° sec. a.C. gli Ebrei rischiarono di essere sterminati poiché un ufficiale ebreo si rifiutò (come prevedeva la legge) di chinarsi al luogotenente del Re di Persia e fu grazie all'intervento della regina Ester di origine ebraica, moglie del re persiano, che il suo popolo risparmiato. Gli Ebrei furono perseguitati da Roma e poi dalla Chiesa e nel 1000 durante le Crociate in Terra Santa, venivano uccisi poiché si rifiutavano di convertirsi al cristianesimo.
Nel IV secolo, la Chiesa passa da organizzazione tollerata, a istituzione ufficialmente riconosciuta e favorita, infine a religione unica di stato.
Il proposito di Costantino è di unificare tutta la popolazione dell'Impero in un'unica religione che serva da nuovo cemento ideologico. Le prime misure contro gli Ebrei vengono emanate nel 315. Come prima cosa viene eliminata la pena di morte per gli Ebrei che importunino chi si converte "dalla funesta religione" ebraica a quella della Chiesa; subito dopo viene dichiarato delitto la conversione opposta, dal cristianesimo al giudaismo.
Si decreta che l'ebreo debba vivere nella sofferenza, a perpetua testimonianza del suo errore e della gloria della Chiesa trionfante. 
Gli Ebrei, discriminati dai provvedimenti di legge e dal pubblico a poco a poco diventano oggetto del disprezzo popolare.
Nell'Europa medievale il disprezzo per l'Ebreo si unì spesso al divieto esplicito di possedere e coltivare la terra e la paura spinse gli Ebrei ad abbandonare le campagne e a concentrarsi nelle città, a raccogliersi in quartieri specifici con il nome di "GIUDECCHE".
Nel 1144 in Inghilterra gli ebrei vennero accusati di uccidere bambini cristiani e nel 1300 furono accusati di essere causa di un epidemia che scoppiò in  Europa e condannati al rogo.
Questi episodi dimostrano come è facile dare la colpa di qualche disagio a persone socialmente deboli che non possono difendersi e che vengono usate come capro espiatorio, come avvenne per gli Ebrei vittime degli orrori compiuti dai nazisti durante la seconda guerra mondiale ed il cui sacrificio prese il nome di "Olocausto".
Il termine "Antisemitismo" comparve per la prime volta verso il 1880 in Germania, nell'epoca in cui scatenò una rumorosa campagna  contro gli Ebrei. Appena due o tre anni dopo lo si ritrova nei lessici delle principali lingue europee, per indicare il nuovo fenomeno delle campagne politiche caratterizzate da una razionalizzazione razziale. 
A spiegarne l'origine non bastano le teorie razziste che imperversarono negli ultimi decenni dell'800, ma bisogna rifarsi ai secolari pregiudizi nei confronti di un popolo "diverso" per storia, lingua e religione, un popolo "maledetto" ritenuto responsabile della crocifissione di Gesù. 
Da quando il Cristianesimo si andò consolidando come religione di Stato l’antisemitismo assunse una veste religiosa e teologica.
Nel 1879 il tedesco Wihelm Marr descrisse gli Ebrei come gruppo razziale fisicamente e moralmente inferiore e furono oggetto di discriminazioni, persecuzioni e violenze di cui il genocidio divenne la suprema espressione dell'odio e della violenza nei loro confronti. Questo orrore avvenne durante il regime totalitario che intendeva stabilire un controllo politico, sociale e culturale assoluto, che in Italia prese il nome di Fascismo sotto il governo di Benito Mussolini ed in Germania Nazismo sotto il governo di Adolf Hitler.
Alle radici dell'antisemitismo, come alle radici di ogni intolleranza e persecuzione antica e moderna, vi sono motivazioni economiche, infatti gli Ebrei (quelli ricchi) fin dal medioevo hanno praticato l'usura per l'interdizione che impediva loro di svolgere altre attività. Le teorie razziste assunsero una rilevanza politica nel XIX sec. quando cominciò a diffondersi il mito della razza "ariana". 
L'intolleranza contro i non ariani inizialmente si esplicò a livello politico e sociale con l'intenzione di escludere dalla società i "diversi" promulgando le "leggi razziali" e favorendo la creazione dei ghetti, e in seguito i nazisti giunsero addirittura a progettare l'eliminazione fisica delle razze inferiori.
Da questo momento l'Europa ed il mondo intero conobbero il periodo più orribile che la storia possa ricordare: il periodo del nazismo.
Il nazismo fu ispirato da Hitler ed ebbe come dottrina il concetto di popolo inteso come unità etnico - naturale, il razzismo con il connesso antisemitismo, l'imperialismo (il grande Reich), l'autoritarismo, il culto della forza; idee che pur incarnandosi nell'ideologia del suo capo Hitler furono la risultante di tradizioni, dottrine, aspirazioni storiche dei popoli e dei paesi di lingua sassone. Questi sentimenti razziali sfociarono nella seconda guerra mondiale con le sue conseguenze catastrofiche, gli orrori delle deportazioni, dei campi di concentramento e la "soluzione finale", che comportò lo sterminio di milioni di Ebrei.

 

Conseguenze della salita al potere di Hitler:
il Nazismo

         

 

Dopo la conclusione della I guerra mondiale, la Germania fu costretta a pagare ingenti somme di denaro per danni di guerra, cadendo così in un baratro economico. A questo proposito scoppiano numerose rivolte civili, e per questo motivo la Germania è costretta a chiedere un rinvio dei pagamenti.
In questa occasione entra per la prima volta in scena Il Partito Nazional Socialista, guidato da un ex caporale dell’esercito Adolf Hitler, “il genio della follia”. Nato in Austria nel 1889, si trasferisce in Germania e si arruola come volontario nella I° guerra mondiale. A causa dei gas tossici nella battaglia di Ypres rischia di perdere la vista e mentre si trova in ospedale apprende che è stato firmato l’armistizio.
Il 1° aprile 1920 fondò il partito nazista che aveva  un programma nazionalista ed antiebraico, che espose nel libro "Mein Kamph" (la mia battaglia), scritto durante la prigionia per una condanna di insurrezione, che diventerà la bibbia dei nazisti.
Dopo queste vicende decise di dicarsi alla politica, e l’esito di questa consacrazione è noto a tutti.        
Il 30 gennaio 1933 Hitler fu nominato Cancelliere, ma ancora gli occorreva la maggioranza assoluta per governare, quindi indisse le elezioni per il 5 marzo 1933, poco prima, il 27 febbraio fu data alle fiamme la sede del Reichstag di cui la propaganda nazista accusò i comunisti, ma si pensa che furono gli stessi nazisti.
Di fatto Hitler fece firmare al Presidente Hinderburg un decreto che sopprimeva tutte le Libertà costituzionali.
Poi con l'aiuto del Partito Conservatore raggiunse il potere assoluto: Hitler aveva vinto con il terrore provocato dalle SA (squadre d'assalto) comandate da Ernest Ròhm.  

 

 

Una volta raggiunto il suo scopo Hitler fece uccidere nella notte del 30 giugno 1934 (la notte dei lunghi coltelli) Ròhm e i suoi luogotenenti dall'esercito. Nel giro di pochi mesi Hitler allestì l'apparato istituzionale del "nuovo ordine" nazista  che significò la subordinazione di tutta la vita pubblica al controllo del partito, la  distruzione dell’ordinamento democratico-parlamentare e la liquidazione violenta di ogni forma di opposizione  collettiva ed individuale.
Il regime nazista, infatti:

  1. Soppresse gli istituti di autonomia locale;
  2. estromise dall’amministrazione pubblica i funzionari non conformisti e gli elementi ritenuti di razza impura;
  3. ridusse la Magistratura a strumento esecutivo della volontà del Fuhrer (con tale appellativo che significa “capo”, “guida” si indicava Hitler, come in Italia Mussolini era chiamato Duce)
  4. mise fuori legge le organizzazioni politiche e sindacali non naziste, infierendo soprattutto contro comunisti ed Ebrei.

Costoro, se non riuscirono a sottrarsi riparando all'estero ebbero come unica alternativa la morte violenta o il campo di concentramento.

Strumenti della repressione nazista furono la Gestapo, organizzata da Hermman Gorig e le "SS" squadre di difesa, comandate da Himmler, uomo sadico e violento che reclutava i suoi uomini tra coloro che i dimostravano particolarmente crudeli.
Nel 1933 Hitler salito al potere emanò le leggi che permettevano ai comandi militari delle "SS" di punire anche gli innocenti sulla base di un semplice sospetto o puntiglio.

 

Il mito della razza ariana

Il nazismo esaltava, come in un antico rito pagano, il sangue e la razza. Per Hitler e i suoi fedelissimi, infatti, la pura razza ariana, cioè quella germanica, aveva una superiorità biologica sulle altre stirpi. Quindi gli ariani si dovevano imporre come dominatori, annientando o soggiogando le stirpi slave, come la polacca, quelle latine, come l’italiana e tutte quelle nere. Gli Ebrei, poi, erano particolarmente esecrabili, perché avevano inquinato lo spirito guerriero della razza germanica, diffondendo le idee democratiche, perciò essi non dovevano fare parte della nuova Germania e dovevano essere fisicamente distrutti.
Il programma del Partito Nazional Socialista di Hitler sostenne che poteva essere cittadino dello stato solo chi fosse di pura discendenza ariana e sia soprattutto  connazionale.
Nel settembre del 1933 furono emanate le "leggi di ristrutturazione dell'amministrazione statale" che prevedevano che gli Ebrei non potessero avere incarichi di governo, esercitare avvocatura, partecipare a imprese culturali o lavorare per la stampa. Altri provvedimenti restrittivi furono presi nei confronti degli insegnanti che furono licenziati, come pure gli impiegati; furono boicottati i negozi e le fabbriche; nei bar e locali pubblici tedeschi furono messe scritte che vietavano l'ingresso agli Ebrei. Il 5 gennaio 1938 fu emanata la legge sul cambiamento dei nomi e cognomi per evitare che gli Ebrei cambiassero nome e potessero sfuggire alle persecuzioni. Fu stabilito che ogni tedesco che fosse a conoscenza di imprese ebree e non lo denunciasse veniva accusato di reato. Fu poi fatto obbligo agli ebrei di portare un cartellino di identificazione, fu imposto il divieto di prestare servizio nell'esercito, sposarsi con  ariani ed essere iscritto al partito nazista.

 

 

Si arrivò ad offrire da parte della Gestapo, liquore e sigarette come compenso a coloro che davano informazioni o consegnavano Ebrei Hitler mirava a realizzare una razza ariana "pura" e quindi emanò leggi che prevedevano dapprima la sterilizzazione e poi l'eutanasia delle persone handicappate o con malattie ereditarie e poi  questi provvedimenti furono estesi agli Ebrei,  agli zingari ed agli omosessuali. L'inizio delle persecuzioni si ebbe il 7 settembre 1938, noto come "La notte dei cristalli" in cui vennero incendiate 191 sinagoghe, saccheggiate e distrutte 7.500 aziende di Ebrei, uccisi un centinaio di semiti e trentamila catturati e mandati nei campi di concentramento, come rappresaglia all’assassinio a Parigi di un diplomatico tedesco da parte di un giovane ebreo.

Ciò che avvenne in quella lunga ed orribile notte convinse molti Ebrei tedeschi e austriaci ad abbandonare il paese senza ulteriori indugi.

 


 

 



Olocausto (definizione)
Parola derivante dal greco holòkauston, composta da hòlos, ”tutto, intero” e kaustòs, “bruciato”: bruciato completamente. Originariamente era un rito religioso in cui l’offerta veniva distrutta dal fuoco. Nella lingua ebraica, per estensione, olocausto passò ad indicare il sacrificio totale. In questo senso si trova usato per indicare lo sterminio degli ebrei (5 o 6 milioni di persone) che perirono a causa della persecuzione nazista, la maggioranza finì nei forni crematori dei campi di concentramento e di sterminio.
Il termine "Olocausto" si riferisce al periodo dal 30 Gennaio 1933, quando Hitler divenne Cancelliere della Germania, all'8 Maggio 1945, la fine della guerra in Europa, in questo arco di tempo furono milioni le persone soppresse dalla follia razziale nei confronti non solo degli Ebrei .
Pur essendo impossibile accertare l'esatto numero di vittime ebree, le statistiche indicano che il totale fu di oltre 5.860.000 persone.
La maggior parte delle persone soppresse passarono per i campi di sterminio, che erano campi di concentramento con attrezzature speciali progettate per uccidere in forma sistematica.
Ma il Terzo Reich considerava nemici non solo gli Ebrei, ma anche zingari, oppositori politici, oppositori del nazismo, testimoni di Geova, criminali abituali, e "antisociali". In sostanza ogni individuo che poteva essere considerato una minaccia per il nazismo correva il rischio di essere perseguitato, ma il popolo semita era l'unico gruppo destinato ad un totale e sistematico annientamento.


Per sottrarsi alla sentenza di morte imposta dai Nazisti, gli Ebrei potevano solamente abbandonare l'Europa occupata dai tedeschi. Secondo il piano Nazista, ogni singolo Ebreo doveva essere ucciso. Nel caso di altri "criminali" o nemici del Terzo Reich, le loro famiglie non venivano coinvolte. Di conseguenza, se una persona veniva eliminata o inviata in un campo di concentramento, non necessariamente tutti i membri della sua famiglia subivano la stessa sorte. Gli Ebrei, al contrario, venivano perseguitati in virtù della loro origine familiare indelebile.

 

La spiegazione dell'odio implacabile dei nazisti contro gli Ebrei nasceva dalla loro distorta visione del mondo che considerava la storia come una lotta razziale. Essi consideravano il popolo ebraico una razza che aveva lo scopo di dominare il mondo e, quindi, rappresentava un ostacolo per il dominio ariano. Secondo la loro opinione, la storia consisteva in uno scontro che sarebbe culminato con il trionfo della razza ariana, quella superiore. Di conseguenza, essi consideravano un loro preciso obbligo morale eliminare gli Ebrei, dai quali si sentivano minacciati. Inoltre, ai loro occhi, l'origine razziale degli Ebrei li identificava come i delinquenti abituali, irrimediabilmente corrotti e considerati inferiori, la cui riabilitazione era ritenuta impossibile.
Non ci sono dubbi che ci furono altri fattori che contribuirono all'odio nazista contro gli Ebrei e alla creazione di un'immagine distorta del popolo ebraico. Uno di questi fattori era la centenaria tradizione dell'antisemitismo cristiano, che propagandava uno stereotipo negativo degli Ebrei ritenuti gli "assassini di Cristo", inviati del diavolo e praticanti di arti magiche. Altri fattori furono l'antisemitismo politico e razziale della seconda metà del XIX secolo e la prima parte del XX secolo, che considerava i semiti come una minaccia per la stabilità sociale ed economica. La combinazione di questi fattori scatenò la persecuzione, certamente nota a tutti i tedeschi e lo sterminio degli Ebrei.


