Peste nera storia cause sintomi

 


 

Peste nera storia cause sintomi

 

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La Peste Nera

Nel maggio del 1349, una nave che era partita da Londra verso la fine di Aprile, fu rivista soltanto qualche settimana dopo, arenata su un promontorio sabbioso presso Bergen, in Norvegia. A bordo non c’era anima viva, nessun superstite in grado di riferire l’accaduto.

Dove la steppa asiatica raggiunge il Mar Nero, lungo la costa orientale della Crimea, sorge oggi la città di Feodosiya, uno squallido insediamento con le fattezze tipiche della decadenza post-sovietica, ma nel 1340 si chiamava Caffa e il governatore genovese risiedeva in un sontuoso palazzo che si affacciava sul porto. I genovesi avevano mutato Caffa da un primitivo villaggio di pescatori in una graziosa città con un ricco mercato ed eleganti palazzi in pietra.
Nel 1346 Caffa fu assediata dai tartari che scagliarono con le catapulte una grande quantità di cadaveri di appestati sulla città nella speranza che l’intollerabile fetore ne uccidesse gli abitanti.
La peste nera che da Caffa giunse in Europa dimostrò una vitalità straordinaria colpendo, nel giro di pochi anni, regioni lontanissime l’una dall’altra come la Cina, l’India, la Siberia, l’Iraq e l’Egitto.
Tra il 1347, anno dell’arrivo della peste in Sicilia e il 1352 quando giunse presso Mosca, l’Europa perse 25 milioni di persone, un terzo del totale della popolazione del tempo.
I contemporanei furono atterriti da un male straordinariamente letale, la speranza di vita crollò miseramente, l’apocalisse pareva annunciarsi.

La peste è una malattia tipica dei roditori. Gli esseri umani sono vittime collaterali. Le prede naturali della Yersinia Pestis sono le marmotte, i ratti, gli scoiattoli ed altre numerose specie di roditori. I roditori (e soprattutto le loro pulci) che in passato sarebbero morti in campagna senza arrecar danno, cominciavano ad essere trasportati in località lontane dai mercanti che si muovevano numerosi tra l’oriente e l’occidente. Le città medievali, molto più popolate di un tempo, erano ben adatte alla diffusione della malattia.
Altro fattore importante del contagio furono le condizioni igieniche. Il principale veicolo di infezione fu il topo comune, il Rattus Rattus, che si nutre dei rifiuti urbani e che popolava copioso le città del tempo.  “La città rende gli uomini liberi”, dicevano i tedeschi nel medioevo, tuttavia la concentrazione di esseri umani, topi, mosche e immondizie in uno spazio ristretto chiuso da mura faceva della città medievale una specie di fogna a cielo aperto. Nella Parigi medievale i nomi di molte vie derivavano dalla parola merde: Rue Merdeux, Rue Merdelet, Rue Merdusson, Rue des Merdons e Rue Merdière. Altre strade prendevano i nomi dagli animali che venivano macellati: Champ Dolet, l’ecorcherie. In ogni città c’erano vie in cui i macellai, sporchi di sangue, squartavano, tagliavano e segavano, in mezzo a frattaglie di ogni genere e ai gemiti degli animali agonizzanti. Il sangue degli animali sgozzati inondava le strade, ammorbava l’aria e attirava torme di topi.
Il tipico sistema fognario urbano iniziava con canali di scolo a cielo aperto che convergevano verso canali più profondi e finalmente si gettavano in un punto di raccolta (di solito un fiume). Quasi sempre il sistema faceva affidamento sulla forza di gravità e sull’acqua piovana. Il tempo secco e i grandi mucchi di escrementi si accumulavano nei canali e nemmeno i temporali, quando scoppiavano, riuscivano a convogliarli lontano.
Il corpo degli uomini del medioevo era in condizioni simili alle strade delle città. Edoardo II (1284-1327) scandalizzò Londra quando fece ben tre bagni in tre mesi! Un cronista inglese dice che quando Tommaso Becket fu denudato, il suo corpo pullulava di vermi.  I greci consideravano la pulizia una virtù essenziale e i romani ritenevano tanto importante l’igiene che avevano eretto terme simili a templi. I cristiani rivoluzionarono questa visione e iniziarono a giudicare le terme un luogo di lussuria e peccato. Sembra che sant’Agnese (morta a Roma nel 304 all’età di 13 anni) e Caterina da Siena (1347-1380) siano morte senza aver mai fatto un bagno. Anche san Francesco si lavava molto di rado. Anche se non vi è dubbio sul fatto che la Xenopsylla Cheopis, la pulce dei topi, sia stata il primo veicolo del contagio, è probabile che anche la pulce umana, la Pulex irritans, abbia avuto un ruolo importante.
Da Caffa alle giungle del Vietnam anche la guerra ha sempre favorito la diffusione delle malattie. Infatti essa crea rifiuti che attirano i topi, i corpi sporchi attirano le pulci, lo stress indebolisce il sistema immunitario.
Il ruolo della malnutrizione è tuttora controverso. Comunque nelle pestilenze di India e Cina agli inizi del ventesimo secolo l’esperienza ha mostrato che la malnutrizione costituisce un fattore di rischio, in quanto danneggia il sistema immunitario del feto, causando una vulnerabilità che dura tutta la vita.

Per la Xenopsylla Cheopis il passaggio dal topo all’uomo è il frutto della disperazione. Il sangue umano non le è particolarmente gradito ma, se tutti i topi sono morti, non le resta altra scelta se non vuole morire di fame. La Xenopsylla Cheopis può sopravvivere per sei settimane senza cibo, quanto basta per essere trasportata per centinaia di chilometri. Una pulce infetta non può digerire bene il sangue che ha succhiato, così, afflitta da fame cronica, continua a mordere incessantemente diffondendo rapidamente il bacillo.

Negli esseri umani la peste può assumere tre forme cliniche:

  1. Peste bubbonica: è la più comune e viene trasmessa dalla pulce e ha un periodo di incubazione che varia dai due ai sei giorni. Il principale segno caratteristico è il bubbone ovoidale che si sviluppa nella regione dell’inguine, nelle ascelle e sul collo.  Febbre acuta, vomito, diarrea, bava, vesciche, foruncoli la caratterizzano. Chi ne è colpito, a volte dà segni di delirio o altra pazzia, a volte cade in letargo, la pelle si cosparge di segni cinerei. Sembra che la peste medievale rendesse l’alito estremamente maleodorante. Il bubbone era terribilmente doloroso. Non curata ha un tasso di mortalità di circa il 50/60 %.
  2. Peste polmonare: si diffonde da persona a persona. Può accadere che, in alcuni casi di peste bubbonica, i bacilli creino delle metastasi nei polmoni, causando la peste polmonare. La vittima tossisce e sputa sangue e il virus si diffonde per via aerea. Questa forma è terribilmente letale, non curata raggiunge un tasso di mortalità prossimo al 99%.
  3. Peste setticemica: non dà scampo. Il bacillo delle peste entra direttamente nel sangue creando condizioni di gravissima tossicità.

Tutte le galee in fuga da Caffa divennero il palcoscenico di spettacoli orrendi. Ovunque c’erano persone che deliravano, che macchiavano i pantaloni con perdite anali sanguinolente; alcuni invocavano la madre, la moglie e i figli, altri maledicevano Dio. C’era chi trasudava pus dalle piaghe, altri erano colti da letargia mentre corpi enfiati di cadaveri  rotolavano avanti e indietro sui ponti scossi dal rollio della nave.

