Teatro greco romano

 


 

Teatro greco romano

 

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IL TEATRO

  • IL TEATRO GRECO (caratteri generali)

 

  • IL TEATRO ROMANO
  • LA COMMEDIA : IL TEATRO COMICO DI PLAUTO E TERENZIO
  • PLAUTO
  • TERENZIO
  • CONFRONTO FRA PLAUTO E TERENZIO
  • LA TRAGEDIA (approfondimento)
  • IL TEATRO TRAGICO DI SENECA(approfondimento)
  • UNA PARTICOLARE FORMA DI SPETTACOLO: I GIOCHI GLADIATORII (caratteri generali)

 

10)IL TEATRO DEL MEDIO EVO (caratteri generali)

 

 1)  IL TEATRO GRECO
Le prime manifestazioni del teatro furono dei popoli primitivi preistorici, ma solo nella Grecia classica si possono ritrovare le radici del modo con cui noi occidentali pensiamo al  teatro poiché nel V e IV sec. a.C., soprattutto ad Atene, si sviluppò e perfezionò questo genere, distinto in tragedia e commedia, simili fra loro nella struttura, ma assai diversi per nascita e finalità culturali. L'invenzione del teatro rappresenta uno degli apporti più importanti trasmessi dalla  Grecia alla civiltà europea.
Fin dall'inizio il teatro fu un fenomeno anzitutto religioso che aveva luogo  nelle feste in onore del dio Dioniso. In origine i Greci a teatro sentivano di partecipare più ad un rito che ad uno spettacolo.
L'intensa consapevolezza del carattere religioso del teatro, esercitò un  influsso determinante anche nella composizione del dramma: in genere i soggetti tragici erano ispirati al mito, ossia rappresentavano episodi appartenenti alla storia sacra del popolo greco. Gli spettacoli erano anche un fatto politico di gran rilievo ed avevano  carattere agonistico. L'opera teatrale era considerata una forma di insegnamento per la popolazione: si arrivò addirittura all'istituzione del theoricon, sussidio messo a disposizione ai meno abbienti per accedere al teatro.
La tragedia- La tragedia nacque differenziandosi per impegno e gravità di toni dalla farsa e fornì continue aspirazioni alla commedia. Essa ha origini magico-religiose derivate dalla rappresentazione dei culti dionisiaci. Aveva temi spesso mitici e riconducibili a una sostanza molto elementare ma di elevato interesse antropologico. La specificità contenutistica della tragedia è data proprio dalla drammaticità delle situazioni e degli episodi ed è proprio ciò che la differenzia dalla commedia. Il protagonista, e, di riflesso, lo spettatore, sono spinti a meditare sull''inspiegabilità del fato e l'impotenza dell'uomo di fronte al destino e al divino e perciò a purificarsi. Questo processo di purificazione che ha lo spettatore nel riflettere su passioni e tragedie è la catarsi.
La commedia-La commedia greca è originata da riti antichissimi (come le falloforie che erano processioni nelle quali gli attori indossavano elementi osceni), o da altre forme culturali laiche. La commedia si differenzia principalmente dalla tragedia per il tono meno drammatico dovuto al fatto che l'episodio non è irrimediabilmente tragico, ma la disavventura iniziale finisce spesso con il rimediarsi. Tradizionalmente nella commedia greca si distinguono tre fasi: antica, di mezzo e nuova. Abbiamo significative testimonianze solo della commedia antica, (Aristofane), e nuova, (Menandro), e possiamo stabilire che la sostanziale differenza fra le due fasi è di natura contenutistica: nella prima è fondamentale la vita politica, nella seconda è fondamentale l'aspetto umano.
L'edificio teatrale -Il teatro, in quanto edificio architettonico, trae origine dalle primitive sistemazioni dei luoghi all'aperto in cui si svolgevano danze e cori rituali: l'altare era solitamente in un breve spazio, pianeggiante e circolare mentre i cittadini si raggruppavano nei posti a sedere su un pendio circostante. In seguito venne introdotto il sistema della scalinata di pietre. Inizialmente la forma era quadrangolare, in seguito si costruirono strutture in forma semi-circolare.
In un primo tempo la rappresentazione si svolgeva sul medesimo piano dell’orchestra, poi si passò alla costruzione di un palco rettangolare di legno dietro al quale gli attori avevano un magazzino nascosto da una tenda; l’orchestra era sistemata in un cerchio -a cui si attribuivano poteri magici- davanti al palco. I posti a sedere nella cavea erano collegati da corridoi orizzontali e verticali. Il pubblico aveva in questo modo un’ottima acustica e godeva di una visuale che aveva come sfondo la tenda dipinta con immagini di roccaforti, accampamenti militari, ecc…
Le parti principali del teatro erano il palco, l'orchestra dove stava il coro e la cavea, cioè gli spalti.
I principali teatri, di cui ancora oggi abbiamo notizie, perché ottimamente conservati, sono quello di Epidauro (350 a.C.), Delfi, Sparta, Efeso e, in Italia, quello di Siracusa (475 a.C.).
Gli attori, le maschere e l'abbigliamento  Gli attori e il coro recitavano o cantavano indossando appositi abiti e maschere. Le maschere erano estremamente importanti, in quanto non solo permettevano di creare personaggi femminili (alle donne non era permesso recitare) e maschili, ma grazie alla loro fattura erano una sorta di amplificatore per la voce. Le maschere erano molto scomode da indossare e gli attori dovevano risolvere problemi di rappresentazione  di diversi stati d’animo con una forte gestualità. L'abbigliamento degli attori era costituito da delle calzature alte, i coturni e da una veste lunga, il chitone. L'abito convenzionale era una tunica lunga fino alle caviglie con vivacissimi disegni colorati, che servivano a esprimere lo stato d’animo del momento, e sandali bassi ai piedi, inoltre un mantello e determinati accessori per identificare un personaggio particolare (ad esempio una corona identificava il re). Per aiutare gli attori nell’ambientazione simbolica, si usava una piattaforma su ruote, mentre si preferiva non far vedere episodi di sangue, che venivano introdotti tramite annunciatori o messi. Era inoltre presente una gru che serviva per tenere sospeso in aria un personaggio, mentre le scenografie, alle spalle degli attori, erano dipinte.

2) IL TEATRO ROMANO
IL TEATRO ROMANO DELLE  ORIGINI: DALLA FASE PRELETTERARIA ALLA PRODUZIONE SCRITTA
La data di inizio della letteratura latina è il 240 a.C., anno in cui, secondo quanto riferisce Cicerone viene rappresentata a Roma, nell'occasioni dei ludi romani, un'opera teatrale (fabula) di Livio Andronico Naturalmente una letteratura non nasce all'improvviso e fissare un anno preciso per la nascita della letteratura latina ispirata a modelli greci è soltanto un fatto convenzionale. Anche se il contatto con la lingua, la letteratura e l'arte greca si fa più diretto e più vivo dopo la conquista della penisola italica da parte dei Romani, la diffusione della cultura greca ha origini più lontane. La data ha quindi un valore convenzionale per indicare l'inizio di una produzione poetica in cui i fermenti letterari italici si incontrano, si fondono, si nobilitano a contatto con la più complessa e codificata produzione greca. Durante i ludi Romani del 240 a.C. Livio Andronico fa rappresentare il primo dramma "regolare", cioè tradotto da un modello greco.
La teatralità a Roma Il teatro, a Roma, non si limita al palcoscenico, ma abbraccia tutta la vita pubblica di un cittadino: tutto è pervaso da una sorta di teatralità, dalla celebrazione del trionfo, alle orazioni, alle cerimonie pubbliche. Il teatro non è un' immagine senza vita del realtà, ma ne è un' interpretazione. Il primo elemento che si può considerare a supporto di questa affermazione è la natura del cittadino romano: egli è tale in quanto "spettatore" della "politica- spettacolo".
Le stesse magistrature adottano una vera e propria messa in scena (la toga, la porpora), che  conferisce auctoritas, in mancanza di altre possibili legittimazioni religiose o mitologiche.
In occasione del trionfo, mentre l'imperator celebra la sua vittoria, la città diventa uno scenario e il popolo il pubblico: sfilano musici, danzatori, prigionieri, magistrati e non mancano neppure veri e propri effetti scenici; questo spettacolo esprime la forza e l' ordine della res publica.
Quando muore un membro di una famiglia patrizia, il suo corpo viene trasportato attraverso l'urbs, fino all' esterno della mura sacre, per essere sepolto. La processione si svolge con tanto di musici, di "effetti scenici", che illudono il corteo che il cadavere possa stare ritto su se stesso, di attori che portano le maschere di cera (imago) degli antenati illustri della famiglia, ed è seguita da un' orazione nel foro, durante la quale il figlio declama la virtù del defunto.
In sostanza, attraverso questa "pompa funebre" spettacolare, la nobiltà romana cerca una sorta di legittimazione, esponendo alla vista di tutto il popolo la gloria dei suoi celebri antenati.
Il teatro a Roma
Il teatro romano non è, come si è soliti credere, una semplice imitazione della drammaturgia greca; anzi è stato un fenomeno di peso piuttosto elevato nella vita quotidiana. Fino al 55 a.C. non vi furono teatri stabili e neanche luoghi fissi dove erigere quelli temporanei. Fino a questo momento esiste solo la scaena, una "baracca" di legno o muratura davanti alla quale gli attori recitano. Essa rappresentava, nella sua temporaneità, quella dimensione illusoria caratteristica del teatro romano: il pubblico si sedeva tutt'intorno, e in qualche caso su gradinate di legno. Quando poi si giunge alla costruzione di teatri veri e propri, in legno o muratura, essi mantengono le caratteristiche vere e proprie della scaena: gli architetti si pongono come primo obiettivo quello di creare illusioni soprattutto sonore, come vasi di terracotta sotto ai sedili, per mantenere quella "soffusa illusione" tipica del teatro: la natura effimera del teatro si esplica anche nel fatto che i teatri non erano costruiti sfruttando la natura del terreno. Precedentemente al 55a.C. i teatri provvisori erano diventati sempre più lussuosi, e quando Pompeo riesce a costruirne finalmente uno stabile, esso non é veramente inserito nella città ma è edificato all'esterno della cinta sacra, nel campo di Marte: è ormai il periodo dei triunviri e dei principi, non più della repubblica.                           
U.E.Paoli Vita Romana,Firenze 1962

Le origini del teatro latino  Il teatro latino è essenzialmente fondato sulla commedia, la tragedia sarà assai più opera di imitazione. Virgilio sostiene che la commedia sarebbe nata dalle feste organizzate per la vendemmia dei contadini (egli pensa ad una popolazione osca). Tutte le forme popolari che sono all'origine del teatro romano sono fondate sull'italum acetum, di cui ha parlato Orazio. I fescennini, la cui etimologia è incerta (forse dalla città di Fescennio in Etruria), erano degli scambi di battute rozzi e grevi, ad opera dei contadini in onore del raccolto. I fescennini in versi e la danza avrebbero dato origine alla satura; il suo significato probabilmente deriva da lanx satura: "piatto farcito": per la varietà dei contenuti. Più importante della satura è invece l'atellana, una sorta di farsa popolare il cui nome deriva probabilmente da Atella, una città osca situata tra Capua e Napoli. Dagli storici moderni è anche stato trovato un legame tra l 'Atellana e la Commedia dell'arte, che nasce nella metà del ‘500. Nelle origini del teatro latino ritroviamo anche il mimo, che nella tarda età repubblicana aveva la funzione dell'exodium, cioè una farsa conclusiva di uno spettacolo, ma successivamente avrà un ruolo più importante. Era una forma teatrale fondata sulla caricatura violenta e licenziosa, con situazioni oscene e attrici senza maschera.
Differenze con il teatro greco
Anche il teatro romano, come quello greco, è strettamente connesso con feste religiose; ciò che lo differenzia da quello greco è invece, un altro elemento. Il teatro greco, sia tragico che comico, è strettamente legato alla vita politica e civile della città. Il teatro latino è, invece, privo di questo intento. Anche i Romani dedicavano moltissimo tempo al teatro: nel periodo della repubblica si contano 55 giorni di ludi scenici ufficiali su 77 giorni di ludi. Sotto l'impero ci sono circa 101 giorni di ludi scenici su circa 165 giorni di ludi. Nel teatro romano purtroppo la musica, il mimo, la pantomima avevano un ruolo fondamentale, mentre il testo aveva un'importanza assai minore della sua messinscena.
Il ruolo dell'attore  Nella società romana chi sale sul palcoscenico per recitare uno spettacolo è bollato d'infamia. Questa infamia è molto più di una condanna morale: i censori cancellano l'attore dai registri della sua tribù, lo dichiarano incapace giuridicamente e politicamente; Tertulliano nel de spectaculis parla addirittura di diminutio capiti, che significa scomparire come cittadino romano. A differenza di quanto avveniva nella Grecia classica, un attore romano è un uomo disonorato agli occhi della morale e della legge. Con l'Impero cambia poi l'atteggiamento di certi romani di fronte alla scena: quasi si compiacciano dell'immagine disonorevole che si creano. Gli unici che rimarranno immuni dall'infamia saranno i musicisti, nel periodo dell'impero, collocati nei settori della cavea. L'infamia posta sugli attori è il risultato della paura che la loro auctoritas, ovvero la loro immagine civica, possa persuadere il pubblico; infatti, togliendo al soggetto la sua auctoritas, si leva anche la sua forza di persuasione. Gli unici attori che sfuggono all'infamia sono gli attori di atellana; e sono anche gli unici a portare la maschera.
Il pubblico  Gli storici hanno accusato il pubblico romano di aver causato la morte del teatro come genere letterario, anche prima della fine della repubblica. Incolto, rumoroso, volgare, insensibile alla finezza delle commedie di Terenzio, questo pubblico avrebbe disertato i teatri a vantaggio dei circhi. Esso sarebbe stato la causa della sparizione progressiva della commedia e della tragedia. In realtà i ludi scenici rimangono vivi fino alla fine dell'impero, anche se nel corso dei secoli il teatro perde progressivamente di importanza. Non è corretto definire il pubblico romano rozzo e grossolano solo perché non si interessa di letteratura; semplicemente la sua cultura è differente rispetto a quella ateniese: Atene era una cultura del discorso e del giudizio, Roma una cultura della musica e della percezione immediata.

