Sviluppo durante e dopo la rivoluzione industriale

 


 

Sviluppo durante e dopo la rivoluzione industriale

 

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Sviluppo durante e dopo la rivoluzione industriale

 

LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

 

Gli storici, come sappiamo, parlano di "rivoluzione" non solo a proposito di eventi politici, ma anche economici, sociali, culturali. In tutti questi campi, il termine indica il verificarsi di trasformazioni relativamente rapide, ma soprattutto profonde e irreversibili, nella vita dell'uomo. Parlando di rivoluzione industriale si intende l'insieme dei mutamenti di carattere economico e sociale avvenuti in Inghilterra nei decenni a cavallo fra il Settecento e l'Ottocento e che si diffusero suc­cessivamente nel resto d'Europa e negli Stati Uniti.
Secondo lo storico Eric John Hobsbawm, «il segno decisivo della rivoluzione industriale è l'improvvisa e decisa svolta verso l'alto di ogni curva degli indici economici; il fatto che dopo di ciò lo sviluppo continua con un ritmo nuovo e senza precedenti». Ci troviamo perciò di fronte, soprattutto a partire dal 1780, non a una crescita isolata e circoscritta nel tempo, quale l'economia europea aveva conosciuto altre volte, ma a un momento di decollo (take off )che avviò un processo cumulativo di crescita.
Aggiunge un altro storico, David S. Landes, che tre principali innovazioni caratterizzarono la rivoluzione industriale inglese: «La sostituzione delle macchine - rapide, regolari; precise, infaticabili - all'abilità e fatica umane; la sostituzione di fonti inanimate di energia a quelle animali, in particolare l'introduzione di macchine per la conversione del calore in lavoro; l'uso di nuove e assai più abbondanti materie prime».
Si trattò dunque di una crescita quantitativa accompagnata da una trasformazione qualitativa, che si basò sull'introduzione di nuovi fattori di produzione e su un nuovo modo di combinarli.

 

Dall'agricoltura all'industria

Questi due aspetti, la crescita quantitativa e le trasformazioni qualitative, non vanno disgiunti. Nel giro di un secolo, tra il 1750 e il 1850, il reddito nazionale della Gran Bretagna aumentò di sette volte, quello pro capiteraddoppiò, la popolazione triplicò, le importazioni aumentarono di dieci volte, le esportazioni di quattordici. Ma non ci fu solo un forte aumento della ricchezza prodotta, ma anche uno spostamento del contributo dato dai diversi settori economici alla formazione di tale ricchezza. Mentre nel 1770 la metà del reddito nazionale proveniva dall'agricoltura, nel 1846 questa percentuale era ridotta a un quarto; viceversa, il contributo delle attività industriali era quasi raddoppiato. Lo stesso fenomeno si riscontra nella struttura dell'occupazione, con la forte diminuzione degli addetti all'agricoltura sul totale della forza-lavoro. Dunque, nell'Inghilterra di metà Ottocento l'industria aveva ormai soppiantato l'agricoltura nella formazione del reddito nazionale, gli operai avevano in gran parte sostituito i contadini. A una società agricola (l'unica forma di società che l'uomo avesse conosciuto per millenni) si era sostituita una società industriale, cioè una società in cui:

  1. l'industria ha il ruolo principale nella produzione della ricchezza nazionale;
  2. la maggior parte della popolazione attiva viene occupata nell'industria.
  3. pressoché tutta la produzione viene destinata al mercato, cioè alla vendita (la produzione per l'autoconsumo diviene irrilevante);
  4. la fabbrica diviene l'unità produttiva fondamentale;
  5. si afferma un modo di produrre basato sull'utilizzo delle macchine.

Questi fenomeni si verificarono in Inghilterra a partire dagli ultimi venti anni del Settecento.

 

PERCHÉ PROPRIO IN INGHITERRA?  PERCHÉ PROPRIO ALLORA?