Nell’ottobre del 1347 dodici galee genovesi attraccarono al porto di Messina, la peste nera era arrivata in Europa. In quel tragico autunno, a Messina molti morirono senza avere accanto un famigliare, un prete che ne ascoltasse la confessione o un notaio che prendesse nota delle ultime volontà. Solo i cani rimanevano fedeli ai padroni ammalati. In pochi mesi la peste raggiunse tutta l’isola uccidendo almeno un terzo della popolazione.
Con le stive piene di morti e agonizzanti i genovesi, espulsi da Messina, continuarono a navigare verso altri porti e così l’Europa occidentale iniziò a infettarsi senza rimedio. Genova stessa (che aveva provato a respingere le navi infette) era stata colpita a fine anno. Nei mesi successivi furono colpite Venezia, Firenze, Siena, Pistoia, Perugia, Orvieto solo per citare le città più importanti. Nel gennaio del 1348 la peste arrivò ad Avignone, nell’estate giunse a Roma.

Nel Medio Evo la settimana santa era tradizionalmente il periodo in cui si scatenava la violenza contro gli ebrei. A mano a mano che, nel corso dell’estate del ’48, la peste dilagava verso est attraverso la Francia, la Germania e la Svizzera, cominciò a diffondersi la voce che l’epidemia fosse frutto di un complotto ordito dagli ebrei. Tra l’estate del 1348 e l’inizio del 1349, fu sterminato un numero imprecisato, ma comunque molto elevato, di ebrei europei. Alcuni furono gettati in appositi falò, altri bruciati nel rogo, altri ancora arrostiti su griglie, mazzolati o chiusi in botti di vino e gettati nel Reno. Si parlò di un patto segreto tra ebrei e musulmani per sterminare i cristiani. L’ovvia obiezione che di peste morivano anche gli ebrei non valeva nulla per il popolaccio teso alla ricerca di un capro espiatorio e bramoso di mettere le mani sulla ricchezza degli ebrei. Alcuni governanti difesero le comunità ebraiche ma altri, temendo rivolte popolari, lasciarono che la plebaglia sfogasse la sua violenza.

Il papa, Clemente VI, aveva acquistato ad Avignone un nuovo cimitero, concesso l’assoluzione dei peccati ai morenti, tolto il divieto dell’effettuazione delle autopsie affinché i medici potessero indagare la causa del male, condannato gli attacchi contro gli ebrei con una bolla dai toni durissimi. Il papa si rifugiò in una tenuta fuori città e trascorse parecchio tempo nelle proprie stanze seduto in mezzo a due fuochi scoppiettanti. I fuochi erano stati accesi su consiglio dei medici, convinti che il calore avrebbe purificato l’aria infetta. Il sistema funzionò soltanto perché i fuochi tenevano lontane le pulci.

Un altro fenomeno inquietante fu quello dei flagellanti, che dilagarono nell’Europa centrale tra la fine del 1348 e l’inizio del 1349.  Essi offrivano alle folle la loro “sacra rappresentazione” di sangue, dolore e redenzione. Nell’avvicinarsi a ogni città o villaggio, la schiera si annunciava con un impressionante coro di voci profonde. Alla vista dei flagellanti – scalzi, incappucciati, con mantelli bianchi ornati di croci rosse – la gente implorava: “salvateci!” Alcuni spettatori piangevano, donne in estasi si stringevano le mani al petto, alcuni portavano i loro morti per farli benedire. Gli ebrei si nascondevano dal momento che i flagellanti erano violentemente antisemiti. Entrati nella chiesa, i flagellanti si spogliavano sino alla cintola e si colpivano violentemente sulla schiena nuda. Quindi il Maestro dei flagellanti si aggirava tra i caduti colpendo alla cieca con  una frusta dotata di punte di ferro affilate come aghi. Talvolta accadeva che una punta si conficcasse così profondamente nella carne che poteva essere estratta solo con un violento strattone. Successivamente, a un ordine del maestro, i flagellanti riprendevano a frustarsi sino a quando ricadevano a terra per l’ultima volta. Allora i presenti si aggiravano tra i penitenti singhiozzanti e sanguinanti, appoggiando i fazzoletti sulle ferite aperte. Poi, mentre la gente si strofinava il volto col sangue dei flagellanti il Maestro leggeva la “Lettera Divina”, un duro ammonimento all’intera umanità.
La flagellazione come espiazione di colpe collettive ebbe inizio in Italia nel 1260, quando la penisola fu colpita da una serie di carestie, epidemie e guerre. Dall’Italia il fenomeno si diffuse in Germania. La Chiesa aveva condannato il fenomeno, intuendone la pericolosità politica (i flagellanti si credevano santi e non obbedivano più alla gerarchia, verso la quale furono a volte violenti), ma da allora ogni volta che si verificava una catastrofe grave, bande di flagellanti tedeschi spuntavano improvvisamente dal nulla. Essi uccidevano gli ebrei ovunque riuscissero a trovarne. Il papa Clemente VI condannò con decisione il movimento.
I flagellanti si impegnavano a frustarsi tre volte al giorno per trentatrè giorni (un giorno per ogni anno di vita di Gesù). Poiché ai pellegrini era proibito lavarsi, radersi o cambiarsi d’abito, le colonne dei flagellanti divenivano ottimi veicoli di diffusione della peste. Così le autorità si decisero a stroncare il fenomeno con la forza.

La medicina del tempo era impotente di fronte alla peste. I medici seguivano ancora gli insegnamenti del greco Ippocrate per il quale la salute era condizionata dall’equilibrio nel corpo umano dei suoi quattro elementi costitutivi (sangue, bile nera, bile gialla e flegma). L’aria cattiva era pericolosa perché rompeva l’equilibrio degli umori del corpo. Così, prima di effettuare una visita, i medici si coprivano la testa con una maschera simile alla testa di un pellicano. Nel lungo becco veniva posto un profumo che avrebbe dovuto contrastare gli effetti dei miasmi.
Per i luminari cattedratici di Parigi la causa principale della peste era una sfavorevole congiunzione astrale. Secondo il medico musulmano Ibn al-Khatib per evitare la peste bisognava evitare l’esposizione ai venti del sud, portatori dei miasmi. Per il medico John Colle il rimedio contro l’aria infetta era un’aria ancora più infetta. Così molte persone iniziarono ad accovacciarsi ai bordi delle latrine puzzolenti per inalare i miasmi. Un altro medico musulmano Ibn Khatimah (che, ligio alla credenza islamica, non credeva al contagio) consigliava di sottoporsi a salassi per purgare le impurità del corpo. Per Gentile da Foligno i salassi dovevano durare sino allo svenimento!
A Winchester i cittadini chiesero che fosse scavata una fossa fuori dalle mura per seppellire i cadaveri che impestavano l’aria, ma il vescovo si oppose perché il giorno della resurrezione le persone sepolte avrebbero rischiato di essere dimenticate.
Gli unici consigli utili furono la dieta (solo perché favoriva il funzionamento del sistema immunitario) e il fuoco (perché teneva lontane le pulci).
Naturalmente i medievali avevano capito che la peste era contagiosa ed evitavano i contatti con gli ammalati e con i loro oggetti, che spesso venivano bruciati.

