Rivoluzione industriale riassunto

 


 

Rivoluzione industriale riassunto

 

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Questa Parte prende in considerazione il periodo che grossolanamente comprende i cento anni a cavallo del 1800, dagli inizi della Rivoluzione Industriale fino alla nascita ed allo sviluppo della Elettrotecnica. Questa epoca è caratterizzata, per quanto riguarda innovazione tecnologica e sviluppo della scienza, da evoluzioni estremamente rapide a confronto con quanto accaduto nelle epoche precedenti della storia dell'uomo. Ci sono alcuni aspetti caratteristici di questo periodo che verranno evidenziati ed a cui è possibile attribuire particolare significato nel relativo cammino evolutivo.


Primo tra questi è certamente da considerare la sempre maggiore capacità di sfruttamento di fonti energetiche diverse dal lavoro animale; la Rivoluzione Industriale nasce sulla base dell'uso ancora limitato delle risorse idriche, ma nel giro di solo un secolo si passa poi alla massiccia utilizzazione dei combustibili fossili, alla macchina a vapore, alla generazione, trasporto e distribuzione capillare dell'energia elettrica. Questa crescente capacità ha rapidamente indotto alcune conseguenze di tipo economico che vale la pena citare:


w          uso crescente di energia per unità di prodotto;
w          fortissimo aumento della produttività per addetto;
w          forte aumento del capitale fisso per addetto.


Queste tendenze troveranno successivamente riscontro, anzi avranno trend di sviluppo sempre più rapidi, nel periodo successivo, caratterizzato da un sempre maggiore livello di meccanizzazione e di automazione.


Dal punto di vista delle interazioni tra scienza, tecnologia e tecnica e del loro influsso sulla società, che è il tema principale di questo corso, si assiste nel periodo considerato ad alcuni interessanti approcci allo sviluppo. Da un lato si osserva infatti che le prime significative innovazioni (macchina a vapore) avvengono per accumulo di conoscenze empiriche fino alla formazione, da Watt in poi, di approfondite competenze tecnologiche non sostenute da pari sviluppi scientifici; si può anzi affermare che proprio questi risultati tecnologici stimolano e motivano la ricerca scientifica. Con le scienze elettriche si osserva per la prima volta una inversione di tendenza che continuerà poi anche nei periodi successivi fino ai nostri giorni; in questo caso infatti i risultati scientifici spesso precorrono le realizzazioni applicative. Le tecnologie costruttive e di uso delle macchine e dei sistemi elettrici sono messe a punto sulla base di diffuse, discusse ed accettate conoscenze scientifiche; le "scuole" iniziano in questo periodo la fase di specializzazione: nelle Università, accanto agli studi umanistici, crescono di importanza la Matematica, la Fisica ed infine l'Ingegneria.


1. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

 

1.1. introduzione

Nella seconda metà del secolo XVIII si verificò in Inghilterra una serie di profondi mutamenti del sistema produttivo che, cambiando il volto dell'economia e dell'intera società, e diffondendosi poi, nel secolo successivo, in altri paesi europei ed anche oltreoceano, diede il via al processo irreversibile di industrializzazione e alla nascita, quindi, di una nuova civiltà.
Tale processo storico, universalmente indicato con il termine di Rivoluzione Industriale, e che è di natura economica, sociale, demografica, e più generalmente culturale, fu all'inizio sostenuto da una profonda innovazione tecnologica, incentrata sulla sostituzione dell'abilità manuale con una estesa meccanizzazione, dell'energia umana e animale con quella termica, e sulla disponibilità di nuove materie prime, ottenute grazie al progresso nei metodi di estrazione e di lavorazione, specialmente (ma non solo) nelle industrie metallurgica e chimica.
Se, da parte degli storici, c'è accordo nel collocare temporalmente l'inizio e lo sviluppo di tale processo, quantificandolo sulla base di indicatori economici e demografici , non altrettanto agevole è identificarne con certezza le cause scatenanti, anche se generalmente in primo luogo si individua nell'imponente sviluppo dell'agricoltura, durante i primi decenni del secolo, la premessa economica indispensabile e, in secondo luogo, si riconosce all'industria tessile cotoniera il ruolo di settore guida che agì da leva sul resto dell'economia inglese, favorita, grazie alle conquiste coloniali, dall'apertura di nuovi mercati in rapida espansione. Fu infatti l'alternarsi di invenzioni riguardanti macchine dedicate ai due processi fondamentali della filatura e della tessitura del cotone a rompere i limiti imposti alla produzione dal ristretto numero di operai esperti, permettendo un vertiginoso aumento della produzione di manufatti e la sostituzione rapida e definitiva della fabbrica alla produzione artigianale.

 

1.2. I CARATTERI DELL'INNOVAZIONE TECNOLOGICA

L'industrializzazione presuppone un'estesa meccanizzazione, perché solo la macchina può permettere di superare i limiti dell'intervento umano sfruttando le risorse energetiche naturali con regolarità ed efficacia ed eseguendo sequenze di azioni preordinate, controllate, precise.  Non che il macchinismo sia nato nel XVIII secolo: abbiamo già avuto occasione di osservarne il notevole sviluppo all'epoca del Rinascimento, né mancano illustri esempi nell'antichità classica;  esso  assume tuttavia una dimensione ed una urgenza assolutamente nuove nell'epoca che ora ci interessa, ponendo problemi e imponendo la ricerca di soluzioni che cercheremo di illustrare.
C'è innanzitutto il problema dei materiali. Per quanto correttamente venisse progettata e costruita, la macchina in legno non poteva non essere che una cattiva macchina. Il gioco negli assemblaggi, gli attriti e l'usura delle parti mobili erano altrettanti inconvenienti di difficile superamento. Queste macchine traballanti marciavano male e a sbalzi, si deterioravano rapidamente e per il tipo di materiale con cui erano state costruite non potevano sopportare sforzi eccessivi: le rotture erano frequenti, gli arresti continui. Con tali difficoltà è possibile spiegare lo scarso sviluppo del macchinismo che pure, dopo la messa a punto delle innovazioni del Rinascimento, aveva ampie prospettive come una rapida rassegna delle tavole dell'Encyclopédie di Diderot può facilmente provare.
Costruire macchine in metallo sarebbe potuto venire in mente ai tecnici dell'epoca classica del tutto naturalmente;   vi erano però ostacoli non indifferenti da superare.
Il primo stava nella natura stessa del metallo. Bisogna dire che per lungo tempo fu prodotto ferro di cattiva qualità, irregolare, fragile, difficile da saldare e da lavorare. L'arte della produzione di acciaio era bensì nota da tempo, ma confinata nell'ambito strettamente artigianale, svolta con grande dispendio di tempo, manualmente e perciò stesso molto costosa. I progressi della siderurgia avrebbero permesso nel XVIII secolo di ottenere un metallo allo stesso tempo resistente e più facile da plasmare, oltre che più abbondante. In secondo luogo, gli utensili per la lavorazione dei metalli non erano in grado di fornire gli stessi assemblaggi che si potevano ottenere con il legno. La lavorazione del metallo, eseguita con attrezzi a mano, era inoltre più lunga e quindi molto più costosa di quella del legno. La comparsa dell'acciaio al crogiolo, a metà del XVIII secolo, e in seguito ad esso la comparsa delle macchine utensili per il metallo — in particolare le macchine per alesare di Wilkinson (1772), le macchine per trafilare (per le viti e le madreviti), le macchine per tornire (il primo tornio moderno è di Maudslay,1797) — aprirono definitivamente la strada alla macchina di metallo. (Si noti come per l'industria del ferro il processo storico si svolga in modo opposto a quello dell'industria tessile : è l'introduzione delle macchine a spingere per il suo sviluppo!)


Prima della R.I. il procedere della meccanizzazione era limitato, in secondo luogo, dalla disponibilità di energia, sotto le due forme rappresentate dall'energia idraulica e da quella fornita dalla combustione del carbone di legna. La prima permetteva solo piccole unità di produzione di ampiezza limitata, sottomesse ai casi della natura e necessariamente molto localizzate; la seconda era soggetta, specie in Inghilterra, alle forti limitazioni dovute alla scarsità di legname . Fu proprio questa condizione a rappresentare, paradossalmente, una felice occasione, spingendo ad un uso sempre più vasto del carbon fossile, considerato combustibile inferiore ma più a buon mercato e praticamente inesauribile, e permettendo lo sviluppo, fecondo di continue reciproche influenze, dell'industria siderurgica e delle macchine a vapore (di cui si tratta ampiamente nel capitolo seguente).


