La metamorfosi
La metamorfosi
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Tesina:
  La Metamorfosi
  
Calin Cristina
  Anno Scolastico 2006-2007
  Liceo Scientifico G.  Carducci
La metamorfosi,
  ovvero la possibilità di mutare il proprio aspetto fisico
  e la propria personalità,
  ha da sempre esercitato un fascino particolare  sull’immaginazione dell’uomo,
  che di volta in volta l’ha interpretata in modi diversi,
  vedendola
  ora come spazio di libertà
  e via di fuga da una condizione troppo rigorosamente definita,
  ora come disumanizzazione
  e perdita della propria identità,
  ora come mezzo per far emergere una parte nascosta del proprio  io.
  Non a caso
  questo tema attraversa tutte le epoche
  ed è presente in tutte le manifestazioni del pensiero e  dell’immaginazione,
  dalle arti figurative alla letteratura.
Metamorfosi Come Intima Fusione  Con La Natura:
  “La Pioggia Nel Pineto” 
  “La pioggia nel pineto” è una delle più belle liriche di Gabriele  d ‘Annunzio   in cui la parola viene usata per le sue  componenti foniche e musicali più che per il significato. Il poeta passeggia in  un bosco con la donna amata, alla quale dà il nome classico di Ermione e la  invita a stare in silenzio per sentire la musica delle gocce che cadono sul  fogliame degli alberi. Inebriati dalla pioggia e dalla melodia della natura, il  poeta e la sua donna si lasciano trasportare dalle sensazioni con un’adesione  così profonda da arrivare alla fusione con la natura del bosco, in una totale e  gioiosa comunione con la vita elementare di questa. 
  Il tema centrale della lirica quindi è quello della  metamorfosi: il poeta e la donna amata si fondono gradualmente con lo spirito  stesso del bosco. La fusione panica viene presentata gradualmente e in  crescendo. Nella prima strofa viene appena sfiorata con l’espressione “piove su i nostri volti/ silvani” lasciando intendere che gli esseri umani si stanno confondendo con il bosco,  sembrano fatti dalla stessa sostanza, mentre si intensifica e si approfondisce  quando ai versi 26-28  non vi è più  separazione tra la dimensione fisica e quella spirituale in quanto non solo  piove sui corpi, ma anche “sui freschi  pensieri/ che l’anima schiude/ novella”. Nella seconda strofa è in atto la  metamorfosi che si sviluppa nell’ultima parte attraverso una serie di paragoni  tra alcune parti del corpo della donna e gli elementi della natura: “..e il tuo volto ebro/ è molle di pioggia/  come una foglia,/ e le tue chiome/ auliscono come/ le chiare ginestre..”. La  terza strofa è dedicata alla sinfonia della pioggia mentre nell’ultima strofa  l’immedesimazione con la natura raggiunge il culmine. L’immagine femminile si  trasforma in quella di una creatura arborea: “..non bianca/ ma quasi fatta virente,/ par da scorza tu esca.” ;  la donna, non più bianca , ma verdeggiante come le fronde, sembra uscire,  simile a una ninfa, dalla scorza di un albero. Si assiste ormai alla completa  trasformazione dei due amanti in esseri vegetali : il cuore è come una pesca  perfetta, gli occhi sotto le palpebre sono due sorgenti d’acqua in mezzo  all’erba, i denti simili a mandorle acerbe ( “il cuor nel petto è come pesca/ intatta,/ tra le palpebre gli occhi/  son come polle tra l’erbe,/ i denti negli alveoli/ son come mandorle  acerbe..”). I due personaggi costituiscono ora un tutt’uno con il bosco che  li avvince in un abbraccio di rami e di arbusti e vengono quindi immersi nel  ritmo vitale, onnicomprensivo e infinito della natura. I due entrano quindi in  una dimensione nuova, mitica e divina.
  Al tema della metamorfosi si intrecciano altri motivi  chiave della lirica come la musicalità e l’amore. Notiamo all’inizio della  poesia l’invito al silenzio che il poeta rivolge a Ermione: l’imperativo Taci crea un’atmosfera di sospensione e  di attesa e il silenzio è infatti indispensabile per poter sentire la musica  della pioggia, le “parole più nuove/ che  parlano gocciole e foglie/ lontane”. L’esortazione all’ascolto viene  rinnovata ogni volta che un suono nuovo, prima quello della cicala, poi quello  della rana, si aggiunge alle mille modulazioni della pioggia. Il poeta quindi  riproduce in modo originale la musica delle gocce d’acqua sulle innumerevoli  piante del bosco (tamerici, pini, mirti, ginestre.. ), il canto delle cicale e  poi il verso sordo e roco della rana che a poco a poco si spegne nell’ombra.  L’amore invece viene sentito dal poeta come un’illusione: la “favola bella/ che ieri/ t’illuse, che oggi/  m’illude” (i versi finali sono identici   a questi , sicchè l’ intero componimento è racchiuso in una struttura  circolare). Questo motivo sembra pervadere l’intero componimento dal quale  scaturisce un’immagine della vita come qualcosa di lieve, fuggevole e  illusorio.