Un giorno Hitler andò da una chiromante e gli chiese:
- Quando morirò?
- In un giorno di festa ebraico.
- Come fai a saperlo?
-  In qualunque giorno tu morirai sarà un giorno di festa per gli Ebrei.
    dal film  “Jacob il bugiardo”

 


I CAMPI: LA COSTRUZIONE E LE DEPORTAZIONI

 Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale (1 settembre 1939) i campi furono ampliati e moltiplicati per raccogliere uomini, donne e fanciulli evacuati dai paesi d'origine.
Toccò prima ai polacchi, poi ai prigionieri di guerra russi e poi agli appartenenti ai movimenti di resistenza di tutti i paesi dell'Europa occupata, ma furono gli Ebrei le vittime più numerose.
I campi divennero immense riserve di mano d’opera, priva di ogni diritto e continuamente rinnovabile, impiegata in attività di ogni genere.
I campi dovevano formare mondi chiusi, sottratti agli sguardi delle popolazioni che venivano precedentemente evacuate. I campi venivano spesso costruiti dagli stessi deportati, in zone paludose o dal clima malsano e si presentavano come un'insieme di baracche, lunghe una cinquantina di metri e larghe da 7 a 10 m., quasi sempre di legno. I campi erano circondati da filo spinato percorso da corrente elettrica ad alta tensione e avevano torrette di sorveglianza disposte a intervalli regolari. Un grande spiazzo faceva da centro nevralgico del campo; in esso si tenevano gli appelli mattutini avvenivano le pubbliche esecuzioni e si raccoglievano gli internati destinati ai kommandos.
All'esterno, in un raggio di parecchi chilometri sorgevano le case occupate dalle "SS" e dalle loro famiglie.



Il trasporto degli internati:
 
Deportazioni di ebrei tramite i treni merce

Il trasporto delle vittime nei campi di sterminio avveniva generalmente in treno, la polizia pagava alle ferrovie di stato un biglietto di sola andata di terza classe per ciascun deportato: se il carico superava le mille persone, veniva applicata una tariffa collettiva pari alla metà di quella normale. I treni, composti da vagoni merci sprovvisti di tutto, persino di presa d'aria, viaggiavano lentamente verso la destinazione e molti deportati morivano lungo il tragitto. Giunti ai campi i bambini, i vecchi e tutti gli inabili al lavoro venivano condotti
direttamente nelle camere a gas; gli altri venivano sfruttati per un certo periodo e poi eliminati.

 

Gli internati nei campi:
 Gli internati avevano una divisa a strisce su cui veniva cucito un numero, mentre ad Auschwitz veniva tatuato sul braccio, ed un triangolo colorato che distingueva la categoria: Rosso per i politici, Rosa per gli omosessuali, Verde per i criminali comuni, Nero per gli asociali, Violetto per gli obbiettori di coscienza, gli Ebrei avevano sotto il primo triangolo un secondo di colore Giallo che formava la stella di David; le persone poco intelligenti avevano un bracciale con la scritta <<IDIOTA>>.
La vita nei campi di concentramento era durissima: gli internati venivano svegliati all'alba e consegnato loro un tozzo di pane e una scodella di zuppa leggera e poi incolonnati si recavano per l'appello e dopo raggiungevano il posto di lavoro. Lavoravano fino al tramonto con intervallo  di mezz'ora per il misero pasto e alla fine della giornata "lavorativa" tornavano al campo, ricevevano la zuppa serale, dopo veniva fatto l'appello e quindi si ritiravano a dormire nelle cuccette di legno dove spesso erano in due.
Bastava una sciocchezza che divenisse pretesto per punizioni da parte delle "SS" che consistevano nella preparazione del cibo, bastonate, frustate, lasciati nudi al freddo.


Gli internati morivano per fame freddo, malattie per la mancanza di igiene, ma la maggior parte veniva uccisa mediante iniezioni di fenolo,  che dapprima veniva iniettato in vena poi per un effetto immediato veniva iniettato direttamente nel cuore. Molti venivano uccisi nelle camere a gas e poi bruciati nei forni crematori, inoltre nei blocchi di isolamento avevano luogo esperimenti pseudoscientifici: inoculazione della malaria, del tifo e altri virus per studiarne gli effetti, i tempi di reazione dell'organismo umano e le evoluzioni della malattia; venivano effettuate sterilizzazioni, bruciature al fosforo, vivisezione, prove di resistenza al gas e agli sbalzi di temperatura: questi sono alcuni esempi della barbarie umana più crudele che veniva effettuata nei "campi della morte lenta", "l'inferno organizzato" come venivano chiamati i campi di concentramento.
 

 

 


 

La soluzione finale

A partire dal settembre 1941 gli ebrei tedeschi furono costretti ad indossare fasce recanti una stella gialla; nei mesi seguenti decine di migliaia di ebrei furono deportati nei ghetti in Polonia. Si realizzarono i primi campi di concentramento (lager) strutture concepite esclusivamente per eliminare le vittime deportate dai ghetti vicini. Bambini, vecchi e tutti i disabili al lavoro  venivano condotti direttamente nelle camere a gas; gli altri invece erano sfruttati per un certo periodo in officine private o interne ai campi di concentramento e poi eliminati.

 

I campi di concentramento

I campi di concentramento erano grandi estensioni di terreno, cinte da alte e fitte barriere di filo spinato, attraverso il quale passava la corrente elettrica, per fulminare chiunque tentasse di fuggire.
All’interno del campo, in baracche di legno, migliaia e migliaia di internati conducevano un’esistenza orribile.
Le località dove si trovavano i campi di sterminio sono tristemente famose: Buchenwald e Dachau in Germania, Mauthausen in Austria, Auschwitz in Polonia.

 

La degradazione della persona umana

Finirono nei campi di sterminio 11.000.000 di uomini e di questi  circa 6.000.000 non fecero ritorno.
La fame, la persecuzione, il terrore delle percosse e della morte annientavano in tutti loro tutti quei sentimenti, quelle passioni, quegli affetti e quei pensieri, che sono la ricchezza più vera e più grande dell’uomo: unico, ossessionante restava il desiderio di sopravvivere.

I tre modi per morire nei campi di concentramento:

Si racconta due modi per morire nei campi di concentramento: il primo era quello della camera a gas.

Rammenta che le nuove arrivate al campo di Auschwitz venivano accolte da un'orchestra di giovani recluse, che avevano delle camicette bianche e delle gonne alla marinara. Ai nuovi deportati si diceva che quello era un campo di lavoro, poi si faceva una selezione perché alle camere a gas erano destinati solo i malati, gli anziani e i bambini. Ricorda che andavano tutti in un edificio di mattoni rossi , li portavano lì con la scusa di fare la doccia, li denudavano e quando quell’edificio era pieno entrava in azione il gas; una delle SS guardava da dietro uno spioncino quell’orribile scenario, e quando lo riteneva opportuno faceva cenno di chiudere il gas a chi manovrava i macchinari. Entravano poi degli uomini con delle maschere antigas, che avevano il compito di togliere le corone d’oro dai denti dei cadaveri, dopo tutto questo entrava nella camera un’altra squadra, quest’ultima però doveva portare i cadaveri i un altro stabilimento quello dove c’erano i forni crematori, dopo essere state cremate le ceneri dei deportati venivano accuratamente setacciate, e continuava così la ricerca dell’oro.
Il secondo tormento consisteva nel rastrellare mine. Chiunque chiedesse come si dovesse svolgere questa tortura che in verità era per i deportati un lavoro, riceveva una risposta crudele e cioè gli uomini erano costretti a camminare sui campi  minati finché non saltavano in aria con la prima mina che gli capitava sotto i piedi.
Infine, l’ultima delle più conosciute crudeltà era la morte che avveniva in treno: Lazzaro Levi racconta di quando gli uomini venivano caricati su dei treni merci dove potevano starci più o meno 50 persone ma i tedeschi ce ne mettevano almeno110, 120. Durante il giorno andava quasi tutto bene, ma al calare del sole cominciavano i litigi e gli spintoni per avere un po’ più di spazio. Il viaggio era molto lungo solo i  più forti resistevano e quasi sempre quando si arrivava a destinazione i sopravvissuti erano seduti sui corpi ormai inanimati dei loro amici. 


Per ricordare:
Auschwitz, Buchenwald, Dachau, Mauthausen, Ravensbruck, Treblinka erano i campi di sterminio, accanto ad essi esistevano altri campi detti di concentramento dove gli Ebrei o altri perseguitati oppositori del regime venivano rinchiusi.

 

“Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi era scritto sul cancello dei campi di sterminio, ma era un tragico inganno, nessuna libertà risiedeva in quei luoghi, ma soltanto dolore, morte e sopraffazione.

 

 

Dove sono finiti gli Ebrei superstiti?

Nel 1948 era nato il nuovo Stato d’Israele, espressione di un’antica aspirazione degli Ebrei sparsi in tutto il mondo. Costituitisi verso la fine dell’800 in società segrete dette “Gli amici di Sion”, molti di essi si erano trasferiti nella terra dei loro avi attraverso un flusso clandestini niente affatto gradito al sultano ottomano.
Una volta riunitisi nell’estate del 1882 fondarono presso Giaffa la prima di una lunga serie di colonie agricole, che sarebbero poi sorte in Palestina dal nome Kibbutz. Queste era delle comunità in cui ciascuno rinunciava liberamente alla proprietà privata e al salario ricevendo in cambio tutto ciò di cui avevano bisogno. Si determinò nel tempo un movimento migratorio, che nel giro di pochi anni assunse rilevanti proporzioni, al punto da dare origine nel 1909 alla città di Tel Aviv, che crebbe in un numero sempre maggiore di abitanti, fino a destare la preoccupazione del governo arabo, sfociata in aperta ostilità nel 1921. Ad aggravare la situazione vi fu il fatto che la comunità ebraica aumentava sempre di più il proprio tenore di vita.
Così quando il flusso migratorio con le persecuzioni hitleriane divenne maggiore gli Arabi insorsero. Nel 1947 L’ONU decise la creazione di due stati uno ebraico ed uno arabo, mentre Gerusalemme doveva restare affidata all’amministrazione delle Nazioni Unite.
La Lega Araba non accettò l’iniziativa, così mentre si costituiva la Stato d’Israele gli Arabi procedevano all’invasione del nuovo Stato. Dal canto loro, più di un milione di Palestinesi, allontanati dai territori ormai occupati e da essi considerati la loro patria, erano costretti a vivere un’esistenza misera dentro campi profughi allestiti dalla Croce Rossa, pertanto essi cominciarono a rivendicare la loro patria dando vita all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).

E’ questa l’origine di un conflitto, che attraverso attentati, guerriglie, è giunto fino ai nostri giorni.

 

Le origini del popolo ebraico

L’origine  del popolo semita, di provenienza mesopotamica, si fonde con quella di molte tribù nomadi che, migliaia d'anni fa, si muovevano nel vasto territorio dell’Asia Minore. Sono detti anche israeliti, dal soprannome dato dalla Bibbia a Giacobbe, o Giudei, ossia abitanti del Regno di Giuda.

 

Storia

Gli Ebrei erano divisi in tribù, retta ognuna da un membro più anziano, chiamato patriarca.
Tra i discendenti di Abramo, Giacobbe, per scongiurare il rischio di un’assimilazione tra Ebrei e Cananei, si recò in Mesopotamia a scegliere una sposa e a raccogliere nuovi emigrati: i suoi dodici discendenti maschi costituirono il nucleo originario della casa d'Israele, e quindi del popolo ebraico. Più tardi Giacobbe, con la famiglia, si recò in Egitto: e sembra che questa migrazione rientri in quella più vasta degli Hyksos, che raggiunsero l’Egitto attraverso la terra di Canaan. 
Tempo dopo la Palestina viene annessa all’Impero d’Alessandro Magno e, dopo la sua morte, diventa provincia del Regno dei Seleucidi. Da allora, nelle comunità ebraiche, ha assunto importanza la sinagoga, in cui i fedeli, in piccoli gruppi di almeno dieci persone, si ritrovano per discutere e studiare la legge.
Nell’epoca successiva hanno avuto luogo due eventi decisivi della storia ebraica: la rivolta del 66 d.C., fomentata dagli estremisti ebrei detti zeloti e domata nel 70 d.C. da Tito Flavio Vespasiano con la distruzione di Gerusalemme; e una nuova rivolta nel 132-135, domata da Adriano, che da allora interdisse agli Ebrei il ritorno a Gerusalemme, trasformata in colonia romana. In quest’epoca inizia la grande diaspora ebraica (dispersione).
Nel Medioevo, papa Gregorio Magno, assicurò piena libertà di culto agli Ebrei, che però considerava stranieri e, come tali, degni della protezione del papa. Sulla stessa linea si mantennero gli imperatori carolingi e quelli del Sacro Romano Impero. Come stranieri, agli Ebrei veniva però vietata la proprietà delle terre, e da qui sorse la loro necessità di sostenersi tramite il commercio, l’artigianato o il prestito ad interesse, in quel periodo vietato ai cristiani.
Con le Crociate iniziarono le prime grandi persecuzioni cristiane antisemite. La situazione civile degli Ebrei peggiorò drammaticamente pressoché ovunque: non vennero più considerati stranieri ma servi dell’imperatore dopo che il IV Concilio lateranense del 1215 aveva già ridotto la loro libertà di movimento nelle città, e li aveva obbligati a portare un contrassegno distintivo, interdicendo loro ogni pubblico ufficio. Poco più tardi iniziarono le loro espulsioni in massa dall’Inghilterra, dalla Francia e dalla Germania. Luoghi di rifugio per gli Ebrei inglesi e francesi furono la Provenza, il Delfinato, la Savoia; per quelli tedeschi la Polonia e la Lituania.
Seguirono le espulsioni dalla Spagna, per opera, a riconquista ultimata, dell’inquisizione di Torquemada e, poco più tardi, dal Portogallo. Gli Ebrei di lingua spagnola, detti sefarditi emigrarono allora verso l’Italia, gli Stati barbareschi, l’Egitto e la Turchia, più tardi verso l’Olanda.
Nell’epoca moderna, l’assunzione da parte degli Stati delle idee illuministiche e gli effetti della Rivoluzione francese, consentirono in genere la reintegrazione degli Ebrei europei nella pienezza dei propri diritti: tra le nazioni fecero eccezione la Russia degli Zar, la Romania e la Turchia. Ma il nazionalismo illiberale della fine dell’ottocento e della prima metà del novecento rinfocolò un po’ ovunque antichi e immotivati rancori, ora non più in nome della religione, ma d'assurdità storiche come la purezza della tradizione nazionale o peggio di mostruosità morali e logiche quali la purezza della razza.
Fascismo e nazismo congiurarono durante la II^ Guerra Mondiale addirittura della completa distruzione degli Ebrei. La Germania di Hitler ne annientò nei campi di sterminio più di 5.000.000. Frattanto, sotto la duplice pressione dell’antisemitismo orientale e occidentale, si era venuto a creare un movimento per la ricostituzione in Palestina di una sede per il popolo ebraico.
Nel 1917 il ministro inglese A. J. Balfour si dichiarò favorevole alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina, ma nel 1920 l’Inghilterra si rimangiò la promessa. Iniziò poi l’emigrazione ebraica nella nuova sede, nacquero poi i contrasti tra Palestinesi ed Ebrei. Nel 1948 si costituì lo stato di Israele.