Il succedersi delle invenzioni permette, come si vede, di cogliere una sorta di logica oggettiva: invenzioni potenzialmente funzionali l'una all'altra si sono progressivamente collegate a formare un nuovo "sistema", in cui le singole invenzioni costituiscono altrettanti anelli di una catena di rapporti in cui si riconoscono due filoni particolarmente importanti: primo, quello tessile - sia sotto l'aspetto della meccanizzazione del processo produttivo che sotto quello dello sviluppo dei processi chimici di sbiancamento e di tintura- ; secondo, quello del carbone (la coal fuel technology, secondo l'espressione di John Harris) -nella duplice funzione di combustibile privilegiato per una serie di operazioni di trattamento e affinazione dei materiali, e di fonte d'energia meccanica, grazie alle "macchine atmosferiche". Si può affermare che il trinomio ferro, carbone, vapore serve di base a un nuovo sistema tecnico, che sarà quello di quasi tutto il XIX secolo e che per ciò stesso esclude progressivamente i due elementi di base del sistema tecnico classico: il legno e l'acqua. La conclusione della parte essenziale di tale mutamento, rafforzato da tutta una serie di cambiamenti radicali in un gran numero di tecniche, può essere collocata nel decennio 1780-1790.


Di tutte le industrie di trasformazione dei materiali, la siderurgica è forse quella che conobbe l'evoluzione più completa e totale. Se la siderurgia classica aveva trovato il proprio equilibrio su tre elementi: il minerale, il legno per il combustibile e l'acqua per la forza motrice, la nuova siderurgia doveva anzitutto risolvere il problema della fusione del minerale mediante carbone fossile.


Questo, come si sa, non può essere utilizzato direttamente a causa dello zolfo che contiene e che rende il ferro fragile. La soluzione della depurazione del carbone fu cercata a partire dalla seconda metà del XVI secolo, ma fu solo nei primi decenni di quello successivo che si mise a punto il processo di distillazione del carbon fossile, per ottenere il coke, prodotto perfettamente utilizzabile (anche se esistono carboni non cokificabili o difficilmente cokificabili) per produrre ghisa.
L'ormai possibile abbondante produzione di ghisa rischiava di creare una strozzatura: le antiche tecniche di affinazione, vale a dire della trasformazione della ghisa di fusione (materiale fragile, rigido, poco resistente e difficile da lavorare)  in ferro erano lente ed esigevano ancora un combustibile costoso e manodopera numerosa. Una soluzione parziale al problema si ebbe con la messa a punto da parte dell'inglese Huntsman (1740) della produzione dell'acciaio al crogiolo, vecchia tecnica conosciuta probabilmente da molto tempo presso certi popoli, ma che non era stata molto praticata in Europa occidentale. Fu poi merito di Cort scoprire nel 1783-1784, dopo alcuni tentativi infruttuosi, il procedimento del puddlage, o puddellaggio. Questo consiste nel mescolare ghisa in fusione sulla suola di un forno a riverbero, sotto l'influenza combinata dell'azione decarburante dell'ossigeno dell'aria che circola nei forni di questo tipo; si evita così il contatto del metallo con la parte solida del combustibile, senza bisogno di ricorrere ad un dispositivo di soffiatura. Era ormai possibile trattare tutta la ghisa prodotta al coke.
Se il ferro puddellato poteva così seguire la produzione della ghisa al coke, occorreva in seguito poter fucinare questo ferro con uno strumento diverso dal vecchio martello idraulico, di portata troppo limitata. Fu ancora Cort ad avere l'idea di far passare la massa di ferro puddellato dentro i cilindri di un laminatoio scanalato, idea che egli brevettò nel 1783, rivoluzionando la produzione di ferro in barre.


Si noti come l'adozione della macchina a vapore, sia per le soffierie dei forni che per i laminatoi, svincolava la siderurgia dall'utilizzazione dell'energia idraulica.

Per quanto riguarda infine l'industria mineraria va rilevato che se le tecniche e le attrezzature per l'attività di sfruttamento propriamente detta non subirono trasformazioni degne di nota (nel XVIII secolo le tecniche sono ancora quelle rinascimentali della metà del Cinquecento, l'unica novità è l'uso della polvere da sparo, provato nel 1625 a Chemnotz e diffusosi abbastanza lentamente), i progressi si concentrarono su due altre fasi dell'attività mineraria,  tecnicamente connesse.

La prima è quella del pompaggio delle acque d'infiltrazione. E' per risolvere questo problema che nacque la macchina a vapore. Le nuove tecniche di prosciugamento apportarono un netto miglioramento nello sfruttamento delle miniere. Nell'industria mineraria la macchina a vapore trovò i suoi primi e larghi sbocchi, e ciò nella misura stessa in cui tale macchina, anche se, agli inizi, poco redditizia in rapporto alle altre fonti di energia, si trovava ad essere il solo mezzo tecnicamente utilizzabile.
La seconda riguardava l'evacuazione dei prodotti e degli scarti. Un'economia apprezzabile era rappresentata dall'utilizzazione dei carrelli su rotaie, sia all'interno delle gallerie che in superficie, per portare il carbone nei luoghi di consumo. Le prime rotaie furono di legno e ciò ne limitava l'impiego all'esterno. La vera rotaia profilata, con una ruota adatta, compare solo verso il 1630. Quando la metallurgia fu in grado di fornire un materiale più durevole, fecero la comparsa le rotaie di ghisa. Queste, segnalate da Jars in Inghilterra verso il 1765, sarebbero state utilizzate a Le Creusot nel 1783. Una mappa della regione di Newcastle, nel 1788, dimostra l'interesse che questa nuova tecnica poteva suscitare abbassando considerevolmente le spese di trasporto dei prodotti al fiume e facendo presagire il decisivo sviluppo dei trasporti del secolo successivo.

 

      
Appaiono chiari a questo punto i profondi collegamenti tra le diverse tecniche.


Verso la fine del XVIII secolo la macchina a vapore è penetrata largamente nell'industria mineraria, ma anche nella siderurgia e nell'industria tessile.  Divenuta il simbolo del nuovo sistema tecnico , si avviava a liberare la produzione da alcune sue servitù, dando la possibilità, sia pur progressiva, di ottenere quantitativi maggiori di energia, riducendo il costo del combustibile, permettendone il trasporto e garantendo nello stesso tempo libertà d'insediamento e concentrazione delle fabbriche.
Il ferro diventa un materiale sempre più utilizzato: per rotaie, macchine tessili e macchine utensili di vario tipo, costruzioni.
Si ha in quest'epoca un cambiamento radicale, di cui peraltro si prenderà davvero coscienza soltanto alcuni decenni dopo.

 

1.3. l'esigenza di formazione tecnica e scientifica

Le principali innovazioni tecniche furono, agli inizi della R.I., opera di artigiani spesso analfabeti; le macchine erano prodotte, riparate, perfezionate all'interno delle stesse fabbriche che le utilizzavano. Via via che i problemi tecnici e quelli legati all'organizzazione della produzione si facevano più complessi, diveniva essenziale l'esigenza di formazione. E' soprattutto nel secolo XIX comunque che il fenomeno tipico dell'era industriale, quello della divisione del lavoro, porta inevitabilmente alla specializzazione sempre più accentuata e quindi alla necessità di una crescente e specifica competenza, frutto di un'adeguata preparazione tecnica e scientifica.
Se alle masse di salariati, che in misura sempre più cospicua vengono trasferiti all'industria manifatturiera o estrattiva dall'agricoltura e dall'artigianato, non è richiesto, per riprendere l'espressione di D'Alembert, altro che la «mano dell'operaio», passivamente impiegata in azioni faticose e ripetitive, è ai quadri tecnici intermedi e superiori che occorre fornire strumenti nuovi per padroneggiare una realtà in così rapido sviluppo.
Il problema si collocava su diversi piani. Era infatti necessario da un lato fondare quello che oggi chiamiamo l'insegnamento primario; oltre a questo andavano ripensate forme di apprendistato adeguate ai settori più industrializzati, sostenute da  nozioni elementari di calcolo, capacità di leggere un disegno, e lo sviluppo di specifiche attitudini mentali.