L'EDIFICIO TEATRALE: Le strutture teatrali a Roma
Le rappresentazioni teatrali sono organizzate all'interno dei ludi scaenici, inseriti nei principali ludi (Romani, Megalenses, Apollinares, Florales, ludi trionfali e funebri). Gli spettacoli vengono rappresentati in teatri con strutture mobili: in genere si tratta di strutture di legno provvisorie allestite all'interno di spazi riservati ai ludi, come il Circo Massimo, in cui si tengono i ludi Romani e Apollinares, oppure in luoghi adiacenti a templi o edifici pubblici.
La scena, che consiste inizialmente in un semplice palco intorno al quale si accalcano gli spettatori, si trasforma progressivamente. Nel 154 a.C. viene fatto costruire un teatro con sedili fissi ma questa struttura, appena iniziata, viene fatta demolire perché ritenuta un'iniziativa dannosa per i publici mores e il pubblico continua quindi ad assistere in piedi agli spettacoli. Dopo la distruzione di Cartagine, quando Roma ormai padrona del Mediterraneo ha bisogno di dare alla propria cultura una dimensione nuova e più ampia, vengono fatti rappresentare drammi greci da attori greci. In tali occasioni si cominciano ad imitare anche i modi della rappresentazione in uso presso i Greci e gli spettatori assistono seduti in terra o, come è probabile, su sedili mobili (subsellia) collocati nella cavea, lo spazio antistante alla scena.
Un teatro in legno con palcoscenico (theatrum et proscaenium) viene fatto costruire dal Pontefice Massimo nel 179 a.C.. Questo teatro, che viene smontato al termine delle rappresentazioni, costituisce il primo esempio di teatro costruito appositamente per ospitare ludi scaenici.
Altri tentativi di costruire strutture seppure temporanee per ospitare rappresentazioni teatrali vengono effettuati nel II sec. a.C. La costruzione di edifici destinati stabilmente all'uso di teatro risale al I secolo a.C quando il primo teatro stabile in muratura, situato nei pressi dell'attuale Campo dei Fiori, è fatto erigere nel 55 a.C. da Pompeo
Il fatto che per moltissimo tempo i teatri siano a Roma edifici provvisori che vengono costruiti all'occorrenza e poi abbattuti è espressione della scarsa considerazione di cui gode il teatro a Roma. Guardato con diffidenza alle origini, il teatro assume una maggiore rilevanza sociale ed istituzionale solo in seguito agli influssi della cultura greca, determinanti per l'ampliamento dell'orizzonte culturale dei Romani. La coincidenza degli allestimenti scenici con le principali solennità religiose è una conferma dell'affermarsi di tale ampliamento d'interessi, che porta i ludi scaenici ad essere affiancati a tutti gli altri giochi nelle maggiori feste romane: il teatro, al pari degli altri ludi, è divertimento, intrattenimento.
La struttura del teatro Il teatro consisteva soltanto nella scena, cioé in un palcoscenico (pulpitum) su cui agivano gli attori, e nella scena vera e propria costituente lo sfondo. Pulpito e scena erano di legno. Quello che sappiamo sulla struttura della scena riguarda quasi esclusivamente la scena della commedia. Questa consisteva in un tavolato verticale di legno innalzato nella parte del pulpito più distante dagli spettatori; nella scena si aprivano sul pulpito tre porte, corrispondenti alle tre case contigue, dove si immaginava che abitassero i personaggi che agivano nelle commedie. Se l'azione richiedeva che si avesse l'entrata di un tempio, non era rappresentata la fronte del tempio, ma una porta, simile a quella delle case vicine, praticata nel muro che cingeva il tempio. A distanza dal tempio, sul pulpito, poteva esserci un altare. Dalla parete di sfondo, dove vi era l'apertura delle tre porte, avanzava sul palcoscenico, in corrispondenza di ciascuna porta, un vestibolo che consisteva in una tettoia piatta sostenuta da due colonne. Nell'età imperiale si ebbero tre tipi di scena: per la tragedia, per la commedia, per i drammi satireschi. Quando poi si ebbero i teatri di pietra, le parti essenziali erano la scaena, l'orchestra, la cavea (sedili). I cori che intervenivano nell'azione agivano sul palcoscenico, non nell'orchestra. Inoltre a differenza dei Greci i Romani avevano il sipario. Esclusivamente romano era anche l'uso di proteggere il pubblico mediante velaria. Adottati in età imperiale sono poi i periactoi,che avevano la funzione delle nostre quinte e di cui Vitruvio fa un'ampia descrizione nel De Architactura (… secundum autem spatia ad ornatus comparata, quae loca Graeci periactous dicunt ab eo quod machinae sunt in his locis versatiles trigonos habentes in singula tres species ornationis, quae cum aut fabularum mutationes sunt futurae seu deorum adventus cum tonitribus repentinibus ea versentur mutentque speciem ornationis in frontes… che in italiano può essere tradotto: "aree disposte per apparati scenici, luoghi che i Greci chiamano perìaktoi (attorno a un punto focale) per il fatto che in questi luoghi vi sono macchine mobili triangolari aventi ciascuna tre campi ornamentali, le quali quando stanno per verificarsi o cambiamenti nei drammi ovvero apparizioni di dei, con tuoni improvvisi si girano verso tali parti e mutano il campo ornamentale sulle fronti") erano dei prismi girevoli, probabilmente triangolari, di legno dipinto.(ripresi anch'essi dalla Grecia) Sempre d'importazione greca i macchinari utilizzati anche in Roma per l'acustica.

3) LA COMMEDIA : IL TEATRO COMICO DI PLAUTO E TERENZIO
Il teatro latino, come abbiamo già detto, è essenzialmente un teatro comico; infatti l'italum acetum era una componente fondamentale dei Romani: tanto è vero che ci sono pervenuti venti testi di Plauto e sei di Terenzio, mentre per quanto riguarda la tragedia abbiamo solo nove tarde opere di Seneca. Al contrario di quello che si è portati a credere, la commedia latina non era affatto opera di imitazione, anzi la commedia di Plauto e di Terenzio ha avuto una sua indiscutibile originalità. Tanto è vero che i modelli greci da essi adottati erano solo uno schema drammaturgico su cui costruire commedie personalissime nello spirito, nella struttura drammaturgica stessa, nella condizione dei personaggi. Le commedie possono essere divise in due filoni: in un primo tempo si ha la fabula palliata, di argomento greco; successivamente con Nevio si ha la commedia di argomento romano, chiamata fabula togata (entrambi i nomi si riferiscono agli abiti indossati dagli attori). Il fondatore del teatro latino é Livio Andronìco, vissuto nel III secolo a.C.: autore non solo di commedie ma soprattutto di tragedie. Se Livio si limitò a tradurre per il pubblico romano le commedie greche della Commedia Nuova, invece Gneo Nevio, vissuto fra il 270 e il 201 a.C., probabilmente nativo di Capua, è un autore più libero nel tradurre e adattare i testi originali greci. Chi invece diede al teatro latino una svolta fondamentale conducendolo ad un'autonomia e a un'originalità prima neppure immaginata, fu Tito Maccio Plauto. E' stato addirittura paragonato ad Aristofane, il più grande commediografo del mondo classico. Plauto visse tra il 255 e il 184 a.C. circa e, originario di Sarsina, venne a Roma come attore prima di diventare autore di palliate. Le sue venti commedie che ci sono pervenute sono: Amphitruo; Asinaria; Aulularia; Captivi; Curculio; Casina; Cistellaria; Epidicus; Bacchides; Mostellaria; Menaechmi; Miles gloriosus; Mercator; Pseudolus; Poenolus; Persa; Rudens; Stichus; Trinummus; Truculentus.

4) PLAUTO
Il nome preciso del poeta e la maggior parte delle informazioni sulla sua vita sono tra i dati incerti e molte delle testimonianze antiche sono  ricavate da  allusioni contenute nelle commedie. Sicuro sembra che il poeta fosse nativo di Sàrsina, un borgo dell’Umbria, dell’area osca; Plauto è dunque il primo autore latino che non proviene da una zona di cultura greca. Nel II secolo circolavano qualcosa come centotrenta commedie sotto il suo nome, ovviamente la maggior parte apocrife, poiché egli era stato un autore di gran successo e molti autori posteriori usarono il suo nome per attirare favore e simpatia sui propri allestimenti; ma grazie all’enorme lavoro di identificazione delle opere originali da parte di Marco Terenzio Varrone, il numero di commedie sicuramente riconducibili a Plauto si è ridotto a ventuno.
Le trame delle commedie plautine sono per la maggior parte riprese da esemplari greci, in particolare da Menandro, il più importante tra i comici della cosiddetta Commedia nuova di Atene, fiorita nel IV secolo a.C.. Ma sappiamo che Plauto scelse i suoi soggetti anche tra le commedie di altri autori: Difilo, Alessi, Demofilo. Plauto si preoccupa poco di comunicare il titolo, ed eventualmente la paternità della commedia greca su cui via via si è orientato; anche i titoli di Plauto non sono quasi in nessun caso trasparenti traduzioni di titoli greci. E’ chiaro che, a differenza di quello che avverrà per autori successivi come Terenzio, il teatro di Plauto non presuppone un pubblico così ellenizzato da gustare minutamente il riferimento a certi modelli. L’“originalità” di Plauto resta affidata in primo luogo alla sua straordinaria creatività linguistica e metrica: neologismi, giochi di parole, maestria ritmica; l’inventività linguistica di Plauto si manifesta anche nei nomi dei personaggi, cambiati rispetto agli originali greci. Un’altra particolare caratteristica delle commedie plautine è la presenza dei cantica, parti in metri lirici, vivaci scene cantate e accompagnate dalla musica: essi sono diversi dai cori della tragedia greca, perché non sono solo intermezzi mediativi, momenti in cui l’entusiasmo dei singoli personaggi di scena, la loro emozione esagerata e caricata, vengono espressi da una forma metrica diversa da quella del dialogo, bensì momenti dell’azione che spesso coinvolgono più personaggi, producendo effetti di grande spettacolarità. Le commedie di Plauto, nella realizzazione scenica e nello svolgimento delle vicende, tendono a porre in primo piano elementi di comicità beffarda: la beffa, il travestimento, lo scambio di persona…Plauto sembra alle prese con situazioni socio-antropologiche molto elementari: la rivalità che, nelle gerarchie familiari, oppone padri e figli per il possesso della donna e anche la stessa “disponibilità” della donna.
Lo spazio della commedia è un’astrazione fantastica, dove possono avvenire cose che la normalità quotidiana a Roma non permetterebbe, infatti le trame appaiono spesso inverosimili e meccaniche; il mondo della commedia è un mondo colto in aspetti tanto brutali e disgregati è per questo che non deve esserci, tra il pubblico e i personaggi, nessuna piena identificazione.
Nonostante la grande originalità stilistica di Plauto, le trame e gli intrecci sono quelli delle commedie greche e tutti, con poche variazioni, molto simili tra loro. Riassumendo, lo svolgimento tipico delle commedie è questo: un giovane è innamorato di una fanciulla (per lo più si tratta di una cortigiana) ma non può unirsi a lei; gli si oppongono altri amanti meglio forniti di moneta, oppure, altre volte, un padre, che lo vorrebbe serio e obbediente, o che addirittura gli è rivale; altro ostacolo fisso è il lenone, che rifiuta di cedere la ragazza se non gli verrà consegnato il denaro. Mediatore e risolutore di queste tensioni è spesso il servus callidus, il servo astuto: è lui la figura centrale e il punto di attrazione, per il pubblico e gli altri personaggi, poiché è lui che produce la soluzione della crisi comica; altri personaggi sono: l’ adulescens, il protagonista della vicenda; la puella, la donna amata dal protagonista.
I personaggi plautini rappresentano uno stadio tanto elementare dei rapporti sociali che devono apparire essenziali, privi di sfumature, perfino un poco uguali tra loro; anche gli intrecci, per lo stesso motivo, sono prevedibili e ripetibili.
Le commedie della scelta varroniana, nel corso del Medioevo, sono state messe in disparte e personaggi illustri come Dante Alighieri e i suoi contemporanei le hanno ignorate: è solo a partire dal 1429 che le commedie plautine tornano in circolazione presso gli umanisti italiani. Plauto deve la grande fortuna delle sue commedie all’utilizzo continuo della figura del servo astuto (servus callidus), che, con le sue macchinazioni, disegna l’evoluzione della commedia e dell’opera buffa fino all’Ottocento. Plauto è certamente ancora oggi il più rappresentato di tutti i poeti scenici latini.
Una delle commedie plautine più famosa è l’Amphitruo, che occupa un posto particolare nel teatro di Plauto, perché è l’unica a soggetto mitologico: in essa si racconta che Giove, con l’aiuto del fedele Mercurio, giunge a Tebe per conquistare la bella Alcmena, impersonando il marito di lei, Anfitrione, che in quel momento si trova in guerra. Ma improvvisamente il vero Anfitrione ritorna dalla guerra e, dopo una brillante serie di equivoci, si placa, onorato di aver avuto per rivale un dio. Altre commedie famose sono: Epidicus, in cui il protagonista è il servo; Pseudolos, è tra i culmini del teatro plautino, lo schiavo del titolo è veramente una miniera di inganni, il campione dei servi furbi di Plauto. 

5) TERENZIO Publio Terenzio Afro, invece, realizzò un teatro di pensiero intimista e volto alla psicologia; un autore molto diverso da Plauto, nell'intreccio, nell'invenzione comica, nei caratteri, nell'idea stessa di commedia. Il suo teatro non si rivolse soltanto ai plebei, ma anche alle classi colte. Nato a Cartagine, visse tra il 195 e il 159 a.C. Giunto a Roma come schiavo, entrò a far parte del circolo scipionico, espressione di una cultura raffinata e filoellenica, che si stava diffondendo nella classe dirigente e che si contrapponeva alla vecchia e severa tradizione romana. Per questo motivo Terenzio ebbe vita difficile sia sui palcoscenici che nei confronti degli altri autori che lo accusarono di essere un semplice prestanome dei suoi protettori; un'accusa infondata, dal momento che dopo la sua morte nessuno più scrisse commedie con il suo nome. E' stato definito da uno dei suoi più attenti studiosi (L. Perelli,Il teatro rivoluzionario di Terenzio, Firenze 1973) l'unico drammaturgo latino che si sforzò deliberatamente di realizzare una commedia latina che fosse artisticamente superiore al suo modello greco. Rispetto a Plauto, Terenzio introduce nella commedia una serie di modifiche come il prologo polemico (e non espositivo dell'intreccio), l'uso della contaminatio come mezzo per creare una commedia di preciso timbro morale, una lingua pura e limpida; ma soprattutto ciò che contraddistingue Terenzio é la sua concezione di vita, espressa chiaramente in una battuta de il punitore di se stesso:"Homo sum. Humani nil a me alienum puto.", ovvero: "Uomo sono. Non mi è estraneo nulla di ciò che è umano. Si tratta dell'humanitas che nel teatro di Terenzio rende sia i giovani che i vecchi, sia i servi che le cortigiane dei personaggi, con le loro psicologie e con le loro debolezze, e mai dei tipi fissi o delle maschere, come accade in Plauto. Così facendo, però, Terenzio deludeva le aspettative del pubblico, attratto maggiormente da un altro genere di spettacoli. Le sei commedie da lui scritte sono: Andria; Heautontimorumenos; Eunuchus; Phormio; Adelphoe; Hecyra.