La religione: l’ebraismo

Per ebraismo si intende sia la religione degli Ebrei, i cui caratteri essenziali sono il monoteismo e il messianesimo, sia l’insieme delle tradizioni, culturali oltre che il culto, che costituiscono il tessuto unificante delle diverse comunità ebraiche nel mondo, di cui mantengono la fisionomia di nazione.
Le fonti della religione ebraica sono la legge scritta (Torah) e quella orale (Talmud), ovvero la Bibbia e gli insegnamenti, trasmessi attraverso le generazioni, che secondo la tradizione risalgono a Mosè.
Per gli Ebrei la Bibbia è formata solamente dai libri scritti in ebraico e giunti fino a noi in tale lingua; non corrisponde, quindi, integralmente alla Bibbia che i cristiani chiamano Antico Testamento, ma si divide in tre parti: la Legge di Mosè o Pentateuco, detta Torah, i profeti, detta Nebiim, e gli scritti detta Ketubim. La parte principale è la Torah, la legge scritta.
Gli Ebrei hanno il dovere di osservare rigorosamente i precetti in essa contenuti per consentire, con il loro esempio di vita, l’avvento del regno di Dio, che riguarderà l’umanità intera: è questo il messianesimo ebraico.
L’iniziatore della religione ebraica è considerato Abramo. La Bibbia insegna che Dio elesse questo Patriarca affinché comandasse ai suoi figli e ai discendenti di obbedire alla voce di Dio praticando la virtù. La professione di fede è costituita dalle parole di Mosè: “Ascolta, Israele, il Signore è nostro Dio, il Signore è uno solo.” È questa l’affermazione fondamentale del monoteismo.
Il Dio unico ebraico, Jahvè, è un Dio spirituale, creatore del cielo e della terra. Esso promette ad Abramo che la sua stirpe costituirà una nazione eletta, non per dominare le genti, ma per raccogliere tutte le popolazioni del mondo attorno all’unico vero Dio. Jahvè è un Dio etico, la cui principale cura è l’equità e la giustizia dell’uomo e tra tutti i viventi. L’equità comporta sei diritti fondamentali: diritto di vivere, di possedere, di lavorare, di vestirsi, di avere un asilo e di riposare e di essere liberi. La pratica dell’equità comporta anche il divieto di odiare, vendicarsi e serbare rancore. La giustizia, oltre a riconoscere i diritti derivanti dall’equità, comporta rispetto e non violenza nei rapporti tra gli uomini e tra tutti i viventi.

 

 

 


 


 GIORGIO PERLASCA

 

Di famiglia borghese, Perlasca aderì inizialmente al fascismo con entusiasmo e, dopo avere abbandonato gli studi, partì volontario per l’Abissinia. In seguito si recò in Spagna, per combattere al fianco dei franchisti, ma alla fine, ritornò deluso e critico nei confronti di Mussolini e di Hitler. Dopo varie peripezie, alla fine del 1942, si stabilì a Budapest, dove lavorò come impiegato per conto di un’azienda italiana che commerciava carne. Dopo l’occupazione tedesca dell’Ungheria, avvenuta nei primi mesi del 1944, Perlasca finì con l’essere ricercato dai nazisti e si rifugiò nei locali dell’ambasciata spagnola.
Qui lo trattarono bene, perché aveva ottime credenziali: era stato uno degli 80.000 combattenti italiani per Franco contro la repubblica. Gli diedero un passaporto falso, con il nome di Jorge Perlasca e un lavoro che, essendo la Spagna neutrale, consisteva anche in un’opera umanitaria in favore degli Ebrei Ungheresi. Con altri diplomatici iniziò a radunare gli Ebrei in edifici di proprietà dell’ambasciata, per proteggerli dalla follia nazista. Il 29 novembre l’ambasciatore spagnolo Angel Sanz Briz fuggì da Budapest lasciando l’ambasciata in balia dei tedeschi e così Perlasca decise di prendere il suo posto fingendosi un diplomatico spagnolo; da questo momento in poi lavorò incessantemente insieme ai suoi aiutanti per fornire agli Ebrei cibo e documenti falsi.
All’ambasciata spagnola Perlasca tenne un diario e le sue parole erano di paura, preoccupazione ma anche di lucida analisi della situazione. Ciò che appariva evidente era anche la ritrosia della diplomazia vera ad agire in modo forte e determinato. E questo non fa che sottolineare la colpa dei paesi, anche facenti parte degli Alleati, che
agirono secondo logiche di opportunità politico-militare. Perlasca, invece, non era un diplomatico e poté permettersi un comportamento più sincero, violento in certi casi, ma molto efficace. Minacciò le SS che si rifiutavano di consegnare le persone che lui aiutava, parlò con coloro che comandavano in Ungheria con la foga e la spavalderia dei vincitori, lui, imbroglione italiano che si fingeva console spagnolo Perlasca si trovò a sottrarre dai treni della morte due gemellini, scontrandosi con un sottufficiale SS. In soccorso di questo arrivò un colonnello che liquidò il tutto dicendo a Perlasca:” Li tenga. Verrà il loro momento. Verrà anche per loro”. Quell’uomo era Adolf Eichmann, che aveva fatto uccidere, organizzato e gestito lo sterminio di più di 6 milioni di Ebrei. Perlasca terminò il suo lavoro con l’arrivo dell’Armata Rossa a Budapest.
I sovietici lo misero ai lavori forzati perché risultò spagnolo e fascista. Dopo 8 mesi, riuscì a tornare in Italia, dove provò a raccontare quello che era successo, ma nessuno gli credette.
Giorgio Perlasca restò sconosciuto fino al 1987, quando qualcuno si ricordò di lui e così fu insignito di molte onorificenze, ma in particolare fu riconosciuto  “Giusto fra i Giusti”, e piantò un albero nel “Parco dei Giusti”, dove migliaia di piante ricordano i nomi di tutti coloro che aiutarono gli Ebrei durante gli anni dello sterminio. Nel 1995 venne scritto da Enrico Deraglio un libro che narra la sua storia, intitolato “La banalità del bene”, proprio per evidenziare che il bene può essere fatto da chiunque, anche da una persona semplice come Perlasca, che con spirito di sacrificio, ingegno e spontaneità riuscì a salvare migliaia di Ebrei da morte certa. Perlasca a Deaglio, che lo incontrò a Padova e gli chiese perché l’aveva fatto rispose con estrema tranquillità: “Lei cosa avrebbe fatto al mio posto?”. E poi aggiunse :”Dalle nostre parti si dice che l’occasione fa l’uomo ladro, di me ha fatto un’altra cosa”.
La vicenda di Perlasca è significativa perché riguarda un uomo comune che, anziché fuggire alle prime avvisaglie di pericolo, si inventa un ruolo di diplomatico di un Paese neutrale, che lo porta più volte a rischiare la propria vita. La sua storia è una storia importante, una storia che dimostra che chi ha torturato, chi ha ucciso, chi ha semplicemente girato le spalle, aveva un’altra possibilità, poteva scegliere diversamente. E non l’ha fatto.
Giorgio Perlasca con il suo coraggio restituisce serenità e speranza a chi non ha fatto, a chi non ha agito.
Di lui rimane la sua storia semplice e meravigliosa, la sua testimonianza della banalità del bene.
Giorgio Perlasca è morto a 82 anni, nel giorno di Ferragosto nel 1992,  a Padova. Era all’epoca grand’Ufficiale e Commendatore della Repubblica, Giusto tra i Giusti, cittadino onorario di Israele, membro onorario dell’Olocaust Memorial Council di Washington.


OSKAR SCHINDLER



Oskar Schindler nacque a Zwittau, Moravia (oggi Repubblica Ceca), il 28 aprile 1908. Aveva trentuno anni quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale (1939) e, come tanti suoi coetanei, era entrato a far parte della Wermacht, l’esercito regolare tedesco.
Contemporaneamente lavorava come direttore commerciale e ben presto si accorse che, con la croce uncinata appuntata sul bavero, qualsiasi società tedesca era disposta a favorirlo come meglio poteva. Oskar, d’aspetto assai piacente e amante della bella vita, aveva sposato una giovane donna di nome Emilie, ma questo non gli impediva di corteggiare, con successo, le belle rappresentanti dell’altro sesso. Non amava particolarmente la vita militare, perciò aveva anche accettato di collaborare nella sezione straniera dell’Abwehrdienst, il Servizio segreto militare. Fu proprio come agente segreto che finì in Polonia in cerca di alcune informazioni particolari, da riferire al governo tedesco. Una mattina, mentre cavalcava insieme con una donna di nome Ingrid, sua amante, a sud del ghetto di Cracovia, assistette ad una scena che cambiò la sua vita.  Udendo delle grida ed un latrare di cani provenienti dal ghetto, i due si avvicinarono e videro due lunghe file di persone sorvegliate a vista dalle SS e dai loro feroci cani: era in corso un rastrellamento della zona. Una donna, spinta da un soldato, cadde distesa con il figlioletto; un ufficiale, seccatissimo da quell’inatteso contrattempo, prese la rivoltella ed uccise i due disgraziati. In quel momento Oskar comprese il vero scopo della sua missione ed il vero significato di quel processo di “arianizzazione”: confiscare le aziende degli ebrei ai legittimi proprietari per darle in mano agli “ariani” tedeschi, sfruttare la manodopera israelitica fino alla schiavitù per poi rinchiuderla nei lager. Grazie anche all’incarico che ricopriva, Oskar poté trovare conferma alle sue supposizioni; ambizioso, all’inizio aveva capito solo una cosa: che grazie all’assoluta legalità di utilizzare la manodopera ebrea a basso costo, poteva realizzare i suoi sogni di vita gaudente e tante donne. Ora si rendeva conto che aveva una doppia possibilità: continuare ad arricchirsi e, contemporaneamente, salvare centinaia di persone dalla morte sicura dei campi di concentramento.
Come prima cosa, a proprie spese, ingrandì la fabbrica di vasellame e pentole smaltati, assunse altri ebrei che, dai 140 iniziali, dopo due anni divennero 900. Nel frattempo riusciva abilmente a gestire i rapporti con le autorità naziste e gli alti funzionari del partito: organizzava spesso delle festicciole o seratine in locali lussuosi e discreti, con cenette a base di raffinate pietanze e vini pregiati, mentre alcune graziose e compiacenti ragazze, “assunte” dalla sua bionda segretaria Victoria Klonowska, animavano la riunione. Durante queste serate Oskar riusciva ad ottenere ciò che serviva al suo compito: dai permessi di assunzione agli ordinativi di materiale da produrre, grazie anche alla collaborazione della sua amante, Ingrid, che lavorava come ispettrice in una fabbrica di ex ebrei. L’unica assente era la moglie Emilie, che aveva rifiutato di seguirlo in Polonia, cosa di cui Oskar non era affatto dispiaciuto. Naturalmente anche i favori delle SS, a parte le cenette, avevano un prezzo, molti funzionari erano assai interessati ad un alto genere voluttuario: ori, opere d’arte, gioielli di altissimo valore, tutto materiale che Schindler doveva acquistare alla borsa nera. 
Ma i tempi sembravano volgere al peggio, un giorno venne a sapere che alcuni dei “suoi” operai erano stati rastrellati dalle SS; decise che era tempo di cambiare tattica. Per buttare polvere negli occhi delle autorità creò un vero e proprio lager, con tanto di muri e filo spinato, torrette di controllo, bagni per la disinfestazione, baracche, spiegò che voleva riuscire a portare la produzione della fabbrica a pieno regime, impiegando gli operai per 24 ore al giorno, inoltre li voleva sul posto per sfruttarli meglio. In realtà tutte le famiglie scritte nella lista di Schindler, pur lavorando forzatamente nella fabbrica, riuscirono ad evitare i campi di concentramento e sfuggirono ad una morte tanto atroce quanto sicura. In tutto aveva alle sue dipendenze 800 uomini e 300 donne, che poco dopo raggiunsero, complessivamente, il numero di 1100.  Tuttavia non tutto filava sempre liscio, come quando, durante una festicciola all’interno della fabbrica, cedendo alla sua innata debolezza per le belle donne, fu visto dare un bacio, non proprio casto, sulla bocca di una giovane ebrea. Gli ufficiali della Gestapo lo arrestarono con l’accusa di aver violato le disposizioni razziali, secondo le quali “…era assolutamente vietato ad un ariano avere contatti con un ebreo..” Ma anche questa volta Oskar riuscì a scamparla, grazie alla sua segretaria: subito dopo l’arresto la bella Victoria corse da uno dei più alti comandanti delle SS con un preziosissimo anello di diamanti “...un piccolo dono da parte di Herr Schindler...”, disse la donna e Oskar fu rimesso in libertà. Essendo i prodotti della sua ditta di pessima qualità, rimediava comprando alla borsa nera enormi quantitativi di munizioni che rivendeva, spacciandoli per suoi. Verso la fine della guerra, nel 1945, i tedeschi iniziarono a ritirarsi dalle zone occupate e gli ebrei iniziavano a non aver più bisogno di lui. Per Schindler era arrivato il momento di pensare alla fuga, perché i russi avrebbero potuto scambiarlo per un collaborazionista. Fuggì a Francoforte con la moglie, ma povero e senza più niente.
Nei tempi del dopoguerra gli ebrei salvati, rifugiati in Israele, saldarono il debito di riconoscenza nei suoi confronti e lo aiutarono: gli fornirono i capitali per aprire una fabbrica in Argentina, che fallì pochi anni dopo. Dovette, quindi, rientrare in Germania. Oskar Schindler morì a Francoforte, il 9 ottobre 1974.
Un uomo alto e elegante si appoggiò alla scrivania del ragioniere e disse con voce leggermente alterata dall'alcol: "Domani si comincia. Per primo tocca alla Via Jozefa e la Via Izaaka." Il ragioniere ebreo guardò incredulo l'uomo biondo e elegante con il grande distintivo del partito nazista sulla giacca. Sapeva veramente qualcosa e se sapeva, perché rischiava per avvertirlo? Oppure stava minacciando, per fargli capire dove era il suo posto in quel mondo dominato da una mentalità malata. In ogni caso non credette a questo uomo d'affari che stava per comprare una fabbrica espropriata a degli Ebrei e che era venuto a Krakovia solo per fare soldi. Piuttosto ci vedeva la previsione generica di un futuro oscuro per gli ebrei europei.
Il giorno dopo gli appartamenti degli Ebrei nella via Josefa e la via Izaaka furono saccheggiati e la sinagoga incendiata dopo che le SS avevano costretto i presenti a sputare sulla torah e poi li avevano fucilati.
Oskar Schindler era arrivato a Cracovia sulla scia degli occupanti nazisti per arricchirsi e finì invece per salvare più di 1200 Ebrei, destinati a morire nell'inferno di Auschwitz.
Un giorno venne a sapere di diversi vagoni ferroviari piombati pieni di Ebrei che per la confusione degli ultimi mesi della guerra stavano viaggiando da giorni senza cibo né acqua da una stazione all'altra. Schindler riuscì a prendere in mano i documenti di spedizione e senza esitare inserì Zwittau, la sua città natale, come stazione di arrivo. Liberò i sopravvissuti - che erano solo pelle ed ossa - e li portò nella sua fabbrica dove la moglie si prese cura di loro.
Schindler  fu uno sconosciuto nella Germania del dopoguerra. Il libro "La lista di Schindler" dell'australiano Thomas Keneally, dal quale Spielberg ha tratto il suo film, fu scritto solo dodici anni fa e ha avuto appena un modesto successo. Fu nominato “Giusto tra I Giusti” come vengono chiamati in Israele quei giusti fra i popoli, dei quali esiste secondo la tradizione ebraica sempre un certo numero al di fuori del popolo eletto. Vengono onorati con degli alberi d'ulivo nella strada dei giusti a Gerusalemme, dove esiste il museo e il centro di ricerca Yad Vashem che continua anche cinquant'anni dopo la fine della guerra a cercare le persone che hanno salvato Ebrei durante quei terribili anni. Schindler poté piantare il suo albero nel 1959 e solo anni dopo, dietro la spinta dei “suoi” Ebrei, che ancora oggi si autodefiniscono “gli ebrei di Schindler” ricevette anche in Germania una medaglie e una pensione minima.