   
  La Metamorfosi Come Espressione Di Un Disagio:
  Il Racconto Di Kafka
Quando leggiamo l’autore ceco, sembra di assistere ad un incubo, un incubo talmente vero da sembrare realtà o meglio, una realtà talmente onirica da sembrare un delirio. Spesso quindi troviamo in Kafka una serie di avvenimenti cui non è possibile dare una spiegazione logica, se non attraverso una interpretazione simbolica o attraverso una lettura di tipo psicanalitico, alla ricerca di significati che partono da una sfera di tipo inconscio. Nelle sue opere Kafka compie a volte una sorta di autoanalisi, o perlomeno sembra adottare una simbologia di tipo psicanalitico; è quanto accade anche nella “Metamorfosi”. La vicenda del racconto inizia la mattina in cui Gregor Samsa, modesto commesso viaggiatore, al suo risveglio si trova trasformato in un enorme scarafaggio. Pensando ad un sogno, tenta di riaddormentarsi, sperando che al risveglio tutto torni normale. Ma ormai quella sarà la sua condizione per tutto il resto dei suoi giorni: un essere con sentimenti umani ma con il corpo di scarafaggio, rinchiuso in una stanza, schifato ed evitato dai familiari. Gregor, divenuto scarafaggio, non si chiede neppure come e perché ciò possa essere accaduto, accetta la sua trasformazione e sin dall’inizio cerca di adattarsi ad essa; inoltre, la metamorfosi non viene minutamente descritta nel suo compiersi ma siamo posti di fronte all’evento già accaduto:
“Un mattino, al  risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme  insetto. Sdraiato nel letto sulla schiena dura come una corazza, bastava che  alzasse un po’ la testa per vedersi il ventre convesso, bruniccio, spartito da  solchi arcuati; in cima al ventre la coperta, sul punto di scivolare per terra,  si reggeva a malapena. Davanti agli occhi gli si agitavano le gambe, molto più  numerose di prima, ma di una sottigliezza desolante.
  << Che  cosa mi è capitato?>> pensò. Non stava sognando. La sua camera, una  normale camera d’abitazione, anche se un po’ piccola, gli appariva in luce  quieta, fra le quattro ben note pareti. (…)
  Non ebbe alcuna  difficoltà a rimuovere la coperta: gli bastò gonfiarsi un poco, ed essa cadde a  terra da sé. Ma lì cominciavano i guai, segnatamente a causa dell’inusitata  larghezza del suo corpo.(…)
  Cercò di uscire  dal letto dapprima con la metà inferiore del corpo: ma questa parte, che egli  non era ancora riuscito a scorgere, né a figurarsene l’aspetto, si dimostrò  difficile a smuoversi (...)
  Tentò allora di  iniziare la manovra dalla parte superiore e girò cautamente il capo verso la  sponda del letto. Questo movimento gli fu agevole, e con l’intera massa del  corpo, nonostante la lunghezza e il peso, riuscì infine a compiere la stessa  manovra.”
  F. Kafka, “La  metamorfosi”, traduzione di Emilio Castellani
Questo processo di autoriconoscimento e autoaccettazione  avviene quindi quasi con naturalezza. Gregor non mostra eccessiva meraviglia  per il suo nuovo stato ma è come se lo  desse per scontato: le difficoltà maggiori vengono dopo, quando cerca di  muoversi usando quel corpo cui non è abituato, e nei rapporti con la sua  famiglia, cui suscita orrore e da cui si sente appena tollerato. Egli, pur  notando il suo cambiamento fisico, non si dispera ma continua a ragionare  lucidamente e, cosa ancor più sconvolgente, pensa di poter andare a lavorare e  continuare a fare ciò che faceva prima.