Ma è ai livelli più alti che le istituzioni formative e di ricerca tradizionali paiono del tutto inadeguate. E' il ruolo stesso delle Università tradizionali e delle Accademie Scientifiche a mutare, perchè di gran lunga maggiore che per il passato diviene l'importanza della scienza e dominante ne diviene l'aspetto utilitario ed applicativo.
Già nel XVIII secolo le Università scozzesi sono all'avanguardia nella battaglia per l'introduzione delle discipline scientifiche e divengono centri attivi di progresso tecnologico e scientifico, ma è nel XIX secolo che il fenomeno diviene generale sia in Inghilterra che nel continente. Uno dei frutti della Rivoluzione Francese fu la creazione, agli inizi del secolo, di un moderno sistema di educazione scientifica, funzionale alle nuove esigenze della società; la Scuola Normale Superiore, la Scuola di Medicina e, più importante di tutte, la Scuola Politecnica di Parigi , furono i modelli di un insegnamento scientifico del tutto nuovo e degli istituti di ricerca del futuro. In Inghilterra  si creano nuove scuole professionali superiori che, più tardi, si trasformeranno in università e cade, anche nelle Università di antica tradizione, la posizione di preconcetta ostilità verso la nuova scienza e si istituiscono nuove facoltà scientifiche. L'inadeguatezza di prestigiose istituzioni come la Royal Society fa sì che vengano fondati nuovi istituti come l'Associazione Britannica per il progresso della Scienza (1830) che diffonde con successo la sua attività in tutto il paese con lo scopo di divulgare la scienza e di promuovere e finanziare ricerche di scienza applicata nell'interesse della nazione.
Sorgono poi, nella seconda metà del secolo, società scientifiche orientate su settori specializzati, dotata ognuna di un proprio periodico; i tecnici cominciano a raccogliersi e a creare proprie istituzioni.


Cade così definitivamente il monopolio sulla scienza detenuto dall'aristocrazia e dalle antiche università e nascono nuove figure professionali, che il XVIII secolo aveva prefigurato. Quali che fossero i sistemi adottati nei vari paesi, l'«ingegnere» moderno rappresentò un fenomeno sociale nuovo, nato dal progresso . Non  più soltanto una sorta di funzionario, addetto al funzionamento della macchina statale o bellica, come per il passato, egli doveva ora conoscere i procedimenti di fabbricazione propri della sua specializzazione quanto il funzionamento delle macchine e le tecniche costruttive degli edifici necessari allo sviluppo della concentrazione produttiva. La formazione (e la carriera) di questi uomini ha i caratteri della flessibilità e della  polivalenza, come richiede la rapidità del progresso delle applicazioni scientifiche.

Dal punto di vista sociale si può dire che la scienza resta comunque per tutto il secolo XIX monopolio di una élite borghese che ha fede nel progresso e in essa vede lo strumento per realizzarlo. Nel solco della tradizione illuministica del Settecento non mancarono iniziative volte al riscatto culturale (e quindi sociale) della nuova classe operaia ; ma esse tuttavia non uscirono mai dai limiti di un generoso e utopistico filantropismo e non si tradussero in alcuna significativa istituzione educativa.

 

           

 

2. LA MACCHINA A VAPORE


E i principi della TERMODINAMICA

 

2.1. introduzione

Da quanto esposto nel capitolo precedente appare chiaro come la rivoluzione industriale avvenuta in Inghilterra nella seconda metà del Settecento ed agli inizi dell'Ottocento sia un fenomeno complesso che ha toccato diversi aspetti della realtà economica e sociale. Anche dal punto di vista puramente tecnico l'evoluzione ha caratterizzato, come abbiamo visto, numerosi settori.
Concentreremo però, qui, la nostra attenzione sullo sviluppo della macchina a vapore perché rappresentativo di un interessante e peculiare percorso di introduzione di una significativa innovazione tecnologica, basato essenzialmente su un accumulo di conoscenze empiriche sviluppatesi progressivamente in un lungo arco di tempo.
La comprensione delle sottostanti ragioni scientifiche avvenne solo in un tempo successivo; le leggi della termodinamica furono scoperte solo parecchi decenni dopo le invenzioni di Watt e la loro diffusa applicazione, anche se la conoscenza di queste stesse leggi consentì poi ulteriori progressi nel campo delle macchine termiche ed il conseguimento di efficienze nettamente più elevate nello sfruttamento dell'energia termica.

 

2.2. la macchina a vapore

La macchina a vapore è una macchina termica: essa produce lavoro meccanico (quale quello necessario per sollevare pesi, estrarre l'acqua da un pozzo, mettere in movimento un carro ecc.) utilizzando parte del calore che spontaneamente passa da un corpo caldo (ad esempio il vapore ottenuto scaldando dell'acqua mediante combustione di legna o carbone) ad uno più freddo (in generale l'ambiente circostante).
Per meglio comprendere il particolare paradigma di sviluppo che ha caratterizzato questa innovazione è forse utile soffermarci prima sulle caratteristiche degli immediati progenitori della macchina di Watt: la macchina di Savery e poi quella di Newcomen.
La prima macchina termica effettivamente funzionante pur se rudimentale fu costruita da Thomas Savery, un ingegnere dell'esercito inglese, nel 1698, con l'obiettivo specifico di risolvere il problema, all'epoca molto pressante, del drenaggio delle acque dalle miniere. Essa era basata sull'effetto di aspirazione del vuoto creato dalla condensazione del vapore mediante raffreddamento del recipiente (vedi Figura 1) e la conseguente possibilità di sollevare acqua, compiendo un lavoro meccanico.



Figura 1 - La macchina di Savery

Tale possibilità era già stata esplorata dal fisico francese Denis Papin intorno al 1690, con la variante di poter sollevare pesi, se una delle pareti del contenitore è un pistone mobile all'esterno del quale agisce la pressione atmosferica (vedi Figura 2).

Figura 2 - La macchina ipotizzata da Papin
E' interessante osservare che gli interessi di Papin erano eminentemente scientifici e possono essere ricondotti al grande interesse nei confronti del vuoto: il barometro di Torricelli risale al 1643, gli esperimenti di Otto von Guericke con gli emisferi di Magdeburgo (due cavalli venivano impiegati nel tentativo di separare due parti di una sfera cava in cui era stato fatto il vuoto) sono del 1654. L'interesse nei confronti del vuoto e del cosiddetto " horror vacui " erano di tipo speculativo più che applicativo; nella sistematizzazione mediante leggi generali di questo interesse è individuabile il substrato scientifico della ricerca, per altro verso prevalentemente empirica, che condusse allo sviluppo delle macchine termiche. Tale sviluppo avvenne, come già segnalato, con decine di anni di anticipo rispetto alla messa a punto della sintesi scientifica oggi nota con il nome di termodinamica.
La macchina di Savery ebbe scarsa fortuna commerciale, anche per la pericolosità dovuta all'alta pressione del vapore, e fu pochi anni dopo (1702) sostituita da quella ideata da Thomas Newcomen, un artigiano inventore e commerciante di ferramenta, caratterizzato da motivazioni assolutamente pratiche ed operante in ambiente distinto dal mondo scientifico, se pur non privo di contatti con esso. Anch'egli concepì la sua macchina per azionare le pompe a stantuffo utilizzate per estrarre l'acqua dalle miniere. L'innovazione di Newcomen (descritta nella Figura 3) consiste sostanzialmente nell'idea di creare il vuoto nel cilindro, precedentemente riempito di vapore acqueo ad alta temperatura, facendo condensare, mediante l'iniezione di acqua fredda, il vapore stesso. Il vuoto così generato risucchia un pistone mobile, sulla cui faccia superiore agisce la pressione atmosferica.

 

La macchina di Newcomen è una macchina ciclica in quanto il suo funzionamento si svolge attraverso una successione di fasi (così come richiesto d'altronde anche dalla pompa a stantuffo nel suo moto alternativo). Queste fasi sono quelle di riempimento del cilindro con vapore caldo proveniente dalla caldaia, raffreddamento e condensazione del vapore, abbassamento del pistone (in questa fase la macchina fornisce lavoro meccanico), evacuazione dell'acqua di condensa. Ad ogni ciclo la macchina preleva sotto forma di vapore caldo una certa quantità di calore dalla caldaia, fornisce lavoro meccanico, cede calore scaricando acqua di condensa, che può essere nuovamente riscaldata per iniziare un nuovo ciclo. Il rendimento di una macchina di questo tipo è dato dal rapporto tra l'energia meccanica fornita ed il calore assorbito (ossia dal combustibile bruciato per ottenere il relativo vapore caldo) ad ogni ciclo. Il calore scaricato ad ogni ciclo insieme all'acqua di condensa (così come quello ceduto all'ambiente dalle pareti calde di cilindro e caldaia) rappresenta invece una parte di energia pagata e non utilizzata. Il rendimento della macchina di Newcomen, anche con i miglioramenti apportati nel 1775 da Smeaton, era estremamente basso (meno del 2%), ma nonostante ciò ebbe grande diffusione: tanta era la "fame d'energia" che nel giro di circa 50 anni ne furono installati circa 150 esemplari nei principali distretti minerari inglesi.