l’Islam
Religione fondata all’inizio del VII° secolo d.C. da Maometto,in India costituisce una minoranza significativa; in Europa viene professata dal 70% della popolazione dell’Albania e da oltre il 40% degli abitanti della Bosnia- Erzegovina. In Italia i musulmani sono almeno 500.000, per gran parte immigrati dai paesi nordafricani e dal Senegal.
Islam è una parola araba che indica il concetto di sottomissione assoluta all’onnipotenza di Allah, il Dio unico e invisibile. L’Islam si caratterizza, infatti, come espressione di un monoteismo radicale, fin dalla formula fondamentale “Non vi è altro Dio all’infuori di Allah, e Maometto è il profeta di Allah”. Questa concezione rigorosamente monoteistica viene considerata dalla stessa tradizione islamica in continuità con il credo dell’ebraismo e del cristianesimo, religioni che costituirebbero le tappe fondamentali della rivelazione divina. Quest’ultima culminerebbe nella predicazione di Maometto, il profeta per eccellenza e l’ultimo dei messaggeri della rivelazione di Allah dopo Abramo, Mosè, e lo stesso Gesù. Nonostante questo lo stesso Maometto non si attribuì mai una natura sovrumana, presentandosi solo come il profeta al quale Allah avrebbe consegnato, per tramite dell’arcangelo Gabriele, la rivelazione divina destinata a essere custodita e venerata per sempre dai fedeli. Tale rivelazione è contenuta nel Corano, il libro sacro dettato da Dio all’umanità a completamento del messaggio parzialmente trasmesso dalla Bibbia ebraica e cristiana.

Le origini

Vissuto nell’Arabia occidentale all’inizio del VII° secolo d.C., Maometto predicò agli abitanti di quella terra, in maggioranza seguaci del politeismo, i dettami della nuova fede rivelatagli direttamente dall’unico Dio. Nonostante l’ostilità incontrata nella sua città natale, La Mecca, il profeta riuscì a dar vita, nella città oggi nota come Medina, a una comunità politico-religiosa che sarebbe riuscita, già prima del 632, anno della morte del fondatore, a imporre la propria autorità in tutta l’Arabia, nelle città come fra le tribù nomadi, elevando l’appartenenza all’Islam al ruolo di identificazione di una compagnia politica unitaria.
Se la tradizione musulmana, sottolineando il primato assoluto di Allah, gli attribuisce le parole rivelate da Maometto e registrate nel Corano, le cui pagine altro non sarebbero che copie di un prototipo celeste unico e immutabile, la moderna ricerca storico-religiosa mira a chiarire le origini del monoteismo islamico considerando primariamente l’influenza esercitata in Arabia dall’ebraismo e dal cristianesimo, in particolare nell’ambiente culturale del profeta, al quale non erano sconosciute le Sacre Scritture degli ebrei e dei cristiani, salutati con rispetto come   “popolo del libro”. Il Corano, infatti, fa riferimento a Mosè come al tramite della rivelazione divina contenuta nella Torah, mentre Gesù viene presentato come il custode di un “vangelo” in una prospettiva tendente a identificare il fondatore del cristianesimo con il diffusore di un libro dettato dalla divinità e il Corano lo presenta come Masih (Messia), ma respinge come una bestemmia suprema l’attribuzione di una natura divina, pur condividendo con i Vangeli il racconto della sua nascita da una vergine e dei miracoli compiuti, per poi divergere dalla tradizione cristiana in merito alla crocifissione: Gesù sarebbe stato infatti innalzato al cielo da Dio senza conoscere l’umiliazione del supplizio, patito in realtà da un uomo reso simile a lui agli occhi dei suoi persecutori e degli stessi discepoli.

 

Le leggi e i riti

La professione di fede in Allah obbliga i seguaci dell’Islam all’osservanza di una serie di norme etiche e legali che, regolamentando ogni aspetto della vita della comunità, costituiscono un complesso e giudizioso codice giuridico concepito come modello ideale per una società teocratica. Identificando infatti la società civile con la comunità dei fedeli, la teologia innalza il diritto, al rango di scienza religiosa, che deve essere coltivata dai dotti con la massima dedizione per garantire nel futuro la conformità della condotta dei fedeli ai principi della shariah (legge).
Nell’ambito di competenza della shariah rientrano anche le norme del diritto matrimoniale. Le nozze per l’uomo possono avere anche carattere poligamico: alla libertà di sposare fino a quattro donne si associa l’obbligo di assicurare un identico tenore di vita a ciascuna delle consorti e ai rispettivi figli. Tale obbligo, soprattutto in epoca moderna, fa di questa pratica una possibilità limitata agli uomini benestanti. Il divorzio, possibile per iniziativa del marito anche in assenza di particolari motivazioni, può essere ottenuto dalla donna solo per mezzo di una complessa procedura giuridica, sulla base dello stesso principio che consente il matrimonio fra un musulmano e una donna di diverso credo religioso, ma impedisce di dare in sposa una donna musulmana ad un uomo non seguace dell’Islam. Per quanto riguarda l’abbigliamento femminile, l’esortazione rivolta dal Corano alle donne affinché indossino un mantello che copra il loro corpo da capo a piedi non può essere posta a fondamento della prescrizione di nascondere anche il volto, indotta dai califfi Abbasidi con la consuetudine di confinare le mogli nell’Harem ovvero “luogo interdetto” agli uomini, consentendo loro di comparire in pubblico soltanto con il viso coperto.
La pluralità di orientamenti costituisce indubbiamente un motivo di tensione nel mondo musulmano, la quasi totalità dei seguaci di questa religione offre invece un’immagine di profonda unità per quanto riguarda l’osservanza di quei doveri noti come cinque pilastri dell’Islam: alla professione di fede nell’unico Dio, il musulmano deve infatti affiancare la preghiera quotidiana nelle forme previste, osservando poi il digiuno, durante il mese di Ramadan, oltre che recarsi in pellegrinaggio, almeno una volta nella vita alla città santa: La Mecca, e a versare una certa somma di denaro come decima a beneficio dei poveri e della comunità. Obblighi altrettanto sentiti dai fedeli sono, oltre alla circoncisione maschile, l’astinenza dal consumo di bevande alcoliche e di carne di maiale, e il rispetto delle norme della macellazione rituale degli animali delle cui carni è lecito cibarsi.
La preghiera quotidiana viene recitata in forma collettiva nella moschea, il luogo di culto dei musulmani, dove il venerdì, giorno festivo per l’Islam, si tiene a mezzogiorno il rito solenne.   


IL CONFLITTO ARABO-ISRAELIANO
Nel 1947 l’Organizzazione delle Nazioni Unite decise che la Palestina sarebbe stata divisa in due stati uno israeliano e l’altro palestinese e che Gerusalemme sarebbe diventata città internazionale. Gli arabi non accettarono questa decisione ed il 14 maggio del 1948, con la proclamazione della Stato di Israele, ebbe inizio la guerra tra i due popoli.

  1. Nel 1956 Israele occupò una parte della Penisola del Sinai, appartenente all’Egitto.
  2. Nel 1967 scoppiò la guerra dei sei giorni, durante la quale Israele occupò la striscia di Gaza, Le alture del Golan (Siria), e la Cisgiordania.
  3. Nel 1973 scoppiò un altro conflitto chiamato guerra del Kippur, durante il quale Egitto e Siria attaccarono senza successo la Stato di Israele.
  4. Nel 1982 le truppe israeliane occuparono in Libano la parte meridionale del paese.

Durante il conflitto tra arabi e palestinesi, la parte del territorio affidata in origine agli arabi venne inglobata dalle nazioni circostanti (Giordania, Israele ed Egitto) che ne approfittarono per espandere i propri confini. E’ perciò dal 1947 che il popolo palestinese migra da un territorio all’altro in cerca di un loro Stato.

  1. Nel 1987 per opera dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), sotto la giuda di Yasser Arafat, è iniziata nei territori occupati di Gaza e di Cisgiodania l’Intifada, cioè l’insurrezione del popolo palestinese che con sassi e bombe rudimentali si oppone al Israele.
  2. Nel 1995 si era raggiunto un accordo in base al quale Israele si impegnava a ritirare le truppe dalla Cisgiordania e a concede ai palestinesi l’amministrazione della striscia di Gaza. Il processo di pace si è però bloccato a causa dei numero attentati compiuti dagli estremisti palestinesi ed i israeliani.

Ed oggi due leader fuori controllo, incapaci persino di arrivare ad un minimo compromesso. Questo è il quadro della situazione che attualmente si sta verificando in medio oriente, tra attentati di Kamikaze e rappresaglie, in una crudele e terrificante aspirale di morte. Allarmi, guerriglie, sopraffazione ed angosce che pesano sulla vita di tutti i giorni di Ebrei e Palestinesi, ma anche del mondo intero incapace di aiutare in qualche modo il processo di pace. Da troppi anni ormai questi due popoli sono in lotta tra di loro, senza che si possa vedere soltanto un barlume di speranza. Troppo radicate sono, infatti, le ragioni degli uni e degli altri, chiusi all’interno delle loro convinzioni.
E’ guerra da tempi lontanissimi, anche se a sentire i loro leader Ebrei e Palestinesi combattono per ragioni diverse. Per gli Israeliani si tratta di un’operazione di pulizia dal terrorismo, per i Palestinesi di una lotta di liberazione senza fine. Ma forse il primo equivoco sta proprio qui. Comunque, da qualsiasi parte stiano le ragioni, stranamente la parola pace viene pronunciata sempre più di rado. E qualsiasi ipotesi di mediazione o proposta di cessate il fuoco dura lo spazio di qualche ora. Lasciando aperta solo la via dei carri armati e del terrorismo dei kamikaze e confermando che sia Arafat che Sharon non sono in grado di fermare una guerra che rischia di allargarsi a un conflitto che coinvolga altri stati arabi da un lato, mentre dall’altro rischia di fra rinascere nel mondo pulsioni antisemite.
I morti israeliani all’interno di Israele hanno superato ormai il numero dei morti Palestinesi dall’inizio delle operazioni militari ed i “martiri” imbottiti di dinamite sono sempre più giovini, a volte non hanno compiuto ancora diciassette anni.
Tutto questo mentre Israele occupa Betlemme, si spara contro un convento cristiano. Per i morti o i feriti negli ospedali non c’è più spazio, vengono parcheggiati nei corridoi. Oramai si spara anche contro le autoambulanze perché si sospetta che portino armi. Ed il mondo sta a guardare questo orrore immobile ed indifferente. Ciò che sfugge ai grandi della terra è che ormai non importa più chi abbia ragione o torto, non importa più che abbia sbagliato per primo o che sia stato più crudele. Ciò che interessa alla gente comune è che finisca presto, ma gli interessi economici e politici hanno sempre la meglio.

 


Durante il corso dei secoli, in quasi tutte le nazioni del mondo si sono verificate diverse forme di razzismo.
Fortunatamente sono sempre stati presenti degli uomini, ingegnosi e astuti, che hanno dedicato la propria esistenza alla battaglia contro il razzismo. Questi uomini, grazie alle loro lotte, sono diventati dei personaggi conosciuti in tutto il mondo, dei miti, dei modelli da seguire, sempre.
 Grazie alle loro battaglie,  alle guerre in nome dei loro ideali perseguiti con costanza e a costo della propria vita, essi oggi hanno concesso a migliaia, o milioni, di persone di condurre la propria esistenza senza sentirsi inferiori agli altri, per il colore della loro pelle o per la loro religione.
Hanno lottato contro ogni forma di segregazione razziale dei neri:

  1. Abraham Lincoln, antischiavista ed eletto presidente degli Stati Uniti nel 1860;
  2. Il Mahatma Ghandi, passato alla storia come fondatore della politica della non-violenza e padre dell’indipendenza indiana;
  3. Martin Luther King, pastore battista statunitense, assertore dei principi della non-violenza;
  4. Nelson Mandela, uomo politico sudafricano, leader del movimento contro l’apartheid e capo storico dell’African National Congress.

Altri uomini hanno lottato con impegno contro il razzismo nei confronti degli Ebrei. Come Shindler, che con la sua astuta idea di costruire una fabbrica, in cui far lavorare quanti più Ebrei  fosse possibile, è riuscito a salvarne più di mille, o come Peralsca, italiano furbo e bugiardo, che si è finto console di un paese neutrale: la Spagna.