Adelphoe Vi è senz’altro una forte incoerenza fra la parte finale (dove Demea sembra essere il saggio e Micione lo sciocco) ed il resto della commedia.  La critica ha proposto varie soluzioni interpretative :
1)  Il finale sarebbe un’appendice farsesca estranea all’azione, ma allora non si capisce la “seria” battuta finale di Demea, che afferma di esser disposto di lasciare la donna (la suonatrice) a Ctesifone, ma purché sia l’ultima.
2) il finale sarebbe una prova dell’imparzialità comica di Terenzio; ma anche questa tesi non è convincente, perché, se si esclude il finale, l’autore parteggia senz’altro per i metodi educativi di Micione
3) Terezio nel finale avrebbe volutamente ridicolizzato Micione e riabilitato Demea per incontrare il consenso del pubblico, tradizionalista e conservatore (tesi più accettabile)

Hecyra. L’Hecyra è la commedia più lontana dagli schemi plautini, quasi del tutto priva di spunti propriamente comici (forse proprio per questo non ebbe successo).
Grandi sono gli effetti di sospensione e di sorpresa (non si sa, ad esempio, perché Filumena abbia volontariamente abbandonato la casa del marito e nel corso della commedia vengono presentate varie ipotesi. Quando poi Panfilo rivela in un monologo ciò che ha appena appreso (cioè che la moglie sta per partorire), aumentano gli effetti di ambiguità e di ironia, perché sia i personaggi sia gli spettatori -ad esclusione di Mirrina, la madre della ragazza- conoscono solo una parte della verità..
La soluzione giunge in modo inaspettato proprio dalla cortigiana Bacchide, con il riconoscimento dell’anello strappato a Filumena e tutto si ricompone.
La tesi della commedia: poiché i fatti smentiscono le attese, i sospetti si dimostrano infondati ed i presunti colpevoli si rivelano innocenti, gli spettatori sono portati a constatare che l’apparenza inganna, che le persone e le situazioni, se analizzate nel profondo, risultano diverse da come si presentano in apparenza, che anche chi riveste i ruoli più scomodi può essere migliore dell’immagine che se ne ha abitualmente secondo il luogo comune: le suocere possono essere affettuose e comprensive, e le prostitute possono dimostrare sentimenti nobili (ad es. Bacchide si dimostra onesta e generosa e pronta a sacrificarsi per il bene del giovane che un tempo l’aveva amata). La realtà è quindi complessa ed imprevedibile e non può perciò venir racchiusa in schemi rigidi e assoluti;

 6) CONFRONTO FRA PLAUTO E TERENZIO

Plauto: gli intrecci ed i personaggi
Gli intrecci di PL. sono quelli tipici della commedia nuova greca, a cui appartenevano i modelli utilizzati, intrecci complicati ma anche molto ripetitivi. La maggio parte delle commedie (16), presentano, infatti, una medesima situazione di base:un giovane (adulescens), innamorato di una donna e ostacolato nel suo amore o perché lei è una cortigiana, o perché è sprovvista di dote; o per motivi di carattere economico o sociale.
Il giovane, generalmente senza soldi, ha però degli aiutanti: un vecchio comprensivo, un giovane amico, un parassita, o, più frequentemente, un servo astuto e audace (servus callidus). Tutti questi personaggi normalmente si adoperano per proteggere il giovane dal padre, sottrargli del denaro, oppure per farsi beffe e truffare altre due figure tipiche della commedia: il lenone (ruffiano) ed il soldato, generalmente raffigurato come pieno di autostima, borioso, stupido edanche prepotente. Padre, lenone e soldato sono quindi gli antagonisti del giovane.
L’intreccio complicato si conclude solitamente col lieto fine (per lo più il matrimonio) e la riconciliazione fra i vecchi e i giovani, mentra le beffe ed i danni toccano generalmente ai lenoni e al miles. Molto spesso il lieto fine, con il conseguente matrimonio, è reso possibile dal riconoscimento (motivo assai frequente nella Commedia Nuova), che serve a sbloccare anche le situazioni più intricate.
Plauto guarda in primo luogo alla comicità ed è molto meno interessato del suo modello, Menandro, e di Terenzio, poi, alla coerenza e all’organicità dell’intreccio.
Poco gli interessano anche i conflitti psicologici tra i protagonisti (vecchi e giovani, padri e figli, mariti e mogli, servi e padroni), mentre i conflitti psicologici avevano avuto grande importanza in Menadro e la avranno poi ancor di più in Terenzio (ad es. “I fratelli”).
I personaggi di Plauto sono dei “tipi” caricaturali, dei veri e propri capolavori di esagerazione grottesca (ad es. il soldato del “Miles gloriosus”).
Ma il personaggio che PL. predilige è senz’altro il servus callidus (lo schiavo astuto), scaltro, esperto di inganni, spavaldo, sfrontato, sicuro di sé, insolente e straffotente, generalmente vittorioso sul vecchio padrone.
La vittoria dello schiavo sul vecchio padrone, non vuole essere un atteggiamento critico o polemico nei confronti dei rapporti sociali in atto, ma piuttosto la tendenza al rovesciamento burlesco della realtà (aspetto caratteristico della commedia in generale e del teatro plautino in particolare).
Per quanto riguarda i rapporti con i modelli greci , Pl. traduce, riprende, rielabora commedie greche che non ci sono pervenute (in particolare Menandro, Commedia Nuova), esercitando però la contaminazione (= inserzione in una commedia, derivata da un determinato originale greco, di uno o più scene, o anche uno o più personaggi, tratti da un’altra commedia, anch’essa greca). Ampio spazio è dato anche alla musica e al canto, che invece avevano poco rilievo nella commedia greca.
L’ambientazione è greca e questo gli offriva anche il vantaggio di poter attribuire comportamenti certo non esemplari ai Greci e non ai Romani.
Il prologo è generalmente espositivo

TERENZIO: gli intrecci ed i personaggi
elementi di distacco da Plauto: maggior fedeltà ai modelli, soppressione quasi totale dei pezzi cantati, linguaggio della conversazione ordinaria (stile “puro”), senza esagerazioni per potenziare la comicità, prolog ogeneralmente non espositivo, per consentire al poeta di manifestare le proprie idee o di difendersi dai suoi detrattori. (ed in questo modo viene coinvolto anche il pubblico)
Intrecci : è il solito schema tipico della Commedia Nuova, con i soliti personaggi già visti in Pl. vecchi, giovani, cortigiane, lenoni, parassiti, schiavi astuti ecc. con i soliti motivi tradizionali: inganni, riconoscimenti, equivoci.
Tutte le comm. si concludono con uno o due matrimoni, tranne “La suocera”, dopo si ristabilisce un matrimonio già esistente. Terenzio tende a complicare le trame con un’introduzione di una seconda coppia (l’unica dove manca è sempre “La suocera”). Rispetto a Pl. gli intrecci sono più accurati ed organici e c’è una maggior attenzione alla verisimiglianza.
Personaggi sono psicologicamente credibili, i tratti caricaturali sono attenuati, i caratteri sono delineati con finezza. Il ruolo del servo è senz’altro ridimensionato rispetto a PL. e vengono in primo piano specialmente i padri e i figli, rappresentati non come nemici (quindi il conflitto generazionale è attenuato)
Messaggio morale  (assente in Plauto) La visione di Ter. dell’uomo e dei rapporti interpersonali corriasponde a quella di Menandro. Il messaggio centrale delle commedie si può riassumere nell’esortazione alla filantropia , cioè all’amore e al rispetto per gli altri (anche se i ruoli sociali non sono messi in discvussione).

 

7) LA TRAGEDIA
La tragedia, messa in secondo piano rispetto alla commedia ebbe però la sua importanza nel periodo della repubblica. Anche le tragedie si possono differenziare a seconda che siano di argomento greco, fabula cothurnata, o di argomento latino, fabula praetexta. Tra gli autori di tragedie troviamo, oltre a Livio e Nevio, Ennio, nato nel 239 a.C. a Rudiae e morto a Roma nel 169, fu il grande poeta ufficiale della Roma repubblicana, ma anche il teatro tragico fu per lui assai importante. Anche Ennio, come Terenzio, mantenne sempre contatti con il circolo scipionico. Pacuvio, figlio di una sorella di Ennio, fu suo erede nella tragedia. Nato a Brindisi nel 220 a.C., morì a Taranto intorno al 130. Anche Pacuvio, come Ennio, fu in stretto rapporto con il circolo scipionico. Il maggiore esponente di questo genere letterario è, però, Seneca, grande scrittore "morale" che fu maestro di Nerone e che visse dal 4 a.C. al 65 d.C. La sua influenza é stata enorme su tutto il teatro tragico moderno: ha suggestionato profondamente i massimi autori elisabettiani: Shakespeare, Marlowe, Webster. Il primo elemento distintivo é la concezione del fato che "non solo non si identifica con il dio, ma é superiore a uomini e dei e li travolge, il più delle volte, in una comune negatività" (G. Paduano, il mondo religioso della tragedia romana, Firenze 1977, p.21). Il secondo elemento di rilievo è il gusto della violenza più atroce, l'uso costante di fantasmi e di sogni premonitori, la rappresentazione in scena di effetti sanguinari e truculenti degni di quelle battaglie fra gladiatori che avevano molto successo nel circo. Seneca, con uno stile che passa dalla digressione alla battuta serrata e folgorante, crea un teatro tragico che, pur nascendo dai modelli euripidei e solo in piccola parte eschilei e sofoclei, ha un'originalità tutta sua, accenti inusitati ed emozioni particolarissime.

8) IL TEATRO TRAGICO DI SENECA
 Ci è pervenuto sotto il nome di Seneca (nato tra il 12 e l’1 a.C., morto nel 65 d.C.) un corpus di dieci tragedie (le uniche di tutta la letteratura latina che conosciamo non frammentariamente): nove sono di argomento mitologico; una, dal titolo Octavia, è una praetexta.
Incerta e discussa è la cronologia dei testi tragici senecani. L'ipotesi più probabile è che siano stati scritti, almeno in gran parte, nel periodo in cui il filosofo era accanto a Nerone come precettore e poi come consigliere. Il problema cronologico è strettamente legato a quello degli intenti che il filosofo perseguiva e del significato ideologico che egli attribuiva a queste sue opere.
Un illustre studioso di Seneca, Alfonso Traina, partendo dalla constatazione che in quasi tutte le tragedie è presente la figura del tiranno, tratteggiata in termini violentemente negativi, ne ha dedotto che le ipotesi possibili sono soltanto due: «o teatro di opposizione, quale avevano fatto, pagando spesso con la vita, gli intellettuali aristocratici, o teatro di esortazione. Ma Seneca non è mai stato un contestatore politico, neppure durante l'esilio .... Le tirate antitiranniche delle tragedie potevano passare solo se rivolte non “contro” ma “al” potere, come paradigmi negativi di un discorso parenetico» (ossia di ammonizione).
Del resto l'unico modo di giustificare la composizione di opere in versi, dal punto di vista di Seneca (quale risulta dalle sue opere filosofiche), era quello di attribuire alla poesia uno scopo pedagogico, di farne uno strumento di ammaestramento morale. Dunque le tragedie furono composte con ogni probabilità anche e soprattutto per mettere dinanzi agli occhi del giovane principe Nerone (molto amante delle lettere e particolarmente interessato al teatro) gli effetti deleteri del potere dispotico e delle passioni sregolate.
Un altro problema molto dibattuto è se le tragedie siano state scritte per essere rappresentate in teatro o per essere lette nelle sale di recitazione. Sappiamo infatti che in età imperiale, pur non mancando sporadiche testimonianze di vere e proprie rappresentazioni teatrali, l'uso prevalente era di leggere i testi tragici (poco graditi al vasto pubblico) in occasione di recitationes che venivano organizzate in case private, in apposite sale o anche alla stessa corte imperiale, per gruppi più o meno ristretti e scelti d'invitati.
Che anche le tragedie di Seneca siano state composte non per il teatro, ma per la lettura in ambienti ristretti e davanti ad un pubblico selezionato, si deve presumere sulla base di alcune loro caratteristiche tecniche che contrastano con le norme e le consuetudini del teatro antico (specialmente il fatto che orribili delitti, invece di essere soltanto raccontati, si fingano compiuti direttamente sulla scena). Inoltre non è assolutamente credibile che gli imperatori consentissero la rappresentazione, dinanzi ad un pubblico vasto e indiscriminato, di drammi, come questi, in cui i sovrani sono raffigurati come biechi, scellerati e odiosi tiranni.
Al centro di tutte le tragedie troviamo la rappresentazione dello scatenarsi rovinoso di sfrenate passioni, non dominate dalla ragione, e delle conseguenze catastrofiche che ne derivano. Il significato pedagogico e morale s'individua dunque, come si è già accennato, nell'intenzione di proporre esempi paradigmatici dello scontro nell'animo umano di impulsi contrastanti, positivi e negativi. Da un lato vi è la ragione, di cui si fanno spesso portavoce personaggi secondari, come le nutrici delle eroine (Clitennestra, Fedra e Medea), o il cortigiano consigliere del tiranno (Atreo), che cercano di dissuadere i protagonisti dai loro insani propositi; dall'altra vi è il furor, cioè l'impulso irrazionale, la passione (amore, odio, gelosia, ambizione e sete di potere, ira, rancore), presentata, in accordo con la dottrina morale stoica, come manifestazione di « pazzia» (furor, appunto: una parola chiave, continuamente ricorrente nelle tragedie), in quanto sconvolge l'animo umano e lo travolge irrimediabilmente.
In questa lotta tra il furor e la razionalità, lo spazio dato al furor, al versante oscuro, alla malvagità e alla colpa, è senza dubbio preponderante e va ben oltre i condizionamenti e le esigenze imposti dal genere tragico. L'interesse per la psicologia delle passioni, che può apparire quasi morboso, sembra talora far dimenticare al poeta le esigenze filosofico-morali. Inoltre è caratteristica delle tragedie senecane, rispetto ai testi greci che conosciamo e che trattano i medesimi miti, l'accentuazione delle tinte più fosche e cupe, degli aspetti più truci e sinistri, dei particolari più atroci, macabri e raccapriccianti.
In realtà la visione pessimistica, l'accentuazione degli elementi cupi e la forte intensificazione patetica, appaiono funzionali proprio a quel valore di esemplarità negativa che i personaggi tragici rivestono agli occhi del filosofo; sono mezzi di cui l'autore si serve per raggiungere più efficacemente il suo principale obiettivo, consistente nell'ammaestramento morale. Del resto il pathos caricato, l'enfasi e il gusto dei particolari orridi e raccapriccianti erano già presenti (per quanto possiamo giudicare dai frammenti) nei tragici latini arcaici, e trovavano piena corrispondenza nel gusto dei tempi di Seneca, come conferma significativamente il poema di Lucano.
Un'altra caratteristica vistosa delle tragedie senecane è l'interesse prevalentemente concentrato sulla parola a scapito dell'azione. Il poeta rivolge scarsa cura all'articolazione organica della trama e dà grande spazio ad elementi privi di funzionalità drammatica, come lunghissime tirate moralistiche, ampie ed eruditissime digressioni mitologiche, racconti di messaggeri molto dilatati rispetto alle tragedie greche con l'inserzione di vasti pezzi descrittivi.
Le vicende mitiche non interessano infatti al poeta come parti essenziali di un meccanismo drammatico, ma come occasioni per sviluppare topoi letterari (con fitte reminiscenze ed allusioni ad altri testi: i tragici greci, Virgilio, Ovidio, continuamente ripresi e rielaborati) e per dibattere una serie di argomenti morali e politici, come quelli della colpa, del delitto, del regnum, della fides.
Anche i personaggi, più che figure propriamente drammatiche (che si definiscono cioè attraverso l'azione) o caratteri psicologicamente verosimili, sono innanzitutto portatori di determinati temi, affidati loro dal poeta in base agli spunti offerti dalla tradizione mitico-letteraria.
Ne deriva un tono magniloquente e declamatorio, che costituisce indubbiamente un ostacolo per il lettore moderno, infastidito dalla ridondanza e dalla ripetitività connesse con la tecnica della variazione sul tema (tipica della retorica di età imperiale, ed evidente anche nelle opere filosofiche senecane) e dalla sovrabbondanza delle apostrofi, delle esclamative, delle interrogative retoriche.
Nonostante gli eccessi `barocchi' (cioè l'enfasi, l'esuberanza espressiva, il gusto delle tinte forti, dei toni accesi e dell'ornamentazione sovraccarica), nelle tragedie più riuscite (Fedra, Medea, Le Troiane, Tieste) lo scavo negli abissi più tenebrosi dell'animo umano è profondo e potente, e la tensione patetica raggiunge culmini d'intensa emozione e commozione. In tutti i drammi, inoltre, la capacità del nostro autore, di condensare il pensiero in formule (sententiae) semanticamente pregnanti ed incisive, produce risultati assai pregevoli.