Figura 3 - La macchina di Newcomen

 

2.3. watt

La vera rivoluzione tecnologica avviene con James Watt, il cui merito, se non è quello di aver inventato la prima macchina termica, non è per questo meno significativo, sia sul piano delle conseguenze pratiche e applicative sia su quello della ingegnosità innovativa.
Watt, dopo un iniziale addestramento a Londra come artigiano costruttore di strumenti scientifici, ebbe un incarico come tecnico di laboratorio all'università di Glasgow, dove ebbe occasione di sperimentare con un modello di macchina di Newcomen allo scopo di migliorarne l'efficienza. Nel corso di questa attività iniziata a partire dal 1761, egli pervenne al convincimento che una delle cause del basso rendimento fosse legata alla dispersione di calore provocata dalla immissione del vapore caldo in un cilindro le cui pareti erano state prima raffreddate durante la fase di condensazione. Per evitare questo alternarsi di raffreddamento e riscaldamento delle pareti del cilindro egli pensò di generare il vuoto nel cilindro facendo condensare il vapore in un contenitore separato, il condensatore,  mediante un getto di acqua fredda. Per estrarre il vapore condensato e l'acqua dal condensatore veniva utilizzata una pompa ad aria, che in tal modo ripristinava il vuoto nel condensatore. Con questo sistema il cilindro ed il condensatore potevano essere mantenuti per tutto il tempo rispettivamente ad alta e a bassa temperatura.

Figura 4 - Schema della macchina di Watt

 

Per quanto quest'idea di separare il condensatore dal cilindro possa sembrare solo un piccolo passo nello sviluppo delle macchine a vapore, esso si rivelò in realtà quello decisivo: non dovendo riscaldare ogni volta il cilindro la macchina di Watt riusciva a fare, con lo stesso combustibile, il doppio del lavoro di quella di Newcomen. In un primo brevetto del gennaio 1769 Watt rivendicò questa innovazione congiuntamente all'idea, pure fortemente innovativa, di utilizzare anche la "forza espansiva" del vapore caldo per spingere il pistone. In effetti nelle macchine moderne appunto al vapore ad elevata (ossia maggiore di quella atmosferica) pressione viene attribuito il ruolo di spingere il pistone, anziché far si che questo sia risucchiato dal vuoto creato con la condensazione. Per poter utilizzare il vapore ad alta pressione (e quindi ad alta temperatura) era però necessario disporre di perfezionamenti meccanici che assicurassero anche una buona tenuta dei diversi recipienti e condotti; fu la collaborazione con Wilkinson, proprietario di una fonderia, a fornire la soluzione in una macchina alesatrice in grado di lavorare i metalli con grande precisione e a permettere perciò la realizzazione di cilindri e pistoni metallici a tenuta di vapore, dotati di elevata resistenza meccanica.


Con un successivo brevetto del 1781 Watt introdusse anche l'innovazione di trasformare il moto da alternativo a rotatorio mediante rotismi epicicloidali e meccanismi a parallelogramma del tipo biella-manovella. Questa innovazione risultò determinante al fine di consentire l'utilizzo della macchina in altre applicazioni oltre che in quella di azionamento di pompe alternative, aprendo anche la strada ad un utilizzo della macchina a vapore non limitato a postazioni fisse ma anche su mezzi in movimento. Watt perfezionò ulteriormente la macchina a vapore introducendo (1782) l'uso del vapore in modo complementare dalle due parti del pistone (da un lato vapore in pressione e dall'altro il vuoto e poi viceversa) ed un perfezionamento relativo all'uso del vapore ad alta pressione in fase espansiva . L'introduzione, inoltre, del volano, di valvole azionate automaticamente e del regolatore centrifugo, rese la macchina in grado di mantenere un moto costante pur in presenza di carichi variabili e senza l'intervento di un operatore umano. Si tratta senza dubbio del primo esempio di controllo automatico applicato all'industria.


Watt non limitò il suo campo d'azione a quello dell'invenzione tecnica ma, come sostanziale imprenditore innovatore, si associò con Matthew Boulton per dar luogo ad una impresa produttrice di macchine a vapore, la Boulton and Watt, che operò con successo, producendo, tra il 1780 e il 1800,  centinaia di esemplari della macchina che, divenuta uno dei principali strumenti della Rivoluzione Industriale, veniva impiegata in miniere, tessiture, altiforni e industrie metallurgiche, birrerie, mulini, segherie, per azionare magli, per opere di prosciugamento. La tariffa richiesta era proporzionale alla potenza della macchina e, per i primi esemplari , ci si limitava ad accettare, in pagamento, 1/3 del risparmio ottenuto rispetto al consumo di una macchina di Newcomen o dei cavalli .


Indubbiamente il profilo professionale di Watt corrisponde più a quello di un ingegnere ricercatore, di un tecnologo, che non a quello di uno scienziato attento all'avanzamento generale delle conoscenze o all'indagine sui fenomeni indipendentemente da specifiche applicazioni o di un semplice tecnico desideroso solo di conseguire risultati pratici senza cercare di inquadrare in un corpo di conoscenze generali le particolari soluzioni adottate. Le due principali considerazioni generali che condussero al primo brevetto di Watt, quello del 1769, riguardanti la necessità che il cilindro fosse altrettanto caldo quanto il vapore che veniva introdotto e che per ottenere un buon vuoto fosse necessario che la temperatura del vapore condensato fosse la più bassa possibile, furono formulate a seguito di accurate e metodiche indagini sulle proprietà del vapore (densità e pressione) alle diverse temperature e anche sulla scorta delle ricerche condotte dallo scienziato J.Black sul calore specifico e sul calore latente delle diverse sostanze. Ciò non di meno dobbiamo ricordare che i lavori di Watt (condotti in ambiente universitario) furono svolti in assenza di una teoria scientifica riguardante il calore e le trasformazioni energetiche: non solo non erano noti i principi della termodinamica ma la stessa natura del calore era oscura. Lo scopo dell'attività di Watt era inoltre decisamente applicativo: ottenere macchine che a parità di lavoro prodotto consumassero meno combustibile.
La storia della macchina a vapore non termina naturalmente con Watt: nel corso del XIX secolo fu costantemente innovata e più estesamente applicata (basti pensare alla locomozione) fino all'invenzione (nel 1884) della turbina a vapore, in cui il vapore produce direttamente un moto rotatorio agendo su una ruota a palette, secondo il principio di funzionamento più semplice che si possa immaginare. Oggi più del 75% dell'energia elettrica (nelle centrali termoelettriche e nucleari) è prodotta nel mondo mediante turbine a vapore, che  azionano pure le navi più grandi e veloci.

 

2.4 TECNOLOGIA E SCIENZA

La rivoluzione scientifica del secolo XVII ha segnato, come si è visto, il trionfo della meccanica. La  sintesi operata da Newton fornisce uno strumento potente per la descrizione e lo studio del moto dei corpi, sulla Terra e nell'intero universo.
D'altro canto l'affermarsi del metodo sperimentale ha permesso il diffondersi di un'attitudine allo studio quantitativo dei fenomeni, all'uso di strumenti di misura, alla generalizzazione in leggi empiriche dei dati osservativi, e ciò non soltanto nell'ambito delle scienze fisiche.
Il Settecento, se da un lato segna un consolidamento delle conoscenze teoriche e un fecondo progresso nella raccolta di dati sperimentali in molteplici campi; dall'altro però rappresenta un periodo di crisi profonda per le scienze fisiche, che risultano del tutto estranee  al poderoso incalzare del progresso tecnologico e proprio da esso riceveranno lo stimolo per una profonda rifondazione teorica ed una risistemazione concettuale che troverà il suo compimento e darà i suoi frutti solo nella seconda metà del secolo XIX.


Dal punto di vista sperimentale l'accresciuta abilità tecnica permette notevoli progressi nella costruzione di apparecchi scientifici di misura: bilance di precisione per misure di massa e di densità dei corpi; l'introduzione delle scale termometriche (Fahrenheit, Reaumur, Celsius) grazie alla scoperta della costanza della temperatura nei passaggi di stato; apparecchi per lo studio della termologia come dilatometri e calorimetri; strumenti ottici per il rilevamento topografico, per la navigazione.
Dal punto di vista dell'elaborazione teorica è di grande rilevanza la generalizzazione matematica dei principi fondamentali della meccanica, ad opera di Leibniz e di altri insigni matematici del tempo, da Eulero a D'Alembert, a Laplace , a Lagrange, che divenne lo strumento indispensabile per la risoluzione dei più complessi problemi sorti, nell'Ottocento, nei nuovi settori della fisica, in particolare in quelli dell'elettromagnetismo e della termodinamica.