La ricerca storica ha messo in evidenza che non è possibile né opportuno isolare una causa unica del fenomeno: conviene piuttosto analizzare le condizioni che lo resero possibile e le loro relazioni.
In primo luogo, l'Inghilterra aveva un'alta disponibilità di capitali per l'investimento, assicurata dai profitti commerciali e dalle eccedenze prodotte dall'agricoltura. Proprio in quest'ultimo settore erano avvenute nel corso del Settecento trasformazioni importanti che avevano sensibilmente accresciuto la produzione. Nuove terre erano state messe a coltura e la produttività del suolo era aumentata grazie all'introduzione di nuove tecniche agronomiche (come i sistemi di rotazione più razionali che permettevano di non impoverire il suolo), di attrezzi più efficienti (come l'aratro in ferro), di concimazioni più abbondanti grazie all'aumento del numero dei bovini. All'antica agricoltura comunitaria di villaggio era subentrata una nuova agricoltura capitalistica gestita da un affittuario imprenditore attraverso l'impiego di manodopera salariata. Le terre comuni, sulle quali i contadini esercitavano da secoli i diritti di pascolo e di raccolta (legna, castagne, ghiande) vennero recintate e privatizzate: è il fenomeno delle recinzioni (enclosures).
Molti coltivatori così persero l'uso delle terre comuni e con esso anche le possibilità di sussistenza autonoma: erano perciò costretti a cedere il loro campo e ad entrare come salariati (braccianti) nelle grandi proprietà capitalistiche dove, grazie agli investimenti di capitale, la produttività era maggiore: si riusciva a produrre di più con minore impiego di forza-lavoro. Di conseguenza, si avviò un processo di espulsione dei contadini dalle campagne, fenomeno che garantì all'industria in fase di sviluppo la forza-lavoro necessaria. Una forza-lavoro abbondante e a basso costo, perché costretta a ricercare in qualsiasi modo la propria sopravvivenza.

Mercati, materie prime, infrastrutture
Anche il commercio internazionale giocò un ruolo primario nel decollo industriale inglese, perché garantì il rifornimento di materie prime, come il cotone grezzo, e aprì ampi mercati ai manufatti. inglesi. La crescita del commercio internazionale nel Settecento, alla quale l'Inghilterra partecipò con quote sempre crescenti, si affiancò all'incremento demografico nel garantire alla nascente industria inglese una crescente domanda interna ed estera. Quanto alle risorse naturali, l'Inghilterra era ben dotata di carbone e di ferro, ma tali risorse divennero realmente disponibili solo grazie ai grandi miglioramenti conosciuti dal sistema dei trasporti. Nella seconda metà del Settecento l'Inghilterra fece grandi passi avanti nella dotazione di infrastrutture, con la costruzione di una fitta rete di strade (realizzate da privati e gestite a pedaggio) e, soprattutto, di canali navigabili. Ben prima della ferrovia, furono dunque strade e canali che, in connessione con l'efficiente sistema portuale e la poderosa flotta mercantile, resero possibile il decollo industriale, collegando miniere, fabbriche e mercati anche lontani.
Innovazione tecnologica e sviluppo
La rivoluzione industriale inglese è solitamente associata alle macchine (dal telaio meccanico alla macchina a vapore) che ne costituiscono quasi il simbolo. [n realtà, abbiamo visto che il decollo industriale fu reso possibile da un insieme complesso di condizioni economico-sociali e non è dunque riducibile al solo effetto delle nuove macchine. Tuttavia, non vi è dubbio che l'innovazione tecnologica giocò un ruolo di primo piano nel processo di industrializzazione (come lo gioca ancora oggi), tanto che, volendo tracciare una periodizzazione della rivoluzione industriale, potremmo distinguere: una prima fase, gli anni 1760-90, caratterizzata dalla meccanizzazione della filatura e dal­l'introduzione di nuovi metodi in siderurgia; una seconda fase, dal 1790 al 182030, in cui si assistette all'esplosione della tessitura meccanica e della macchina a vapore; e infine una terza fase, sino al 1850, dominata dalla ferrovia.
Analizziamo ora il meccanismo della rivoluzione industriale, mettendo in luce il ruolo della tecnologia: scopriremo il tipico andamento che lo storico Landes ha chiamato a "botta e risposta", per cui la soluzione di un problema tecnologico crea squilibri e strozzature in un'altra fase del processo e richiede quindi nuove soluzioni.