  Dopo la scoperta della metamorfosi l’unica che sembra  prendersi cura di Gregor è la sorella che tenta di mettere a suo agio il  fratello anche se la sua vista la sconvolge. Questo atteggiamento premuroso,  però, tende a scomparire col tempo per trasformarsi poi in una totale  indifferenza e intolleranza ,comportamenti che caratterizzano anche gli altri  componenti della famiglia Samsa. . Fin dall’inizio il padre si mostra ostile  nei confronti del figlio la cui “nuova natura” gli provoca ribrezzo. La madre,  anche lei terrorizzata dal nuovo aspetto assunto da Gregor, conserva, tuttavia,  il suo istinto materno, sentimento destinato a scomparire.
  Il primo pensiero di Gregor, invece, è rivolto alla  famiglia: si preoccupa per la loro condizione economica, ora che lui non è più  in grado di lavorare e mantiene inalterato il suo affetto, soprattutto per la  sorella Grete.
  Gregor Samsa era un commesso viaggiatore alle dipendenze  di una ditta molto esigente.
  Il suo lavoro è stressante ed alienante, ma egli vi si  dedica con tutto il fervore possibile, tanto che da ben cinque anni non prende  un giorno di ferie. Egli lavora per ripagare i debiti del padre e mantenere la  sua famiglia, faticando il doppio pur di non desistere.
  Con il passare del tempo però, il lavoro esige tutto il  tempo di Gregor, il quale non ha più né svaghi né solidi rapporti umani; il  giovane diviene schiavo dell'azienda e della famiglia, prigioniero della sua  camera. Gregor non è più un essere umano, bensì un rifiuto prodotto dalla  società, una vittima incapace di reagire.
  Gregor è fortemento legato alla famiglia, ma questo  legame viene vissuto come una costante oppressione: il figlio è incapace di  agire e di volere e perciò subisce la superiorità del padre che diventa  un’ossessione. Gregor è presentato sia come vittima della figura paterna sia  come colpevole, perché incapace di reagire scappando da casa; consapevole di  questa sua colpevolezza, non esiterà a porvi rimedio con la morte volontaria.
  Gregor, che è vissuto senza un vero amore, senza svaghi,  senza libertà di parola, senza emozioni è ormai un insetto da eliminare e solo  con la morte la sua esistenza ottiene un significato:
  l' intera famiglia viene liberata da una grande sventura  e può finalmente ritrovare la pace e la prosperità. La notizia della morte di Gregor crea sollievo e liberazione e  non fa cadere nella disperazione i familiari nè fa nascere in loro un  sentimento di rimpianto o rimorso.
  L’affetto della madre e la comprensione della sorella  sembrano scomparire con la sua morte, lasciando posto solo all’indifferenza e  alla tranquillità che, come dice il padre stesso, viene finalmente  riacquistata. Ora pensano soltanto a dedicare la loro giornata al riposo, alla  vacanza che si meritano e della quale hanno assolutamente avuto bisogno. Dopo  una razionale riflessione giungono anche alla conclusione che in fondo le loro  future prospettive di vita, anche senza Gregor, sono positive, poiché tutti e  tre hanno lavori che offrono loro un miglioramento.
  L’ultima decisione presa dalla famiglia Samsa è quella di  cambiare appartamento per cancellare definitivamente le tracce del passato e  soprattutto cancellare Gregor dalla loro vita, poiché questa casa era stata  scelta da lui. Con la morte di Gregor quindi la famiglia riesce ad acquistare  l’indipendenza che fino ad ora non aveva avuto e prende coscienza del fatto  che, anche contando solo sulle proprie forze, può aspirare ad una vita ricca di  buone prospettive.
  
  Metamorphosis As A Split Personality:
  “The Strange Case Of   Dr Jekyll And Mr Hyde”
   
  “All things therefore seemed to point to this that I  was slowly losing hold of my original and better self, and becoming slowly  incorporated with my second and worse.” 
The story of Dr. Jekyll and Mr. Hyde is set in London, England during the late nineteenth century. When Stevenson describes the nights when Dr. Henry Jekyll is working in his laboratory, makes you feel a sense of curiousness. The atmosphere created adds a great deal of emotion and drama to the plot of the story. The main conflict in this novel is Dr. Jekyll’s battle with his inner self. Dr. Jekyll’s problems began during his youth. He secretly engaged in corrupt behaviour and he created a potion that would separate his good behaviour from his bad. Yet Dr. Jekyll makes a mistake: he brings his bad self, Mr. Edward Hyde, into a true being that would became the vicious side of Jekyll’s personality, his darker half. Throughout the novel, Hyde frequently shows himself even when Jekyll doesn’t want him to. Jekyll struggles trying to hide his monstrous being from the public but he can’t stop Hyde to take control of the situation and do whatever he pleases. Hyde infact commits three murders : a young girl (who was trampled by Hyde), Sir Danvers Carew (who was beaten to death by Hyde) and Dr Hastie Lanyon ( a London doctor that died from shock after he saw Jekyll’s transformation from man to monster). Dr. Jekyll then realizes that the transformations have frequently increased and he is running out of the reversible potion. Dr. Jekyll knows that he must do something so Hyde doesn’t take over permanently. So he decides to write a letter in which explains everything that has happened and Jekyll notes that the end of his letter marks the end of Dr. Henry Jekyll’s life. And that’s how the novel ends.