Lincoln, Abraham

 

Uomo politico statunitense (Big South Fork 1809-Washington 1865)di umile famiglia quacchera, nel 1832 dopo aver svolto mestieri diversi, divenne capitano di una compagnia di volontari nella campagna contro gli indiani di Black Hawk. Nello stesso anno i whigs della sua contea lo scelsero come candidato alla legislatura dell'Illinois; benché non venisse eletto, ottenne una buona affermazione personale. Si ripresentò alle elezioni nel 1833 e, sebbene whig in uno Stato tradizionalmente democratico, la sua fama di uomo onesto e la sua eloquenza gli valsero la vittoria. Fu membro della Camera dell'Illinois dal 1834 al 1842.
Nel 1837 fu ammesso all'esercizio dell'avvocatura. Divenuto capo dei whigs dell'Illinois, fu eletto nel 1846 al Congresso degli U.S.A., dove prese per la prima volta posizione sul problema della schiavitù.
Nel 1849 lasciò il Congresso e, avendo rifiutato la carica di governatore dell'Oregon, tornò all'attività forense.
Contrario all'introduzione della schiavitù negli Stati di nuova costituzione o in quelli in cui non era praticata, enunciò la teoria secondo la quale l'Ovest doveva rimanere libero per assicurare ai poveri dell'Est e del Sud la possibilità di crearsi una posizione economica. Benché sconfitto nel 1858, in una memorabile contesa con Douglas per il Senato, continuò a battersi contro la schiavitù nei termini sopra enunciati, procurandosi ampi consensi nel Nord. Nel 1860 la Convenzione repubblicana di Chicago lo scelse come candidato alla presidenza. Relativamente poco influente, Lincoln dovette il suo successo soprattutto a ragioni di strategia elettorale, in quanto uomo dell'Ovest sul suo nome sarebbero confluiti i voti dell'Ovest e del Nord, indispensabili per battere il candidato democratico, che avrebbe raccolto i voti del Sud. Egli godeva inoltre di un indiscusso prestigio morale e non era un estremista. Il suo programma era improntato alla moderazione e allo spirito di conciliazione. Si proponeva di non consentire l'introduzione della schiavitù dove non esisteva ma non di abolirla per principio dove era già praticata; inoltre prometteva gratuitamente a ogni colono un appezzamento di terra nonché miglioramenti in politica interna. Lincoln fu eletto con la maggioranza assoluta dei voti elettorali, mentre i voti popolari furono di poco superiori alla maggioranza relativa. La sua vittoria, nonostante le sue intenzioni concilianti, determinò il precipitare della crisi, appena conosciuti i risultati del voto. Il 20 dicembre 1860 la Carolina del Sud proclamò la secessione indicandone la causa proprio nella questione della schiavitù. Nonostante la ribellione, tentò di temporeggiare finché i confederati stessi non aprirono le ostilità attaccando Fort Sumter, tenuto dai federali. Il conflitto condusse inevitabilmente Lincoln ad assumere un atteggiamento intransigente e a perseguire l'abolizionismo. Il 22 settembre 1862 emanò il proclama preliminare di emancipazione degli schiavi. Rieletto trionfalmente nel 1864, confermò la sua moderazione al termine del conflitto, allorché, dopo la capitolazione del Sud ad Appomattox (9 aprile 1865), dichiarò che il ritorno del Sud nell'Unione doveva essere esente da aspetti punitivi se si voleva che la Federazione fosse ricostruita anche spiritualmente. Il 14 aprile, solo cinque giorni dopo la fine della guerra, cadde vittima dell'attentato di un sudista fanatico.


GANDHI                                                       
Il nome GANDHI significa "droghiere" perché la sua famiglia dovette esercitare per un breve periodo del piccolo commercio di spezie. Nelle ultime generazioni tale famiglia ricoprì alcune cariche importanti nelle corti del kathiawar. Il padre Mohandas Kaba Gandhi era stato il primo ministro del principe rajkot. I Gandhi erano di religione vaishnava, appartenevano cioè ad una setta hindù con particolare devozione per vishnù.
Mohandas karamchad Gandhi tra i dieci e i diciassette anni frequentò la "high school" del kathiawar. Compiuti tredici anni, dopo due precedenti fidanzamenti sfumati per la morte precoce delle fanciulle prescelte dai suoi genitori, e da lui neppur conosciute, venne sposato ad una sua coetanea. All’età di trentasette anni, d'accordo con la moglie, decise di prendere il voto di castità, andando contro ai principi della sua religione. Ebbe un periodo di crisi , in cui egli credette di esser ateo, che si risolse con una confessione scritta al padre. Terminata la "High school" andò al college, dove seguì alcuni corsi, ma senza profitto. Così il 4 Settembre 1888 Gandhi si imbarcò a Bombay per raggiungere Londra, dove cerca di inserirsi nella società, diventando un gentleman, purtroppo senza i risultati che si era preposto. Perso l’interesse per la società londinese, egli si dedicò alla lettura di vari testi, anche di altre religioni, dai quali capì che la rinuncia è la forma più alta di religiosità che un uomo possa esprimere. I tre anni trascorsi a Londra da Gandhi furono per lui di lenta ed inconscia maturazione. Ottenuta l’abilitazione alla professione legale, scopo della sua vita a Londra, nel 1891 ritornò in India. A Bombay lo attesero cattive nuove, la madre è morta da qualche mese, e la professione che lui esercitava non rendeva abbastanza per sdebitarsi con i fratelli che avevano sostenuto le spese per i suoi studi. Spinto dalle suddette ragioni, decise di partire per il Sud Africa per sbrigare un complicato affare legale per conto di una casa di commercio indiana, in modo da estinguere una buona parte del debito contratto con i fratelli. Arrivato in Sud Africa ebbe subito le prime esperienze personali, sul treno che doveva portarlo a destinazione, benché munito di biglietto, venne allontanato dallo compartimento di prima classe perché riservato ai bianchi. A Johannesburg per colpa della sua razza non trovò albergo. Queste umiliazioni da lui subite non erano dirette soltanto a lui ma a tutta la sua razza. Spinto da un forte orgoglio convocò una riunione con la colonia indiana d’Africa, dove per far sì che tale gente venisse accettata dalla collettività, esortò i commercianti ad essere il più onesti possibile, ad avere più cura della pulizia personale e a dimenticare le differenze di casta.
Si offrì per impartire lezioni di inglese gratuitamente, in modo da istruire la gente che non lo sapesse, fonte di imbrogli e vari raggiri. Successivamente prese contatto con le autorità ferroviarie con le quali raggiunse un patto per cui gli indiani, ben vestiti ed ordinati, avrebbero potuto usufruire del servizio ferroviario di prima o seconda classe. Dopo un anno di permanenza in Sud Africa, decise di reimbarcarsi per tornare in India, ma la gente che aveva conosciuto lo esortò a restare ancora per almeno un mese in modo da far da guida per gli analfabeti di colore; egli accettò pur non sapendo che quel mese diventeranno poi vent’anni.
Nel maggio 1894 fonda il "Natal indian congress" una associazione per la difesa degli interessi indiani nell’unione sudafricana. Nel 1896 tornò in India per cercare appoggi alle sue teorie.
Al suo ritorno in Sudafrica venne aggredito e malmenato e sfuggì a stento al linciaggio. Durante la guerra boera organizzò un corpo volontario per assistere i feriti. Finita la guerra scoppia a Johannesburg una epidemia di peste ed egli si prodigò per assistere i colpiti, esponendo con gioia la vita per i suoi persecutori. Nel 1904 sull’esempio di Tolstoi fondò a Phoenix, nei pressi di Durban, una colonia agricola, dove vi trasferisce la tipografia del giornale "Indian Opinion" fondato sempre nello stesso anno, in essa Gandhi riservò per sé i lavori più umili e faticosi.
In questa colonia egli divise il terreno in appezzamenti di poco più di un ettaro, e vi insediò i suoi compagni di lotta; la regola della comunità è che ognuno deve guadagnarsi la vita con il lavoro dei campi. Durante la guerra degli zulù, scoppiata in quel periodo, e dove Gandhi si presentò con un corpo di ambulanza volontario che curava, e soccorreva bianchi e neri, compì su di sé esperimenti di una pratica che diverrà poi familiare e cara: il digiuno, come mezzo di purificazione e di autodominio.
Comincia da qui la satyagraha, ovvero la forza della verità, che diverrà l’arma dei deboli; basato su idee che Gandhi enunciò in un solenne comizio tenuto il 1° Settembre 1906. Nell’agosto dello stesso anno il governo obbligò tutti gli asiatici a munirsi di scheda di identità, a fornire le impronte digitali e a sottostare ad altre umilianti misure di polizia che li ponevano a livello di comuni criminali. Gandhi consigliò ai satyagrahi di rifiutare di farsi schedare, se multati, non dovevano pagare l’ammenda, se processati dovevano deliberatamente dichiarare di aver violato le leggi ed andare in carcere senza opporre resistenza.
Facendo così in breve le prigioni del Transvaal furono piene. Nel 1907 fu arrestato anche Gandhi, che ricevette l’intimazione di lasciare il paese entro 48 ore; avendo disobbedito fu processato e chiese al giudice di accusarlo in modo tale da avere una pena superiore ai suoi compagni. Nel 1914 finalmente il satyagraha prevalse sulla forza delle armi e delle leggi. Gandhi poté ritornare finalmente nella sua patria che ormai gli era divenuta straniera, ma prima volle trascorrere qualche settimana in Inghilterra la quale aveva appena dichiarato guerra alla Germania. Anche qui Gandhi non perse l’occasione per mettere in pratica le sue teorie, ed organizzò subito un corpo di volontari indiani residenti in Inghilterra per curare gli inglesi feriti. La fatica ed il freddo lo fecero ammalare di pleurite così, avendo bisogno di un clima caldo come quello dell’India per curarsi, il 9 gennaio 1915 Gandhi sbarcò a Bombay. Anche qui le occasioni per manifestare le idee della non violenza e della disobbedienza civile non mancarono affatto, infatti il 30 marzo 1919 ha inizio, a Delhi, la prima grande campagna di satyaghara su scala nazionale per protestare contro le misure restrittive che gli inglesi imponevano sulla libertà personale degli indiani, e che intendevano mantenere anche dopo la guerra. Gli aderenti furono invitati a firmare una formale dichiarazione redatta dallo stesso Gandhi, in cui si impegnavano a "disobbedire" nel caso in cui queste leggi venissero applicate. Poiché Gandhi proclamò il satyagraha un processo di auto purificazione sacra si decise di sospendere il lavoro in tutta l‘India per un giorno dedicando tale giornata al digiuno e alla preghiera. Tale processo non ottenne i risultati che ci si aspettava, anzi ebbero l’effetto contrario, così con un atto di grande coraggio il 18 aprile, Gandhi, non curante delle proteste degli estremisti, ordinò la sospensione del movimento. Successivamente Gandhi assunse la direzione di un settimanale in lingua inglese "YOUNG INDIA" e di un mensile "NAVAJIVAN" per diffondere le sue idee. Nel novembre 1921 Gandhi venne condannato a trascorrere 2 anni di carcere per avere ripreso i moti della non violenza contro il governo inglese. Quando venne rilasciato la situazione politica era profondamente mutata, e il movimento di non collaborazione aveva perduto ogni vigore.
Gandhi propose una nuova campagna di disobbedienza civile basata sulla legge del monopolio del sale che incideva negativamente soprattutto sui poveri. La mattina del 12 marzo 1930 seguito da degli studenti si diresse, a piedi, verso la costa per fabbricare qualche grammo di sale in spregio al monopolio.
Per ogni villaggio in cui egli passava si aggiungeva sempre più gente, per lo più contadini. Il 5 aprile Gandhi raggiunse il mare a Danni dove in mezzo ad una folla che lo acclamava raccolse qualche grammo di sale; da qui iniziarono i moti del sale: i contadini non pagarono più l'imposta terriera; il boicottaggio dei tessuti stranieri divenne generale: i funzionari legislativi furono colpiti da ostracismo. I negozianti si rifiutavano di vendere i loro generi più necessari. I tribunali divennero deserti. Gli inglesi cercarono dapprima di reagire facendo caricare i dimostranti dalla polizia e arrestare i violati della legge. Gandhi fu arrestato e la direzione della campagna fu assunta dalla moglie, ma venne arrestata anch'essa; succedettero a quest'ultima molti altri capi ma vennero tutti arrestati ed in poco tempo le prigioni furono di nuovo piene. Il 25 gennaio 1931 Gandhi ed altri membri dell'esecutivo del congresso vennero liberati senza condizioni; e al termine di una serie di colloqui tra il Viceré e Gandhi, nel febbraio-marzo 1931 fu raggiunto un accordo definito "patto Irwin-Gandhi" per cui il Governo britannico modificava le leggi sul monopolio del sale, liberava i detenuti politici e revocava le ordinanze speciali ed i procedimenti pendenti ed il Congresso in cambio accettava di partecipare alla Conferenza della "Tavola Rotonda", nella quale fu raggiunto un vago accordo sulle linee generali della nuova costituzione. Con l'approssimarsi del secondo conflitto mondiale Gandhi riprese i contatti con il movimento indipendentista, per dichiarare così allo scoppio della guerra l'India come paese che condannava il nazismo e il fascismo e come paese che non si sarebbe mai alleato ad una guerra mirante alla difesa dello status quo, avrebbe collaborato alla difesa della democrazia se questa sarebbe stata applicata anche all'India. Nell'agosto 1940 il governo Churchill, dopo il crollo della Francia oppose la richiesta di un trasferimento immediato dei poteri ad un governo provvisorio indiano, dopo ciò non avendo ottenuto ciò che voleva Gandhi riprese la disobbedienza civile.
Questa situazione era molto delicata per il governo britannico che non poteva affrontare anche il problema dell'India visto che la maggior parte delle forze erano impegnate nel conflitto mondiale. Nessun tentativo di riprendere colloquio fu tentato fino alla fine della guerra, intanto la moglie di Gandhi morì in carcere dopo un digiuno di protesta. La svolta decisiva si ebbe nel 1945 quando i mussulmani esposero le loro tesi nelle quali essi auspicavano la creazione di uno stato mussulmano separato, formato con le province in maggioranza mussulmane. Queste tesi prevalsero e il 15 agosto 1947 l'India si spaccò in due Stati distinti: il Pakistan e L'Unione Indiana. Per definire i confini vennero istituite due commissioni miste ma che stentavano a raggiungere un accordo, questa situazione tesa e complicata scatenò un guerra tra mussulmani ed hindù che alla fine di quel fatale 1947 provocò circa un milione di morti e circa 5 milioni di profughi. In questa situazione Gandhi ormai vecchio e solo lottò con tutte le sue forze, pure quando l'India divenne indipendente, rischiando anche di morire di fame, ma riuscendo a portare la calma almeno a Calcutta. Si recò di nuovo a Delhi, dove le violenze degli estremisti hindù erano molto più accese; qui egli si recava ogni sera per pregare all'aperto, in quiete, ma la sera del 30 Gennaio 1948 un giovane fanatico militante lo seguì e lo uccise con colpi di pistola a ripetizione. Così si chiudeva la vita di Gandhi all'età di 78 anni dopo aver lottato per tutta la vita per affermare un ideale di non violenza e di amore, ed era caduto vittima di quelle stesse passioni che aveva cercato di esorcizzare.