Un bel giorno dopo che Mosca fu devastata dalla peste nel 1352, la cristianità scoprì che la peste se n’era andata. Vita e allegria, che per tanto tempo erano state bandite, chiesero a gran voce di rifarsi. I superstiti bevevano fino ad ubriacarsi, fornicavano spudoratamente, spendevano con prodigalità, mangiavano con ingordigia, si vestivano in modo stravagante.  Matteo Villani, il cronista fiorentino, scrisse: “Ci si sarebbe aspettati che coloro che la bontà divina aveva risparmiato…sarebbero diventati migliori, più umili, virtuosi e devoti (…). E invece… accadde esattamente l’opposto.”
Eppure la festa non durò a lungo. Nel 1361 ci fu una nuova e grave epidemia di peste, così una terza scoppiò nel 1369 e in avanti sino al 1720 l’Europa fu colpita, a intervalli quasi regolari da nuove ondate della malattia. Eppure nessuna di queste epidemie fu grave come quella del 1347.

La peste aveva sterminato, nel 1352, un terzo della popolazione europea. Le città divennero più piccole e i campi non coltivati divennero numerosi, così come  ponti pericolanti, fattorie abbandonate, frutteti invasi dalle erbacce. Ovunque il segno della morte e della desolazione. Le “danze macabre”, cerimonie in cui la morte appariva come una scanzonata danzatrice desiderosa di danzare con chiunque, furono il segno di un nuovo rapporto con la morte.  L’uomo tardo-medievale si aspettava di morire presto e dopo una  lunga e atroce agonia. Il senso della fugacità della vita si acutizzò.
Un altro effetto della cronica mancanza di manodopera fu che il costo della manodopera e di tutto ciò che era frutto del lavoro crebbe terribilmente. Verso il 1375 i prezzi dei generi alimentari si stabilizzarono e quindi iniziarono a scendere, vista la diminuzione della domanda. Tutti gli altri generi continuarono ad aumentare o si stabilizzarono in alto. La nobiltà terriera fu la classe sconfitta, poiché i “proletari” scoprirono che la loro unica merce di scambio, il lavoro, aumentava di valore e di conseguenza aumentava anche il loro tenore di vita. La servitù della gleba scomparve quasi del tutto. I contadini, se non erano soddisfatti delle condizioni proposte dal feudatario, potevano semplicemente spostarsi in altri luoghi, certi di trovare proposte migliori.
Nel mezzo secolo successivo alla peste nera le rendite agricole salirono poichè, ormai, si coltivavano solo le terre più fertili.
I nobili reagirono imponendo leggi che rendessero illegale rifiutare un impiego o rompere un contratto di lavoro. Essi aumentarono, inoltre, le tasse dei contadini causando, in Inghilterra, la terribile rivolta del 1381.
Il brusco declino della forza lavoro costituì uno stimolo per la costruzione di nuovi strumenti che permettessero di risparmiare sulla manodopera. Gli alti salari fecero impennare il costo dei libri (un libro costava quanto una casa) proprio in un periodo, il 1400, che ne richiedeva in quantità. In questo modo avvenne la comparsa dei caratteri a stampa di Gutemberg. Nel settore minerario nuove pompe consentirono a un minor numero di minatori di scavare gallerie più profonde, nuovi sistemi di salatura consentirono ai pescherecci di stare più a lungo in mare con un equipaggio più piccolo.
Anche lo sviluppo delle armi da fuoco deve essere, almeno in parte, spiegata come un sistema per sfruttare meglio l’efficacia dell’azione dei soldati, i cui salari erano aumentati. I mulini, che prima erano usati solo per la macina dei cereali, vennero usati anche per altri scopi, come la follatura dei tessuti e il taglio della legna.

Anche gli ospedali cominciarono ad assumere l’aspetto moderno. Prima della peste gli ospedali servivano soltanto ad isolare gli ammalati. Dopo l’epidemia tentavano, perlomeno, di curarli. Un importante innovazione furono le corsie. I pazienti affetti dalla stessa malattia furono sistemati negli stessi locali. Anche l’igiene pubblica venne controllata meglio. Si istituì la “quarantena”.

Il lungo periodo di epidemie ebbe profondi effetti sulla religiosità. La gente, delusa dall’incapacità delle autorità ecclesiastiche di opporsi all’epidemie, iniziò a desiderare un rapporto più diretto e personale con Dio. Nuove sette ereticali, come i Lollardi in Inghilterra, fecero al loro apparizione. Questo “disinganno” nei confronti dell’autorità ecclesiastica favorì i germi che avrebbero portato, più tardi, alla riforma protestante.

Nell’autunno del 1347, quando la peste giunse in Europa, il continente era stretto nella morsa di un immobilità economica e intellettuale. La grande disponibilità delle risorse per i sopravvissuti, il bisogno di sostituire con nuovi sistemi la manodopera mancante scacciò l’inerzia. L’Europa emersa dalla spaventosa carneficina della peste nera era un continente rinnovato e purificato.

La peste in Sardegna
La peste giunse in Sardegna alla fine del 1347 o all’inizio del 1348 e fece molte vittime nel cagliaritano. Dopo la Sicilia la nostra fu una delle prime terre occidentali ad essere colpite dal morbo e, forse, proprio a causa di ciò i Doria, vincitori ad “Aidu de Turdu” (presso Bonorva) dei Catalano-Aragonesi, desistettero improvvisamente dall’assedio di Sassari e tornarono, i più, a Genova, permettendo al governatore del regno di Sardegna, Rambaldo de Corbera, di rientrare a Sassari. Nel 1375 ci fu una nuova pestilenza che produsse grosse perdite demografiche ed alla quale si deve la morte di Mariano IV d’Arborea. Pare che anche la morte di Eleonora d’Arborea, nel 1403, fosse dovuta alla peste. Numerose altre pestilenze colpirono nei secoli successivi la Sardegna. La più documentata fu quella del 1652. Portata da una tartana catalana che attraccò nel porto di Alghero, dilagò in tutta la parte settentrionale dell’isola e giunse, in seguito, anche a Cagliari. Il suo ricordo sta nella sagra di S. Efisio che si rinnova ogni anno il 1° maggio per il voto pronunciato l’11 luglio 1652 dai consiglieri della città di Cagliari.

 

Fonte: http://www.liceicarbonia.it/LettureProposteBrunoEtzi/terza/La%20Peste%20Nera.doc

 

Autore del testo: Bruno Etzi

Sito web da visitare: http://brunoetzi.blogspot.it/

 


 

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La peste. Trasfigurazione letteraria: dall’antichità ai giorni nostri

 

In relazione alla consegna che vi ho trasmesso qualche giorno fa, accludo qualche suggerimento e qualche indicazione sul lavoro di ricerca che svolgerete.
Peste, come sapete, prende il suo nome dall’aggettivo latino peius, con il significato di peggiore: La peste, infatti, è la malattia peggiore, perché divora la popolazione, sottrae alle comunità i capofamiglia e decima la forza lavoro, mettendo in ginocchio tanto l’economia di una singola famiglia quanto quella di vasti territori.
Nella stesura del vostro lavoro, potrebbe essere interessante introdurre l’argomento chiarendo alcuni aspetti della natura del morbo. Quanti tipi di peste esistono? È chiaro che la peste di cui parla Lucrezio è diversa da quella raccontata da Manzoni ne I promessi sposi. Raccogliendo, magari, qualche stimolo/indicazione dalla docente di Scienze, potreste ricercare informazioni scientifiche sul morbo in sé e poi esplorare la sua trattazione letteraria.