“.. this is my true hour of death, and what is to follow concerns another than myself. Here then, as I lay down the pen and proceed to seal up my confession, I bring the life of that unhappy Henry Jekyll to the end.”
The main theme of Dr.  Jekyll and Mr. Hyde is the duality of human nature. This means how one person  can have two completely different personalities. Jekyll represented a good,  hardworking doctor, while Hyde represented an atrocious monster. Another  important theme is that of reputation: Stevenson sees the psychological and  social point of view, where is not important how you are, but how you behave,  the image that people have of you, your respectability. This is the kind of  contestation and denounce of moralism and hypocrisy of Victorian society. The  problem is not to be good or bad but to be respectable.
  The protagonist is a  respectable man, Jekyll, and an evil genius, Hyde; these two beings are in  perpetual struggle and it is the same act of secret chemistry that releases  Hyde and restores Jekyll. Hyde is the wicked personality and he gives a sense  of deformity and weakness, meanwhile Jekyll represents the good side that is in  every person, infact he is a doctor with good reputation and respectability. He  discovers a drug that can give life to the wicked person hidden inside him. In  time the chemical reactions that permit the changing, became more used so Hyde  becomes stronger and more confident. When the changing happens without chemical  potions, Hyde takes the control on the reaction.
  The reaction happens  spontaneously. Dr Jekyll realizes that Hyde is going to win over him and he  will never be Jekyll again, consequently he has only two choices. On the one  hand, the man may choose a life of crime or, on the other hand, the Jekyll  aspect must eliminate Hyde in the only way left: by killing him. And that is  the reason why Jekyll commits suicide: is his final and only choice.  Therefore, Stevenson implies that man’s  salvation is based on the annihilation of one part of his nature if he lives in  a civilised society.
  On several occasions  Hyde is made to appear dressed in Jekyll’s fine clothes, which are too large  for him; this fact points out how small and ugly Hyde is in relation to his  alter ego. Though the evil side of Jekyll’s nature is initially less developed  as Hyde plunges into “the sea of liberty”, he begins seriously to erode his  good twin. The smaller, slighter Hyde begins to grow in stature and the  original balance of good and evil in Jekyll’s nature is threatened with being  permanently overthrown.
  The sense of duplicity  is reinforced by the symbolism of Jekyll’s house whose two façades are  symbolically the two opposite sides of the same man: the front of this house,  used by the Doctor, is well-kept and respectable; while the rear, used by Hyde,  is part of a sinister block of buildings.
  So I think the point  is that everyone has a good and a bad side and if you give the bad side a  chance (as Dr Jekyll did with his drug), the bad side will dominate until you  won't have a good side any more.
La Metamorfosi Come Specchio  Della Perdita Di Identità:
  “L’Asino D’Oro” Di Apuleio e…
L’opera  intitolata “ Le metamorfosi” di Apuleio  o “L’Asino d’oro” come meglio  la conoscevano gli antichi, racconta in 11 libri la straordinaria vicenda di  Lucio, che, trasformato in asino per effetto di un magico unguento, dopo una  serie di vicende avventurose, finalmente, per volontà
  della dea Iside, recupera la  forma umana mangiando delle rose. 
  Il titolo esatto dell’opera è  “Metamorphoseon Libri” mentre “Asinus Aureus” compare per la prima volta in Sant' Agostino nel "De  civitate Dei" (dove l’aggettivo aureus può volerindicare le doti  eccezionali dell’asino, la qualità artistica del romanzo o l’alto valore morale  insito nella storia del protagonista). Molto probabilmente Apuleio riprende la  vicenda di Lucio da “Storie varie di metamorfosi”, romanzo greco che non ci è  pervenuto (scritto da Lucio di Patrasso) ma del quale ci è stato tramandata una  versione semplificata tra le opere del greco Luciano con il titolo di “Lucio  ovvero l’asino”. 