9) UNA PARTICOLARE FORMA DI SPETTACOLO : I GIOCHI GLADIATORII
I giochi gladiatori
Come le gare con i carri, anche le lotte gladiatorie ebbero origine probabilmente come giochi funebri privati, pur essendo molto meno antichi rispetto alle prime.
Il primo combattimento gladiatorio in Roma di cui si ha testimonianza ebbe luogo quando tre coppie di gladiatori lottarono fino alla morte durante il funerale di Giunio Bruto nel 264 a. C., anche se è assai probabile che episodi simili si ebbero già in precedenza.
I giochi gladiatori (chiamati MUNERA poichè costituivano in origine una sorta di "tributo" versato agli antenati defunti) gradualmente persero la loro connessione esclusiva con i funerali di cittadini individuali e divennero una parte importante degli spettacoli pubblici finanziati dai politici e dagli imperatori. La popolarità di questi giochi è testimoniata dall' abbondanza di dipinti murari e mosaici che ritraggono i gladiatori
I gladiatori
I gladiatori (il cui nome deriva da quello della spada romana chiamata gladius) erano prevalentemente individui non liberi (criminali condannati, prigionieri di guerra, schiavi); alcuni di essi erano volontari (per la maggior parte liberti o uomini liberi delle classi più basse) che sceglievano di assumere lo stato sociale di uno schiavo per il compenso economico o per la fama e l' eccitazione.
Chiunque diventasse gladiatore era automaticamente infamis per la legge e per definizione un cittadino non rispettabile. In realtà anche un esiguo numero di esponenti delle classi più elevate si confrontava nell' arena (benchè questo fosse esplicitamente proibito dalla legge), ma costoro non vivevano con gli altri gladiatori e costituivano una particolare esoterica forma di intrattenimento (così come le donne, estremamente rare per la verità, che combattevano nell' arena).
Tutti i gladiatori pronunciavano un giuramento solenne (sacramentum gladiatorium), simile a quello dei legionari ma assai più sinistro: "Sopporterò di essere bruciato, di essere legato, di essere morso, di essere ucciso per questo giuramento" (Uri, vinciri, verberari, ferroque necari, Petronius Satyricon 117). Paradossalmente, questo terribile giuramento forniva una sorta di voluzione e di onore ai gladiatori; come afferma Carlin Barton: "Il gladiatore, attraverso il suo giuramento, trasforma in volontario quello che in origine era un atto involontario, così che , nel momento stesso in cui assume i panni di uno schiavo condannato a morte, egli diviene contemporaneamente un uomo che agisce secondo la propria volontà"
(The sorrows of the Ancient Romans: The gladiators and the monsters Princeton University Press, 1993 15).
Alcuni gladiatori non combattevano più di due o tre volte l' anno; i migliori tra essi divenivano veri e propri eroi popolari e, in quanto tali, i loro nomi apparivano spesso nei graffiti: il carnefice dell' arena diventava il carnefice dei cuori: decus puellarum, suspirium puellarum. Grazie a questa popolarità e ricchezza, lo schiavo, il cittadino decaduto, il condannato per delitti comuni eguagliava i pantomimi e gli aurighi di moda. I combattenti più abili infatti potevano vincere una notevole somma di denaro e ricevevano la spada di legno (rudis) che simboleggiava la libertà acquisita. I gladiatori liberati potevano continuare a combattere per denaro, ma più di frequente divenivano istruttori nelle scuole gladiatorie o guardie del corpo mercenarie per il compenso economico.
Tipi di gladiatori
Vi erano diverse categorie di gladiatori, distinte in base al tipo di armatura indossata, alle armi utilizzate e allo stile del combattimento; gli incontri vedevano generalmente coinvolte due diverse categorie di gladiatori.
I sanniti:· portavano lo scudo(scutum) e la spada (spatha)
I traci:· si proteggevano con una rotella(parma) e maneggiavano il pugnale(sica)
I murmillones:· forniti di un casco su cui era dipinto un pesce di mare, la murma
I retiarii:· di solito gli antagonisti dei precedenti, con la rete e il tridente.
L’arena
I combattimenti gladiatori, come le gare con i carri, si tenevano in origine in grandi spazi aperti con dei sedili provvisori; è stato attestato che alcuni munera avevano luogo nel foro, ad esempio. Quando ,in seguito, i giochi divennero più frequenti e popolari, si rese necessaria una struttura più grande e permanente. Anche se a tale scopo veniva spesso usato il circus maximus per via della sua maestosa capacità, i romani alla fine crearono un edificio specificatamente per questo tipo di spettacoli (chiamato anfiteatro perchè i sedili erano distribuiti tutti intorno alla struttura ovale o ellittica dell'area in cui avvenivano i combattimenti l'harena, il cui terreno era ricoperto di sabbia).
I primi anfiteatri, tanto a Roma come altrove erano costruiti in legno, ma gli anfiteatri in pietra dimostrarono di essere molto più duraturi.Il più antico anfiteatro in pietra, costruito a Pompei nel I° secolo d.C.e con una capienza di circa 20.000 posti, è ancora ben conservato.
Si possono vedere attraverso il livello superiore delle arcate una serie di sedili in pietra disposti a gradinate, oltre alle mura esterne. (immagine Anfiteatro Flavio)
Come i teatri Romani così gli anfiteatri erano delle strutture provvisorie: non essendo scavati nel declivio naturale del terreno infatti, questi potevano essere costruiti ovunque.
Un giorno all’arena
I giochi gladiatori avevano inizio con una elaborata processione che comprendeva i combattenti ed era condotta da colui che finanziava la manifestazione, l'editor; in Roma, durante il periodo imperiale, questo era di solito l'imperatore stesso, mentre nelle province era un magistrato d'alto rango.
La parata e gli eventi successivi erano spesso accompagnati dalla musica.
Le manifestazioni della mattina potevano incominciare con combattimenti simulati (immagine); a questi sarebbero seguiti esibizioni di animali, a volte consistenti in animali ammaestrati che si cimentavano in giochi di abilità, ma più spesso organizzati come cacce (venationes) in cui animali esotici sempre più numerosi venivano aizzati l'uno contro l'altro, oppure cacciati e uccisi dai bestiarii.
L'ora di pranzo era dedicata alle esecuzioni dei criminali che avevano commesso crimini particolarmente atroci:
omicidi incendi, sacrilegi (i Cristiani, ad esempio, erano considerati imputati per sacrilegio e tradimento, in quanto rifiutavano di partecipare ai riti della religione di stato o di riconoscere la natura divina dell'imperatore.
La natura pubblica dell'esecuzione la rendeva tanto più degradante quanto dolorosa , e mirava a fungere da deterrente per gli altri.
Una forma di esecuzione nell' arena era la damnatio ad bestias, in cui i condannati erano costretti ad entrare nell' arena con animali feroci, oppure a partecipare a rappresentazioni drammatiche di racconti mitologici in cui i protagonisti morivano realmente (ne è un esempio il mito di Dirce, ucciso dopo essere stato attaccato ad un toro). I criminali potevano anche essere costretti a combattere nell' arena senza un precedente addestramento; in tali confronti la morte era l' inevitabile conclusione, in quanto il victor doveva combattere con ulteriori avversari finchè non moriva (tali combattenti non erano, naturalmente, gladiatori professionisti).
In occasioni straordinarie, i criminali potevano essere costretti ad interpretare una complessa battaglia navale (naumachia); queste, benchè generalmente si svolgessero sui laghi, si pensa abbiano occasionalmente avuto luogo anche nel Colosseo.
Nel pomeriggio, i giochi raggiungevano il momento culminante: i combattimenti gladiatori individuali. Questi consistevano generalmente in scontri tra gladiatori con differenti tipi di armatura e stili di combattimento, arbitrati dal lanista.Si crede comunemente che queste lotte cominciassero con l’ enunciazione da parte dei gladiatori di questa formula: "Coloro che stanno per morire ti salutano": in realtà, l’unica testimonianza dell’utilizzo di questa espressione si riscontra nella descrizione di una naumachia organizzata da Claudio con dei criminali condannati in cui gli uomini, secondo quanto si è potuto desumere, dicevano: "Ave Imperator, morituri te salutant", ma questo non era certamente un tipico combattimento gladiatorio, e non può pertanto essere assunto come esemplare di una pratica usuale. Vi erano, comunque, molti rituali nell’arena. Quando un gladiatore era stato ferito e intendeva dichiarare la resa, sollevava il dito indice: a questo punto, la folla avrebbe manifestato con particolari gesti simbolici la sua volontà riguardo alla sorte del gladiatore sconfitto: se cioè egli dovesse essere ucciso o risparmiato. Secondo quanto si è soliti credere, "pollice verso"equivaleva alla morte, "pollice alto"alla salvezza, ma non vi sono effettive testimonianze di questo fatto, e i testi scritti riportano che, se "pollicem vertere" indicava la morte, era invece "pollicem premere"ad esprimere la volontà di risparmiare il gladiatore. In ogni caso, il finanziatore dei giochi decideva a questo punto se concedere o meno una sospensione della condanna (missio). Se il gladiatore doveva essere ucciso, egli era tenuto a subire il colpo finale con una sorta di ritualità, senza lamentarsi o tentare di sottrarvisi. Alcuni studiosi ritengono che si seguisse un rituale anche per rimuovere il cadavere del gladiatore, con un uomo mascherato da Caronte che tastava il corpo per accertarsi che fosse veramente morto, e quindi uno schiavo che lo trascinava con un uncino attraverso un cancello chiamato Porta Libitinensis (Libitina era una dea della morte).
10) IL TEATRO DEL MEDIO EVO  Dopo la caduta dell'Impero (476) gli spettacoli furono proibiti dalla Chiesa. Il Teatro scomparve. Verso l'anno 1000 si sviluppò il teatro sacro, che si svolgeva all'interno della Chiesa, durante la Settimana Santa per rappresentare la Passione del Cristo. Parallelamente, nelle corti feudali, si svilupparono intrattenimenti laici e forme di teatro popolare.
BIBLIOGRAFIA:
G. Antonucci, Storia del teatro antico Grecia e Roma, Roma 1997
U.E. Paoli, Vita Romana, Firenze 1962, p.223

 

Fonte: http://digilander.libero.it/leo.eli/classe%20III_MATERIALI/MATERIALI_LATINO/LETTERATURA/01_TEATRO_GRECO_ROMANO_PL_TERENZIO_SENECA_TEATRO_MEDIEVALE.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Teatro greco romano

 

IL TEATRO ROMANO
ORIGINI E STORIA DEL TEATRO  ROMANO
Nei tempi più antichi e, comunque, fino al IV secolo a. C., Roma non ebbe delle costruzioni murarie da adibire a luogo esclusivo per gli spettacoli teatrali, che erano rappresentati solo su palcoscenici di legno, allestiti in occasione delle manifestazioni e poi smontati al termine delle stesse.
Tale palcoscenico consisteva in una piattaforma, più o meno vasta, sulla quale gli attori recitavano, rialzata da terra, per consentire a tutti gli spettatori di assistere allo spettacolo (in piedi o seduti per terra, perché non erano previste sedie).
Nel corso del II secolo a. C. venne più volte intrapresa la costruzione di teatri in muratura, ma il Senato ne ostacolò sempre l’ultimazione, perché era contrario a tutte le rappresentazioni che avessero, in qualche modo, subito l’influenza della cultura greca.
In Grecia il teatro era concepito come uno strumento per educare lo spettatore: mentre assisteva alla rappresentazione teatrale (nell’ambito della quale il protagonista non agiva secondo i dettami degli dèi e per questo veniva punito) lo spettatore si identificava con l’attore e veniva, quindi, educato a non agire come lui: dunque il teatro era concepito come uno strumento di educazione di massa, la cui importanza era così rilevante che veniva addirittura consentito l’ingresso gratuito a coloro che non erano nelle condizioni economiche di permettersi l’acquisto del biglietto per assistere alla tragedia.
A Roma, invece, il teatro non ebbe tale rilievo.
Il periodo delle origini del teatro e della letteratura latina comprende convenzionalmente il periodo storico intercorrente tra la nascita di Roma (tradizionalmente fissata al 21.4.753 a. C.) e il termine della prima guerra punica; comunque, solo nel 240 a. C. Livio Andronico fece rappresentare la prima vera opera teatrale della latinità.

I primi spettacoli teatrali furono i LUDI: essi si svolgevano nel Circo Massimo in onore della Triade Capitolina (Giove, Giunone e Minerva) e le loro forme principali furono:

  • la farsa fliacica e l’atellana;
  • i fescennini;
  • la satira;
  • il mimo.
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LA FARSA FLIACICA E L’ATELLANA

La farsa fliacica: dalla fine del V° al III° secolo a. C. in Magna Grecia e in Sicilia si diffuse la farsa fliacica, commedia popolare, di genere drammatico in gran parte improvvisata, in cui gli attori-mimi erano dotati di costumi e maschere caricaturali.
La farsa fliacica fu fissata in forma letteraria da Rintone di Siracusa e tutto ciò che di essa è rimasto sono raffigurazioni su vasi, rinvenuti nei pressi di Taranto.

 

 

   Scena di una farsa fliacica tratta da un cratere a calice siceliota a figure rosse (350-340 a. C.) custodita nel Museo del Louvre, a Parigi.

 

L’Atellana: lo storico Tito Livio ci narra che questo primitivo spettacolo teatrale sorse presso Osci di Atella, una città campana, e fu importato a Roma nel 391 a. C.
Le “Atellane” erano rappresentazioni frutto di improvvisazioni di breve durata, di carattere popolare e farsesco.
Le compagnie degli “attori” erano itineranti e molto spesso il carro su cui viaggiavano diventava il palco improvvisato su cui si esibivano (occorre infatti ricordare che all’epoca i teatri esistevano solo nella Magna Grecia, mentre in Italia il primo teatro in muratura fu costruito da Pompeo solo nel 55 a. C.).
L’Atellana era animata da quattro personaggi fissi:

  • MACCUS (lo stupido);
  • PAPPUS (il vecchio avaro);
  • BUCCO (il ghiottone vanaglorioso e maleducato);
  • DOSSENNUS (il gobbo astuto e imbroglione).