 

IL COTONE: LA MECCANIZZAZIONE DELLA FILATURA


Prendiamo in considerazione i tre settori industriali (tessile, siderurgico, estrattivo) dal cui rapporto si sviluppò l'intero processo.
Partiamo dal settore tessile, al cui interno si era da tempo sviluppata l'industria laniera, organizzata prevalentemente con il sistema del lavoro a domicilio. Ma i cambiamenti rivoluzionari avvennero nella produzione di filati e di tessuti di cotone, che nel giro di alcuni decenni eguagliò per importanza e poi superò nettamente quella della lana. II cotone, infatti, permetteva di soddisfare un bisogno primario, quello di vestirsi, a costi molto inferiori della lana e godeva perciò di una domanda potenziale molto più ampia. Inoltre, mentre la lana doveva essere filata a mano per ottenere un prodotto di buona qualità, la fibra del cotone si prestava assai meglio alla meccanizzazione della filatura.
Incontriamo qui un primo nodo tecnologico di importanza decisiva. Già nel 1733 John Kay aveva
introdotto nella tessitura della lana la "navetta volante", che permetteva di quadruplicare la produzione: ma questa innovazione si era diffusa con estrema lentezza nell'industria laniera. Quando venne applicata al cotone, non prima della metà del Settecento, la navetta volante mise in evidenza la lentezza delle operazioni dì filatura. Questa strozzatura a monte della tessitura incentivò una serie di innovazioni tecniche: il filatoio meccanico intermittente di Hargreaves, o jenny (1765); il filatoio idraulico di Arkwright (1769); il filatoio di Crompton, detto mule ("mula'), che riusciva a produrre un filo ritorto forte e fine al tempo stesso.

 

LA MECCANIZZAZIONE DELLA TESSITURA

La meccanizzazione della filatura portò con sé un sensibile aumento della produttività per ora di lavoro (un operaio muoveva simultaneamente 8 fusi nel 1770, 16 nel 1784, 100 alla fine del secolo) e consentì nonostante il forte aumento dell'investimento di capitali, una netta diminuzione dei costi di produzione e dei prezzi . Di qui un ulteriore stimolo alla domanda, interna ed estera, e uno sviluppo delle esportazioni: in capo al 1816 il cotone lavorato costituiva ormai il 40 per cento delle esportazioni inglesi e aveva soppiantato definitivamente le cotonine indiane sui mercati internazionali. A valle del processo produttivo, fu ora la tessitura a rivelarsi inadeguata a fronteg­giare l'enorme aumento di produzione di filati; e fu ancora un'innovazione tecnologica, il telaio meccanico di Cartwright (1787) a risolvere questa strozzatura, anche se in tempi piuttosto lunghi, perché ebbe bisogno di molti perfezionamenti per divenire competitivo con quello a mano e per le resistenze degli artigiani tessitori indipendenti nei confronti della nuova macchina. Solo negli anni trenta/quaranta dell'Ottocento la concorrenza del telaio meccanico costrinse i tessitori a i mano alla resa definitiva.
II NODO FERRO-CARBONE .
La crescita continua della domanda di prodotti tessili spingeva a intensificare il processo di industrializzazione e di meccanizzazione: si era innescato un processo circolare di sviluppo. Ma dobbiamo ora mettere in relazione questo fenomeno con le trasformazioni registrate da un altro settore, quello siderurgico ed estrattivo, e in particolare da quel rapporto ferro-carbone che costituì il centro della rivoluzione industriale inglese.
Benché non fosse povera di miniere di ferro, l’Inghilterra, ancora per buona parte del Settecento, fu costretta a importare ghisa in barre dalla Svezia. La fusione del ferro avveniva in altiforni alimentati con carbone di legna: ma il rapido esaurimento delle riserve di legname, l'alto costo dei trasporti e la scarsa purezza della ghisa prodotta rendevano poco economica la siderurgia nazionale. La svolta si ebbe a partire dal 1784, quando Henry Cort mise a punto una tecnica che permetteva di produrre ghisa di buona qualità in altiforni alimentati a coke, carbon fossile sottoposto a una speciale cottura che ne riduceva le impurità. La siderurgia inglese si metteva così in condizione di soddisfare la crescente domanda di prodotti ferrosi che proveniva dall’agricoltura e dal settore tessile, raddoppiando, in meno di vent'anni, la produzione di lingotti di ghisa. Si venne creando un circolo economicamente propulsivo fra il carbone; di cui la Gran Bretagna era ricca, e il ferro: una produzione stimolava l'altra,-e la rete dei trasporti veniva incessantemente migliorata in modo da sostenere tale sviluppo.