  Il tema della peregrinazione dei  personaggi in paesi lontani e quello degli ostacoli per un lieto fine  riallacciano il romanzo di Apuleio a quello greco ma per altri aspetti possiamo  considerarlo diverso da esso. Sicuramente la novità principale consiste nel  tema mistico: viene narrata infatti la storia di Lucio che, spinto dalla curiositas (dove per curiosus si intende assettato di  conoscenza), dal suo interesse per la magia, perde il suo aspetto umano e dovrà  poi superare una serie di avventure nel percorso che lo porterà a ritrovarsi  uomo grazie all’iniziazione ai misteri della dea Iside, dea della fertilità per  gli egizi (nell’ XI libro infatti la dea gli offre il suo aiuto apparendogli in  sogno). 
  La trasformazione di Lucio in asino (e la  scelta dell’asino non è sicuramente casuale: l’asino infatti nella religione  egizia è simbolo del dio Seth, un demone nemico della dea Iside) è dovuta  quindi alla troppa curiosità del giovane, che incurante dei rischi prova la  pozione magica su se stesso. C’è perciò alla base del cambiamento un elemento  fantastico, ma va sicuramente relazionato al comportamento immaturo del  giovane, troppo impaziente ed inesperto. Soltanto dopo aver superato innumerevoli  prove che dimostrano la sua accresciuta consapevolezza e maturità per le quali  sarà premiato dalla divinità che lo aiuterà, Lucio riuscirà a recuperare il suo  aspetto umano e tornare alla normalità seguendo una sorta di percorso formativo  ed educativo. Si può dire quindi che in Apuleio la trasformazione non  rappresenta soltanto un cambiamento fisico, ma anche interiore in quanto è  stata necessaria per la maturazione del suo personaggio che è riuscito in  questo modo a correggere il suo comportamento sbagliato dettato  dall’inesperienza e diventare una persona più matura e saggia di prima; e  infatti, una volta raggiunto questo scopo la trasformazione cessa e si ha il  ritorno alla normalità.
  Importantissimo nel romanzo appare il ruolo del caso, che  risulta determinante in molte circostanze: la prima metamorfosi di Lucio  infatti nasce dalla curiositas e dall’attrazione fatale per la magia, ma lo  scambio del vasetto in casa di Panfila è frutto del caso, così come sono  casuali le successive avventure e i continui cambi di padrone dell’asino. Al  termine delle metamorfosi però, al ruolo del caso subentra quello della  religione, unico mezzo che consentirà a Lucio il ritorno alla dimensione umana.
  Possiamo  osservare al di là del fantastico e del puro divertimento delle avvincenti  avventure di Lucio, ricche di magie, di incantesimi e sortilegi il messaggio  simbolico dal profondo contenuto filosofico-morale-religioso: l’allegoria della  storia dell’anima e del culto per la dea Iside. Il romanzo di Apuleio si gioca  pertanto su questi due piani, che costituiscono due livelli di lettura e di  interpretazione: creazione fantastica e realismo, intrattenimento e impegno,  divertimento e riflessione.
  Al di là della varietà narrativa, l’opera, dunque, può  essere interpretata ad un livello più profondo, in una chiave allegorica (di  cui sono segnali il proemio, la favola di Amore e Psiche, l’XI libro e, in  particolare, l’epilogo); e infatti la favola di Amore e Psiche racchiude  in sé il significato profondo di questo romanzo riproducendo come un  modello in scala ridotta l’intero percorso narrativo e offrendone la corretta  decodificazione. Possiamo stabilire un parallelo tra Psiche e Lucio:  inizialmente entrambi si trovano in una situazione positiva e tranquilla ma in  seguito, spinti dalla propria curiositas (quella di Psiche però è meno nobile, meno meditata e meno giustificata di  quella di Lucio: Psiche scorge il volto dell’amato contro la sua stessa  proibizione, mentre Lucio, desideroso di conoscenza, tenta di trasformarsi in uccello  come aveva fatto Panfila) cadono in disgrazia e solo attraverso esperienze  degradanti e numerose prove giungono a recuperare la felicità e una condizione  migliore di quella iniziale.
  Le peripezie dei personaggi possono essere lette come un  itinerario di espiazione fino alla salvezza. Non sappiamo però se il  significato allegorico fosse noto al pubblico. A un livello più immediato e  semplicistico il romanzo è leggibile in chiave avventurosa, ma un pubblico più  dotto, grazie alla chiave di lettura offerta dalla fabula di Amore e Psiche,  può invece penetrare l’allegoria e giungere al significato più recondito.