La peste nell’antichità

Sono numerose le testimonianze di peste nell’epoca classica. La prima citazione letteraria di peste riguarda l’epidemia scoppiata nel campo degli Achei a causa dell’ira di Apollo per l’affronto recato al suo sacerdote Crise, come narra Omero in Iliade I, 43 – 61. La peste qui si catena con le frecce del dio e quindi appare qui più come manifestazione mitica che reale.
Il tragediografo Sofocle, per restare nel tema, descrive la diffusione del male a Tebe; esso si  verifica alal morte del re della città, Laio, ucciso da uno sconosciuto. Prende il suo posto lo straniero Edipo, che sale al trono e sposa la regina Giocasta. Egli si rivela essere in realtà figlio di Laio e Giocasta; la peste rappresenta allora un simbolo della colpa di Edipo, uccisore del padre e sposo della madre, che si estende ai suo concittadini.

Tra le testimonianze più importanti possiamo trovare :
Tucidide, La guerra del Peloponneso II, 50 – 53
Lucrezio, De rerum natura VI, 1138 – 1286
Virgilio, Georgiche III, 478 – 492
Ovidio, Metamorphoses VII, 552 -560
Seneca, Oedipus, 52 – 70

Chiavi di lavoro :

  1. Ricava dalle descrizioni contenute dei testi le caratteristiche del motivo della peste attraverso l’individuazione delle parole e delle immagini chiave.
  2. Organizza il lavoro segnalando, per ogni brano, i sintomi fisici della peste sugli animali, poi quelli sugli uomini, le conseguenze morali della peste, le conseguenze sociali e le prese di posizione dell’autore.
  3. Confronta la descrizione di Tucidide con quella di Lucrezio.
  4. La peste può avere connotati simbolici?
  5. Qual è il ruolo del morbo nel contesto delle Georgiche?

La peste nelle letterature moderne

Il tema della pestilenza non cessa di interessare la letteratura. Lo scrittore Paolo Diacono, nella Historia Langobardorum II, 4 – 5, ci racconta la terribile epidemia sviluppatasi in Liguria. Anche in epoca moderna nuovi flagelli, tra i più violenti, si diffondo in Europa.
1348 : la “peste nera”
1566 – 1567 : la “peste di San Carlo Borromeo”
1630 : la peste raccontata da Manzoni ne I promessi sposi
1665 : la “peste di Londra”.

Testimonianze :
Giovanni Boccaccio, Decameron, Giornata prima. Introduzione
Francesco Berni, Rime, 52 e 53. Capitolo primo e secondo del la peste.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi. Capp. XXXI – XXXVIII
Daniel Defoe, Diario dell’anno della peste
Edgar Allan Poe, Re Peste (Storia che contiene un’allegoria)
Albert Camus, La peste

Chiavi di lavoro :

  1. Ricerca il testo moderno segnalato e leggilo integralmente.
  2. Confronta il testo moderno con i modelli latini, per scoprire se esistono analogie o se si evincono differenze sostanziali.
  3. Quali sono gli elementi che collegano il testo moderno con le tematiche del suo autore e con il contesto culturale in cui è nato?
  4. Dopo aver letto il romanzo La peste, esamina le reazioni dei personaggi nei confronti della malattia

Immagini della peste

Potreste corredare il vostro lavoro con la trattazione dell’iconografia della peste e con l’analisi di qualche film ad essa dedicato. Tra gli altri
Danny Boyle, 28 giorni dopo, 2002
Ingmar Bergman, Il settimo sigillo (ovviamente…), 1956.
Lars Von Trier, Epidemic,,1987
Luis Puenzo, La peste, 1992
Mario Monicelli, L’armata Brancaleone, 1966
Roger Corman, La maschera della morte rossa, 1964
Sidney Salgow, Ubaldo Ragona, L’ultimo uomo sulla terra, 1963
Terry Gilliam, L’esercito delle 12 scimmie, 1995

Riepilogo : cosa serve per completare al meglio questo lavoro

Occorre dunque seguire una scaletta ben precisa su cui lavorare.

  1. La peste : definizione scientifica e storia del morbo.
  2. La peste nell’antichità. Svolgete una panoramica dei testi che vi ho suggerito o di altri che trovate, in cui, cioè, spiegate, brevemente, quanto avete letto di ogni singolo brano.
  3. La peste nell’antichità. Scegliete in particolare uno dei brani ed approfondite la trattazione, magari seguendo le “chiavi di lavoro” che ho indicato in questo foglio.
  4. La peste nelle letterature dell’età moderna. Svolgete la panoramica sui brani che avete ritrovato (chiaramente, potete ricercare anche altro materiale oltre quello che vi ho già indicato), come al punto 2.
  5. La peste nelle letterature dell’età moderna. Scegliete uno dei brani ed approfondite l’argomento.
  6. La peste di Albert Camus : l’ultima epidemia. Quali differenze riscontri con le altre narrazioni delle epoche passate? Inoltre, ecco la domanda decisiva: la peste raccontata da Camus è immaginaria. Essa è un simbolo. Di cosa?
  7. Sezione iconografica. Riflessione sulle immagini delle peste.

 

Fonte: http://www.liceocavalieri.it/public/classi/archiviorisorse%5CLa%20peste.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

La carestia del 1315-1317 e il ristagno economico
La crisi del Trecento si manifestò innanzitutto con la fame, prima ancora che con la tristemente celebre ondata di peste. Molti storici hanno iniziato a supporre un eccessivo aumento della popolazione rispetto alle risorse producibili: nei secoli precedenti l'aumento delle derrate prodotte si era avuto grazie alla coltivazione di nuovi terreni, che verso la fine del Duecento erano giunti alla saturazione. Né è una prova la presenza di insediamenti anche in zone disagiate (montagne, zone paludose, ecc.) dove si produceva con grosse difficoltà, ma anche quel contributo era necessario (tutti insediamenti che vennero poi abbandonati nel corso del secolo con la diminuzione demografica dando origine al fenomeno dei villaggi abbandonati). Il clima più freddo e più umido peggiorò i raccolti e esponeva la popolazione, soprattutto i bambini, alle malattie da raffreddamento.
Si manifestava così, nei ceti subalterni, una fetta di popolazione denutrita, abituata da generazioni a nutrirsi quasi esclusivamente di cereali, che dovette soccombere al primo prolungato rialzo dei prezzi dovuto ai cattivi raccolti degli anni 1315-1317. La "Grande carestia" fu il primo sintomo di una situazione in peggioramento, della quale, naturalmente, i contemporanei non potevano avere consapevolezza.
La ricca Europa duecentesca secolo non era già stata immune dalle carestie, solo che esse avevano coinvolto alcune zone circoscritte, ai cui bisogni si era potuto provvedere facendo affluire derrate alimentari da altre aree non colpite. Nel 1315-17 la carestia invece si manifestò in maniera disastrosa in quasi tutto il continente e in contemporanea. Si erano infatti susseguite delle condizioni climatiche negative (inverni rigidi e prolungati, estati eccessivamente piovose, alluvioni e grandinate), danneggiando ripetutamente i raccolti. I prezzi dei cereali aumentarono vorticosamente, provocando la morte per denutrizione di molte persone e di parecchio bestiame. È stato calcolato che nella città di Ypres, tra il maggio e il novembre 1316, morirono quasi tremila persone su una popolazione di 20-25.000 unità[2].
Una nuova ondata di carestia si abbatté sull'Europa nel decennio 1340-1350.
Nelle città la crisi si manifestò con il ristagno della produzione e dello smercio di alcuni prodotti (soprattutto tessili), e con uno stallo dei rapporti tra moneta aurea e d'argento, che aveva visto un minor richiesta dell'oro, segno della cattiva salute dei traffici internazionali. Un grave collasso finanziario si ebbe a Firenze, il maggiore centro finanziario della penisola, quando nel 1342-1346 fallirono a catena alcune grandi compagnie commerciali (dei Bardi, dei Peruzzi, degli Acciaiuoli) a causa dell'insolvenza di re Edoardo III d'Inghilterra, sconfitto nella Guerra dei Cent'Anni.