LA MACCHINA A VAPORE

Tuttavia si presentò una nuova strozzatura: per soddisfare la crescente domanda di carbon fossile (che veniva impiegato anche per usi domestici) la profondità dei pozzi venne aumentata sino al punto in cui l'acqua impediva di proseguire. Si trattava dunque di trovare un modo per prosciugare i pozzi.
La soluzione fu trovata dopo che James Watt, nel 1775, ebbe brevettato una macchina a vapore che consentiva di azionare pompe capaci di prosciugare i pozzi in profondità. La macchina a vapore non solo risolse il problema dell'estrazione del carbone, permettendo di accrescere in misura esponenziale la produzione di ghisa, ma fornì all'industria tessile, e poi all'intera industria, una forza motrice molto più potente, costante e flessibile di quella umana o idraulica: l'intero processo di meccanizzazione ne ricevette un enorme impulso. La più straordinaria applicazione della macchina a vapore fu certamente la ferrovia, sin da quando (nel 1814) il minatore George Stephenson costruì la prima locomotiva montandone una su un carrello da miniera. Se ancora nel 1830 la rete ferroviaria inglese contava 60 miglia, trent'anni dopo aveva raggiunto le 10000 miglia. Con la ferrovia, l'economia inglese trovò non solo un mezzo che riduceva drasticamente i - tempi e i costi del trasporto, ma un nuovo potente stimolo alla domanda interna: il fabbisogno di locomotive, vagoni, rotaie diede infatti uno straordinario impulso alla meccanica e alla siderurgia. Nel giro di qualche decennio, l'industria ferroviaria si sostituì alla produzione tessile quale settore trainante dell'intera economia.

 

Fonte: http://www.albesteiner.net/itsos/sviluppo/globalizzazioni/prima.doc

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Sviluppo durante e dopo la rivoluzione industriale

LE TECNICHE E LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE 

 