  E’ anche interessante  notare come, alla fine del romanzo, Apuleio si sostituisca al suo protagonista  Lucio: al sacerdote di Osiride, infatti, appare in sogno il dio in persona, che  gli comunica che l'indomani si presenterà da lui un "Madaurensis" (un  uomo di Madaura) per essere iniziato ai sacri misteri. E’ noto che Apuleio era  nativo di Madaura, mentre il suo eroe Lucio è greco: è perciò evidente  l’intento dell’autore di suggerire una generale interpretazione autobiografica  del romanzo, confermando più in particolare gli interessi di Apuleio per le  religioni misteriche e per la magia, nonché la sua conquista della fama  letteraria.
  Le Metamorfosi sono quindi da leggere come il percorso iniziatico  dell’anima dalla degradazione e dall’abiezione morale alla redenzione. A tutta  l’opera è sotteso infatti un messaggio religioso: la salvezza dell’uomo non  avviene grazie alla sua opera, ma è un dono gratuito della divinità.
…Le “Metamorfosi” Di Ovidio:
  “Metamorfosi” è  un  vasto poema di Ovidio  in 15 libri di 12000 esametri che racconta più di duecento storie di  trasformazioni, i cui protagonisti sono celebri personaggi del mito. Il lettore  finisce quasi per perdersi in un labirinto di storie che si incastrano l’una  nell’altra e sono tenute insieme dal filo della trasformazione subìta dai  protagonisti. Ci sono esseri viventi che si trasformano in animali, altri che  si mutano in piante o in fiori, in fiumi o in fonti; ci sono statue che si  animano e persone che diventano statue o sassi, come Niobe; formiche che si  trasformano in uomini, guerrieri che nascono dalla terra e via dicendo in un  mare di racconti che sembra senza fine. Da qui la sensazione di un universo in  perenne cambiamento nel quale una segreta parentela accomuna tutti gli esseri,  tanto che la metamorfosi ci appare come un processo che segue l’ordine naturale  delle cose. Il poeta comincia la sua narrazione dalla creazione dell’universo  che emerge dal caos informe, trasformandosi gradualmente in cosmo, ovvero in  ordine, per passare poi alle prime fasi del genere umano, scomparso in seguito  al diluvio e rigenerato dalle pietre che Deucalione e Pirra si gettano dietro  le spalle, e, di mito in mito, giunge fino alle soglie della storia romana per  concludere la sua narrazione con la divinizzazione di Cesare. 
  Numerose possono essere considerate le "fonti"  ovidiane: raccolte di miti circolavano in repertori che Ovidio deve aver  certamente conosciuto; il tema della trasformazione era poi caro alla  letteratura alessandrina (basti pensare a Callimaco e a Eratostene, e poi alle  "Trasformazioni" di Nicandro di Colofone e di Partenio di Nicea), ma  era stato trattato pure nel mondo latino da Emilio Macro e, occasionalmente,  dai neoteroi, da Catullo e da Virgilio (nella poesia omerica era poi il modello  di ogni trasformazione: quella, operata dalla maga Circe, dei compagni di  Ulisse in porci). 
  E tuttavia nuovo è il risultato dell'operazione ovidiana,  che si sviluppa all'insegna della più fervida e colorita fantasia, con uno  stile e un metro (un esametro insuperabile per musicalità) che con la loro  sapientissima "facilità" sembrano mirabilmente accompagnare la  perpetua vicenda delle mutazioni e l'illusorietà delle forme, soggette a  continui cambiamenti, in una continuità quasi organica che lega l'uomo alla  natura.
  Della trasformazione, Ovidio evidenzia sapientemente ora  il carattere repentino ora, ancor più, la lentezza graduale, il persistere  talora sofferto dell'antica natura nella nuova. Dell'essere umano, che si  trasforma in essere arboreo o inanimato, il poeta avverte l'intimo dolore, la  coscienza di divenire altro in una trasmutazione che sembra investire le radici  stesse dell'universo. In alcuni casi, il brillante gioco delle superfici  s'accompagna a una sensibilità inquieta di creature tormentate, che trovano nel  trasformarsi l'unica via d'uscita a una situazione impossibile, a una passione  assurda: nel divenire altra cosa rispetto a una realtà divenuta umanamente  intollerabile, esse ritrovano finalmente il loro riscatto.