A queste maschere antropomorfe si aggiungeva quella di KIKIRRUS (una maschera teriomorfa che nell’aspetto ricorda un animale, infatti già il nome ricorda il verso di un gallo).
I maggiori autori latini di Atellana furono Nevio e Lucio Pomponio (primi decenni del I° secolo a. C.).
In tali spettacoli era preponderante l’aspetto buffonesco.

 

I FESCENNINI

Tito Livio in ‘’ab Urbe condita libri’’ narra che nell’anno 364 a. C. i Romani, non riuscendo a debellare una pestilenza, per placare l’ira degli dei iniziarono a istituire anche i ludi scenici: a tal fine chiamarono dall’Etruria i ludiones, cioè attori specializzati a danzare e gesticolare al suono del flauto.
Nel 364 a. C., durante i ludi romani, per la prima volta fu dunque introdotta, nel programma della festa, una forma di teatro originale, costituita da una successione di scenette farsesche, contrasti, parodie, canti e danze, chiamati FESCENNINA LICENTIA.
Secondo il grammatico Festo il termine ‘’fescennini’’ potrebbe essere frutto di due diverse interpretazioni:

  • la prima deriverebbe dalla città di Fescennium, al confine tra Etruria e Lazio, ove si svolgevano feste agresti con scambio di versi licenziosi;
  • la seconda deriverebbe dal termine fascinum, cioè malocchio.

Tale forma teatrale trovò la sua massima espressione in una vasta zona al confine tra il Lazio e l’Etruria intorno al II° secolo a. C.
I fescennini versus erano opere protoletterarie, tipicamente popolari, di derivazione etrusca, e furono la più antica forma di arte drammatica presso i Romani. Durante i fescennini si svolgevano danze buffonesche, canti e travestimenti. Tale forma di rappresentazione – di origine etrusca – non ebbe una autonoma evoluzione teatrale, ma contribuì alla nascita della drammaturgia latina.
Lo spettacolo era costituito da un dialogo sboccato e licenzioso, che venne poi bandito da parte del Senato.
Nel 364 a. C., allorché questi racconti vennero rappresentati nei ludi da attori etruschi, erano, comunque, già diffusi in gran parte d’Italia.

 

LA SATIRA

La “satura” (letteralmente “miscuglio”) è la prima forma drammaturgica latina di cui abbiamo memoria: essa trae la sua origine nello spirito farsesco dei fescennini e delle rappresentazioni di musica e danza etrusche.
La satira consisteva in una rappresentazione teatrale mista di danze, musica e recitazione e gli interpreti erano degli histriones.
Nel I° secolo d. C. Quintiliano (nella sua ‘’Institutio oratoria’’, X, 1, 93) affermava orgogliosamente “Satura quidem tota nostra est”: essa, a differenza degli altri generi, è infatti totalmente romana.
Nella letteratura latina vengono distinti due tipi di satira:

  • drammatica (destinata alla rappresentazione);
  • letteraria (destinata alla lettura).

 

L’AFFERMAZIONE DELLA COMMEDIA

Nella storia della letteratura teatrale si distinguono due grandi fasi:

  • la prima va da Andronico a Plauto: con Andronico e Nevio il teatro latino comincia ad acquisire una sua autonoma fisionomia: mentre Andronico rimane ancorato ai modelli della commedia greca, Nevio propone, invece, drammi di soggetto romano;
  • la seconda va da Ennio a Silla: la nascita di una letteratura drammatica autonoma è confermata da Ennio che, sulla scia del successo di Plauto, scrive sia satire, sia tragedie.

Accanto alle commedie di ambientazione greca cominciano ad affermarsi quelle di argomento romano.
All’apparenza la commedia romana consiste in un’imitazione delle commedie di Menandro, con qualche variazione: l’eliminazione del coro e l’introduzione dell’accompagnamento musicale.
La commedia greca era chiamata FABULA PALLIATA (derivante dal termine “pallium”, cioè mantello con cappuccio di foggia ellenica), mentre la commedia ambientata nell’attualità romana era detta FABULA TOGATA (dalla “toga”, mantello romano), oppure tabernaria.
La “palliata” era un genere di commedia latina di argomento greco: i personaggi erano greci, greco era il luogo in cui era ambientata l’azione, come greca era l’opera da cui la palliata era tratta. La fabula palliata raggiunse il suo massimo splendore proprio nel II° secolo a. C.
La “fabula togata” o “commedia togata” era una rappresentazione teatrale latina documentata a partire dal II° secolo a. C. Essa nacque come rappresentazione teatrale comica di argomento e ambientazione romana.
L’abbigliamento tipico indossato dagli attori, che erano tutti solo di sesso maschile, era la toga, un abito tipicamente romano.
Entrambe le fabulae ripresero intrecci e trame tipici della commedia nuova, composta in dialetto attico nell’ultima fase di sviluppo del teatro greco (IV-III secolo a. C.).

 

LA TRAGEDIA NELLA RIELABORAZIONE LATINA

Negli ultimi decenni della repubblica l’interesse verso il teatro crebbe, coinvolgendo non più solo gli strati popolari, ma anche quelli medio-alti e l’èlite intellettuale: accanto alle commedie lo spettatore romano iniziò anche ad appassionarsi alle tragedie.
Il genere tragico venne ripreso dai modelli greci.
La tragedia era denominata FABULA COTHURNATA, oppure palliata, se di ambientazione greca.
Quando, invece, la tragedia trattava i temi della Roma dell’epoca, con allusioni alle vicende politiche correnti, era detta PRAETEXTA (dalla toga praetexta, orlata di porpora, in uso per i magistrati).

 

IL TEATRO DI INTRATTENIMENTO

La danza e il mimo furono i generi che maggiormente attrassero l’attenzione del pubblico.
Il mimo era uno spettacolo senza trama, che consisteva nell’imitazione teatrale della vita quotidiana e dei suoi aspetti più grotteschi, accompagnata da musica.
Gli attori recitavano sempre senza maschera, quindi la loro arte doveva basarsi più sulla gestualità facciale e corporea che sulla voce.
Il termine mimo deriva da “mimus”, prestito che deriva dal greco “mi%mov” (imitatore), deverbativo da ‘’mimei%sqai’’ (imitare): esso indica l’imitazione della vita reale e si riferisce sia al genere artistico, sia all’attore che lo esercita.
Sulla scena recitavano anche le donne, vestite in maniera abbastanza discinta (e questo particolare faceva riscuotere molti consensi nel pubblico romano, certamente molto meno raffinato di quello greco); invece nel teatro romano le parti femminili erano interpretate da uomini mascherati.
I mimi non portavano calzature rialzate (come gli attori del teatro “serio”), dunque venivano chiamati planipedes.
Il mimo nacque in epoche remote e giunse a Roma dalla Magna Grecia; esso ebbe il suo massimo apice di popolarità negli ultimi anni della repubblica e, soprattutto, nell’età imperiale.
In origine la rappresentazione dei mimi avveniva quasi esclusivamente durante i ludi Florales, ma venne progressivamente sempre più richiesta: nell’età di Cesare questo spettacolo trovò la sua massima auge, perché si diffuse il gusto veristico, che si distaccò dalle tradizioni arcaiche.
Successivamente il mimo (staccandosi sempre più dalla commedia) evolse verso forme di balletto e recitazione muta: il PANTOMIMO ebbe un grandissimo successo, mentre la tragedia e la commedia erano forme ormai decadute, perché erano mancati due presupposti affinché potessero sopravvivere: la capacità di rinnovamento e validi autori di teatro.
In questa situazione il pubblico colto pretendeva espressioni letterarie sempre più raffinate, mentre la massa urbana prediligeva forme molto più semplici, addirittura prive di dignità letteraria.

***   ***   ***

Durante l’impero i Circenses (giochi del circo) furono preferiti al teatro, perché gli spettatori erano plebei (senza alcuna cultura) e prediligevano rappresentazioni più semplici e non impegnative.
Gli spettacoli teatrali avevano, per lo più, luogo in occasione dei funerali di personaggi importanti, di inaugurazioni di edifici pubblici, di vittorie, di feste religiose. I periodi in cui gli spettacoli teatrali venivano rappresentati erano denominati “LUDI”. Ciascun “ludo” era seguito da un aggettivo che lo caratterizzava e che era riconducibile alla divinità in onore della quale lo spettacolo era stato organizzato. Tra i più importanti, ricordiamo i ludi plebei (rappresentati a novembre nel Circo Flaminio) in onore di Giove; i ludi apollinares (rappresentati a luglio) in onore di Apollo; i ludi florales (rappresentati dal 28 aprile al 3 maggio) in onore della del Flora.

 

ARCHITETTURA DEL TEATRO  ROMANO
Parte integrante della struttura della città romana erano gli edifici di spettacolo e di grande aggregazione popolare come il teatro e l’anfiteatro, che svolgevano anche, proprio perché aperti a una larga frequentazione, un ruolo preciso e importante nella propaganda imperiale. Erano inseriti preferibilmente in aree un poco decentrate rispetto al centro cittadino, con ogni probabilità per favorire l’afflusso e il deflusso degli spettatori, senza creare ingorghi o intasamenti nei settori più abitati.
I Romani utilizzarono il modello di teatro greco, apportandovi modifiche essenziali.
Nel teatro greco, che sorgeva sempre all’aperto, su una collina, si trovavano tre parti essenziali:

  • la cavea (koiélon), generalmente addossata alla collina, nella quale venivano scavate le gradinate, poi suddivise in settori, sulle quali venivano alloggiati i sedili di legno per gli spettatori;
  • la scena (skhnhé), costruzione a pianta allungata, disposta perpendicolarmente all’asse della cavea, situata più in alto dell’orchestra, con la quale comunicava mediante delle scale;
  • l’orchestra (o\rchéstra), di forma circolare, collocata tra il piano inferiore della cavea e la scena. Essa era lo spazio centrale del teatro greco riservato alle danze e al coro. Al centro di essa era situato l’altare di Dioniso (qumeélh).

 

Teatro di Epidauro in Grecia
Lo schema di base del teatro romano traeva origine dal tipo del teatro ellenistico con un’innovazione sostanziale che ne divenne la caratteristica più facilmente riconoscibile: la cavea era poggiata su costruzioni artificiali, date da muri radiali collegati da volte, che riducevano progressivamente le loro dimensioni nella direzione dell’orchestra e sui quali poggiavano le gradinate per il pubblico. La fonte scenica (frons scenae) si presentava come una parete delimitata lateralmente da due avancorpi e ornata da due o tre ordini di colonne. Gli emicicli dei teatri di Pompeo e Marcello a Roma potevano ospitare, rispettivamente 27 e 14 mila posti a sedere. Si tratta di cifre prodigiose se paragonate a quelle dei teatri moderni. La passione per la scena, dunque, anche se ormai dirottata su forme più semplici della tragedia e della commedia, come il pantomimo e il mimo, o farsa buffonesca, era ancora in grado di trascinarli.
Il primo teatro romano in muratura fu edificato da Pompeo nel 55 a. C.
A differenza di quello greco, l’edificio teatrale romano era sempre costruito in pianura; alte mura perimetrali collegavano la scena monumentale con la cavea (insieme delle gradinate in cui prendevano posto gli spettatori).

L’edificio, che aveva forma semicircolare, era costituito da tre parti:

  • l’orchestra, in cui sedevano i senatori;
  • la scena, calcata dagli attori;
  • la cavea, composta dalle gradinate, che, a sua volta, era ripartita in tre settori:
  • quello più vicino all’orchestra, che era riservato ai cavalieri;
  • il settore di mezzo, che era riservato ai soldati e, comunque, al sesso maschile;
  • il settore estremo, che era riservato alle donne e ai plebei.
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  • Teatro di Pompei
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  • Teatro romano di Taormina

SCENOGRAFIA

Inizialmente la scenografia era affidata agli attori, i quali, con i loro dialoghi e con le loro battute ricreavano ambienti e circostanze diversi.
Gli elementi scenografici erano:

    • il proscenium che era in legno e generalmente raffigurava o una via o una piazza in cui recitavano gli attori;
    • la scenae frons corrispondeva a quello che in epoca moderna viene denominato “fondale”: in pratica consisteva in un grosso dipinto riproducente la facciata di un edificio con due o tre porte, che consentivano agli attori di entrare e uscire. Per convenzione gli spettatori sapevano che dalla porta di destra si raggiungeva il foro, da quella di sinistra il porto;
    • i periaktoi erano prismi triangolari che ruotavano:
  • - su una faccia era dipinta una scena tragica;
  • - su un’altra una scena comica;
  • - sulla terza una satiresca;
    • l’auleum era un sipario, che veniva alzato alla fine dello spettacolo. Sappiamo con sicurezza che esso venne usato a decorrere dall’epoca di Cicerone, mentre era sconosciuto ai greci.
TECNICHE E MODI DELLE RAPPRESENTAZIONI
GLI ATTORI E LE COMPAGNIE

La compagnia di attori di drammi regolari, in latino denominata “grex”, era formata da schiavi o liberti; invece le Atellanae erano recitate da uomini liberi.
Gli attori si dividevano in due categorie: gli histriones e i mimi.
Gli attori erano addestrati al canto, al ballo, alla recitazione, ma non godevano di buona reputazione, perché erano equiparati a dei “prostituti” e, quindi, erano considerati degli infami.
Le compagnie teatrali erano denominate “catervae”; il capocomico “dominus gregis”; il direttore di scena “conductor” e l’attrezzista “choragus”.

 
I COSTUMI

Per le rappresentazioni di ambientazione greca gli histriones indossavano abito ateniese (il pallio) e calzavano i coturni o i socci; invece per le rappresentazioni di ambientazione romana gli histriones indossavano la toga classica romana, che per le tragedie era orlata di porpora (praetexta).

 

LE  MASCHERE

Le maschere romane erano di legno o di tela, simili a quelle in uso nell’antica Grecia.
Esse ricoprivano l’intera testa ed erano fornite di capelli posticci, conformi alla maschera di appartenenza, e i tratti somatici dei personaggi erano fortemente caratterizzati. Le maschere erano conformate in modo tale da fungere da megafono.
La loro funzione era definita con l’espressione “ut per – sonaret” da cui deriva il termine “persona” e, quindi, il termine “personaggio”.
Nella tragedia l’uso della maschera era obbligatorio, mentre nella commedia, in cui non era così consueto, fu introdotto solo nel 130 a. C. Nel teatro dei mimi la maschera non era necessaria e scomparve progressivamente anche negli altri generi.

 


Attori che indossano maschere (affresco di epoca romana – Museo archeologico regionale di Palermo)

 


Maschere tragica e comica (Mosaico romano del I secolo a.C. – Roma, Musei Capitolini).

 

 

TEATRO E MUSICA

La musica era un elemento integrante dello spettacolo teatrale ed è una delle più importanti novità del teatro romano; i dialoghi e i veri e propri canti erano accompagnati da un flautista. Purtroppo della musica latina non ci è rimasto alcun documento che possa essere utile a ricostruirne i brani.