Ma i nuovi campi di fenomeni di cui la tecnica andava scoprendo, per motivazioni assolutamente pratiche ed economiche, l'enorme importanza, e in primo luogo quelli relativi agli scambi tra calore e lavoro, fanno risaltare l'inadeguatezza del quadro teorico della fisica del tempo: non esistono teorie generali soddisfacenti in grado di descrivere ed interpretare i nuovi dati sperimentali e sono proprio i rapidi e sorprendenti progressi della tecnica a far sì che si delineino e si affermino nuove categorie scientifiche incentrate sui concetti di lavoro, energia, calore e temperatura.
Un vero e proprio studio scientifico delle trasformazioni del calore in lavoro si svilupperà solo nell'Ottocento, stabilendo un ponte tra due campi fino ad allora disgiunti -la meccanica e la termologia- e sarà in gran parte determinato proprio dai progressi delle macchine a vapore, non viceversa. Per dirla con L.J.Henderson: "...la macchina a vapore fece per la scienza più di quanto la scienza non abbia potuto fare per essa".


Solo verso la metà del XIX secolo si faranno strutturali e permanenti i rapporti tra sviluppo tecnologico e progresso scientifico.

 

2.5. i principi della termodinamica

La teoria del calorico parve, fino ai primi decenni dell'Ottocento, la più adeguata per descrivere il funzionamento di una macchina a vapore. Secondo questo modello interpretativo del calore esso sarebbe un fluido, privo di peso e indistruttibile (il calorico si conserva !), diffuso entro ogni corpo con densità maggiore o minore a seconda della temperatura, che fluisce sempre spontaneamente dai corpi caldi a quelli freddi descrivendo bene la tendenza all'equilibrio termico di due corpi posti a contatto. Come la ruota di un mulino esegue lavoro meccanico sfruttando la caduta dell'acqua, così il flusso di calore dal vapore caldo all'ambiente avrebbe azionato la macchina. In realtà mancavano misure accurate delle quantità di calore scambiate : si sarebbe visto che il calore ceduto all'ambiente è sempre minore di quellofornito dalla combustione, così come l'acqua del mulino, che possiede energia cinetica, ne perde un po' per compiere il lavoro necessario ad azionare la ruota ed i meccanismi ad essa collegati. Il calore, infatti, non si conserva!

 

2.5.1. Equivalenza tra calore e lavoro

 

Fin dalla metà del Settecento numerose furono le osservazioni empiriche eseguite da diversi studiosi guidati dall'intuizione che il calorico non sia dato una volta per tutte ai  corpi, che si limitano a scambiarselo, ma che piuttosto, potendo essere illimitatamente prodotto con un'azione meccanica, si debba considerare una forma di energia.
Fu però solo con gli accurati e ripetuti esperimenti  eseguiti intorno al 1840 da James Prescott Joule (da cui prende il nome l'unità di misura dell'energia nel S.I.) che questa ipotesi ebbe una definitiva conferma quantitativa. L'esperimento più famoso fu eseguito con un apparato in cui un peso, scendendo lentamente, faceva ruotare un mulinello immerso in un recipiente isolato termicamente (calorimetro) pieno d'acqua. A causa dell'attrito tra le palette e il liquido, il mulinello compiva un lavoro che si traduceva in un aumento della temperatura dell'acqua. Conoscendo l'altezza h da cui cadeva il peso di massa m, si poteva calcolare il lavoro compiuto L=mgh  (corrispondente alla diminuzione di energia potenziale); inoltre il prodotto della massa ma dell'acqua per il corrispondente aumento T di temperatura forniva la misura del calore ceduto all'acqua , Q= maT, secondo la ben nota relazione della calorimetria. L e Q risultavano essere sempre rigorosamente proporzionali, evidenziando come la comparsa di una data quantità di calore fosse sempre accompagnata dalla scomparsa di un'equivalente quantità di energia meccanica. I risultati di Joule equivalgono a dire che il calore è una forma di energia e che, con le unità di misura di oggi ,  
1 kcal = 4184 Joule        

 

2.5.2. Il primo principio della termodinamica

La nuova interpretazione del calore rimosse dalla fisica definitivamente il modello  del calorico e aprì la strada ad una definitiva affermazione della legge generale di conservazione dell'energia. Tra il 1832 e 1854 almeno una decina di scienziati ( Mayer, Joule, Von Helmholtz, Clausius,...) giunsero per vie diverse, e con differente grado di chiarezza terminologica e concettuale, a formulare indipendentemente la sostanza di tale legge. In particolare R.Clausius dimostrò, nel 1850, che la costanza del rapporto tra calore e lavoro è verificata solo se il processo è ciclico, tale cioè che il sistema in esame ritorni alle condizioni iniziali. Se ciclico non è, allora la differenza tra il lavoro e l'equivalente termico del calore non è nulla: a colmare tale differenza Clausius introdusse l'energia interna, ponendo così definitivamente in forma matematica precisa il primo principio della termodinamica.

               
Figura 1 - Schema che illustra il primo principio della termodinamica

I corpi (o, come spesso si preferisce dire ampliando il concetto a insiemi di corpi, i sistemi) possiedono energia (variabile di stato del sistema) sotto diverse forme (meccanica, termica, elettrica, chimica, ecc.), la cui quantità totale non è facilmente misurabile e dipende dal sistema di riferimento, ma possono scambiare energia secondo due sole diverse modalità:
w calore, che fluisce in virtù di differenze di temperatura;
w lavoro meccanico, quando sotto l'azione di una forza ha luogo uno spostamento.
Ciò che si misura è proprio l'energia in trasferimento (variabile di processo) tra due sistemi e la somma del calore e del lavoro scambiati da un sistema è uguale alla variazione di energia del sistema.
Si noti, nello schema in figura , il segno attribuito al lavoro e al calore: il lavoro è positivo se compiuto dal sistema sull'esterno, negativo nel caso opposto. Viceversa per il calore.
Così, esemplificando con alcuni casi particolarmente notevoli, in base al primo principio si può dire che:
se il sistema è isolato, nessuno scambio energetico è possibile, L=Q=0, allora U=0, cioè l'energia del sistema è costante;
se il sistema esegue una trasformazione adiabatica, cioè se Q=0, allora esso compie lavoro diminuendo la sua energia interna (o aumentandola se subisce un lavoro) , della quantità U = -L ;
se il sistema esegue una trasformazione ciclica, cioè se U=0, allora il lavoro compiuto (o subito) durante il ciclo è pari al calore assorbito  (o ceduto).
La legge di conservazione dell'energia permette di definire esattamente il concetto di rendimento di una macchina (o di qualsiasi dispositivo che trasformi energia da una forma all'altra) come rapporto tra l'energia utile fornita in uscita dalla macchina e quella totale di ingresso, spesa per azionarla :
 
Il rendimento non può ovviamente superare l'unità perchè la macchina creerebbe energia dal nulla. La differenza Etotale - Eutile rappresenta l'energia 'perduta' ai fini dell'utilizzazione; essa sarebbe nulla (=1) se non ci fossero resistenze, attriti o dissipazioni di alcun genere (caso ideale).
Il primo principio della Termodimamica non pone alcun limite alla trasformazione di energia da una forma all'altra; sembrerebbe dunque che, con il progresso tecnologico, e quindi con i miglioramenti costruttivi  e l'uso di adeguati materiali, l'uomo possa migliorare senza limite le prestazioni delle macchine aumentandone il rendimento fino a valori prossimi quanto si vuole ad 1. Se ciò è vero per molte specie di macchine, non lo è invece per le macchine termiche, che sono d'altronde essenziali per la sopravvivenza stessa del nostro mondo industrializzato in cui gran parte dell'energia elettrica e di quella cinetica per la locomozione è prodotta con esse (turbine a vapore nelle centrali termoelettriche e nucleari, motori a scoppio e diesel per i mezzi di trasporto, motori a reazione per mezzi aerei e spaziali). Esiste infatti in natura un limite severo alla trasformazione di energia termica in energia meccanica di cui tratta in modo del tutto generale il II° Principio della Termodinamica che, sebbene sia stato formulato in maniera compiuta da W.Thomson (noto come Lord Kelvin)  e da R.Clausius solo negli anni 1850-60, era già stato sostanzialmente espresso dal giovane ingegnere francese Sadi Carnot nella sua opera "Riflessioni sulla potenza motrice del fuoco" del 1824.