La peste nera
Il vero e proprio tracollo europeo si ebbe con l'arrivo di una durissima ondata di pestilenza, pare proveniente dalla Cina (dove c'era stata una grave pandemia nel 1333), che nel 1347 arrivò in Europa tramite le rotte commerciali, in particolare, pare, tramite le navi genovesi che facevano la spola tra Mar Nero e Mediterraneo per il commercio del grano. La pandemia si diffuse nelle zone portuali, arrivando a Messina e poi nelle città sul Tirreno, per poi spargersi ovunque.
L'epidemia era arrivata in Italia e nel Mediterraneo occidentale nell'autunno del 1347 per poi "congelarsi" durante i mesi invernali. Da marzo a maggio il contagio divenne allucinante, con le città che assistevano al progredire verso di esse del contagio terrorizzate di scoprire da un momento all'altro i segni della comparsa del male. Per tre lunghi anni la pandemia falciò il continente, fino all'estate del 1350 compresa.
Le cause dirette della pestilenza furono investigate solo nel XIX secolo, individuando almeno tre tipi di infezioni (polmonare, setticemia e ghiandolare o "bubbonica", che forse infierirono contemporaneamente. Quella bubbonica in particolare dava segni evidenti (i "bubboni") e si trasmetteva tramite i parassiti veicolati dai ratti all'uomo. L'epidemia fu particolarmente violenta per la debolezza endemica di larghe fette di popolazione denutrite e con il sistema immunitario depresso, e per le precarie condizioni igieniche di molti centri urbani sovraffollati. La comparsa dei sintomi (bubboni nella zona ascellare e inguinale, macchie nere, fino all'espettorazione di sangue), gettavano la popolazione nel terrore quali segni di sicura morte.
Gli studi parlano di una mortalità media del 25% della popolazione, con picchi (in Germania, in Francia e in Italia), del 30-35% e oltre. Alcune aree vennero anche inspiegabilmente risparmiate, come il milanese.
La pandemia terminò la fase acuta tra il 1350 e il 1351, permanendo però allo stato endemico e ricomparendo in successive ondate fino alla successiva pandemia del 1630. La popolazione europea non si riprese dal tracollo fino almeno al Settecento. Tra le conseguenze vi furono lo spopolamento delle aree impervie, con i contadini migrati a riempire gli spazi vuoti nelle aree più fertili in pianura e in collina, e la crisi dei piccoli proprietari terrieri, che vendendo i loro terreni favorirono la concentrazione delle proprietà in un minor numero di mani. I ceti dirigenti, in alcune zone, si allontanarono dal controllo diretto della terra, preferendo affidarla in affitto o secondo altri contratti (come la mezzadria in Toscana) e vivendo di rendita. Le condizioni di vita del ceto rurale peggiorarono comunque notevolmente e si andò formando una specie di "proletariato" rurale.

Conseguenze devozionali
La disordinata religiosità che fu animata dalla sensazione di terrore e di disorientamento a fronte dell'inspiegabile susseguirsi di calamità e sciagure (carestie, epidemie, guerre, l'avanzata dei Turchi o dei Tartari), fu permeata da elementi apocalittici e irrazionali, che credevano in un'azione diabolica congiunta e particolarmente efficace. La fine del mondo e la venuta dell'Anticristo sembravano più vicine che mai e si cercarono dei nemici da combattere, che erano, oltre ai cattivi cristiani, gli ebrei e le streghe, contro le quali si scatenò una vera e propria "caccia".
Della sensibilità religiosa imbevuta di paura si approfittarono i predicatori popolari, che fecero incrementare le donazioni alla Chiesa e l'acquisto di indulgenze. La paura per la morte, visibile nei frequenti dipinti di "trionfi della morte", "danze macabre" e "incontro dei tre vivi e dei tre morti", era un sentimento nuovo ed era drammatizzata dal confronto con i prosperi secoli immediatamente precedenti. proliferavano gruppi e confraternite di penitenti, più o meno eterodosse, mentre in Italia e in Fiandra nacque la devotio moderna, con rappresentanti come Brigida di Svezia, Caterina da Siena, Enrico Suso e Tommaso da Kemps. Essa promuoveva un'adesione religiosa meno formale e più legata ad aspetti intimi e personali, intesa come un valore essenzialmente umano. L'opera più importante di questa corrente fu l'Imitazione di Cristo, tra i più celebri trattati di meditazione cristiana di tutti i tempi.

Le rivolte
Alle carestie, le epidemie, la riduzione degli spazi a coltura cerealicola in favore di coltivazioni più redditizie, le vessazioni del ceto fondiario, vanno aggiunte le guerre che erano frequenti in tutta Europa e che si tramutavano talvolta in razzie, saccheggi e assedi a lungo termine con una destabilizzazione della società.
L'aggravarsi delle condizioni di vita dei ceti subalterni nelle campagne produsse inizialmente un flusso di persone verso le città, dove erano almeno presenti alcune istituzioni caritatevoli che gli assicuravano un minimo di sostentamento giornaliero. Ciò causò un sovrappiù di manodopera che minacciò i ceti subalterni cittadini. Il malessere verso una situazione divenuta ormai insostenibile fu all'origine di rivolte un po' in tutta Europa, sia nelle campagne che nelle città, a partire dai ceti più umili che talvolta riuscivano a coinvolgere anche frange più agiate, come i piccoli artigiani o i produttori subalterni.
In Fiandra si erano registrate rivolte già nel primo trentennio del Trecento, mentre le campagne francesi vennero battute tra 1315 e 1360 dalle folle dei pastoureaux ("pastorelli") e, tra il 1356 e il 1358, dalla jacquerie, dove i contadini inferociti misero al rogo parecchi castelli ed aggravarono la situazione già difficile durate la guerra dei Cent'Anni. Nel 1356 dilagò a Parigi una rivolta capeggiata dal "prevosto" dei mercanti Etienne Marcel.
Tra il 1351 e il 1378 si ebbero le rivolte dei Ciompi a Perugia, a Siena e a Firenze. In Inghilterra si ebbe una dura rivolta cristiano-popolare nel 1381, capeggiata da Wat Tyler e John Ball, che si ribellarono al duro regime fiscale imposto dal re a causa della lunga guerra contro la Francia.