A partire dalla prima metà del ‘700 la compagnia britannica delle indie, costretta a riempire il vuoto di potere causato dal declino dell’Impero Moghul e ad assicurare a essa le condizioni favorevoli allo sviluppo dei suoi traffici, si trasformò da grande impresa commerciale in una grande forza politica e militare e, assumendo il controllo del Bengala, pose la base dell’impero indiano, sotto la spinta della rivoluzione industriale in Gran Bretagna.
L'industria indiana, prevalentemente artigianale, subì delle enormi modifiche dettate dal regime inglese, diventando così manifatturiera. Anche nel campo agricolo vi furono dei cambiamenti: i piantatori inglesi costrinsero i contadini indiani a trasformare quella che era un'agricoltura prevalentemente di sussistenza e di autosufficienza, in un'agricoltura basata su piantagioni di cotone, indaco e the.
Le modifiche apportate però in campo agricolo non furono solamente queste: per esempio, per far sì che l'impero britannico potesse dispiegare in pieno il proprio dominio in India, fu introdotta la proprietà privata assegnando anche dei proprietari alle terre. Non solo, ma in base alla proprietà il governo inglese faceva pagare un'imposta fondiaria. L'effetto di questa riforma fu che nello spazio di una generazione i possedimenti hindù passarono in mano ad imprenditori inglesi attraverso espropri, ipoteche e confische. Insomma, l'economia indiana andava lentamente lacerandosi, visto che gli inglesi immettevano sul mercato i loro prodotti ad un prezzo bassissimo. Il "colpo di grazia" venne dato da un forte aumento demografico che si verificò a partire da quel tempo.
La società indiana prima dello sbarco inglese:
L’India era, agli inizi del secolo, un paese che andava lentamente destandosi da una quasi immobilità plurimillenaria. Dalle origini della sua storia, o almeno da quando le popolazioni ariane invasero la parte settentrionale del paese intorno al 1500 a.C. e vi insediarono sottoponendo a sé le popolazioni aborigene di stirpe dravidica, la società indiana non aveva subito trasformazioni sostanziali. La popolazione indiana è sempre stata composta dall’80 al 90 per cento di contadini. Agli inizi del secolo, circa 300 milioni di contadini indiani coltivavano la terra con l’ausilio di pochi attrezzi rudimentali, di qualche coppia di buoi, ma, soprattutto, con il beneplacito dei monsoni, che sono i veri arbitri dell’agricoltura indiana. Vivevano come erano sempre vissuti: in centinaia di migliaia di villaggi, composti di case di bambù e fango. Il villaggio è rimasto per secoli in india una comunità chiusa ed autosufficiente. Una agricoltura di sussistenza provvedeva ai bisogni alimentari degli stessi contadi, degli artigiani, del contabile, del sacerdote, della guardia, ecc., che prestavano la loro opera di beneficio della comunità del villaggio, secondo i bisogni dei singoli, ricevendone in cambio il sostenimento. Prima dell’avvento degli inglesi, non esisteva in India la proprietà individuale della terra. La collettività del villaggio godeva del possesso stabile della terra che coltivava; aveva la proprietà invece dei suoi frutti il re, dedotta in una quota variante da 1/4 a 1/2 a seconda delle epoche chiamata la "quota del re", che veniva esatta o direttamente o, più spesso, attraverso intermediari chiamati zamidari, dal sovrano. Questo era praticamente l’unico rapporto tra il villaggio ed il potere politico. Per il resto il villaggio oltreché mantenersi si amministrava da sé, e spesso si difendeva da sé. Insieme al villaggio autosufficiente, gli altri due cardini della società indiana tradizionale erano la casta e la famiglia patriarcale. Ogni casta costituisce una corporazione chiusa, che si governa con proprie leggi e statuti. La famiglia patriarcale è l’unità morale ed economica di base. Il patrimonio familiare assorbe i beni acquistati a qualsiasi titolo dai singoli componenti ed è amministrato dal consiglio di famiglia, di cui è capo rispettato il membro maschio più anziano. E’ lui che esercita su tutti i membri del gruppo poteri più ampi di quelli che in occidente si riassumono nella potestà. Per due millenni il villaggio autosufficiente, la casta, la famiglia gentilizia hanno costituito la trama del tessuto sociale indiano, una trama così
robusta da resistere al logorio ed alla consumazione delle strutture statali.

Lettera di Ghandi ad Hitler

Caro amico,
se vi chiamo amico, non è per formalismo. Io non ho nemici. Il lavoro della mia vita da più di trentacinque anni è stato quello di assicurarmi l’amicizia di tutta l’umanità, senza distinzione di razza, di colore o di credo. Spero che avrete il tempo e la voglia di sapere come una parte importante dell’umanità che vive sotto l’influenza di questa dottrina di amicizia universale considera le vostre azioni. Non dubitiamo della vostra bravura e dell’amore che nutrite per la vostra patria e non crediamo che siate il mostro descritto dai vostri avversari. Ma i vostri scritti e le vostre dichiarazioni, come quelli dei vostri amici e ammiratori, non permettono di dubitare che molti dei vostri atti siano mostruosi e che attentino alla dignità umana, soprattutto nel giudizio di chi, come me, crede all’amicizia universale. È stato così con la vostra umiliazione della Cecoslovacchia, col rapimento della Polonia e l’assorbimento della Danimarca. Sono consapevole del fatto che, secondo la vostra concezione della vita, quelle spoliazioni sono atti lodevoli. Ma noi abbiamo imparato sin dall’infanzia a considerarli come atti che degradano l’umanità. In tal modo non possiamo augurarci il successo delle vostre armi. Ma la nostra posizione è unica. Noi resistiamo all’imperialismo britannico quanto al nazismo. Se vi è una differenza, è una differenza di grado. Un quinto della razza umana è stato posto sotto lo stivale britannico con mezzi inaccettabili. La nostra resistenza a questa oppressione non significa che noi vogliamo del male al popolo britannico. Noi cerchiamo di convertirlo, non di batterlo sul campo di battaglia. La nostra rivolta contro il dominio britannico è fatta senza armi. Ma che noi si riesca a convertire o meno i britannici, siamo comunque decisi a rendere il loro dominio impossibile con la non cooperazione non violenta. Si tratta di un metodo invincibile per sua natura. Si basa sul fatto che nessun sfruttatore potrà mai raggiungere il suo scopo senza un minimo  di collaborazione, volontaria o forzata, da parte della vittima, I nostri padroni possono possedere le nostre terre e i nostri corpi, ma non le nostre anime. Essi non possono possedere queste ultime che sterminando tutti gli indiani, uomini, donne e bambini. E' vero che tutti non possono elevarsi a tale grado di eroismo e che la forza può disperdere la rivolta, ma non è questa la questione. Perché se sarà possibile trovare in India un numero conveniente di uomini e di donne pronti, senza alcuna animosità verso gli sfruttatori a sacrificare la loro vita piuttosto che piegare il ginocchio di fronte a loro, queste persone avranno mostrato il cammino che porta alla liberazione dalla tirannia violenta. Vi prego di credermi quando affermo che in India trovereste un numero inaspettato di uomini e donne simili. Essi hanno ricevuto questa formazione da più di vent’anni. Con la tecnica della non violenza, come ho detto, la sconfitta non esiste. Si tratta di un «agire o morire senza uccidere né ferire. Essa può essere utilizzata praticamente senza denaro e senza l’aiuto di quella scienza della distruzione che voi avete portato a un tale grado di perfezione. Io sono stupito dal fatto che voi non vediate come questa non sia monopolio di nessuno. Se non saranno i britannici, sarà qualche altra potenza a migliorare il vostro metodo e a battervi con le vostre stesse armi. Non lascerete al vostro popolo un’eredità di cui potrà andare fiero. Non potrà andare orgoglioso raccontando atti crudeli, anche se abilmente preparati. Vi chiedo dunque in nome dell’umanità di cessare la guerra. In questa stagione in cui i cuori dei popoli d’Europa implorano la pace, noi abbiamo sospeso anche la nostra stessa lotta pacifica. Non è troppo chiedervi di fare uno sforzo per la pace in un momento che forse non significherà nulla per voi, ma che deve significare molto per i milioni di europei di cui io sento il muto clamore per la pace, perché le mie orecchie sono abituate a sentire le masse silenziose. Avevo intenzione d’indirizzare un appello congiunto a voi e al signor Mussolini, che ho avuto l’onore di incontrare all’epoca del mio viaggio in Inghilterra come delegato alla Conferenza della tavola rotonda. Spero che egli vorrà considerare questo come se gli fosse stato indirizzato, con i necessari mutamenti.


MARTIN LUTHER KING
Martin Luther King nacque nella città di Atlanta, nello Stato della Georgia, il 15 gennaio 1929. Il padre Martin Luther King senior, era pastore della chiesa battista, la mamma una maestra. Martin era un bambino dall'intelligenza molto vivace, tutte queste circostanze umilianti ed incomprensibili lo portarono a formulare una domanda a cui non trovava una risposta e che non riusciva a porre al padre che lo intimidiva moltissimo: che cosa avevano di diverso i neri dai bianchi? perché erano obbligati a vivere in condizioni subalterne? perché erano oggetto di tanto disprezzo? Negli anni seguenti, studiò con passione, con rabbia, in scuole segregate, per porre un qualsiasi rimedio a quello stato di cose. Sognava di diventare avvocato per essere di aiuto ai suoi fratelli di colore, nell'utopistica idea di una giustizia universale. Durante l'adolescenza, capì l'importanza della religione: solo la fede in Dio permetteva ai fratelli negri di sopravvivere e di credere che "Lassù Qualcuno li amava". Dopo il liceo, s'iscrisse al seminario di Chester, completò gli studi e, conobbe una ragazza, Coretta Scott Young. I due giovani s'innamorarono e nel 1953 si sposarono a Marion, poi si trasferirono a Montgomery negli Stati del Sud, ove maggiore era l'intolleranza razziale. Entrambi erano decisi a lottare per non essere più giudicati inferiori. Il modello di lotta che ispirava la sua teoria era quello proposto da Gandhi: la non- violenza. Nel dicembre del 1955 un fatto, dette una svolta alla lotta di King. Un'operaia negra salì su un autobus per tornare a casa. Essendo occupati tutti i posti riservati ai negri, si sedette su uno riservati ai bianchi. Intervenne il bigliettaio, fu chiamata la polizia e Rosa fu arrestata per essersi seduta su un posto "per i bianchi". In questa occasione fu lanciata l'idea di boicottare tutti i mezzi pubblici: nessun negro sarebbe salito sull'autobus fintanto che non fosse stata tolta la "spartizione dei sedili". I mezzi pubblici rimasero vuoti e le autorità non cedevano e, non sapendo come risolvere la questione, citarono in tribunale  Martin L. King per "aver danneggiato l'azienda dei trasporti pubblici", ma mentre stava per iniziare il processo, arrivò la strepitosa notizia: la Suprema corte degli Stati Uniti d'America aveva dichiarato "illegale" la segregazione praticata negli autobus. Nell'agosto del 1963 Martin Luther King guidò un'enorme manifestazione interrazziale a Washington, ove l'anno seguente gli fu assegnato il premio Nobel per la pace e il papa Paolo VI lo ricevette in vaticano. Nel mese di aprile dell'anno 1968 si recò a Menphis per partecipare ad una marcia a favore degli spazzini della città (bianchi e neri), che erano in sciopero. Mentre, sulla veranda dell'albergo, si intratteneva a parlare con i suoi collaboratori, della casa di fronte vennero sparati alcuni colpi di fucile.
Martin Luther King cadde riverso sulla ringhiera, pochi minuti dopo era morto. Approfittando dei minuti di panico che seguirono, l'assassino si allontanò indisturbato. Ancora oggi il mistero rimane insoluto, alcuni sostengono che ci siano troppe analogie tra il caso King e il caso Kennedy per trattarsi solo di semplici coincidenze. Comunque, il o i colpevoli, se sono mai esistiti e se sono ancora vivi, continuano ad essere sconosciuti.  

 

NELSON MANDELA
Di origini aristocratiche essendo figlio di un capo della tribù Thembu, Nelson Rolihlahla Mandela nasce il 18 luglio 1918. Dopo aver seguito gli studi nelle scuole sudafricane per studenti neri conseguendo la laurea in giurisprudenza, nel 1944 entra nella politica attiva diventando membro dell'ANC, African National Congress, e guidando per anni campagne pacifiche contro l'apartheid, la segregazione dei negri. Ha un hobby: la boxe.
Nel 1960 il regime razzista di Pretoria fa eliminare 69 militanti dell'ANC, passerà alla storia come il massacro di Shaperville, e fa mettete al bando l'associazione. Mandela si dà alla macchia fondando con altri superstiti una corrente militarista all'interno del movimento.
È denominata Umkhonto we sizwe: la lancia della nazione. Arrestato nel 1963 dopo un procedimento durato nove mesi è condannato all'ergastolo. Anche se in prigione, il suo carisma di leader non viene assolutamente meno. In tutto il mondo il nome di Mandela riconduce inevitabilmente alla lotta contro l'apartheid, e dunque al Sudafrica.
Nel febbraio del 1985 l'allora presidente sudafricano Botha gli offre
la libertà purché rinneghi la guerriglia. È un modo come un altro per
ridimensionare il personaggio minandone il prestigio e salvando la faccia con il resto del mondo, che continua a rumoreggiare a favore di Mandela. Questi rifiuta, scegliendo di restare in carcere.
È cronaca recentissima: nel 1990, su pressioni internazionali e poiché al regime segregazionista era stato tolto l'appoggio degli Stati Uniti, Mandela viene liberato, nel 1991 è eletto presidente dell'Anc, nel 1993 riceve il Nobel per la pace, durante le prime elezioni libere del 1994 è eletto presidente della Repubblica del Sudafrica e capo del governo. Resterà in carica fino al 1998.
Nel privato, Mandela ha avuto tre mogli. Una prima moglie di cui non si sa niente, una seconda sposata nel 1958, la famosa Winnie prima "madre della nazione africana". Donna di grande potere e prestigio, di notevole bellezza, Winnie sembrava indissolubilmente legata a Nelson Mandela negli anni della lotta e della prigionia. Era la voce del marito, ma dal 1989, mentre il marito era ancora in prigione, viene accusata di sequestro, omicidio,  ed è condannata. Nel 1997 è ufficiale il loro divorzio e nel 1998, all’età di ottant'anni, Nelson Mandela sposa Gracia, una cinquantaduenne dal sorriso contagioso, vedova del presidente del Mozambico, assassinato in un incidente aereo organizzato dai servizi segreti del regime segregazionista bianco.
Alle loro nozze, celebrate prima con rito civile e poi religioso, hanno ricevuto la benedizione del capo della Chiesa Metodista Mvuve Dandala, del vescovo anglicano Desmond Tutu, premio Nobel per la pace con madre Teresa di Calcutta, e del rabbino capo.

Nelson Mandela è stato Presidente della Repubblica Sudafricana dal 1994, ha dedicato tutta la vita a battersi contro il regime razzista dell’apartheid, restando in carcere per 27 anni fino al 1967 anno in cui venne scarcerato. L’apartheid è un sistema di segregazione razziale che separava i bianchi dai neri o dalle altre razze presenti in Sudafrica, attraverso una rigida regolamentazione che proibiva ai neri di essere liberi di fare qualsiasi cosa essi volessero, per esempio non potevano avere alcun tipo di rapporto con i bianchi. Ciò a dimostrazione del fatto che varie forme di razzismo sono succedute all’olocausto degli Ebrei.