 

2.5.3. Il secondo principio della termodinamica

Ogni processo spontaneo che avviene in natura corrisponde al passaggio da una posizione di disequilibrio a una situazione di equilibrio. Un sistema evolve dunque naturalmente non in verso arbitrario ma passando da situazioni di disomogeneità (ad esempio differenze di pressione,  di temperatura, di densità tra le varie parti  del  sistema) a uno stato di uniformità, dal quale non può più spontaneamente tornare indietro; in modo, cioè,  irreversibile.
Di questa natura sono, ad esempio, tutti i processi in cui interviene l'attrito, l'espansione libera di un gas, lo scambio termico, la combustione, la diffusione per mescolamento di due fluidi di diversa composizione o pressione o temperatura. Dato che nessun processo in natura è completamente esente da tali aspetti, tutti i processi reali sono in qualche misura irreversibili.
In particolare proprio il fenomeno che è alla base del funzionamento delle macchine termiche, cioè il passaggio di calore da un corpo caldo ad uno freddo, comporta inevitabilmente la cessione all'ambiente (e l'impossibilità di trasformarla in forme utili) di una parte più o meno rilevante dell'energia termica disponibile .
Mentre è sempre possibile eseguire un ciclo termodinamico il cui solo risultato sia la conversione completa di lavoro in calore, è invece
impossibile realizzare una trasformazione che abbia  come solo effetto quello di sottrarre calore ad una sorgente (termostato) calda e compiere una quantità equivalente di lavoro meccanico (Lord Kelvin);
o, equivalentemente :
è impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di far passare una data quantità di calore da un corpo ad un altro a temperatura più alta (Clausius).
La figura seguente schematizza graficamente l'impossibilità sancita dai due enunciati del secondo principio della termodinamica.

Figura 2 - Schema che illustra il secondo principio della termodinamica

Ciò significa, riferendoci ad esempio alla macchina a vapore, che, per far funzionare la macchina in modo ciclico e continuativo, è inevitabile cedere calore a bassa temperatura per fare condensare il vapore.
In Figura 3 è mostrato schematicamente il bilancio energetico di una macchina termica.


Figura 3 - Schema del bilancio energetico di una macchina termica

Poiché la macchina opera ciclicamente, al termine di ciascun ciclo l'energia interna del sistema è pari a quella iniziale e quindi, per il primo principio, il lavoro L è pari a Q2-Q1, la differenza tra calore assorbito e calore ceduto. Il rendimento della macchina (il cui scopo è evidentemente quello di produrre lavoro meccanico) è dato dal rapporto tra il lavoro prodotto e l'energia prelevata dalla sorgente ad alta temperatura (Q2). Quest'ultima rappresenta infatti l'energia richiesta per far funzionare la macchina: la parte di essa (Q1) che dovrà (per il II principio della termodinamica) essere ceduta nuovamente all'ambiente più freddo, è energia non utilizzata. In formule, il rendimento è:


Con riferimento alla macchina a vapore di Watt possiamo individuare i seguenti termini:
w   il sistema è costituito dalle parti meccaniche (cilindro, pistone, condensatore, ecc.) della macchina e dal fluido (acqua che viene trasformata in vapore, immessa nel cilindro, raffreddata e ricondensata per ricominciare il ciclo).
w   il termostato caldo è rappresentato dalla sorgente di calore che scalda l'acqua (caldaia). Idealmente la temperatura del vapore caldo è quella di questo termostato.
w il termostato freddo è rappresentato dalla sorgente fredda che fa ricondensare il vapore, idealmente la temperatura dell'acqua e del vapore condensato è quella di questo termostato.
Valutazione dell'esatto contenuto energetico del vapore, calcoli di rendimenti teorici e reali non furono certo preoccupazioni di Watt e dei costruttori delle prime macchine a vapore. Efficienza tecnica ed utilità economica interessavano di più degli aspetti scientifici.
Sadi Carnot affrontò invece il problema in maniera del tutto generale, prescindendo dagli aspetti tecnici, e considerando il caso ideale di un motore termico che esegua un ciclo composto da trasformazioni quasistatiche reversibili.
Si tratta di un modello teorico di motore termico 'perfetto', in cui ogni forma di resistenza ed attrito è annullata e la dissipazione di energia è la minima possibile.
Carnot dimostrò che il rendimento di una macchina termica ciclica ideale che operi tra un termostato caldo a temperatura T2 ed uno freddo a temperatura T1 è funzione solo di tali temperature :

confermando così l'intuizione di Watt secondo cui per ottenere rendimenti elevati era necessario che il vapore caldo entrante nel cilindro fosse alla temperatura più alta possibile e che la temperatura di condensazione fosse la più bassa possibile.
Per una macchina termica reale il rendimento non potrà mai superare quello della corrispondente macchina reversibile ideale che scambi calore unicamente con due termostati  :

La tabella in figura 4 permette di valutare quantitavivamente, sulla base dei dati puramente indicativi che contiene, da un lato il notevole miglioramento nelle prestazioni delle macchine termiche che il progresso tecnologico ha consentito, dall'altro la consistenza del limite che le leggi naturali impongono alla trasformazione dell'energia termica in energia meccanica.

 

Talta (°C)

Tbassa (°C)

h reale(%)

h Carnot(%)

Motore di Newcomen

100

20

0,5

21

Motore di Watt

100

20

2 - 4

21

Turbine a vapore reali

540

40

40

62

Ciclo Otto ideale a benzina

1600

20

58

84

Motori a benzina reali

1600

20

30

84

Centrale a combustibile fossile

380

40

40

52

Reattore nucleare BoilingWater

285

40

34

44

Reattore nucleare Pressur.Water

315

40

34

47

 

Fig.4 - Temperature di lavoro e rendimenti tipici di macchine termiche

 

2.6. glossario

In questo paragrafo è illustrato brevemente il significato di alcuni dei termini usati nel testo e particolarmente rilevanti in termodinamica.

Sistema

E' un corpo, o un insieme di corpi che scegliamo di considerare come un tutto unico, limitato da confini (pareti) che possono muoversi, ma attraverso i quali la materia non può passare.

Ambiente

Mezzo circostante al sistema o corpo in esame. Spesso si considera come ambiente esterno di riferimento l'atmosfera terrestre.

Sistema isolato

Un sistema è isolato quando non può interagire con l'ambiente e, in particolare, con altri sistemi. In questo senso è un'idealizzazione cui i sistemi reali possono avvicinarsi con grado diverso di approssimazione.

Interazioni

Una interazione tra sistemi termodinamici consiste in un trasferimento di energia che può avvenire attraverso scambio di lavoro, di calore o di entrambi.

Adiabatica

Si dice di una parete (ideale) attraverso la quale due corpi non possono mettersi in equilibrio termico. In realtà non si riesce a mantenere a lungo una differenza di temperatura. Una buona approssimazione di parete adiabatica è quella di un 'thermos'.
Si dice anche di una trasformazione che implica solo lavoro, senza scambio di calore.

Stato

Lo stato di un sistema termodinamico è definito, in ogni istante, da un insieme limitato di valori di grandezze macroscopiche, direttamente misurabili e dipendenti fra loro, dette variabili di stato. Nel caso di una determinata quantità di fluido omogeneo chimicamente definito esse sono: la pressione (P), il volume (V) e la temperatura (T) che, se il fluido è un gas perfetto, sono legate dalla nota equazione : PV=nRT (n è il numero di moli, R una costante universale). Note due sole di queste grandezze, lo stato del sistema è univocamente individuato. In un diagramma (V,P) (piano di Clapeyron) ogni punto rappresenta uno stato. Anche l'energia interna è una variabile di stato.

 Stato di equilibrio

E' quello stato che resta inalterato se non cambiano le condizioni esterne. Così, per esempio, un gas chiuso in un recipiente di volume costante è in equilibrio quando la pressione è costante in ogni punto e la sua temperatura eguaglia quella del recipiente.

Trasformazione

E' il passaggio di un sistema da uno stato (iniziale) ad un altro (finale) attraverso una successione continua di stati intermedi. Una trasformazione si dice reversibile quando gli stati attraverso i quali passa il sistema durante la trasformazione differiscono per quantità infinitesime da stati di equilibrio. Per realizzare in pratica una trasformazione reversibile bisogna alterare le condizioni esterne in modo così lento che il sistema abbia tempo di adeguarsi gradualmente alle nuove condizioni alle quali viene via via assogettato. Si parla allora di trasformazioni quasistatiche. Ogni trasformazione è rappresentabile come una curva sul piano (V,P). Il lavoro ed il calore scambiati dal sistema nel passaggio da uno stato all'altro dipendono dalla particolare trasformazione seguita (sono variabili di processo)

Trasformazione ciclica

E' una trasformazione in cui lo stato iniziale e quello finale coincidono. La sua traccia sul piano (V,P) è una linea chiusa.

Macchina

Ogni dispositivo o sistema che effettui una trasformazione energetica. Gli esempi vanno dalla lampadina al motore a scoppio, alla centrale nucleare ecc.