 

Fonte: http://www.itchiavari.it/lettere/storia_2/appunti_36.doc

Autore del testo: Giuseppe Guidotti

 

Peste nera storia cause sintomi

 

                                

                                     LA PESTE NEL MEDIOEVO

 

 

ORIGINE E DIFFUSIONE

 

La peste nera, che i medievali europei denominarono la grande Epidemia e i medievali musulmani l’Anno della Distruzione, resta il più grande dei disastri naturali della storia dell’umanità.

 

In Italia giunse nel settembre del 1347, quando alcune galee del governo di Genova provenienti dalla città di Caffa, in Crimea, dove la repubblica genovese aveva un centro commerciale, fecero scalo al porto di Messina.

L’equipaggio di queste navi era già stato contagiato dalla peste e questa si diffuse rapidamente al territorio cittadino.

 Le navi ripartirono alla volta di Genova, ma quasi tutta la popolazione di Messina fu sterminata dalla malattia.

Quasi immediatamente la gente cominciò ad ammalarsi, manifestando sintomi che nessuno aveva visto prima. Innanzitutto, racconta Fra’ Michele nella sua “Historia Siciliae”, “una specie di vescica delle dimensioni di una lenticchia spuntava su una coscia o su un braccio, poi le vittime tossivano violentemente sputando sangue, e dopo tre giorni di incessante vomito … per cui non c’era rimedio, morivano… e a morire erano non soltanto coloro che avevano parlato con persona infetta, ma anche chiunque avesse acquistato, toccato o solo sfiorato qualcosa che le fosse appartenuto.”

Ben presto Messina si divise in due distinte aree: la città degli infetti, colma di disperazione e di dolore,  e la città dei sani, dove regnava la paura e l’odio, e cominciò a svuotarsi.

“La malattia portò con sé tale abbattimento”dice fra’ Michele “che se un figlio si ammalava il padre rifiutava di restargli accanto”.

 

A Venezia la peste fece la sua comparsa nel gennaio del 1348.

Per i tempi la città cercò di reagire con una risposta ben organizzata.

Il Gran Consiglio e il Doge nominarono un comitato di crisi che emanò delle istruzioni secondo le quali tutte le navi che entravano nel porto dovevano essere perquisite e, se vi fossero cadaveri, date alle fiamme.

In città le morti dovevano essere denunciate e i cadaveri consegnati ai barcaioli che provvedevano a sepolture comuni.

Infine si pensò anche al morale della popolazione, proibendo di mostrarsi al pubblico in lutto.

Anche Venezia ben presto si svuotò; si verificarono almeno 70.000 morti su 120.000 abitanti.

 

A Firenze le autorità cittadine, allarmate per l’imminente arrivo del contagio, si prepararono ad affrontarlo. Fu istituita una speciale commissione per l’igiene pubblica con il compito di tenere pulite le case e le strade, senza ottenere tuttavia apprezzabili risultati.

A marzo del 1348 lo storico fiorentino Giovanni Villani era intento a scrivere la sua Storia della Peste, mentre questa  era ancora  attesa a Firenze.

La città si stava già spopolando: chiunque ne avesse la possibilità la abbandonava.

Mentre l’epidemia dilagava, Villani completava la sua storia, ma non poté apporre l’ultima frase perché la peste lo uccise.

Nella scena iniziale del Decameron, di Giovanni Boccaccio, ambientato nelle colline che circondano Firenze, troviamo la descrizione della peste e la narrazione dell’epidemia che meglio coglie le condizioni di vita e gli umori della città.

In particolare lo scrittore è colpito dal fatto che “li padri e le madri, i figlioli, quasi loro non fossero, di visitare e servire schifavano”; dalla “gran moltitudine dei corpi” che venivano ammucchiati nelle fosse comuni, dal piccolo numero di persone in lutto che seguivano i cadaveri degli appestati, dai becchini che si aggiravano per Firenze come avvoltoi.

A Firenze la peste uccise il 50% della popolazione. La spiegazione di una mortalità così alta sta probabilmente nei postumi della carestia del 1347 e in una igiene pubblica che non era capace di risolvere i problemi legati ad una elevata concentrazione di persone, insieme a ratti, pulci e immondizia.

 

A Siena la peste arrivò proveniente da Pisa e in entrambe le città il morbo imperversò da aprile a ottobre del 1348. Agnolo da Tura, uno dei grandi cronisti italiani del XIV sec., descrisse la “grande mortalità, la maggiore e la più oscura, la più horribile che la città abbia mai conosciuto”.

Morirono circa 52.000 persone, tra le quali la moglie e i cinque figli di Agnolo e i grandi pittori senesi Pietro e Ambrogio Lorenzetti.

 

A Perugia le autorità locali chiesero aiuto a Gentile da Foligno, considerato uno dei massimi luminari della medicina dell’epoca.

Interrogato sulla peste, Gentile da Foligno, professore dell’università di Perugia, inizialmente era stato molto rassicurante, descrivendo la peste come un’epidemia meno pericolosa di altre. successivamente, tuttavia, quando la pestilenza si avvicinava a Perugia, si rese conto della potenza distruttiva della Yersinia Pestis e parlo di epidemia di “una gravità inaudita e senza precedenti”.

 

 Nel giugno del 1348, quando il caldo dell’estate incombe sulle colline umbre, l’illustre medico morì mentre era impegnato a curare alcuni pazienti nella città di Perugia, probabilmente a causa della peste.

 

Nell’autunno del 1348 la peste attraversò le Alpi.

In Italia in un anno circa aveva decimato almeno il 50% della popolazione.

Complessivamente la Yersina  Pestis in tre anni e mezzo, tra il 1347 e il 1351, percorse tutto il continente europeo, dalla Sicilia a Mosca,  uccidendo il 33% dei suoi abitanti, pari a 25.000.000 di persone.

 

 

CAUSE DELL’EPIDEMIA E DESCRIZIONE DELLA MALATTIA

 

La maggior parte degli storici moderni ritiene che la peste nera, così denominata sia per il colore dei bubboni che per l’aspetto del sangue espulso dai malati con le loro emottisi, si sia sviluppata nel cuore dell’Asia per diffondersi verso oriente e verso occidente lungo le rotte del commercio internazionale.

La diffusione della malattia è attribuita alla pulce, “Xenopsilla Cheopis”, che, colpita dal bacillo della peste, “pasteurella pestis” o “bacillodi Yersin”, dal nome del ricercatore svizzero che alla fine dell’ ‘800 lo isolò e lo descrisse per primo in Cina, trasmette al ratto nero o rattus rattus, la specie di roditore più diffusa in Europa nel ‘300, l’infezione.

Il bacillo della peste si installa nella parte anteriore dell’apparato digerente della pulce, formando una sorta di blocco che aumenta la capacità dell’insetto di diffondere il contagio per due motivi.

 

Innanzitutto perché la Xenopsilla Cheopis, affetta da fame cronica, continua a mordere incessantemente; inoltre, poiché nel preventricolo si forma un tappo di sangue e bacilli estremamente infetto che viene iniettato direttamente con il morso nel ratto o nell’uomo.

A causa della morte dei topi le pulci per sopravvivere si trasferiscono in massa sull’uomo. Esse sono in grado di sopravvivere anche 4-6 settimane  in assenza di simbiosi con un animale, viaggiando sugli indumenti o in un sacco di grano.

Come altri agenti patogeni, la Yersinia Pestis è diventata un killer di successo poiché è riuscita ad adattarsi imparando ad eludere quasi tutto ciò che cerca di ucciderlo, compresi gli antigeni della pulce e quelli umani, confondendo il sistema immunitario.