  Accanto al mito, l'amore è l'altro grande tema del poema,  un amore che conosce un'ampia gamma di modulazioni, dalla passione malata,  all'incantamento, alla dedizione generosa, alla fedeltà coniugale: vivido  esempio quello di Alcione e Ceice, che solo grazie alla loro trasformazione in  uccelli potranno perpetuare per sempre il loro amore coniugale, così come solo  la trasformazione in alberi unirà in un vincolo eterno Filemone e Bauci; e in  albero d'alloro si trasforma Dafne, la ninfa che Apollo pur continuerà ad  amare. Quest’ultimo mito racconta infatti che dopo aver ucciso il serpente  Pitone, Apollo si sentì particolarmente fiero di sé, perciò si vantò della sua  impresa con Cupido, dio dell’Amore, sorridendo del fatto che anche lui portasse  arco e frecce, ed affermando che quelle non sembravano armi adatte a lui.  Cupido indignato, decise allora di vendicarsi: colpì il dio con la freccia  d’oro che faceva innamorare, e la ninfa, di cui sapeva che Apollo si sarebbe  invaghito, con la freccia di piombo che faceva rifuggire l’amore, per  dimostrare al dio di cosa fosse capace il suo arco. Apollo, non appena vide la  ninfa chiamata Dafne, figlia del dio-fiume Peneo, se ne innamorò. Tuttavia, se  già prima la fanciulla aveva rifiutato l’amore, dedicandosi piuttosto alla  caccia come seguace di Diana, essendo stata colpita dalla freccia di piombo di  Cupido, quando vide il dio, cominciò a fuggire. Apollo iniziò allora ad  inseguirla, elencandole i suoi poteri per convincerla a fermarsi, ma la ninfa  continuò a correre, finché, ormai quasi sfinita, non giunse presso il fiume  Peneo, e chiese al padre di aiutarla facendo dissolvere la sua forma. Dafne si  trasformò così in albero d’alloro prima che il dio riuscisse ad averla, egli,  tuttavia, decise di rendere questa pianta sempreverde e di considerarla a lui  sacra: con questa avrebbe ornato la sua chioma, la cetra e la faretra; ed  inoltre, d’alloro sarebbero stati incoronati in seguito i vincitori e i  condottieri. 
  ...vix prece finita torpor gravis occupat artus,        … ancora prega, che un torpore profondo  pervade le sue membra,
    mollia cinguntur tenui praecordia libro,                                                                 il petto morbido si fascia di fibre sottili,
  in frondem crines, in ramos bracchia crescunt,               i capelli si allungano in  fronde,le braccia in rami;
    pes modo tam velox pigris radicibus haeret,                    i piedi, cosi veloci un  tempo,s’inchiodano in pigre radici,
    ora cacumen habet: remanet nitor unus in illa.               Il volto svanisce in una  chioma:solo il suo splendore conserva.
    Hanc quoque Phoebus amat positaque in stipite dextra   Anche così Febo l’ama e,poggiata la mano sul  tronco,
    sentit adhuc trepidare novo sub cortice pectus               sente ancora trepidare il petto  sotto quella nuova corteccia
    conplexusque suis ramos ut membra lacertis                 e, stringendo fra le braccia i  suoi rami come un corpo,
    oscula dat ligno; refugit tamen oscula lignum.              ne bacia il legno, ma quello ai suoi baci  ancora si sottrae.
    cui deus 'at, quoniam coniunx mea non potes esse,       E allora il dio: “se non puoi essere la  mia sposa,
    arbor eris certe' dixit 'mea! semper habebunt               sarai almeno la mia pianta. E di  te sempre si orneranno,
    te coma, te citharae, te nostrae, laure, pharetrae;        o alloro, i miei capelli, la mia cetra,  la faretra;
    tu ducibus Latiis aderis, cum laeta Triumphum            e il capo dei condottieri latini,  quando una voce esultante
    vox canet et visent longas Capitolia pompas;              intonerà il trionfo e il  Campidoglio vedrà fluire i cortei.
    postibus Augustis eadem fidissima custos                    Fedelissimo custode della  porta d’Augusto,
    ante fores stabis mediamque tuebere quercum,           starai appeso ai suoi battenti per  difendere la quercia in mezzo.
    utque meum intonsis caput est iuvenale capillis,         E come il mio capo si mantiene giovane  con la chioma intonsa,
    tu quoque perpetuos semper gere frondis honores!'   anche tu porterai il vanto perpetuo delle  fronde!”.
    finierat Paean: factis modo laurea ramis                   Qui Febo tacque; e l’alloro  annuì con i suoi rami
    adnuit utque caput visa est agitasse cacumen.                         appena spuntati e  agitò la cima, quasi assentisse col capo.