Macchina termica

E' una macchina in grado di compiere lavoro a spese del calore scambiato con più sorgenti di calore facendo eseguire ciclicamente nel tempo una sequenza di trasformazioni a un dato sistema termodinamico.

Termostato

Dispositivo ideale in grado di scambiare calore con altri sistemi senza alterare la sua temperatura. Nella realtà tale comportamento è ben approssimato da un corpo avente capacità termica, e quindi massa, molto  elevata.

 

2.7. CONCLUSIONI

La macchina a vapore ha dunque un significato esemplare nella storia dell'innovazione tecnologica. Possiamo così sintetizzarne le caratteristiche essenziali:
w   uno sviluppo tecnico, cui fecero seguito una ricerca ed uno sviluppo tecnologico, condotti attraverso continui perfezionamenti e miglioramenti ottenuti in un lungo arco di tempo;
w   pur se è possibile individuare alcuni contributi iniziali dovuti a teorie scientifiche, il maggior impulso venne da indagini empiriche mosse da interessi economici;
w   lo sviluppo tecnologico precedette la sistematizzazione scientifica ed anzi la motivò;
w   il profilo culturale delle persone che diedero i maggiori contributi è quello di artigiani (Newcomen) nella fase tecnica iniziale e di ingegneri operanti in ambiente culturale più evoluto (Watt) nella fase tecnologica, di scienziati nella fase di generalizzazione e formalizzazione teorica delle conoscenze raggiunte.

Non è questo certamente l'unico paradigma di sviluppo di innovazione tecnologica. Vedremo che lo sviluppo dell'industria elettrica, che ebbe luogo nella fase finale della rivoluzione industriale, seguirà strade abbastanza diverse. In questo caso infatti, le conoscenze scientifiche riguardo all'elettromagnetismo anticiparono le applicazioni industriali di almeno vent'anni.
E' da questo momento tuttavia che si manifesta il maggiore e più significativo cambiamento nel campo scientifico: la trasformazione da elegante e raffinato esercizio culturale riservato a pochi eletti, generalmente ricchi, ad attività istituzionalizzata e ben organizzata, profondamente legata al mondo produttivo e al progresso tecnologico di cui diviene un fattore essenziale.

 


Il termine fu usato da Engels nel 1844 e consacrato nell'uso dallo storico A.Toynbee.

Si suole fissare l'inizio della R.I. verso il 1780, anno in cui il tasso d'incremento della produzione inglese supera per la prima volta il 2%, gli indici dei prezzi ed il costo della vita registrano bruschi rialzi.

L'importazione di cotone passa da 1,5 milioni di libbre del 1730 ai 35 milioni del 1792; la produttività cresce vertiginosamente : dalle 2000 ore necessarie per la filatura di 100 libbre di cotone nel 1779 (primi modelli di filatoi e telai azionati ad energia idraulica) si scende alle 135 del 1825 (telai automatici, azionati a vapore).

Si calcola che per il fabbisogno industriale siderurgico dell'intero paese nel 1850 sarebbe occorso tutto il legname ricavabile da una foresta estesa quanto il doppio del territorio nazionale.

A Le Creusot, in Francia, sorse nel 1782 il primo grande stabilimento moderno per la metallurgia del ferro, da cui prese le mosse l'industria dell'acciaio francese, ma anche quella tedesca.

In Inghilterra, e ciò costituì certo la forza di questo paese, nella prima fase del processo di industrializzazione alcune imprese furono vivai di ingegneri: citiamo al riguardo l'impresa fondata da quel tecnico di genio che fu Maudslay. La «Maudslay Nursery», come la chiama molto giustamente un autore contemporaneo, ben rappresenta il tipo della fabbrica inglese in cui si realizza il progresso tecnico. In Inghilterra, invenzione e innovazione avvengono appunto in seno all'impresa, mentre spesso non è così sul continente che sconta anche in questo campo un notevole ritardo.

Tipiche in proposito, in Inghilterra, in Francia e in Germania, alcune associazioni private destinate a fornire alle classi lavoratrici quegli elementi di calcolo e di disegno che potevano essere loro utili e che talvolta ebbero un notevole successo, al punto che in Francia, alla vigilia della rivoluzione del 1848, questi «corsi serali» contavano più di centomila uditori.

Tipicamente la macchina di Newcomen permetteva 12 corse al minuto e circa 45 litri d'acqua sollevati ogni volta ad 'un'altezza media di 46 metri, contro le 2 o 3 corse al minuto e una capacità di sollevamento di pochi litri d'acqua per 25 metri ogni corsa di quella di Savery.

Nei nuovi modelli via via prodotti dalla società Boulton & Watt, la valvola per l'immissione del vapore nel cilindro veniva chiusa prima che il pistone fosse giunto a fine corsa, lasciando all'espansione del vapore il compito di completarla.

Il più noto è Benjamin Thompson che, sovrintendendo alle operazioni di alesatura dei cannoni, notò che l'acqua usata per il raffreddamento del metallo doveva continuamente essere rifornita, evaporando per la grande quantità di calore prodotta, che valutò all'incirca proporzionale al lavoro compiuto dall'utensile.

La chilocaloria (kcal) è l'unità di misura storica del calore, oggi ancora in uso nel sistema pratico di misura. Essa è definita come la quantità di calore necessaria ad elevare di 1 °C la temperatura di 1 kg di acqua.  Il Joule (J) è l'unità di misura dell'energia nel Sistema Internazionale (S.I.), definita come il lavoro prodotto dall'applicazione della forza di 1N per la distanza di 1 m. 
[ 1 Newton (N) = 1/9.8 kgpeso]

E' facile dimostrare che i due enunciati si implicano a vicenda.

Nella formula le temperature vanno espresse in gradi Kelvin (K), si tratta cioè di temperature assolute.
Esse sono legate alle temperature Celsius (°C) dalla relazione:  T(K) = T(°C) + 273

 

Fonte: http://www.liceocrespi.it/materialididattici/rivolindustr.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

 

LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

 

Che cosa succede in Inghilterra tra il 1500 e il 1600?

Tra il 1500 e il 1600, i contadini coltivano più frutta e verdura. Così aumenta (= diventa più grande) la produzione agricola.
La produzione agricola aumenta perché:

  • gli uomini coltivano più terre.
  • gli uomini migliorano il modo di coltivare; ad esempio loro coltivano un anno frumento e l’anno dopo patate, così la terra non diventa povera.
  • gli uomini coltivano nuovi prodotti, come il mais e la patata.

Le persone producono (= fanno) anche più oggetti. Le persone che fanno questi oggetti sono gli artigiani. Loro lavorano nelle loro botteghe (= piccoli negozi) con semplici strumenti e con le materie prime.

 

Strumenti: cose che usiamo per lavorare. Si chiamano anche attrezzi.

 

Materie prime: materiali che servono per fare oggetti (lana, cotone, ferro,…) o per far funzionare le macchine (carbone, petrolio, …).

 

Una donna lavora la stoffa.

 

Come è la vita in campagna?
In campagna ci sono:

  • I contadini poveri. Loro coltivano dei piccoli pezzi di terra. Per pascolare (= dare l’erba da mangiare) gli animali e tagliare la legna, loro usano le terre comuni dei villaggi. Le terre comuni sono di tutti.
  • I grandi proprietari terrieri. Loro hanno molta terra tutta per loro. Loro fanno lavorare i contadini sulle loro terre.

Nel 1700 i proprietari hanno comprato tutte le terre, così non ci sono più le terre comuni.
I contadini poveri non hanno più le terre per pascolare gli animali e per tagliare la legna, così loro devono vendere anche i loro piccoli terreni. Quindi loro vanno a lavorare in campagna per i grandi proprietari, oppure vanno nelle città a lavorare come operai (cioè a lavorare nelle fabbriche).

Che cosa succede in Inghilterra nel 1700?

Nel 1700 in Inghilterra le cose cambiano molto. L’agricoltura cambia. La popolazione aumenta (=ci sono più persone). Tutte queste persone vogliono più oggetti, ad esempio più tessuti.

Tessuto: un pezzo di lana o cotone che noi usiamo per fare un vestito.

  

 


All’inizio, gli artigiani che lavorano i tessuti hanno macchine molto semplici. Queste macchine si chiamano telai. Le loro macchine funzionano con la forza delle braccia, dell’acqua o del vento, e servono per fare vestiti con la lana e il cotone. Questi artigiani cercano un modo per migliorare le loro macchine, così loro possono produrre (= fare) tessuti migliori e in poco tempo.
Così gli artigiani e gli scienziati (= uomini che studiano e fanno ricerche) fanno delle invenzioni: loro costruiscono cose nuove e utili per lavorare meglio.