Il bacillo, tuttavia,  trova  un ambiente particolarmente favorevole in condizioni di  temperatura tra i 10 e i 27 gradi e di umidità di almeno il 60%.

 

Nella trasmissione del contagio tra gli uomini pare che abbia un ruolo accessorio anche la pulce umana, pulex irritans, come serbatoio di diffusione della malattia.

 

 

La Yersinia Pestis contagiò per la prima volta l’uomo nell’epoca di Giustiniano (VI sec. d.C.) e per l’ultima volta in Cina alla fine dell’’800, quando l’allievo di Pasteur, Yersin, descrisse in modo accurato l’agente patogeno della peste.

Pochi anni dopo un ricercatore francese identificava nella pulce del ratto, Xenopsilla Cheopis, il vettore della peste.

Pochi decenni dopo cominciarono ad essere disponibili le prime medicine.

 

Negli esseri umani la peste può assumere tre forme cliniche.

La peste bubbonica.

Viene trasmessa dalla pulce e ha un periodo di incubazione che varia da due a sei giorni. “Guarda, il gonfiore, il segno di avvertimento inviato dal signore”, scriveva un contemporaneo alludendo al sintomo più caratteristico della peste, il bubbone ovoidale.

Causati da un accumulo di bacilli nel linfonodo più vicino alla puntura, i bubboni si sviluppano per lo più nella regione inguinale, nelle ascelle o sul collo,sono accompagnati da febbre acuta e possono essere molto vistosi.

La peste bubbonica è molto debilitante e causa vomito, diarrea sanguinolenta, bava schiumosa, vesciche, pustole e foruncoli.

Può coinvolgere anche il sistema nervoso e provocare emorragie sottocutanee.

Nel medioevo era anche una malattia molto maleodorante e i bubboni erano molto dolorosi.

In compenso permette la maggior possibilità di sopravvivenza: il tasso di mortalità oscilla tra il 40 e il 60%.

La peste polmonare.

Si diffonde direttamente da persona a persona.

In alcuni casi i bacilli della peste creano delle metastasi polmonari e, non appena la vittima comincia a tossire e a sputare sangue, la malattia viene trasmessa per via aerea.

La peste polmonare è terribilmente letale e si diffonde rapidamente: la mortalità è del 95% .

In alcuni casi la fine può sopraggiungere dopo poche ore.

 

 

La peste setticemica.

Si ha quando il bacillo entra direttamente nel sangue.E’ estremamente rara, ma è assolutamente letale.

 

Tutti gli storici sono concordi nel ritenere che, poiché si potesse verificare una epidemia di tali proporzioni, furono necessari una serie di fattori concomitanti.

 

  • La ripresa dei commerci internazionali che consentirono un rapido spostamento dei ratti e delle pulci nelle regioni dell’Asia e dell’Europa;
  • condizioni sociali e demografiche che portarono al sovraffollamento delle città in presenza di condizioni igieniche proibitive che fecero delle città un paradiso per i ratti;
  • assenza di igiene personale che, tra l’altro, era ritenuta un peccato dalla religiosità medievale;
  • le gravi carestie precedenti la peste, determinate dall’eccessivo sviluppo demografico in rapporto alle risorse e alla produttività dei terreni e anche da cambiamenti climatici;
  • la violenza crescente delle guerre.

 

TEORIE SULLA CAUSA, EFFETTI E TERAPIE  DELLA PESTE NEL MEDIOEVO

 

La peste colse l’arte medica ad un momento di svolta.

La Nuova Medicina medievale era basata su un’interpretazione e un ampliamento della medicina classica da parte degli arabi.

La teoria dei quattro umori, creata da Ippocrate e ampliata da Galeno, poteva trovare una spiegazione a tutto. I quattro umori erano sangue, bile gialla, bile nera e flegma; caratterizzati da quattro qualità che erano il caldo, il freddo, l’umido e l’asciutto .

Ippocrate scriveva che la salute è la condizione in cui i quattro elementi costitutivi sono presenti nelle giuste proporzioni e ben amalgamati.

 

Anche la teoria relativa ai miasmi o aria infetta aveva un ruolo importante.

L’aria cattiva era pericolosa perché rompeva l’equilibrio degli umori del corpo.

Particolarmente pericolosa era l’aria calda ed umida perché calore e umidità minano la forza vitale attorno al cuore. Il contagio era la conseguenza di questa azione debilitante.

Le persone si ammalavano a causa dei vapori infetti emanati dai corpi degli ammalati.

Si pensava  che la peste fosse determinata da una putrefazione degli organi interni generata nell’organismo dal cibo e dall’aria in esso immessi.

Un clima afoso e umido, l’aria sopra sopra le acque stagnanti ed in particolare il respiro degli ammalati erano ritenuti pericolosi.

Tuttavia l’opinione più diffusa era che le infezioni fossero la conseguenza di uno sfavorevole allineamento dei pianeti.

 

 

 

 

Che fare per difendersi dalla peste?

 

Tra il 1348 e il 1350 furono scritti 24 trattati per lo più da parte di medici che avevano studiato nelle facoltà di medicina, denominati “Consigli contro la peste” e “Regimi contro la peste” : alcuni delineavano panoramiche d’ampio respiro, altri invece formulavano consigli pratici sul modo migliore per mantenersi in buona salute.

Le teorie del XIV sec. sulla peste culminarono nel “Paradigma del soffio pestifero” di Gentile da Foligno. 

 

Secondo Gentile, esalazioni insalubri furono risucchiate dal mare e dalla terra nell’aria (aer corruptus). Se un tale soffio pestifero viene inspirato dall’uomo, i vapori velenosi diventano una massa che infetta cuore e polmoni dell’individuo e può contagiare i vicini.

Secondo Gentile una terapia efficace consisteva nell’irrobustire il cuore e gli altri organi e lottare contro la putrescenza velenosa, impedendone lo sviluppo nei malati e l’insorgenza nei sani.

 

In generale c’era un sostanziale accordo sul fatto che la miglior difesa contro la peste fosse il mantenersi in buona salute, soprattutto tenendosi lontano dall’aria infetta.

Un modo era evitare le acque stagnanti, un altro mantenere aperte solo le finestre esposte a nord.

Per proteggersi dall’infezione all’interno degli edifici alcuni consigliavano di bruciare legna odorosa.

All’esterno era consigliabile portare con sé una sfera profumata.

Gentile da Foligno affermava che le erbe odorose  andavano benissimo in casa  e raccomandava di accendere falò agli angoli delle strade.

Tuttavia nessun antidoto poteva rivaleggiare con uno smeraldo ridotto in polvere.

Altri trattati mettevano l’accento su una dieta adeguata che mantenesse in equilibrio i quattro umori del corpo, evitando cibi che andavano facilmente a male.

 

Inoltre erano da evitare, per il legame tra corpo e mente, la paura, la preoccupazione, la collera, ma anche la tristezza.

Gli interventi praticati erano la flebotomia per ridurre la quantità di sangue infetto e i clisteri ripetuti per eliminare i gas prodotti dalla putrefazione dei cibi. 

 

L’unico dato certo che già si era capito anche da parte delle autorità  era la contagiosità della peste.

Già nel 1348 furono presi alcuni provvedimenti per arginare l’epidemia: per esempio a Venezia con l’obbligo di denuncia, le sepolture di massa, l’isolamento dei malati.