 

 

Queste sono le sue parole:
…Ho sempre saputo che nel fondo di ogni cuore umano albergano pietà e generosità. Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano ad odiare e se possono imparare ad odiare possono anche imparare ad amare, perché l’amore per il cuore umano, è più naturale dell’odio… Nell’uomo la bontà è una fiamma che può rimane celata, ma mai estinguersi completamente… Non sono nato con la sete di libertà. Sono nato libero, libero in ogni senso che potessi conoscere. Libero di correre nei campi vicino alla capanna di mia madre, di nuotare nel limpido torrente che scorreva attraverso il mio villaggio. Solo quando ho scoperto che la libertà della mia infanzia era un’illusione, che la vera libertà mi era stata già rubata, ho cominciato a sentirne la sete.
…Sapevo che l’oppressore era schiavo quanto l’oppresso, perché chi priva gli altri della libertà è prigioniero dell’odio, è chiuso dietro le sbarre del pregiudizio o della ristrettezza mentale. L’oppressore e l’oppresso sono entrambi derubati della loro umanità.
Alcuni dicono che il mio obiettivo è stato raggiunto, ma so che non è vero…
Non abbiamo compiuto l’ultimo passo del nostro cammino, ma solo il primo su una strada che sarà ancora più lunga e difficile; perché la libertà non è soltanto spezzare le proprie catene, ma anche vivere in modo da rispettare ed accrescere la libertà degli altri.

 


 



 


Definizione geografica
Il Kurdistan letteralmente significa "paese dei Kurdi", un territorio montuoso, geograficamente unitario di circa 500.000 Kmq. Nei secoli scorsi i numerosi europei, che per motivi di viaggio, commercio e diplomazia si erano recati in Oriente, hanno descritto il confine kurdo. Una delle carte geografiche più antiche che hanno indicato il Kurdistan, risale al 1561. Il Kurdistan ha subito numerose spartizioni e ritocchi da parte dell'Impero Ottomano e dell'Impero Persiano. Dopo la Prima Guerra Mondiale il Kurdistan fu smembrato ad opera dei governi alleati, tra la Turchia, l’Iran, l'Iraq e la Siria. Dopo 70 anni di oppressione e deportazioni, la realtà kurda di oggi non corrisponde più a quella storica. La persianizzazione, la  turchizzazione e l'arabizzazione del Kurdistan hanno cambiato le caratteristiche geografiche ed etniche del suo territorio. Oggi solo una piccola provincia in Iran viene chiamata “Kurdistan”. Così rimane un compito difficile tracciare con esattezza il confine territoriale del Kurdistan.
ORIGINE STORICA
I Kurdi sono un popolo di Origine indoeuropea, tra i più antichi del medio Oriente. I Kurdi sono discendenti dei Medi che nel VI secolo a.C. fondarono il grande omonimo impero. Poi vennero sottomessi agli Arabi e l'islam a poco a poco divenne la loro religione. Tutto il 1800  fu costellato da rivolte dei Kurdi contro il potere del sultano, scaturite da una modernizzazione di tipo occidentale; come il. servizio militare obbligatorio; il sistema: dei tributi e la sostituzione dei capi ereditari con governatori turchi dell’impero ottomano che mettevano in crisi il sistema medioevale kurdo.
Nei primi de novecento cambia la politica dell'impero ottomano verso i Kurdi. Vennero riconosciuti i loro capi feudali, vennero arruolati reggimenti irregolari sotto il controllo dei capi feudali che ebbero grande importanza nel controllo dei confini caucasici dell'impero e per la repressione degli Armeni, finché nel l908 la rivoluzione dei giovani Turchi fece nascere l'entusiasmo di tutti i movimenti nazionalistici dell'impero.
Con 1^ prima Guerra Mondiale, i Kurdi si allearono con i Russi e il territorio kurdo  fu teatro di scontri fra Turchi russi e Inglesi che provocarono moltissime
vittime tra i civili. Durante la guerra, nel 1916 già i rappresentanti  di Francia, Inghilterra e Russia, ancor prima della vittoria, si erano spartite le zone di influenza. Il Kurdistan era stato diviso in tre parti: il Kurdistan meridionale tra Francia e Inghilterra e i distretti nord orientali alla Russa zarista.
Nel 1919 sia gli Armeni che i Kurdi presentarono le loro rivendicazioni di autonomia alla conferenza di Parigi. Ai Kurdi viene riconosciuta l'indipendenza. Il trattato fu molto fragile e scatenò la guerra turca contro i Greci. Con la vittoria turca tutte le scelte precedenti furono messe in discussione e il trattato di Losanna segnò il tradimento dei precedenti accordi dei vincitori con Kurdi e Armeni, i quali non furono invitati e i loro territori furono divisi tra Turchia, Siria e Iraq.
Da tale epoca fino ad oggi, l’unica ulteriore occasione di indipendenza per i Kurdi fu la fondazione  della repubblica di Mahabad in Iran.
Nel novembre 1946, le .truppe iraniane invasero i territori della Repubblica kurda. Tutti i componenti del governo kurdo furono arrestati ed altri  furono impiccati pubblicamente. Le scuole kurde furono chiuse, i libri stampati in kurdo furono bruciati e fu distrutto ogni segno del periodo repubblicano.

 

 

 

 Slobodan Milosevic

Accusato di crimini contro l'umanità per le guerre in Croazia e in Kosovo

Si sospettava che dietro l’orrore dell’esodo di oltre 1 milione di Kosovari albanesi, si celasse l’orrore del genocidio. Corpi piagati, volti sfigurati di bambini, ragazzi e donne, sono la testimonianza visibile di uno stermino etnico, progettato prima che i caccia bombardieri della Nato entrassero in azione contro la Serbia di Slobodan Milosevic. Era stato progettato il più grande stermino dopo la seconda guerra mondiale.
E’, quello avvenuto in Kosovo, il quinto immane genocidio del XX secolo, dopo quello armeno del 1915, quello ucraino e russo degli anni Trenta, l’olocausto ebraico degli anni Quaranta, l’ecatombe cambogiane del 1974.
Il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia ha incriminato formalmente Slobodan Milosevic per genocidio in Bosnia. A Milosevic è attribuita la responsabilità

di 66 massacri commessi tra il 1991 ed il 1999 dai soldati serbi. I giudici hanno spiegato che i documenti raccolti dalla procura, riguardanti le violenze commesse dalle forze serbe contro croati e musulmani, contenevano prove sufficienti per andare a processo. Milosevic è stato accusato, più specificatamente, di crimini contro l'umanità per la guerra in Croazia del 1991-1992 e in Kosovo del 1999.
L’ex dittatore di Belgrado è imputato in particolare per avere partecipato a una "impresa criminale" volta "a evacuare sotto minacce e in maniera permanente la maggioranza della popolazione non serba dalla Repubblica della BosniaErzegovina".
Il sunto dell’incriminazione ricorda che migliaia di musulmani e croati furono uccisi, e molti

 

vennero rinchiusi in condizioni disumane in una cinquantina di campi di concentramento sparsi in tutta la Jugoslavia. La storia di quell’orrore emerge ancora oggi, in continuazione, con il ritrovamento delle fosse comuni. L'ex presidente serbo, che finora ha tenuto un atteggiamento di sfida rifiutandosi di riconoscere la legittimità

 

del tribunale dell'Onu e di nominare un difensore, è considerato responsabile della deportazione di 250mila persone.
L’ex leader serbo è il primo capo di stato a essere processato da una corte dell’Onu per crimini commessi nell’esercizio delle sue funzioni.
Il processo ricorda per molti aspetti quello di Norimberga, alla fine della seconda guerra mondiale, contro i responsabili del regime nazista. Ma oggi sul banco degli accusati siede un uomo che fu un capo di stato, mentre allora furono processati degli uomini che avevano avuto un ruolo importante nel Terzo Reicht, ma che erano comunque in seconda fila. Non sappiamo come si sarebbero comportati Mussolini ed Hitler se fossero sopravvissuti il primo al plotone di esecuzione ed il secondo a se stesso. Ciò che è certo e che Milosevic non riconosce l’autorità del tribunale dell’Aja e di conseguenza ha scelto di difendersi da solo, senza nominare un avvocato. Nei mesi scorsi, durante il processo l’ex leader non ha ammesso una sola delle atrocità di cui è accusato, ma ha attribuito la colpa di quanto è accaduto ora alla Nato, ora all’Onu, ora al primo ministro britannico Tony Blaire. E’ arrivato perfino a dire che i profughi in fuga da Kosovo cercassero scampo dalla Nato e non dai serbi che li stavano uccidendo, ammassandoli sui treni e sui camion per deportarli in Macedonia.

Fa una certa impressione sentire parlare ancora nel III millennio di pulizia etnica, di processi per crimini di guerra, di popoli sottratti alla propria terra, defraudati di tutto ed anche della dignità, ma sono questa purtroppo tristi realtà che appartengono alla storia che oggi stiamo scrivendo.

PRIZREN (testimonianza)

I cani li hanno scoperti per primi.
Il branco è fuggito solo quando si sono avvicinati. Allora si è capito che cosa cercavano: i cadaveri di una fossa comune, la prova della pulizia etnica. Tra i calcinacci anneriti e le travi di una casa in mattoni rossi senza più il tetto, c'erano i resti di una quarantina di uomini, alcuni bruciacchiati, altri ridotti allo scheletro. Ossa, teschi, ma anche corpi sventrati, maschere di dolore con lo sguardo opaco della morte.
Neanche la pioggia poteva coprire la puzza di corpi in decomposizione che ammorbava quel luogo. Ecco ciò che resta di uno dei tanti massacri compiuti dai serbi negli ultimi mesi, di cui solo ora si sta scoprendo l'entità e che nelle prossime settimane potrebbero svelare al mondo la ferocia con la quale è stata attuata la pulizia etnica nel Kosovo. Questo eccidio risale al 27 marzo scorso ed è stato perpetrato nel borgo contadino di Velika Krusha.
Useim Hoti è stato testimone di quel massacro. Subito dopo è scappato in montagna, da dove è rientrato soltanto ieri. Hoti ha il viso piccolo e patito, i pantaloni imbrattati di fango, il giaccone sfilacciato e un bastone in mano. È commosso, sorpreso di trovarsi improvvisamente protetto dai carri armati tedeschi e intervistato da giornalisti di tutto il mondo, lui che non ne aveva mai visto uno in vita sua.
Ecco come ricorda quel giorno. "Alle 2 del pomeriggio sono arrivati due camion dei paramilitari serbi. Hanno fatto scendere una quarantina di uomini e li hanno spintonati dentro la casa di Medin Duraka, che si trova di fronte alla mia. Ero terrorizzato, perché i serbi erano già venuti a Velic Krusha e mi avevano detto che se non fossi andato via mi avrebbero bruciato la casa. Mi sono nascosto nel bagno del secondo piano e sono rimasto a guardare dalla finestra. Dalla casa uscivano urla e risate. Dopo mezz'ora ho sentito dei colpi di kalashnikov. A ripetizione. Avranno sparato per una decina di minuti, ininterrottamente. Poi, per la seconda volta in meno di un mese, ho visto il fumo levarsi dalla casa, uscire dalle finestre. Avevano cosparso i corpi di paglia e benzina e gli avevano dato fuoco".
Dopo il racconto di Hoti, vengono verso di noi tre soldati dell'Uck per dirci che dall'altro Iato della strada c'è una seconda casa piena di corpi. Ma che tutto intorno ci sono le mine. Gli chiediamo come fanno a saperlo, allora. E loro ci rispondono semplicemente che in quella regione ci sono fosse comuni ovunque, che i serbi non hanno risparmiato nessuno. Dopo i soldati dell'Uck, arrivano due contadini kosovari, e ci informano che lungo il fiume c'è un camion serbo ribaltato con dentro 20 cadaveri.
Una decina di eccidi sono già "stati individuati, documentati, fotografati prima che iniziassero bombardamenti della Nato.
Oggi, il Kosovo è stato finalmente liberato. E appena sono entrate le forze de1contingente internazionale sono spuntati altri massacri. I massacri, i carnai, le fosse comuni saranno, insieme alle mine; ciò che i profughi troveranno al loro rientro. l'ultimo regalo avvelenato dei serbi al popolo dei trattori, ai contadini e ai tagliaboschi del Kosovo.

 

KORENICA, L’ULTIMO MASSACRO (testimonianza)

LO SCOPRONO GLI ITALIANI

A Korenica, su indicazione dell'Uck una pattuglia della Col Moschin è andata a cercare le fosse in cui si troverebbero i corpi di 120 persone. Più di una cosa non quadra nel racconto che fanno i militari dell’esercito albanese di liberazione a Ruckhat. Ma l'evidenza che in quel posto sia stato commesso un crimine contro l'umanità è tutta in quel macabro mucchietto di ossa. Due di quegli sventurati sarebbero stati strangolati con i cavi di una batteria proprio li sotto un albero e gli altri otto  uccisi a bastonate in una stalla.
Ritornando verso Pec, la puzza delle carogne di animali in decomposizione è così insopportabile che si fa fatica a pensare che da qualche altra parte, proprio lì vicino, prima o poi non spunterà un'altra fossa comune.
Tzusc era un quartiere residenziale di Pec, lontano non più di quattro chilometri dal centro. Un posto dove un tempo c'erano palazzi, negozi, uffici. Vita insomma. E ora è l'ennesima prova di dove possa arrivare l’odio.  polverizzato, annientato.
Perché tanto accanimento contro la gente di Tzusc? Una vendetta, una rappresaglia dopo che qualche ora prima l'Uck aveva assaltato una caserma uccidendo una ventina di soldatj serbi. Tempo qualche ora e la risposta arrivava subito e devastante.
Non c'era notte a Pec, prima che arrivassero i soldati italiani, che non succedesse qualcosa di orribile, che qualcuno non sparisse. Che qualcun altro non fosse ucciso. L’orrore alla massima potenza, insomma. Quello che ha spinto Violeta a starsene tappata in casa per un mese intero.
Trenta giorni al buio nelle due stanze del suo appartamentino al centro della Città. Trenta giorni trascorsi ad imparare l’italiano e non perché ne avesse particolarmente voglia ma semplicemente perché quella grammatica che aveva trovato era l’unico libro che non avesse ancora letto e che potesse consentire di trascorrere le interminabili ore della sua prigionia.
Ieri Violeta è uscita per la prima volta, a sentito qualcuno che parlava italiano e si è avvicinata tremante. Tremava per davvero mentre ci chiedeva: “siete giornalisti?” e raccontava la sua odissea offrendosi di fare da interprete.