La  fede nel progresso
Nel 1881 al Teatro alla Scala di Milano andò in sce­na per la prima volta uno spettacolo teatrale desti­nato a conoscere un lunghissimo periodo di suc­cessi, non solo in Italia, ma anche nel resto d'Euro­pa e nelle Americhe: il Gran ballo Excelsior. Lo spettacolo metteva in scena tutti i "protagonisti" dell'ideologia del progresso: era infatti la celebra­zione della vittoria del genio della Luce sullo spirito dell'Oscurantismo, il Regresso.
La scena si apre con il genio della Luce che giace schiavo del potere del Regresso; improvvisamente la Luce, pervasa da una forca misteriosa, infrange le proprie catene: è la forza che le proviene dalle sco­perte e dalle ardite imprese della scienza e della tec­nica. Invano il Regresso tenta di distruggere le ope­re di Papin, di Volta, di impedire il lavoro di Watt e di Fulton: le immagini dei piroscafi a vapore che solcano l’Hudson, di treni che attraversano velocis­simi il ponte di Brooklin e le raffigurazioni degli ef­fetti benefici dell'elettricità celebrano la prima gran­de vittoria della Luce nel mondo civilizzato, mentre il Regresso si rifugia nelle terre del deserto, lontano dalla civiltà, per perpetuarvi il suo potere. Assetato di vendetta, egli evoca un demone perché travolga una carovana di arabi: mentre un'orda di ladroni as­sale la carovana, una tempesta sterminatrice avvol­ge tutti, arabi e predoni, in un lugubre manto di morte. Tutto è annientato ma, passata la tempesta, si scorge un largo canale che scorre nel deserto tra le dune sabbiose: tutta la civiltà europea è riunita per celebrare il taglio dell'istmo di Suez. Quest'o­pera titanica unisce uomini di ogni razza e l'irradiar­si della civiltà spezza le catene della schiavitù allora diffusa su quelle terre. Lo spirito delle Tenebre os­serva confuso e si chiede «ove mai possa arrivare questa civiltà irradiata da luce divina, questa nuova era che osò distruggere il suo passato e temuto po­tere». Le immagini si spostano nella galleria scavata per forzare il monte Cenisio: l'ultima mina è pronta e, quando cade la barriera che divide la Francia dal­l'Italia, gli operai delle due nazioni si salutano fra­ternamente. La scena finale è la glorificazione della civiltà del Progresso e della Concordia: «nell'avveni­re della Scienza e del Progresso, le nazioni di tutto il mondo si salutano sorelle».
Lo spettacolo ebbe, nel 1881, 103 repliche e per molti anni il successo si ripeté in tanti teatri del mondo, perché in esso la borghesia vedeva raffigu­rata la sua fede nella possibilità di miglioramento del genere umano attraverso le conquiste della scienza e della tecnica.

 

La seconda rivoluzione industriale
Gli ultimi decenni dell'Ottocento furono, infatti, gli anni della seconda rivoluzione industriale. In realtà, nonostante l'ottimismo borghese nell'avve­nire, animato da un'incrollabile fede nel progresso e nella scienza, dal punto di vista strettamente eco­nomico gli anni compresi tra 1873 e il 1896 furono anni difficili in cui l'Europa si trovò ad affrontare una "grande depressione", causata dalla crisi fi­nanziaria determinata da fenomeni speculativi, dalla sovrapproduzione e dalla conseguente diffi­coltà di conquistare nuovi mercati alle merci pro­dotte. Questo favorì giganteschi processi di trasfor­mazione delle tecnologie e delle strutture produtti­ve e finanziarie del capitalismo, che si trasformò talmente da risultare irriconoscibile rispetto al ca­pitalismo individuale e avventuroso dell'inizio del secolo. Anni di crisi, dunque, ma anche di grande cambiamento, durante i quali la fiducia nel futuro e nella capacità della scienza e della tecnica di risol­vere ogni difficoltà non venne mai meno.
II restringimento dei margini di profitto, sia agricoli sia industriali, impose una generale riorganizzazio­ne del sistema capitalistico, divenuto ormai mon­diale. Lo stato, che nella prima rivoluzione indu­striale inglese aveva avuto un ruolo marginale (seb­bene assai importante) rispetto all'iniziativa priva­ta, divenne il protagonista centrale della vita eco­nomica: la dimensione e il "peso" finanziario delle nuove imprese industriali erano talmente elevati che spesso solo lo stato poteva affrontare queste sfide. Inoltre, la competizione economica divenne sempre più parte di una generale competizione politica fra le nazioni, impegnate nella spartizione del pianeta in aree di influenza, da cui ricavare ma­terie prime e verso cui indirizzare la produzione ec­cedente e i capitali finanziari che non trovavano in­teressanti opportunità d'investimento in patria. Dal punto di vista dell'economia politica, l'iniziale libe­rismo, basato sulla libera concorrenza e sul com­mercio mondiale privo di vincoli e restrizioni doga­nali, lasciò spazio a misure protezionistiche, che si proponevano di difendere i mercati nazionali dal­le esportazioni straniere e sostenere la produzione nazionale. Alle piccole imprese individuali o alle modeste società di capitali, infine, subentrarono grandi gruppi industriali con una forte vocazione monopolistica, che si procuravano le risorse finan­ziarie da investire attraverso rapporti privilegiati con il sistema bancario.