 

IL TEATRO DI  CONCORDIA SAGITTARIA

Del teatro di Concordia sono stati messi in luce la metà sinistra della cavea e la gran parte dell’orchestra; sono stati, inoltre, individuati i resti della parte sottostante alla scena. Quest’ultima doveva essere affiancata, almeno sul lato sud, da una basilica, che delimitava la zona post scenica verso la strada. Una struttura porticata a più lati, che arrivava fino al cardo massimo e racchiudeva una serie di vani accessibili dall’interno e dalla strada, era probabilmente una sorta di quadriportico necessario al teatro per riparare gli spettatori in caso di intemperie.
Chi entrava a Concordia dalla porta ovest della città trovava subito sulla sinistra il grande edificio del teatro, raggiungibile anche dalla porta nord, procedendo lungo uno dei cardini. Per la costruzione del teatro venne scelta la posizione in una delle zone più alte dell’area cittadina, accanto al foro, ma nello stesso tempo vicino alla cinta muraria e tra due porte urbane. Le vicine porte permettevano alla folla di spettatori che veniva dal territorio di defluire rapidamente; allo stesso tempo l’edificio era vicino al centro politico ed economico della città, rappresentato dal foro.
Il teatro di Concordia doveva essere stato uno dei punti monumentali più rilevanti della città, ma, purtroppo, probabilmente già dal IV secolo d. C., i cavatori di pietre lo disfecero pezzo per pezzo. Gli scavi più recenti hanno individuato nelle aree della cavea, della scena e dietro di essa tracce dell’antico abitato veneto che precedette la città romana (il fondo di una capanna d’abitazione e di un’area artigianale). Alla distruzione del teatro, d’altro canto, non fece seguito l’abbandono dell’area, che continuò ad essere frequentata, come testimoniano le tracce di una fossa per cavare l’argilla e una fornace ben costruita, messe in luce sempre in tempi recenti.

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LE  STRADE

LE STRADE ROMANE
I Romani iniziarono a costruire strade lunghe e diritte, essenziali per la crescita e l’espansione dell’Impero, perché consentivano di far muovere l’esercito con rapidità.
Nel mondo romano, l’apertura di una strada costituiva un avvenimento molto importante; la sua costruzione era riservata agli alti magistrati nel periodo della repubblica e agli imperatori durante l’impero.
Le strade extraurbane che partivano da Roma furono denominare vie (da viae).
Alle strade venivano dati i nomi delle città alle quali esse conducevano (via Ardeatina verso Ardea), oppure i nomi delle funzioni che rivestivano (via Salaria) o delle popolazioni che raggiungevano (via Latina); a partire dal IV secolo a. C. alle strade dirette verso regioni lontane vennero dati i nomi dei magistrati che le avevano realizzate.
La costruzione delle strade ha seguito di pari passo l’espansione di Roma nel territorio italico e nelle province dell’Impero, assolvendo, a seconda dei casi, esigenze di carattere militare, politico ed economico.
Nel tracciamento di una strada occorreva tener conto di tre caratteristiche fondamentali:

  • la linea retta, che derivava dall’assoluta necessità di poter raggiungere il punto d’arrivo nel modo più rapido possibile;
  • il percorso rilevato e la permanenza in quota, che erano dettate da motivi di sicurezza, al fine di evitare imboscate e attacchi di sorpresa.

Le strade Romane erano disegnate in quel modo per ostacolare le province dall’organizzare una resistenza contro l’Impero. Al momento della massima espansione dell’Impero la rete viaria romana misurava oltre 80.000 chilometri, ripartiti in 29 strade che si irradiavano da Roma verso l’Italia, e altre in tutti i territori dell’Impero, dalla Britannia alla Mesopotamia, dalle Colonne d’Ercole al Mar Caspio. Le strade erano dotate di pietre miliari, che indicavano la distanza in miglia dal miliario aureo posto nel Foro romano.
La mappa generale della ramificazione delle vie consolari romane era in marmo ed era esposta nel Foro Romano: di essa venivano realizzate, e vendute, copie in pergamena, con sotto-mappe parziali, ognuna con un particolare itinerario. Il viaggiatore che, partendo da Roma, aveva necessità di raggiungere l’Oriente acquistava l’itinerario della Via Appia, che lo portava a Brindisi dove si sarebbe imbarcato per la sua destinazione.
Alloggio e rifornimento erano assicurati da taberne dove si poteva far tappa per mangiare e dormire, trovare acqua e biada per i cavalli e cambiarli quando si andava di fretta.

Le tecniche costruttive si dividevano in tre tipi: le viae terranae (in terra battuta), le viae glarea stratae  (con copertura di ghiaia), e le viae silice stratae (strade lastricate). Nei percorsi delle paludi, delle valli e dei passi montani il tipo di tecnica costruttiva variava a seconda della morfologia del terreno. Tra le più importanti infrastrutture realizzate nelle strade romane, considerate come vere e proprie opere d’arte, vi erano i ponti e i ponti-acquedotto.

 

COSTRUZIONE DI UNA STRADA LASTRICATA

Sul terreno venivano tracciati due sulci, la cui distanza era pari all’ampiezza della futura strada. Nello spazio tra i due sulci veniva scavata una fossa (gremium) fino a trovare il terreno solido e, se questo non era sufficientemente consistente, si provvedeva al suo consolidamento mediante l’utilizzo di pali.
Sul fondo del gremium veniva poi gettata una massicciata di pietre (statumen), la cui altezza variava tra i 20 e i 60 cm., che veniva legata con malta ed argilla, e che doveva servire da fondazione della strada.
Sopra questa fondazione veniva distribuito uno strato di pietrisco e di frammenti di cotto (ruderatio o rudis), allo scopo di dare solidità e per favorire il drenaggio delle acque. La ruderatio veniva quindi ricoperta da uno strato di sabbia (nucleus), sul quale veniva posato il pavimento stradale (summa crusta o pavimentum) composto di grosse lastre di pietra (basoli). Alcune viae erano anche fiancheggiate dalle crepidines, due corsi di pietre che servivano a delimitare il piano stradale, e dai gomphi, cioè da paracarri.
Le strade romane erano larghe dai 4 ai 6 metri, così che si potessero incrociare due carri, e talvolta ai lati vi erano dei marciapiedi lastricati. Le legioni fecero buon uso di queste strade, ed alcune di esse, dopo ben due millenni, sono ancora utilizzate oggi.

 

LE PIETRE MILIARI

Le distanze tra una città e l’altra erano contate in miglia, che erano numerate con le pietre miliari e ciò accadde prima del 250 a. C. per la via Appia e dopo il 124 a. C. per la maggior parte delle altre vie.
La moderna parola “miglio” deriva infatti dal latino milia passuum, cioè “mille passi”, che corrispondono a circa 1480 metri.
La pietra miliare, o miliarum, era una colonna circolare, appoggiata su di una solida base rettangolare, infissa nel terreno per oltre 60 cm., alta 1,50 m., con 50 cm. di diametro e del peso di oltre 2 tonnellate. Alla base recava scritto il numero di miglio della strada su cui si trovava. All’altezza dello sguardo del viaggiatore si trovava inoltre un pannello con indicata la distanza dal Foro di Roma e altre informazioni sugli ufficiali che avevano costruito o riparato la strada, e quando
ciò era avvenuto.

 Colonna miliare in pietra.

 

 

PUNTI DI SOSTA

Una legione in marcia non aveva bisogno di un punto di sosta, perché portava con sé un intero convoglio di bagagli (impedimenta) e costruiva il proprio campo (castrum) ogni sera a lato della strada.
Per i dignitari e i viaggiatori per servizio, che non avevano una legione al loro servizio, il governo manteneva delle stazioni di sosta, chiamate mansiones, ove gli ospiti venivano identificati con dei passaporti.
Le mansiones si trovavano a circa 15-18 miglia l’una dall’altra: in esse il viaggiatore per servizio trovava un’intera villa dedicata al suo riposo. Spesso attorno alle mansiones sorsero campi militari permanenti o addirittura delle città.
Spesso vicino alle mansiones nacque un sistema privato di cauponae, che erano delle specie di aree di servizio, poste lungo le strade a beneficio dei privati viaggiatori che necessitavano di riposo. La funzione era la stessa, ma la loro reputazione era inferiore, perché frequentate anche da ladri e prostitute, come si è potuto evincere dai graffiti rinvenuti nelle loro rovine.
I nobili avevano però bisogno di qualcosa di meglio per le loro soste. Nei tempi antichi le case vicine alla strada dovevano offrire ospitalità per legge, e questo probabilmente originò le tabernae. Il termine significava “osterie”.
Un terzo sistema di “stazioni di servizio” funzionava per veicoli e animali: le mutationes (stazioni di cambio). Esse si trovavano a intervalli di 12/18 miglia. Qui si potevano comprare i servizi di carrettieri, maniscalchi e di equarii medici, cioè veterinari specializzati nella cura dei cavalli.

 

LA RETE STRADALE A CONCORDIA SAGITTARIA ED AQUILEIA

Come tutte le città romane Concordia aveva una rete stradale, conservatasi fino al IV – prima metà del V sec. d. C., che la attraversava con i cardini da nord a sud e con i decumani da ovest a est; il decumano massimo coincideva con l’attraversamento in ambito urbano della via Annia. Le strade furono, secondo l’uso, rivestite di blocchi trapezoidali in trachite su un sottofondo in ghiaino e più sotto in grossolani pezzi di laterizi. Dove richiesto dalla natura del terreno cedevole venne eseguita un’accurata opera di bonifica: in piazza Cardinal Costantini il tratto della via Annia rinvenuto durante gli scavi archeologici poggia, per esempio, su una grande zattera di pali di legno in orizzontale. Un incrocio di strade, un decumano e un cardine, sono stati rinvenuti al di sotto di via Claudia: alla convergenza delle due strade un grosso blocco in pietra verticale formava una barriera per disciplinare il traffico, che qui doveva essere intenso, dato che il decumano portava direttamente al teatro.
I tanti corsi d’acqua che circondavano Concordia rendevano necessaria la presenza di ponti. Tuttavia, l’unica struttura certa è ancora soltanto quella lungo l’odierna via S. Pietro, presso l’ingresso occidentale della città. Il ponte, a tre arcate, fu costruito in età augustea, mentre il rifacimento delle sue spallette, in pietra d’Aurisina, fu finanziato da Manlius Acilius Eudamus e risale all’epoca giulio-claudia.

Già al tempo di Augusto le strade ebbero per i Romani un ruolo speciale: difendere le Alpi dall’invasione dei barbari, che premevano sempre ai confini e rendere facili e rapide le comunicazioni tra Roma ed Aquileia, quest’ultima collocata a controllare la parte più estrema della penisola.
Le strade romane si suddividevano in due categorie:
- le CONSOLARI, che erano grandi vie aperte, fatte costruire dai consoli romani, dai quali presero il nome;
- le VICINALI o SECONDARIE, che univano le diverse parti delle colonie alle vie consolari.

 

Le vie consolari che attraversavano l’odierno Friuli erano:

  • la VIA POSTUMIA iniziata pare nel 148 a. C. dal console P. Postumio Albino. Essa partiva da Genova, attraversava tutta l’Italia settentrionale e si immetteva a nord di Cervignano, nella Iulia Augusta per giungere così ad Aquileia;
  • la VIA ANNIA realizzata nel 153 a. C. (forse nel 131 a. C.) dal pretore T. Annio Rufo, congiungeva Adria a Concordia, passando per Padova e Altino, per poi raggiungere Aquileia. E’ la più importante via consolare di questa zona e metteva in comunicazione diretta Aquileia con Roma;
  • la VIA IULIA AUGUSTA era la strada che attraversava Aquileia in senso longitudinale da nord a sud. Realizzata su una preesistente pista etrusca, o nel 153 e nel 128 a. C., univa Aquileia a Gemona (Ad Silanos).

Successivamente, nel 27 a. C., fu realizzato un suo prolungamento, che, attraversando il corso del Tagliamento, giungeva a Zuglio, proseguendo poi per Monte Croce; questo tratto venne chiamato VIA CLAUDIA o CARNICA; nel 18 d. C. la via fu completata giungendo fino ad Aguntum (Lienz).
Presso la valle della Fella si apriva un ramo che portava, passando da Tarvisio, aldilà delle Alpi fino a Virunum (l’attuale Zollfeld, nei pressi di Klagenfurt); questo tratto era chiamato VIA PONTEBBANA.
Verso il 50 d. C. la Iulia Augusta fu portata al rango di strada imperiale da Tiberio Claudio.

  • Da Aquileia si snodava un breve tronco che scendeva al mare, passava per Belvedere e arrivava alle Aquae Gradatae (ora Grado). Il tratto era chiamato VIA MARITIMA ed era la parte terminale della Iulia Augusta.
  • La VIA GEMINA, battuta da innumerevoli eserciti romani e barbari, fu costruita nel 100     a. C. e i primi lavori di sistemazione furono effettuati dalla XIII Legione “Gemina”. Partiva da Aquileia, passava per le attuali Villesse e Gradisca, oltrepassava il Pons Sontii (ponte romano sulla Mainizza), toccava Aidussina, Nauporto e arrivava ad Emona (ora Lubiana).
  • La VIA FLAVIA, tracciata su di un’antichissima strada, univa Aquileia a Fiume toccando Trieste e Pola. Il primo tratto fino alle terme romane del Lisert (Monfalcone) fu sistemano nel 178 a. C. dal console Aulo Manlio Vulsone; il prolungamento fino a Trieste fu effettuato sotto Augusto nel 33 a. C. Nel 78 d. C. sotto Vespasiano la strada raggiunse Pola e infine nell’80 d. C., all’epoca di Tito, arrivò a Fiume.

 

Da Aquileia partivano a raggiera le arterie stradali che collegavano il territorio della penisola italiana all’Europa centro-orientale:

  • la via Postumia, che univa la pianura padana all’Istria;
  • la via Annia che partiva da Adria e si congiungeva con la Flaminia e con l’Emilia che giungevano da Roma;
  • la via Iulia Augusta, che portava verso il Norico ed il nord;
  • la via Gemina, che portava verso l’Illiria, verso l’antica Emona (Lubiana) e l’est, e si divaricava dalla Julia Augusta proprio in corrispondenza di un ponte sul fiume di Terzo.

 

 

 

 

 

 

 

Invece le vie vicinali erano costruite per la maggior  parte da terreno battuto o inghiaiato.
Infine le strade che solcavano la pianura friulana e collegavano le borgate rurali erano denominate “viae agrariae” ed erano delle pure e semplici strade tracciate.