Il “problema” degli extracomunitari

Una ennesima carretta del mare approda  sulle nostre coste, a bordo centinaia di

persone, giunte in Italia per cercare fortuna. Sono marocchini, algerini, cingalesi,

albanesi, Kurdi, ma anche afghani. Sono clandestini.
Il viaggio è stato lungo e faticoso, ma soprattutto triste. Hanno lasciato la loro patria, salutato i propri cari per rivederli chissà quando, hanno pagato un biglietto di viaggio troppo caro, con i soldi messi da parte per una grande occasione, e spesi adesso per arricchire gente di malaffare.
Hanno gli occhi stanchi, arrossati ed umidi di lacrime, ed in fondo una speranza di una vita migliore.  Avevano forse lo stesso sguardo smarrito i nostri avi, nel secondo dopoguerra, quando sono giunti in America  all’inseguimento di un sogno?
Ma quale destino li attende una volta giunti a terra?
La nostra è una nazione piena di contraddizioni, pronta ad accogliere lo straniero, ad aiutarlo, ma troppo divisa per varare una legge che possa in qualche modo fornire ai clandestini un futuro di dignità.
Molti di loro andranno al lavorare in nero, con una paga al limite della sussistenza, altri torneranno in dietro, altri ancora saranno accolti “a braccia aperte” dalla malavita, e pochi avranno un lavoro che meriti questo nome, una casa dignitosa, un’assistenza sanitaria.
Tutto questo mentre l’Italia che conta, quella dei politici, si divide e litiga su come regolamentare l’entrata degli extracomunitari presenti sul territorio.
Prendere le impronte digitali, obbligare i medici, quando visitano un extracomunitario a farsi mostrare i documenti, non le analisi o le radiografie, per dar prova di essere a posto. Questi sono i problemi che da qualche tempo dividono il nostro Parlamento.
Ma, non è forse razzismo questo? Il nostro paese ha una tradizione di tolleranza e di pacifica convivenza tra le varie etnie. E’ questo ciò che i nostri docenti ci insegnano a scuola. Esistono è vero anche qui da noi forme di razzismo e di intolleranza, ma sono state sempre combattute dalla classe dirigente e dagli uomini dotati di buon senso.
E’ orribile che certe discussioni avvengano tra gli uomini che dovrebbero rappresentarci. Certo è necessario che ci siano delle regole, che il flusso immigratorio sia controllato, ma sembra che il dibattiti politico stia degenerando in forme che non hanno nulla di democratico e di civile.
La prima volta che Einstein andò in America fu invitato a compilare un modulo, come era richiesto a tutti i viaggiatori. Alla voce “razza”, rispose: umana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Intervista   sulla seconda guerra mondiale

Mentre  eravamo impegnati in questo lavoro, mi  ci ha incuriosito sapere come era la II guerra mondiale vista con gli occhi di chi l’ha vissuta da vicino. Allora abbiamo cercato di scoprire chi poteva aiutarci in questo compito, ma all’improvviso ci è venuto in mente che i nostri nonni hanno vissuto proprio durante quel periodo, e chi meglio di loro poteva esserci utile in questa ricerca.

Mio nonno è nato nel 1920, ha combattuto a Laverno durante il secondo conflitto mondiale, ancora oggi il ricordo di quei giorni è vivo nella sua mente ed il dolore di quelle atrocità è presente nella sua anima come se quegli eventi fossero avvenuti ieri.
In che anno cominciò la seconda guerra  mondiale?
Incominciò nel 1940, ma incominciavano i  preparativi già da molto prima.
Quando sei stato chiamato alle armi?
Sono stato chiamato nel 1942, ero molto giovane, ma ero stato rimandato per difetti fisici, poi sono stato richiamato nuovamente l’anno successivo e rimandato nuovamente indietro.
Cosa hai fatto dopo essere stato rimandato?
Lavorai in ferrovia fino a quando nel 1944 fui idoneo feci parte del terzo reggimento “genio Pavia, Idrice” con distaccamento a Laverno.
In quel periodo che tipo di politica veniva esercitata?
Quel periodo era un po’ critico, infatti stava cominciando la resa del fascismo, capeggiato da Mussolini.
Dove sei andato?
Con altri commilitoni ci recammo a Varese.

 

E poi cos’è successo?
In Sicilia e Calabria sbarcarono gli Anglo-Americani, io e i miei compagni ci spostammo da Varese a Istoneo, rifugiandoci a casa di un commilitone che era con noi.
Dov’erano accampati i tedeschi?
Si erano accampati sul fiume Biferno, erano molto ostili, così cercammo di fuggire, ma la prima pattuglia che incontrammo lungo il cammino ci fermò, ma con astuzia e furbizia riuscimmo a salvarci la pelle.
I tedeschi si comportavano bene con gli alleati italiani?
No abusavano dei più deboli, e di chi non poteva difendersi.
Tu hai assistito a qualcuno di questi episodi?
Si con molto disgusto.
Siete riusciti a scappare dall’accampamento  tedesco?
Si abbiamo affrontato molti ostacoli, pericoli, ma alla fine siamo riusciti ad arrivare sul fronte americano.
Una volta arrivati sul fronte americano cosa avete fatto?
Con passaggi, mezzi di fortuna e aiuti da parte degli americani siamo riusciti ad arrivare sani è salvi a casa.

 

 

 

 


Intervista ad un extracomunitario

Abbiamo intervistato un Extracomunitario per comprendere meglio come possa sentirsi chi, per necessità di lavoro, è stato costretto ad emigrare in un paese diverso per cultura, religione e tradizioni.
L’uomo da noi incontrato ha preferito mantenere l’anonimato.

Come ti sei trovato quando sei sbarcato qui in Italia?
Mi sono trovato male, non conoscevo bene la lingua, la gente parlava il dialetto e lo parlava velocemente.
Da quant’è che sei in Italia?
È da circa de anni.
Ti trovi meglio qui?
No quello era il mio paese natio, lì era diverso, ma a causa dell’economia e del lavoro mi sono trasferito  in Italia.
Hai famiglia qui in Italia?
No,  ero sposato ma prima di emigrare mi sono separato.
Con chi vivi ora?
Ora vivo con degli amici.
Hai contatti con i tuoi familiari?
Telefono quando posso, costa molto  telefonare fin laggiù, ma a volte la nostalgia prende il sopravvento e chiamo, è un modo per sentirmi meno solo.
Appena emigrato che  lavoro facevi?
Appena sbarcato lavoravo nei campi, raccoglievo arance, ora invece  lavoro in un autolavaggio.
Il tuo datore di lavoro come ti tratta?
Non mi posso lamentare, è bravo, mi tratta bene.
Sei messo in regola con il lavoro?
Preferisco non rispondere a questa domanda.
Tornerai un giorno al tuo paese?
Spero di sì, ma prima devo mettere da parte un po’ di soldi per ricostruirmi una vita serena.


Fred Uhulman: l’amico ritrovato

L’amico ritrovato è un tipico romanzo di formazione, infatti, racconta gli avvenimenti che hanno segnato una tappa fondamentale nella maturazione psicologica, intellettuale e affettiva di due amici sedicenni, Hans Schwatz e Konradin Di Hohenfels.
Siamo nel 1932 ed entrambe frequentano la scuola Karl Alexander Gymnasium, Hans, figlio di un medico ebreo, è timido, sensibile, orgoglioso; Konradin, figlio di una famiglia aristocratica, vagamente altezzoso, suscita l’attenzione dei suoi compagni di classe.
L’amore per la poesia, il piacere della cultura, l’interesse per le monete antiche, le discussioni religiose, sono i presupposti della loro profonda amicizia, incrinata però dall’entrata in scena del nazismo. L’ascesa al potere di Hitler, seduce e abbaglia il giovane Konradin; Hans costretto a fuggire dalla Germania, si reca in America, conservando però il segno indelebile di quell'amicizia.
Trent’anni dopo, diventato un avvocato di successo, Hans riceve una richiesta di soldi dal Karl Alexander Gymnasium, per la costruzione di un monumento in memoria degli allievi morti durante la II^ Guerra Mondiale, accompagnata da un libretto con la lista dei loro nomi. Hans profondamente turbato da quel ricordo, ritrova l’amico che credeva di avere perso per sempre.
Alla lettera H legge infatti : “Von Hohenfels Konradin, implicato nel complotto per uccidere Hitler. GIUSTIZIATO”
Konradin aveva infatti pagato con la vita il coraggio eroico di affrontare Hitler, una volta compresa la falsità del proprio idolo. 


L’opera, da cui è tratto il brano che segue di Voltaire, “Il trattato sulla tolleranza”, non ha mai sesso di essere attuale.
Nacque in difesa di un protestante condannato dal fanatismo religioso.
L’intolleranza è un’offesa alla ragione e alla civiltà. La tolleranza, è invece “appannaggio della ragione”, costituisce anche per il vivere sociale una forza di coesione, di pace e di rispetto reciproco.
Viene posta in chiusura del nostro lavoro in quanto, oggi più che mai sentiamo il bisogno di divulgare parole che siano di pace, dopo aver studiato, letto, approfondito e raccolto immagini che documentano le immense atrocità di cui l’uomo si è reso colpevole durante i secoli della storia e purtroppo anche di recente. Sentiamo la necessità di contribuire nel nostro piccolo a realizzare un mondo più giusto.
La crudeltà sulla terra non ha mai riposo. Però, anche le tracce di questa crudeltà devono inseguirci, fantasmi che mettono a prova la ragione e, oltre a commuoverci, ci devono rendere consapevoli che la civiltà, i valori umani vanno vigilati e difesi giorno per giorno; che niente ritorna uguale, però niente si seppellisce per sempre in un processo senza tregua di brutalità e civilizzazione, di guerra e di pace, di tortura e di giustizia. Il razzismo non è un problema accantonato con i campi di concentramento. Il razzismo è un problema scottante, che siamo chiamati ad affrontare oggi, ovunque.

 

 

Non più dunque agli uomini mi rivolgo; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi e di tutti i tempi. Se è permesso a deboli creature, perdute nell’immensità e impercettibili al resto dell’universo, osar domandare qualcosa  a te, a te che hai dato tutto, a te i cui decreti sono immutabili quanto eterni, degnati di guardar con misericordia agli errori legati alla nostra natura. Che questi errori non generino le nostre sventure. Tu non ci hai dato un cuore perché ci odiassimo, né delle mani perché ci strozzassimo. Fa che ci aiutiamo l’un l’altro a sopportare il fardello d’una esistenza penosa e passeggera; che le piccole diversità tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, tra tutte le nostre lingue insufficienti, tra tutti i nostri usi ridicoli, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre condizioni ai nostri occhi così diverse l’una dall’altra, e così uguali davanti a te; che tutte le sfumature che distinguono questi atomi chiamati uomini, non siano segnale di odio e di persecuzione; che coloro i quali accendono ceri in pieno mezzogiorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro i quali coprono la veste di una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa portando un mantello di lana nera: che sia uguale adorarti in un gergo proveniente da una lingua morta, o in un gergo più nuovo; che coloro il cui abito è tinto di rosso o di violetto, che dominano su di una piccola parte di un piccolo mucchio del fango di questo mondo e che posseggono alcuni frammenti arrotondati di un certo metallo, godano senza orgoglio di ciò che loro stessi chiamano grandezza e ricchezza, e che gli altri guardino a costoro senza invidia: poiché tu sai che nulla vi è in queste cose vane, né che sia da invidiare né che possa inorgoglire.
Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Ch’essi abbiano in orrore la tirannide esercitata sugli animi, così come esecrano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell’industria pacifica!
Se i flagelli della guerra sono inevitabili, non odiamoci però, non laceriamoci a vicenda quando regna la pace, e impieghiamo l’istante della nostra esistenza per benedire ugualmente, in mille lingue diverse, dal Siam sino alla California, la tua bontà che quest’istante ci ha dato.


 Cap. I: Gli Ebrei e la loro storia

1.      Origini e discriminazioni contro gli Ebrei
2.
      Conseguenza della salita di Hitler al potere: il Nazismo 


 Il mito della razza ariana 

3.      L’Olocausto 


I campi: costruzione e deportazione

Il trasporto degli internati 

La soluzione finale 

I campi di concentramento 

La degradazione della persona umana

I tre modi di morire nei campi di concentramento

Per ricordare

4.      Dove sono finiti gli Ebrei superstiti?
5.      Le origini del popolo ebraico
6.       La religione: l’ebraismo
7.       Due eroi che lottarono contro Hitler: Perlasca e Schindler 


Giorgio Perlasca

Oskar Schindler 

8.      Israele e Palestina: due nazioni da sempre in lotta


 L’Islam    

 Le origini        

 Le leggi e i riti   

 Il conflitto arabo-israeliano 

 

Cap. II: La storia racconta di altri popoli che hanno dovuto subire discriminazioni e la privazione della libertà  

1.       Abraham Lincoln 
2.       Ghandi 


Il regime coloniale inglese

 La società indiana prima dello sbarco inglese

Lettera di Ghandi ad Hitler

3.       Marti Luther King
4.       Nelson Mandela

 

Cap. III: I genocidi in Kurdistan e Kosovo, il “problema” degli extracomunitari

1.       Il Kurdistan: Definizione geografica


Origine storica

2.       Il Kosovo


Slobodan Milosevic 

Testimonianze

 Il “problema” degli extracomunitari

Cap IV: Le nostre interviste

1.      Intervista sulla seconda guerra mondiale 
2.      Intervista ad un extra comunitario 

 

Relazione su “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman

 

fonte del testo sopra riportato: http://xoomer.virgilio.it/semidiluce/_private/Gli%20Ebrei%20e%20l%27Olocausto.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Sitografia sull’olocausto

 

http://digilander.libero.it/secondaguerra/olocausto.html sito sulla seconda guerra mondiale in Italiano , informazioni essenziali sull’olocausto per iniziare

http://www.olokaustos.org/ sito fondamentale in italiano , curato dalla associazione olokaustos http://www.olokaustos.org/guida/index.htm

http://www.italya.net/shoa/shoa.htm  Dove era Dio ad Auschwiz ,sito italiano sulla shoa , con ampia sitografia

http://digilander.libero.it/atticciati/storia/OlocaustoArmeno.htm l’olocausto armeno , per fare un confronto col primo degli stermini di massa del Novecento
http://www.pianetascuola.it/archivio/archivio_2003/olocausto/default.html da pianetascuola un progetto didattico completo

http://www.sussidiario.it/storia/contemporanea/olocausto/ materiali dal sito scolastico sussidiario.it

http://www.educational.rai.it/lemma/testi/evento/olocausto.htm definizione del termine , all’interno di RAI educational
http://www.gndesign.it/shoahnet/origini.htm sito shoahnet creato per la giornata della memori

http://www.11settembre.net/OLOCAUSTO.htm sito con materiali vari

http://www.libreriamilitare.com/cgi-bin/select.cgi?cat=180 una bibliografia

http://www.museumland.com/Itguerra/Olocausto.html  i musei dell’olocausto in rete

http://www.pavonerisorse.to.it/storia900/dibattito/dossier_olocausto.htm  materiali per il dibattito

http://www.cronologia.it/storia/tabello/tabe1509.htm  l’olocausto nucleare nella 2° guerra mondiale

http://www.repubblica.it/2004/a/sezioni/esteri/sitoraf/sitoraf/sitoraf.html la recente documentazione raccolta dalle foto della RAF

http://bellquel.bo.cnr.it/attivita/campi/index.html  ipertesto sui campi di sterminio

http://www.larivistadeilibri.com/2003/07/pezzino.html P.Pezzino – attraverso una recensione – fa il punto sulla polemica recente sull’olocausto negli USA

 

http://www.comune.bologna.it/iperbole/assminsto/Sche_2001black.htm i rapporti tra l’IBM e il nazismo

http://www.codoh.com/inter/intitcon.html  una difesa del revisionismo

 

fonte: http://digilander.libero.it/terzacmanzoni/Storia/Links%20sull%27Olocausto.doc

 

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