Acciaio ed elettricità nella seconda rivoluzione industriale
 L'Esposizione universale di Parigi del 1889 fu la ve­trina in cui la civiltà borghese occidentale mostrò al mondo le meraviglie della sua tecnologia, a parti­re dal settore edilizio: il padiglione delle macchine di Dudert e Contamine, interamente costruito in acciaio secondo le più innovative concezioni dina­miche delle strutture metalliche, e soprattutto la Tour Eiffel, enorme torre metallica (300 m di al­tezza e 125 m di lato di base ) eretta nel cuore della capitale francese, rappresentavano plasticamente i progressi compiuti nel campo della siderurgia e, più generalmente, della metallurgia.
In questi anni, infatti, al ferro - che aveva 'trainato" la rivoluzione industriale nella sua prima fase di svi­luppo, fornendo il materiale per costruire le mac­chine a vapore e le ferrovie - subentrò l'acciaio, una lega di ferro e carbonio prodotta dalla ghisa al­lo stato fuso che, a causa della sua dispendiosità, era stata scarsamente utilizzata in passato. Le in­venzioni degli anni cinquanta-sessanta. fra cui so­prattutto il convertitore Bessemer. resero finalmen­te possibile la produzione di acciaio a basso costo. Il convertitore inventato dall'inglese Henry Besse­mer si basava su un'intuizione: che fosse possibile procedere alla raffinazione della ghisa grezza non più solo attraverso il calore generato dalla combu­stione del costoso carbone di legna, ma mediante un getto d'aria, che riscaldava la ghisa più di quanto avvenisse con il carbone di legna. In sostan­za, era lo stesso carbonio presente nell'aria ad agi­re come combustibile. U11 agosto 1856 Bessemer presentò i frutti delle sue ricerche al congresso del­la British Association for the Advancement of Science, che accolse entusiasticamente la novità, ma dovettero passare ancora degli anni prima che fosse messo a punto (integrando i suggerimenti di tanti altri ricercatori) un convertitore efficiente. Esso prevedeva un piccolo cilindro verticale alto poco più di un metro, dotato di sei condotti confor­mati per favorire l'efflusso di un fluido attraverso cui veniva soffiata l'aria. La ghisa liquida veniva versata nel convertitore attraverso una bocca mo­bile direttamente dal forno cilindrico usato per fon­dere il metallo grezzo. Una volta avvenuta la con­versione. cioè depurata la ghisa, il metallo veniva spillato da un foro posto sul fondo del convertitore. In questo modo l'acciaio divenne un metallo facil­mente producibile e a basso costo.
Si inaugurava così "l'età dell'acciaio": locomoti­ve, ponti, motori, strutture portanti per l'edilizia, componenti meccaniche di precisione cominciaro­no a essere costruite con questo metallo più dutti­le, elastico e resistente del ferro.
Un altro settore in cui si manifestarono grandi pro­gressi negli anni della seconda rivoluzione indu­striale è quello delle fonti energetiche. Il vapore continuava a essere importante, come dimostra il suo largo consumo per alimentare le ferrovie e la navigazione transoceanica, ma accanto ad esso si sviluppò l'applicazione di una fonte energetica più
pulita: l'elettricità. Sebbene fin dagli anni trenta, si fosse pensato di muovere le locomotive grazie all'e­nergia elettrica, fu solo negli anni ottanta che Wer­ner Siemens e Thomas Edison approntarono, cia­scuno per proprio conto, un motore elettrico suf­ficientemente potente per essere installato su una locomotiva. Erano motori a corrente continua, che usavano una terza rotaia centrale elettrificata
Il vantaggio era evidente: maggiore accelerazione, autosufficienza in termini di combustibile, minore inquinamento. L’ uso del carbone come fonte di energia termica provocava infatti gravi problemi ambientali, soprattutto se applicato alla mobilità urbana, con il conseguente inquinamento atmosfe­rico. Fu proprio in questo settore che l'energia elet­trica fornì il contributo più rilevante: tram elettri­ci e "ferrovie sotterranee" (così venivano chia­mate le metropolitane) s'imposero dapprima a Lon­dra (1890) e poi a Parigi, Madrid, Berlino, Barcello­na e in tante altre città europee.
A cavallo tra Ottocento e Novecento anche le reti ferroviarie europee e statunitensi cominciarono a usare l'elettricità come forza motrice. Come già era avvenuto durante la prima rivoluzio­ne industriale, il progresso tecnologico innescò un circuito virtuoso, nel quale il progresso di un set­tore alimentava lo sviluppo dei settori ad esso con­nessi e in cui scienza e tecnologia trovavano conti­nuamente un fecondo terreno d'incontro. Per esempio: il crescente consumo di energia elettrica convinse gli stati - soprattutto quelli, come l'Italia, sprovvisti di giacimenti naturali di carbone e, quin­di, costretti a importarlo - a investire ingenti capi­tali nella costruzione di grandi impianti di produ­zione di energia elettrica, dapprima in prossimità delle cadute d'acqua naturali (come le cascate di Tivoli e di Terni), poi con l'approntamento di con­dotte metalliche forzate presso i corsi d'acqua e, in­fine, con la costruzione di grandi dighe. Questi sforzi, però, sarebbero stati vani se la scienza non avesse raggiunto straordinari traguardi, con l'affi­namento delle tecniche di costruzione di turbine idrauliche e di dinamo.
Produrre elettricità, tuttavia, non sarebbe bastato se William Kelvin e quello italiano Galileo Ferraris diedero un eccezionale contributo, l'uno perfezio­nando gli studi per stabilire la misura corretta della sezione del cavo di rame impiegato per distribuire la corrente, con il risultato di ridurre sensibilmente i costi e la dispersione di energia, l'altro elaboran­do il metodo della corrente trifase, che agevolava il trattamento e la distribuzione dell'energia elettrica. L'Ottocento si chiuse con il trionfo dell'elettricità che, grazie alle scoperte di Thomas Alva Edison, in­ventore della lampadina a incandescenza, venne largamente impiegata per illuminare le città. Per concludere, riprendendo la metafora iniziale del Gran ballo Excelsior il genio della Luce squarciava finalmente le tenebre in cui erano vissuti per secoli milioni di uomini e di donne e ne rischiarava il cammino.