 

 

Fonte: http://www.lcavour.it/Studenti/Ricerche%20studenti/Ricerca%20di%20storia%20-%20Teatro%20e%20strade%20romane.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

ISTITUZIONE DI STORIA DEL TEATRO
(MODULO A )

 

Quanto è magico entrare in un teatro e vedere spegnersi le luci.
 Non so perché.
 C’è un silenzio profondo, ed ecco che il sipario inizia ad aprirsi.
 Forse è rosso. 
Ed entri in un altro mondo.
 (David Lynch)

 

 

Sommario
PREMESSA
RIFLESSIONI SUL TEATRO:
L’IMPROVVISAZIONE
TESTIMONI MANOSCRITTI
ELEMENTI COSTITUTIVI DEL TESTO DRAMMATURGICO
IL PERSONAGGIO
L'EREDITÀ GRECA
ELEMENTI COSTITUTIVI DEL TEATRO GRECO:
ELEMENTI DELLE MASCHERE DEL TEATRO GRECO:
TEATRO ROMANO
CARATTERISTICHE ED ELEMENTI COSTITUTIVI DEL TEATRO ALL’ITALIANA
COMMEDIA DELL'ARTE

 


 

PREMESSA

 

Iniziamo con il capire quale sia realmente il significato di Teatro:
Il teatro è, anzitutto, strettissimo legame tra attore e spettatore, qui e ora. Quella relazione che vi è nel momento in cui succede qualcosa sul palcoscenico, una relazione che avviene in spazio e tempo diversi rispetto alla vita quotidiana. Si parla di relazione PRIMARIA quando si ha a che fare con un solo ATTORE ed un solo SPETTATORE.
Consideriamo diverse nozioni di spazio scenico: spazio considerato come edificio teatrale ( teatro greco, romano, mediovale, nel quale il teatro era rappresentato dalla chiese mentre con il rinascimento si sviluppa il teatro all'italiana al chiuso che, a sua volta, entrerà in crisi nel '900 con la costruzione di spazi neutri e la ricerca di una strettissima relazione tra attore e spettatore), relazione teatrale (se io considero la storia del teatro la sintetizzo su tra diversi elementi di spazio, quello centrale, frontale ed anulare). Terza nozione di spazio è la Drammaturgia (traduzione visiva di uno spazio rappresentato attraverso il testo).
"Teatro" deriva da un termine greco che implica il significato di "guardare", è, infatti, lo spazio destinato alla rappresentazione. Con il termine "Drammaturgia" considero tutte quelle azioni che implicano il montaggio della scena. Il testo drammaturgico è, invece, quell'insieme di battute e didascalie che compongono le azioni di una scena. Il termine "testo" deriva da tessere, intrecciare, infatti, per creare la drammaturgia c'è bisogno di intressiare e tessere tutti gli elementi.
Se vogliamo considerare e studiare una storia del teatro sappiamo che dovremmo studiarne i veri processi e l'evoluzione.

Non c'è teatro senza un attore ed uno spettatore, lo spazio, a differenza di questi due elementi, può essere anche completamente NUDO.

Ciò che spesso ci viene riportato di uno spettacolo teatrale è la fama, diffusa dalla memoria dello spettatore stesso e di chi ha assistito in prima persona alla rappresentazione. Nel teatro si alternano i temi di FINZIONE e REALTA'; è sempre importante chiederci quanta finzione e quanta realtà ci sia. Molte cose che sono realtà noi possiamo percepirle come finzione e viceversa.

 

 


 RIFLESSIONI SUL TEATRO:

 

BERTOLD BRECHT: Il teatro e il rituale non hanno nulla in comune perchè  il teatro nasce là dove muore il Rituale.
ANTONIN ARTAUD: Se è vero che ogni forma di teatro nasce in seno ad un rituale allora è anche vero che in ogni forma di teatro c'è una forma di Rituale ed in ogni forma di Rituale c'è una forma di teatro (il teatro è poesia per i sensi).
GROTOWSKY: Tra teatro e rituale non c'è nessuna distinzione. Il Rituale è un atto.


L’IMPROVVISAZIONE

 

Il principale nucleo del teatro è l'improvvisazione.
 Il testo drammaturgico è, essenzialmente, ciò che ne rimane. Bisogna, infatti, poter ricreare la storia della storiografia del teatro mediante tutti i documenti audio-visivi che dobbiamo continuamente interrogare. Tali documenti devono essere analizzati capendo in che modo questo viene fatto, in che modo viene raccontata la storia, se siamo di fronte ad uno spettacolo teatrale o ad un rituale o se si tratta di drammaturgia d'autore o drammaturgia d'attore. Ogni documento rimane comunque qualcosa di soggettivo, ulteriormente "falsato" dalla nostra soggettiva interpretazione.
Il testo è un punto da cui partire per poter raccontare una storia. Il testo diventa solo una traccia che spesso e volentieri diventa un punto d'arrivo.
La scrittura preventiva a teatro è praticamente inesistente.
Per scrivere a teatro bisogna essere consapevoli di ciò che lo spazio scenico. E' soltanto nel 900' che si verifica l'idea del teatro come esperienza.

Ricordiamo, inoltre, che ogni spettacolo è unico e cambierà ogni volta che verrà messo in scena.

 

Nel '500 possiamo ritrovare una vera e propria rivoluzione nell'ambito teatrale, riconoscibile in tre diversi aspetti:
L'INVENZIONE DEL TEATRO ALL' ITALIANA
DRAMMA PER MUSICA, MELODRAMMA, LIBRETTI
NASCITA DEL TEATRO PROFESSIONALE 

Commedia dell’arte = e' quella commedia che si basa sulle maschere, sull'improvvisazione come nascita del genere teatrale. Fu inventata da Goldoni.
Commedia mercenaria = commedia venduta.
Commedia teatrale = chiamata da GOLDONI nel '700 in Italia.

Il teatro e' un' arena ( spazio) in cui puo' prodursi un confronto vivo. Entrano in gioco forze continuamente in azione tra loro.
La forma teatrale non esiste solo per raccontare, non e' solo una forma di comunicazione. E' una possibilita' data all'uomo per accrescere ogni giorno le proprie percezioni. E' una forma di espressione basata sullo stimolo.
Tutti i membri agiscono su di essi. 
Esistono diverse definizioni rispetto al concetto di Teatro. Ogni definizione esplica una propria concezione, mettendo in rilievo particolari diversi rispetto al Teatro e ai principi della rappresentazione. 
"il teatro e' l'esplicarsi di un testo attraverso un corpo, in un perimetro della scena, in un contatto irripenibile con un gruppo in un tempo festivo."
In tale definizione però riscontriamo un notevole equivoco: l'autore non è colui che solo scrive la trama della rappresentazione, ma sono tutti coloro che operano nella creazione dello spettacolo, del qui e ora. E' da qui che notiamo l'ampiezza del concetto di autore.

 

attore= e' chi recita una parte o dà vita ad un personaggio che costituisce il legame vivente tre testo e autore. rappresentare, riprodurre, anche se al di fuori siamo noi stessi.

campo teatrale= se io mimo, c'e' finzione che determina interesse, gesti che diventano simbolici. se nel mondo del teatro e' dello spettacolo i gesti e i simboli diventono automaticamente finzione. bisogna manipolare la' realta' ( creare). l'effeto della realta' crea delle tecniche dell' attore per l'apporsi.

testo spettacolare= testo sintetico, multidimensionale, con essenza di emittente e destinatario.
testo compreso= e' come il testo spettacolare solo che, non e' solo un testo drammaturgico percio' e un intreccio di tutti gli elementi messi insieme, composto di piu sotto testi.
sincronico= agiscono contemporanamente.
produttivo e recettivo= a teatro coincidono.
emittente e destinatario= compresenza.
Testo spettacolare: testo complesso sincretico composto da più testi non ripetibile nel tempo e nello spazio (perchè ogni spettacolo sarà diverso da quello del giorno prima), in cui si attua una simultaneità tra produzione e comunicazione e una compresenza fisica tra emittenti e riceventi.
Nel teatro una figura importantissima è la figura del Regista, che viene vista come una sorta di "Occhio Esterno" ed è colui che mette insieme tutto il materiale che confluisce nella scena. La figura del Regista è sempre esistita, anche se magari all'inizio della nascita del teatro, colui il quale svolgeva il lavoro del Regista non si chiamava Regista.
La nascita del Regista come Regista inteso come lo conosciamo noi, si è avuta con Gordon Craig; per lui l'attore è una sorta di marionette, ovvero uno strumento, come le luci o i costumi, che è manipolato da lui per la migliore riuscita dello spettacolo.
L'attore è uno strumento inanimato.
Il regista potremmo definirlo come colui che è il Re dello spettacolo, o come colui che è il Garante dello Spettacolo.

Il documento esibisce il rapporto tra ricevente e il documento stesso.
E' fondamentale che io ricostruisca il dominio del "Già saputo".
I documenti sono una pura potenzialità di senso; il problema è individuare ciò di cui il documento tace e non tanto quel che il documento dice.
Se è vero che il documento è pura potenzialità sta a noi farli parlare.

Cosa intendiamo per teatro?
Insieme di azioni fatte per la scena.

Luigi Pirandello:
Il non rimettere le mani nelle opere teatrali antiche per rinnovarle significa incuria e non rispetto.
Il teatro vuole questi rimaneggiamenti. Il testo deve restare integro per chi se lo vuole leggere a casa; chi vorrà divertirsi andrà a teatro dove ci sarà lo spettacolo riaggiornato per i gusti di oggi.

Giulio Ferroni (storico del teatro):
La letteratura drammatica che conta è il risultato di un lavoro dialettico tra i libri e gli spettacoli.
Il successo di uno spettacolo non è legato quasi mai al testo scritto. Il successo dello spettacolo è dato dagli attori.


TESTIMONI MANOSCRITTI

-Testimoni Autografi:se sono di mano dell'autore.
-Testimoni Ideografi:se sono di mano di qualcun altro sotto la supervisione dell'autore.
-Testimoni Apografi: prodotti da dei copisti senza la revisione dell'autore.

Testimoni A Stampa
-Edizione Pirata: che vengono pubblicate senza la volontà dell'autore.

Un testo drammaturgico và studiato così:
-Tempo: soggetto e titolo sono gli elementi più importanti. 
-Genere: Tragedia, Commedia, Dramma, Melodramma, Balletti.
-Fonti Del Testo: significa porci la domanda "questa storia è vera o no?"
-Drammi Storici: sono quei drammi costruiti su fatti storici realmente accaduti.
-L'intreccio che viene proposto: ci sono personaggi che hanno degli obiettivi e che per raggiungerli compiono delle azioni. Bisogna cercare di ricostruire la biografia del personaggio; Ciò che ci farà capire perchè il personaggio si comporta in quel determinato modo. Individuati i personaggi bisogna capire la dinamica, ovvero in che modo i personaggi si intersecano tra loro.
-Temi E Sottotemi: per portare avanti un tema a teatro è necessario creare una serie di sottotemi intrecciati tra loro.

Molti testi nel Rinascimento erano composti e scritti in versi.
-Meta teatralita': teatro nel teatro. Ogni testo contiene della meta teatralità. A teatro vedere attori che fanno gli spettatori ci appassiona.
-Elementi Musicali Del Testo: il racconto, a teatro, si racconta attraverso le parole, il linguaggio e il canto.


ELEMENTI COSTITUTIVI DEL TESTO DRAMMATURGICO

 

L'azione è l'elemento principale della drammaturgia. Ogni testo drammaturgico deve raccontare una storia che ha una sua azione importante. Se per azione intendiamo la trama, bisogna capire quali sono gli obiettivi che ogni personaggio ha e gli ostacoli che gli si presentano davanti. Quando il personaggio supera un obiettivo o affronta un ostacolo è ciò che crea la reazione dinamica del testo drammaturgico. Attraverso le parole e le azioni che io creo riesco ad esprimere le mie idee a teatro. Un'azione ci colpisce se è raccontata attraverso gesti che ci procurano emozioni.
Il linguaggio: a teatro io posso utilizzare sia un linguaggio in prima persona, sia un linguaggio in terza persona. Il linguaggio si colloca sempre nel presente anche se prende forma dal passato. E' proprio il linguaggio che crea il mio personaggio; è fondamentale che il linguaggio abbia delle potenzialità di azioni.
Altri elementi costitutivi sono il concetto di spettacolarità e di causalità. Se il concetto di causalità ha tanto a che fare con il drammaturgico, il concetto di spettacolarità ha tanto a che fare con il teatro.


IL PERSONAGGIO

A teatro il personaggio racchiude il problema dell'immedesimazione o non immedesimazione del personaggio.
I 3 modi per mostrare un personaggio attraverso la drammaturgia sono:
-attraverso ciò che dice, ovvero attraverso le sue battute.
-attraverso quello che dicono gli altri personaggi del personaggio stesso.
-attraverso le azione che il personaggio compie. 

 


L'EREDITÀ GRECA

 

 

I greci furono coloro che, per primi, innalzarono il valore ed il prestigio degli spettacoli drammatici che fissarono la forma della tragedia e della commedia con grandissime personalità come Eschilo, Sofocle, Euripide e Aristofane. Moltissimi autori moderni hanno, ancora oggi, ritrovato stimoli in tali autori nell'adattare i loro temi leggendari in tecniche moderne. Le tecniche utilizzate oggi non sono altro che lo sviluppo delle tecniche antiche.
Dal Rinascimento in poi, le forme e le convenzioni degli edifici teatrali hanno condizionato totalmente quelle dei teatri moderni. Il teatro greco è l'insieme di tantissime realtà, uno fra questi è il prestigioso teatro di Atene; oltre a tale costruzione ve ne erano molte altre ovviamente nessuna uguale all'altra. Non vi è un ideale di teatro assoluto nel mondo greco, quattro sono i principali modelli:

1-I teatri in legno prima di Eschilo che sembrano esser stati costruiti in legno con pianta trapezoide e non circolare. Ordini di gradoni erano costruiti in modo da circondare il luogo della danza noto come orchestra.
2-Il teatro ateniese Classico, noto nel V secolo a.C.
3-Il teatro ellenistico dal Quarto secolo in poi sopratutto fuori la Grecia vera e propria. Tale teatro è simboleggiato, nella storia, dalle conquiste di Alessandro Magno.
4- Nel momento in cui la civiltà greca incontra quella romana sorge il teatro greco-romano.
Il secondo tipo di teatro è quello con maggior successo ed interesse intrinseco.
Per ricercare alcune documentazioni rispetto al teatro greco non possiamo basarci solo sulle notizie archeologiche poiché, a causa della distruzione di molti teatri, pochissimi sono i reperti archeologici arrivati fino ad oggi. Le altre fonti sulle quali bisogna basarsi sono le fonti letterarie come, ad esempio, le annotazioni rispetto agli edifici o i modi della rappresentazione di Vitruvio e Polluce, autori che fornirono quasi tutte le notizie sul teatro classico.
L'opera di Vitruvio viene composta intorno all'anno 15 a.C., quattro secoli dopo Sofocle, mentre l'opera di Polluce, l'Onomasticon, è una specie di enciclopedia composta circa due secoli dopo. E' evidente che neanche loro possano dare notizie certe sulla composizione del teatro classico, non avendolo vissuto in prima persona ma descrivendolo dopo svariati secoli. Altra forma di documentazione è il dramma steso, essendo opere di drammaturghi-attori, venivano composte in base al teatro stesso per una facile rappresentazione. Ma oggi sappiamo che, drammi creati per un particolare teatro venivano messi in scena, adattandoli, in altri teatri. Anche qui, quindi, bisogna evitare conclusioni affrettate.
- Caratteristiche fondamentali:
I Greci non compongono i loro testi per essere letti, ma per essere rappresentati.
Documenti che ci raccontano la storia del teatro greco:
-Opere Drammaturgiche, che ci danno una serie di notizie importanti, ma portano con sé grandi lacune.
-Serie Di Scritti Di Scrittori Grechi che ci raccontano la storia del teatro Greco, in particolare quello di Vitruvio con l’Idea di Architettura e quello di Polluce in l’Onomastico, grazie ai quali possiamo ricostruire i costumi e le scenografie del teatro Greco.
-Edifici Teatrali.
-Commedie di Aristofane, in cui si attua una specie di commedie sui grandi Tragici.
-La poetica di Aristotele.
-Opere di carattere scultoreo, anche in questo caso le sculture e le pitture sono fondamentali per ricostruire la storia del Teatro Greco, però alcune sono di addirittura 2 secoli dopo di quando ci fu l’apogeo del Teatro Greco.
-E’ un Teatro che nasce in seno alla religione, ovvero alle Dionise cittadine.
-Un altro elemento è che il Teatro Classico nasce come veri e propri agoni drammatici. Ogni agone era composto da 3 tragedie. Il quarto giorno ci si dedicava alla rappresentazione di Commedie.