 

Per quanto riguarda le misure profilattiche, oggi possiamo dire che alcune  erano sensate: certamente le pulci rifuggivano da certe sostanze odorose, così come dal calore del fuoco, ma erano poco efficaci.

Più efficace fu senz’altro l’intuizione che gli ammalati andavano isolati.

 

Per la Chiesa e il popolino la peste era una specie di punizione divina.

Si diffuse una grande devozione per quei santi in qualche modo legati alla peste e dei quali si invocava la protezione per sfuggire alla malattia e perché salvassero il mondo da quella immane catastrofe. In particolare si diffuse il culto di S.Sebastiano in quanto questo venne considerato il simbolo dell’umanità trafitta dagli strali della peste.

 

La convinzione che la peste fosse una punizione divina in Europa centrale  scatenò uno scoppio di antisemitismo senza precedenti.

In Germania determino il fenomeno dei Flagellanti, un movimento religioso convinto che la moria potesse essere evitata facendo penitenza e massacrando gli ebrei.

      

Tuttavia di fronte a tale scenario apocalittico la reazione di una parte della gente  non fu quella di pregare per i propri peccati in vista di una imminente fine dell’umanità, ma, come racconta Boccaccio, mentre alcuni cercavano di sfuggire alla malattia cercando di evitare il contatto con gli altri, altri cercavano di godere e di soddisfare al massimo i propri desideri.

 

 

CONSEGUENZE E RIPERCUSSIONI

 

Alla fine dell’epidemia si diffuse immediatamente un’atmosfera di euforia e di rilassatezza morale che amareggiò Matteo Villani, fratello di Giovanni.

Ma l’allegria isterica non era altro che la tenue maschera di un incessante dolore e di un terribile senso di smarrimento.

Nel 1349 quando la peste lasciò l’Italia un amareggiato Petrarca scrisse al suo amico Louis Heygligen “la vita che conduciamo è come un sogno. Qualunque cosa facciamo non è che un sogno. Soltanto la morte interrompe il sogno e ci sveglia. Vorrei essere svegliato prima di tutto questo.”

 

E in effetti nel 1361  iniziò una nuova epidemia di peste e questo anno segnò l’inizio di una lunga serie di epidemie che per due secoli si sarebbero succedute.

 

La ripercussione della peste nera, che avrebbe comportato in Europa un decremento demografico che andò dal 30/40 fino al 60/70 per cento, determinò numerose e diverse conseguenze che furono decisive nel segnare il passaggio dal Medioevo al Rinascimento. 

Il crollo demografico determinò la mancanza di manodopera giovane e forte.

La prima conseguenza fu il declino delle infrastrutture nelle città: agli inizi del ‘400 l’Europa aveva ripreso l’aspetto della Roma medievale.

Un altro effetto fu l’aumento del costo del lavoro e di tutto ciò che era frutto del lavoro.

Invece, i prezzi dei generi alimentari verso il 1375 cominciarono a scendere per la diminuzione della domanda conseguente al declino della popolazione.

Nei cinquant’anni successivi alla peste assistiamo ad una decadenza della nobiltà terriera, a causa dell’alto costo del lavoro e dei bassi prezzi dei generi alimentari; mentre poté migliorare il tenore di vita dei lavoratori e degli artigiani.

Il crollo demografico stimolò l’innovazione tecnologica e la sua applicazione alla produzione.

In sintesi, si può dire che la peste nera salvò l’Europa, paradossalmente, da un futuro di decadenza economica. Infatti, una popolazione ridotta significò maggiori risorse per i superstiti, sviluppo dell’innovazione tecnologica, valorizzazione del lavoro e maggiore produttività.

 

Innovazioni si ebbero anche nel campo della professione medica che, come la Chiesa, aveva visto diminuire il proprio prestigio.

Innanzitutto venne dato maggior rilievo alla medicina pratica orientata clinicamente, un cambiamento che rifletteva l’importanza del chirurgo e il declino del medico teorico

I testi di anatomia divennero più accurati perché la pratica dell’autopsia diventava più comune e nelle scuole di medicina ci fu uno spostamento verso le scienze applicate. Questi cambiamenti contribuirono a creare i presupposti verso una medicina più scientifica dal momento che sempre più il medico, invece di limitarsi a trarre conclusioni dal semplice ragionamento, formulava teorie, le sottoponeva alla prova dell’osservazione, analizzando i risultati per vedere se confermavano la teoria stessa.

 

Anche gli ospedali cominciarono a cambiare e ad assumere l’aspetto moderno di luogo di cura e non solamente di isolamento in attesa della morte.

Dopo la peste, gli ospedali tentarono di curare gli ammalati, anche se, ancora, coloro che venivano dimessi lo erano più per le loro difese immunitarie che per le cure ricevute.

In generale la peste  nera ebbe un ruolo importante nella nascita della sanità pubblica.

Una delle prime innovazioni fu l’istituzione di un apposito consiglio, come quelli creati a Firenze e a Venezia contro l’epidemia.

In seguito queste istituzioni divennero più sofisticate e complesse.

Nel 1377, Venezia istituì la prima quarantena nella colonia di Ragusa.

Il lazzaretto creato dalle autorità fiorentine per ricoverare gli appestati fu un punto di partenza del servizio sanitario pubblico.

Con la peste in Europa si sviluppò una nuova idea sulla trasmissione della malattie.

Non fu un caso che la prima sistematizzazione sul contagio sia stata elaborata da  Fracastoro, un medico del servizio sanitario pubblico fiorentino.

 

 

 

Cambiò inoltre anche la concezione  stessa della vita e la cultura

 

L’esperienza della peste aveva evidenziato in modo drammatico l’incertezza del domani e fu una spinta al rinnovamento culturale che caratterizzò il periodo successivo dell’Umanesimo e del Rinascimento. 

Lo sviluppo dell’ingegno, il sorgere della borghesia, il moltiplicarsi delle università, lo studio della filosofia e del diritto, la più vasta conoscenza del mondo determinarono un allargamento delle mentalità.

L’uomo colto si scrollò di dosso gli impedimenti etici, mise in dubbio le verità imposte dalla religione, non considerò peccato godere delle bellezze della natura e dell’arte e la nuova libertà risveglio la sua potenza creativa.

 

Si può dire, perciò,  che la grande peste del 1348 determinò cambiamenti radicali nello sviluppo delle città, dell’economia, della produzione, della scienza e della società e, soprattutto, mutò il modo di pensare degli uomini del tempo.

 

BIBLIOGRAFIA

 

  • La peste nera, di John Kelly – Ed. PIEMME, Casale di Monferrato, 2005.
  • Preludio. Il Rinascimento a Firenze, di Will Durant – Orpheus Libri – mondadori editore Milano 1957.
  • La società italiana prima e dopo la “peste nera”, di antonio Ivan Pini – Ed, società pistoiese di storia patria, Pistoia 1981.
  • La peste nera e la fine del Medioevo, di Klaus Bergdolt – Ed. PIEMME, Casale di Monferrato, 1997.
  • Morire di peste. Testimonianze antiche e interpretazioni moderne della peste nera del 1348, di Ovidio capitani – Ed. Patron, Bologna 1995.

 

Fonte: http://www.mediaaetas.altervista.org/peste.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

La peste nel medioevo

 

 

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