 

Fonte: http://www.albesteiner.net/itsos/sviluppo/globalizzazioni/seconda.doc

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LO SVILUPPO INDUSTRIALE E IL MOVIMENTO OPERAIO
 (1824-1893)

  • Nel corso dell’Ottocento gradualmente si diffuse in Europa la rivoluzione industriale, un processo cominciato già nel Settecento, in Inghilterra. Alla capacità produttiva dell’uomo si sostituì quella della macchina, concentrate nelle fabbriche per renderne più economico l’utilizzo.
  • Il processo di industrializzazione conobbe due fasi. La prima vede come protagonista la tecnologia del ferro e del carbone e le industrie siderurgiche, meccaniche e tessili. Il paese guida fu l’Inghilterra, su cui si affiancarono la Germania, la Francia, il Belgio. La seconda rivoluzione industriale comincia dopo la metà dell’Ottocento. Essa sviluppò nuovi settori di produzione, come l’industria elettrica, e si diffuse in molte aree del mondo.

 

  • In Italia la secolare divisione geografica, politica ed economica della penisola ritardò lo sviluppo industriale. Esso toccò quasi solo il Piemonte e Lombardia, specializzati nella manifattura della seta.
  • Al centro del sistema capitalistico è l’imprenditore, che investe il proprio capitale nella costruzione della fabbrica e nell’acquisto dei macchinari. Dalla vendita dei prodotti egli ricava un profitto. Per finanziare la sua impresa, egli può costituire una società per azioni o ricorrere al prestito concesso dalle banche. I lavoratori della fabbriche, gli operai, provengono dalle campagne e sono sottoposti a condizioni di lavoro assai dure. Il loro lavoro è regolato dai ritmi delle macchine.