E’ soltanto Sofocle che introduce il 2°attore ed Euripide introduce il 3°attore.
Tre maschi che vestono sia i panni maschili che i panni femminili; ogni attore non poteva rappresentare un solo personaggio. Ogni Tragedia negli agoni aveva un coro, mentre nelle commedie si aveva a che fare con due cori. Ogni coro era composto da 15 elementi. Il corigo era colui il quale doveva sponsorizzare il tutto.
-Gli agoni come funzionavano?
C’erano 10 Giudici ed in più un proagon, che era il giornalista che andava in giro per la città a raccontare alla gente tutte le informazioni per farsi che poi la gente andasse a vedere questi agoni.
Il teatro Greco era il luogo di cultura ed addirittura il 1° giorno dello svolgimento degli agoni era permesso anche agli schiavi essere spettatori. Potremmo dire che all’epoca dei greci il teatro era qualcosa di molto simile a quel che è il cinema oggi.
                                                                           

 


 

ELEMENTI COSTITUTIVI DEL TEATRO GRECO:

 

-L’ara  – il Tempio: l’area detta orchestra, adibita per il coro. Al 4°, 5° secolo l’orchestra perde la sua importanza per essere sostituita dal personaggio, dalla scena, dal dramma.
In epoca greca i teatri venivano costruiti ai declivi delle colline. Il coro aveva il compito di far da tramite tra ATTORE e SPETTATORE in epoca classica.

 


ELEMENTI DELLE MASCHERE DEL TEATRO GRECO:

 

-ONKOS, parrucca enorme che gli attori portavano sul capo.
-COTURNI, zoccoli enormi.
-KITON, tunica molto ampia per le tragedie; molto aderente per le commedie.
La MASCHERA        
I. Aveva il compito di amplificare la voce.
II. Era fondamentale per l’Attore, che cambiando il personaggio cambiasse la Maschera.
III. Connotare la psicologia del personaggio (se il personaggio era triste o felice ad esempio).

 

TEATRO ROMANO

 

 

                                                                   

 

Caratteristiche fondamentali:
Il teatro Romano non aveva solo la funzione di teatro per essere teatro, ma anche una funzione politica per glorificare l’Imperatore. Il teatro glorificava chi comandava, chi era al potere. A differenza del teatro Greco, non è costruito fuori dalla città, ma bensì  proprio nel cuore della città. Altra differenza è che se il teatro Greco nasce proprio come rituale, nel teatro romano gli attori sono degli schiavi che hanno il solo compito di divertire. La zona destinata al pubblico (la cavea) è sempre a gradoni, ma non è più a pianta centrale, bensì a pianta SEMI-CIRCOLARE. La scena è molto più ampia ed è molto più imponente. Sarà proprio con la scaenea frons e la cavea che gli umanisti in seguito, riusciranno a costruire il teatro di Vicenza. Il teatro romano ha un terreno autonomo ed è essenzialmente un luogo di piacere e di divertimento. Bisogna dire che i teatri greci in epoca romana venivano comunque utilizzati come teatri.
Nel Rinascimento ciò che rimase fu il ruolo del mimo, attori che avevano il compito di far ridere e che facevano soprattutto satira. Ecco perché furono condannati dalla chiesa e dall’Impero in epoca dell’Alto Medioevo.

Gli attori quando morivano, venivano buttati fuori dalla città insieme ai cani ed ai cavalli. In epoca tarda - romana sopravvivono i Jullari che erano principalmente divisi in tre categorie, fra cui vi erano gli istrioni che erano dei veri e propri professionisti del teatro, che avevano un repertorio vastissimo e che facevano spesso da soli gli spettacoli.
Nel Medioevo si sviluppa una tradizione di carattere Religioso. Si connotano per l’assenza di un luogo inteso davvero come teatro, infatti ad esempio i Jullari recitavano in piazza ed i preti recitavano la messa non più a teatro, ma nelle chiese.
Come il Teatro romano, il Teatro Medioevale non ha nulla di scritto. La maggior parte delle opere non venivano trascritte, ma venivano tramandate “da attore ad attore”.

Drammi Liturgici: Rappresentazioni di un momento della vita di Cristo, recitate in latino e per lo più cantate.

Misteri Religiosi: Rappresentazioni di un’intera vita di Cristo, che spesso duravano giorni e giorni, all’incirca una settimana.

Nel Medioevo non esistono edifici teatrali.
Il Teatro nel ‘400 e nel ‘500 è un’attività  che si svolge soprattutto durante il periodo festivo e che viene messo su soprattutto nelle corti, visto che è un fenomeno legato intimamente ad un’autocelebrazione del Principe. E’ durante le grandi feste che il teatro ha spazio.
Nella seconda metà del ‘500 tutto ciò  non avviene più ed il teatro torna ad essere teatro proprio all’interno di un edificio teatrale.
                                   
Il teatro all’Italiana nasce, invece, come pietrificazione di un’idea, e quindi quello che è un concetto (lo spazio del teatro Medioevale) diventa l’idea forma. Il teatro nel ‘500 diventa il luogo di finzione all’interno della realtà.

 

 


 

CARATTERISTICHE ED ELEMENTI COSTITUTIVI DEL TEATRO ALL’ITALIANA

 

 

Uno degli esempi meglio riusciti di teatro all’Italiana è il Teatro Argentina.
-Il teatro all’italiana è un teatro che ha 3 aree principali: sala (destinata al pubblico), scena (destinata all’azione, quindi agli attori) e  la ribalta (ovvero la divisione tra la scena e la sala).
-L’arco di Proscenio ha un’altezza che è  sempre un po’ meno della metà dell’altezza del soffitto che sta sulla scena.
-Il pavimento, così come il soffitto, è  vuoto.
-Un’altra caratteristica importante era la ruota del palcoscenico, che serviva per cambiare le scene senza darlo a vedere al pubblico ed inoltre faceva risparmiare tempo.
E’ solo nel ‘900 che il teatro all’Argentina diventa teatro di prosa.
I teatri all’Italiana nascono come edifici autonomi.
-La scena è costruita per contenere i giochi scenici e quindi viene costruita più profonda possibile.
A teatro la scenografia si sviluppa durante gli anni dello sviluppo del teatro all’Italiana. Per tutto il ‘500 ed il ‘600 si ha a che fare con scene fisse.
Nell’800 il modello del teatro all’Italiana si è consolidato, ma per quanto riguarda le scene vediamo che vengono costruite a campane ed inoltre si cerca di perfezionare l’acustica e l’ottica. Ecco perché possiamo dire che l’800 è stato per lo più un secolo di restauro.
E’ con Buontalenti che le scene non saranno più fisse. Un’altra delle grandi invenzioni dell’800 fu l’illuminotecnica dei teatri; prima sale e scene erano illuminate da candele.

Intanto negli altri paesi Europei … 
-In Inghilterra, per tutto il ‘600 l’edificio teatrale è il teatro Elisabettiano. Era un edificio all’aperto con due porte, come un’arena, dove all’interno veniva incastonata la scena.
Gli attori uscivano dalla porta di sinistra e mentre non recitavano, ma lo spettacolo continuava restavano seduti lateralmente. Ciò che colpisce è la relazione tra attore e spettatore.
I teatri Inglesi, all’Italiana mantengono le due porte per evitare qualsiasi forma di contaminazione con il teatro all’Italiana, per l’attore.
Nel ‘900 c’è la distruzione dello spazio scenico. Si vuole tornare ad un teatro dove la relazione fra attore e spettatore è la cosa principale.
Inoltre si assiste alla rivoluzione della scenografia.
La scenografia novecentesca non fa altro che contrapporsi a quella ottocentesca. Uno dei grandi scenografi del ‘900 è  Adolphe Appia. Nell’800 le scene erano realistiche. Con Appia le scene sono tridimensionali volumetriche dove gli attori recitano dentro la scena. Le luci a teatro sono masse viventi.

 

I primi a mettere in crisi lo spazio all'Italiana furono i Futuristi che credevano che lo spazio all'Italiana non funzionasse perchè le uniche cose che potevano essere rappresentate erano le opere liriche.
Allora dove recitavano gli attori?
In Italia a partire dal '500 gli attori, che prima erano dilettanti si uniscono per formare delle compagnie stabili e decidono di uscire e creare compagnie che andavano in giro a rappresentare i loro spettacoli.
Questo modo di fare teatro passa col nome di commedia dell'arte.

Connotati di questa rivoluzione del teatro
-Elementi costitutivi della commedia all'italiana (Commedia dell'arte)
1. Una delle tecniche più importanti era quella dell'improvvisazione.
2. Un altro elemento costitutivo era che il teatro della Commedia dell'Arte era un teatro itinerante.
3. Inoltre, era un Teatro Popolare, basato sui gesti e sulla naturalezza.

Nel '900 tutti i padri della regia guardano al teatro dei Comici dell'Arte all'Italiana, come un teatro che si basa sulla capacità drammaturgica e sulla forza degli attori.

Il teatro moderno si basa su:
I. Un teatro fatto di maschere che per lo più fà intendere un teatro di commedie; quindi un teatro che per lo più dovrebbe far divertire.
II. L'intreccio delle azioni è costruito sulle coppie:
-COPPIA DI INNAMORATI (2 coppie)
-COPPIA DI VECCHI (2 coppie)
-COPPIA DI SERVI (2 coppie)
ed attraverso l'improvvisazione, intrecciandosi l'una con l'altra, le coppie creano tantissime relazioni fra i personaggi.
Al pubblico questi testi sembreranno improvvisati, mentre in realtà non lo sono. Queste compagnie girovaghe erano formate da circa 12 attori, che erano capaci di recitare più personaggi.
I testi dei comici dell'arte erano difficilmente censurabili perchè i testi comparivano per la prima volta davanti al pubblico.

Elementi caratterizzanti della nascita del teatro moderno:
I. Le compagnie nascono come compagnie professionali legate ai comici dell'arte. Nascono per un'esigenza che è la vendita del teatro, quindi un'esigenza commerciale, più che di carattere estetico. Gli attori vivevano del loro mestiere che era fare e vendere il "prodotto teatro".
II. I jullari non erano legati a compagnie.
III. Nascita delle sale a pagamento, con cui nasce la figura dell'impresario e gli attori vendono il loro spettacolo. Parallelamente alla vendita del Teatro nelle sale a pagamento gli attori si esibivano comunque alle corti dei Principi, però ciò avveniva sempre a pagamento.
In Italia per la prima volta nasce un teatro a pagamento dove anche l'aristocrazia deve pagare il biglietto per poter assistere allo spettacolo.

 


COMMEDIA DELL'ARTE

Commedia dell'arte è un termine che viene fuori dal testo di Goldoni, Il teatro Comico. Goldoni in questo testo ci racconta cos'è il teatro.
Fino alla metà del '700 non si chiamava Commedia dell'Arte, bensì in Italia i comici professionisti che svolgevano questo lavoro veniva indicato col nome di Commedia Mercenaria oppure Commedia all'Improvvisa per sottolineare che questi testi venivano fuori da una improvvisazione attoriale.
Per tutto l'800 il nome era quello di Commedia all'Italiana.
Commedia dell'arte all'epoca stava ad indicare la Rappresentazione di gente che proprio per arte, quindi per mestiere facevano gli attori.

Origini
Nasce intorno alla metà del '500 con un documento di una compagnia fissato da un notaio nel 1545.
Bisogna aspettare il 1564 per farsì, invece, che si formi la prima compagnia girovaga dove all'interno vi è anche la presenza di attrici.

Caratteristiche
-Tema del viaggio: queste compagnie capiscono bene che per fare affari devono viaggiare. E per vendere bene gli attori devono recitare bene ed adattare questo prodotto di volta in volta in base al pubblico che comprava quel prodotto, ovvero al pubblico che avevano davanti che di volta in volta cambiava.
E' proprio il tema del viaggio che fa’ nascere la compagnia del mito.
Questo mito nasce all'estero dove gli attori italiani sono costretti a fare ciò che non era loro mestiere fare.
L'improvvisazione fa’ parte di questo mito, perchè gli attori facevano comparire il testo all'improvviso.
Per i comici italiani, l'improvvisazione si contrapponeva ad un testo scritto; testo che doveva essere libero per farsì che l'attore potesse improvvisare con le proprie parole.
Il mito legato alle maschere si sviluppa negli attori perchè erano specializzati nell'avere un repertorio. Ogni attore aveva un repertorio; dal 1500 fino all'avvento della regia, gli attori lavoravano attraverso un repertorio proprio. Ogni attore così, si specializza e lavora per ruoli, ad esempio tragici o comici ed all'interno vi sono i ruoli di 1° attore (protagonista) e di 2°attore (antagonista). Ogni attore ha la sua fama in base ai ruoli che meglio sà rappresentare. Gli attori recitavano per parti fisse, cioè venivano date le parti scannate agli attori, che erano scritte e che si dovevano imparare a memoria, e non si potevano improvvisare.

I comici Italiani inventano un sistema che si contrappone a quello per ruoli ed è un sistema per tipi fissi che prevede le parti libere, ovvero agli attori vengono date le trame, ma non le parti scannate da imparare a memoria. In questo caso la drammaturgia viene definita consuntiva, ovvero drammaturgia che si crea per risultato di un riassunto di un lavoro sulla che solo il successo di uno spettacolo si sedimenta.

La tradizione italiana che si sviluppa parallelamente a quella dei comici dell'arte è quella degli attori monologanti (buffoni). La loro origine è Rinascimentale.
Portano avanti una tradizione di drammaturgia d'attore, ovvero sono loro che scrivono quello che recitano. Inoltre sono attori che vendono anche le commedie che recitano. Compongono i loro testi secondo le tecniche dell'improvvisazione e questi attori hanno la peculiarità di rappresentare i loro spettacoli in solitaria.
Ecco perchè sono attori monologanti. Recitano da soli facendo tutti i personaggi. A differenza dei comici dell'arte dove la struttura della scena è fatta da dialoghi fra più personaggi.

Gli attori monologanti improvvisano secondo versi ed in ritmica. Questa tecnica all'inizio era chiamata improvvisazione canterina, perchè gli attori cantavano e recitavano i loro versi. 
Il buffone non si immedesima mai in un personaggio perchè entra ed esce dal personaggio stesso ed utilizza la tecnica del gramlo', ovvero simula più personaggi, ma anche più lingue che in realtà non esistono, ma nonostante tutto restituiscono il significato che vogliono esprimere al pubblico. 

 

Fonte: http://daddinoclaudio.altervista.org/IstituzionedistoriadelteatroClaudio.doc
Autore: D'ADDINO CLAUDIO

 

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