Rivoluzione: quando le cose cambiano all’improvviso

 
Così, nel 1700, in Inghilterra il modo di lavorare cambia. Questo cambiamento si chiama rivoluzione industriale.

Industria: fabbrica.

  

 

 


 

Il telaio nella fotografia è molto grande e molto veloce. Da solo fa il lavoro di dieci persone. Per farlo funzionare serve molta forza. Dove possiamo trovare questa forza?

Pensa a una pentola piena d’acqua bollente (= molto calda). Il vapore spinge il coperchio verso l’alto. Se noi teniamo fermo il coperchio, il vapore produce una forza grandissima dentro la pentola.
Gli inglesi usano l’energia (= la forza) del vapore per far lavorare le macchine.

L’invenzione più importante è la macchina a vapore. L’inglese James Watt inventa questa macchina nel 1775. Questa macchina usa l’energia, cioè la forza, prodotta dal vapore. Gli inglesi usano la forza del vapore per far lavorare le macchine, ad esempio i telai. Loro usano questa forza anche per estrarre (= tirare fuori) minerali dalle miniere. Loro usano questa forza anche per i trasporti: loro inventano il battello a vapore, cioè una nave che va con il vapore dell’acqua.

 

Miniera: un posto sotto la terra dove noi scaviamo per trovare carbone, oro, argento.

  

 

 

 

 


Prima l’uomo usa:

la forza del vento

 

la sua forza o quella degli animali

 

 

 

la forza dell’acqua

 

 

 

la macchina a vapore nelle industrie, nelle miniere e nei trasporti

 
Poi l’uomo usa:            

 

Ma loro non possono usare macchine di legno: le macchine devono essere di metallo, così non bruciano.
Per avere il vapore, loro devono bruciare il carbone.
Quindi servono nuove macchine, metalli e carbone.

Miniera di carbone

 

Perché la rivoluzione industriale nasce in Inghilterra?

L’Inghilterra ha:

  • molte miniere, cioè posti dove ci sono ferro e carbone;
  • persone ricche che hanno i soldi per comprare le macchine e per pagare gli operai;
  • lana e cotone. L’Inghilterra ha molta lana perché in Inghilterra ci sono tante pecore. L’Inghilterra ha anche il cotone perché lei ha tante colonie dove cresce la pianta del cotone;
  • banche e mercanti (= persone che vendono gli oggetti).

 

Colonia: un paese lontano che uno Stato conquista (= va con i soldati) per prendere materie prime.

  

 

 


Così, in Inghilterra, alla fine del 1700, alcuni imprenditori, cioè persone ricche che hanno molti soldi, costruiscono le industrie.
Loro comprano le macchine e mettono queste macchine in grandi fabbriche nelle città più importanti. Loro comprano le materie prime. Loro comprano il carbone per produrre l’energia a vapore. Loro pagano i salari degli operai che lavorano alle macchine.

 

Chi sono gli operai?
Gli operai sono persone che lavorano nelle fabbriche.
Gli operai sono:

  • i contadini poveri che non hanno più la terra. Loro devono lavorare nelle fabbriche per dare da mangiare alla loro famiglia;
  • gli artigiani. Loro hanno poco lavoro perché le cose che loro fanno costano troppi soldi, così nessuno le compra. Nelle fabbriche le macchine lavorano giorno e notte, senza fermarsi mai. Queste macchine molto veloci possono fare in poco tempo tanti oggetti, tutti uguali, che costano poco. Gli artigiani fanno degli oggetti sicuramente molto più belli ma più costosi, perché lavorano più lentamente. Poche persone comprano ancora i prodotti fatti dagli artigiani. Così molti artigiani lasciano la loro bottega e vanno a lavorare in fabbrica.

Come cambiano le città?
Con la rivoluzione industriale, le città cambiano.
Molti contadini abbandonano (= lasciano) la campagna e vanno in città a lavorare nelle fabbriche. Così loro costruiscono nuove case. Le case degli operai sono nella campagna intorno alla città.  Così le città diventano sempre più grandi.

Nelle città  ci sono i quartieri dei ricchi e i quartieri degli  operai.
I quartieri dei ricchi: Nei quartieri dei ricchi ci sono banche, negozi molto belli, parchi e giardini. I ricchi hanno delle belle case.  Le case dei ricchi hanno tante stanze: una grande sala, la cucina, le camere da letto e il bagno. Le case dei ricchi hanno la luce a gas e l’acqua.
I quartieri degli operai: I quartieri degli operai sono vicino alle fabbriche. Le case degli operai sono  piccole e tutte uguali. Nei quartieri degli operai, le persone vivono male :

Quartiere: la parte di una città.

 
l’aria è sporca perché il fumo nero esce dalle fabbriche.
  • non c’è la luce
  • non c’è il riscaldamento
  • non c’è il bagno
  • non c’è l’acqua
  • non ci sono le fogne
  • molte persone  vivono in una sola stanza

Così molte persone si ammalano o muoiono. Anche molti bambini si ammalano e muoiono.
In campagna le persone possono avere un orto e gli animali. In città loro devono comprare il cibo, che costa molto.
In campagna i contadini possono fare da soli i vestiti e le scarpe. In città loro devono avere i soldi per comprare le cose che loro fanno nelle fabbriche.
In città ci sono molte malattie contagiose, perché c’è tanto sporco e le persone vivono strette e vicine.
Spesso gli uomini non sanno cosa fare nel tempo libero, allora bevono alcool nei bar. Così ci sono molte risse (= loro si picchiano).

 

Come è il lavoro degli operai?
Gli operai lavorano in fabbrica o in miniera.
La vita dell’operaio è molto difficile. Le macchine non si fermano mai, quindi gli operai devono lavorare anche quindici ore al giorno. Le fabbriche aprono la mattina alle 5 e chiudono la sera alle 20. Loro hanno 30 minuti per il pranzo e 30 minuti per la cena. Il loro salario è basso.
Lavorano anche le donne e i bambini. Loro lavorano per le stesse ore degli uomini, ma il loro salario è più basso. Ci sono delle guardie che controllano e fanno multe se gli operai lavorano piano. Per gli operai è facile perdere il lavoro, ad esempio se si ammalano o se si fanno male. Loro non possono protestare, perché  molti altri operai sono pronti a prendere il loro posto, perché sono poveri, hanno fame e hanno bisogno di lavorare.

Salario: i soldi che un operaio prende per il suo lavoro.

 
Il lavoro nelle miniere è ancora più difficile. Sono posti molto pericolosi per la vita e la salute delle persone. Soprattutto i bambini si ammalano spesso.

 

Come sono le famiglie degli operai?
Nel 1800 le famiglie cambiano molto.
Prima dell’Ottocento le famiglie sono molto grandi: ci sono i nonni, i figli con le mogli e le figlie con i mariti, poi ci sono tanti nipoti.
Dall’Ottocento in poi la famiglia diventa più piccola: ci sono solo il marito, la moglie e i figli. Il marito lavora fuori casa e quando non lavora sta a casa con la sua famiglia. Se i figli sono piccoli, la moglie lavora in casa e sta con i figli. Se i figli sono abbastanza grandi, anche loro lavorano.

 

Come è la società nel 1800?
Nella società industrializzata ci sono 2 classi sociali, cioè due gruppi di persone:
1. gli operai, cioè persone che lavorano nelle fabbriche. Gli operai formano una nuova classe sociale: il proletariato. La parola proletariato viene dalla parola “prole”, che vuol dire “figli”. Queste persone sono molto povere. Loro hanno solo una cosa: i loro figli. Per questo queste persone si chiamano “proletari”. Tanti proletari insieme formano il “proletariato”.
2. gli imprenditori, cioè persone che usano i soldi per costruire nuove fabbriche. I “soldi” si chiamano anche “capitali”, per questo gli imprenditori si chiamano anche capitalisti, perché hanno i capitali, cioè i soldi. Gli imprenditori formano la classe sociale della borghesia.

 

 

Che cosa sono i sindacati?
I proletari cercano di migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro. Così nascono i sindacati. I sindacati sono associazioni (= gruppi di persone) che vogliono migliorare le condizioni di lavoro di tutto il proletariato.

  • I primi sindacati nascono in Inghilterra.
  • I sindacati chiedono orari di lavoro più corti e condizioni di lavoro migliori. Per esempio, loro vogliono  più sicurezza sul lavoro (= lavori più sicuri) e un salario giusto.
  • I sindacati chiedono anche di avere il diritto a fare sciopero. Fare sciopero vuol dire non lavorare per chiedere condizioni di lavoro migliori. Nel 1800, in Inghilterra, se un lavoratore faceva sciopero poteva perdere il lavoro o andare in prigione.

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