 

  • Con questione sociale non s’intende solo la misera vita del proletariato urbano. Nelle aree meno toccate dall’industrializzazione, come l’Europa Orientale o il Mezzogiorno italiano, essa riguarda il bassissimo tenore di vita della classe contadina, la persistenza del latifondo e, in alcuni paesi, della servitù della gleba.
  • Nell’Europa dell’Ottocento, la classe operaia assunse un ruolo importante nei paesi più industrializzati. Le dure condizioni di lavoro spinsero gli operai a riunirsi in associazioni. Le prime nacquero in Inghilterra e il loro obiettivo principale fu la giornata lavorativa di otto ore.

 

  • Nel 1864 nacque a Londra la Prima Internazionale, associazione internazionale dei lavoratori che riunì organizzazioni operaie di diversi paesi europei. Più tardi si costituirono i primi partiti socialisti, fra cui il Partito socialdemocratico in Germania e quello laburista in Inghilterra. Numerosi, però, i contrasti tra socialisti massimalisti (o rivoluzionari) e socialisti riformisti.
  • Dopo le prime, astratte teorie dei pensatori utopistici, che auspicavano la creazione di una società più giusta, in cui le ricchezze fossero equamente distribuite, a metà del secolo s’impone la riflessione del filosofo tedesco Karl Marx. Il suo Manifesto del Partito Comunista espone la teoria del materialismo storico, secondo la quale la storia e la vita degli uomini sono determinate fa fattori economici; soltanto l’abolizione della proprietà privata, da ottenersi attraverso la rivoluzione, potrà migliorare le condizioni dei lavoratori.

 

  • La Chiesa cattolica affrontò la questione sociale nell’enciclica Rerum novarum (“Sulle cose nuove”) del 1891 di papa Leone XIII. Contro le ingiustizie sociali, propose una cooperazione tra lavoratori e imprenditori, fondata sul riconoscimento sia della proprietà privata sia dei diritti e dei doveri di entrambi.

 

Nascono le associazioni sindacali
Spinti dalle dure condizioni di lavoro, gli operai si riuniscono in associazioni, che all’inizio lottano per ridurre la giornata lavorativa a dieci ore, e poi a otto. Poi queste associazioni si organizzano in sindacati, che contratteranno la paga, chiederanno un miglioramento della sicurezza, la limitazione e la regolamentazione del lavoro dei bambini e delle donne, e arriveranno a organizzare servizi di mutuo soccorso per sostenere i lavoratori in sciopero.

 

VOCABOLARIO DELLA STORIA

Urbanizzazione: trasformazione dei centri abitati in moderne città mediante la creazione di strutture (strade, ponti, fognature, acquedotti ecc.) e di servizi (trasporti, scuole, ospedali, chiese, teatri, giardini pubblici ecc).

Proletariato: la classe sociale dei lavoratori; deriva da “proletario”, cioè colui che non possiede nulla oltre alla propria “prole”, cioè i figli.

Capitalismo: sistema economico e sociale caratterizzato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione e dalla separazione tra la classe dei capitalisti proprietari e quella dei lavoratori.

Liberismo: in economia, dottrina favorevole al libero gioco dell’iniziativa privata e della concorrenza e contraria all’intervento dello Stato in campo economico; teorico di questa dottrina fu l’economista e filosofo scozzese Adam Smith che ne fissò i principi nella sua opera La ricchezza delle nazioni (1776).

Enciclica: lettera in latino inviata dal papa ai vescovi su argomenti riguardanti la dottrina cattolica o su temi di rilevanza economica.

 

 

Fonte: http://95.229.233.17/4As/4As-Italiano/LEZIONI/LEZIONE%20LO%20SVILUPPO%20INDUSTRIALE%20E%20IL%20MOVIMENTO%20OPERAIO.doc

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