Strani,  questi amori delle "Metamorfosi", spesso impossibili: di Eco,  innamorata di Narciso, non resterà che una voce, ma anche Narciso, invaghito di  se stesso sino a lasciarsi morire, si ridurrà a un fiore. Narciso era un  giovane così bello che tutti, uomini e donne, s’innamoravano di lui; egli però  non se ne curava, anzi preferiva passare le giornate in solitudine, cacciando.  Tra le sue spasimanti la   Ninfa Eco, costretta a ripetere sempre le ultime parole di  ciò che le era stato detto (era stata infatti punita da Giunone). Quando Eco  cercò di avvicinarsi a Narciso questi la rifiutò. Da quel giorno la ninfa si  nascose nei boschi consumandosi per l’amore non corrisposto, fino a rimanere  solo una voce. Infine, poiché un amante rifiutato chiese a Nemesi di  vendicarlo, Narciso fu condannato a innamorarsi della sua stessa immagine  riflessa nell’acqua. Egli si lamentava poiché non riusciva a stringerla né a  toccarla e i suoi lamenti venivano ripetuti da Eco. Una volta resosi conto  dell’accaduto, Narciso si lasciò morire struggendosi inutilmente; quando le  Naiadi e le Driadi vollero prendere il suo corpo per collocarlo sul rogo  funebre, trovarono al suo posto un fiore cui fu dato il suo nome. Sono, in  prevalenza, amori fatti soprattutto di sensazioni, di attrazione per le forme,  più che di turbamenti dell'anima; così è anche l'amore innocente di Priamo e  Tisbe, due giovani babilonesi che si amano intensamente, nonostante  l'opposizione dei genitori: muoiono entrambi a causa di un tragico equivoco e,  per il sangue uscito dai loro corpi, le bacche del gelso (l'albero del loro  fatale incontro) da bianche divengono scure.
  Dalla Mitologia All’Arte:
  “Apollo E Dafne” E…
“Apollo e Dafne” è uno dei quattro gruppi marmorei  scolpiti tra il 1619 e il 1625 da Bernini  per il cardinale Scipione Borghese, famoso collezionista romano, fondatore  dell’omonima galleria.  Caratteristica  importante di questa scultura è che a seconda del punto di vista dal quale la  guardiamo essa presenta aspetti diversi: per avere una sua visione complessiva  infatti, bisogna girarci intorno.   Un’altra particolarità va ricercata nel dinamismo che la attraversa:  Bernini infatti riesce a introdurre il movimento, e quindi la dimensione del  tempo, nel marmo, materia di per sé statica e pesante. Contemporaneamente rende  in maniera notevole la graduale transizione dall’umano al vegetale: la gamba  sinistra di Dafne è già diventata corteccia, le chiome e le braccia si stanno  trasformando in foglie e fronde, mentre il resto del corpo non è ancora  tramutato, sebbene dal piede destro spuntino già le radici dell’albero. La  diversità della materia viene resa con eleganza creando un gioco di superfici  ora lisce ora rugose che riflettono in modo differente la luce sotto la quale sembrano  animarsi. Il movimento viene percepito attraverso lo slancio verticale di  Apollo, accentuato dal panneggio della stoffa, che si intreccia con il  movimento ad arco di Dafne, i cui estremi sono i piedi e il capo. La parte del  suo corpo che si è già trasformata in albero è ormai radicata nel terreno e  bloccata nel movimento, che invece continua nel bacino incurvato e nel braccio.  Le due figure sono unite armonicamente dalla disposizione secondo una linea  obliqua che, partendo dalla gamba sinistra del dio, ancora sollevata, culmina  nella mano destra della ninfa già trasformata in fronda. 
  Bernini è riuscito a sintetizzare nell’unitarietà dello  spazio una molteplicità di avvenimenti e di sentimenti che si succedono nel  tempo: l’inseguimento, la fuga, la metamorfosi, il dolore di Dafne e lo stupore  di Apollo.
…“La Metamorfosi Di Narciso”
“l’immagine di  Narciso sfuma finché non si fa del tutto invisibile. La metamorfosi avviene  proprio in quest’attimo; l’immagine di Narciso si trasforma improvvisamente nell’immagine  di una mano, impietrita nell’acqua, che regge con la punta delle dita un uovo,  un seme, il bulbo dal quale nascerà il nuovo narciso, il fiore.”
  
  “ Metamorfosi di Narciso” è il dipinto di Dalì  realizzato nel 1937, conservato alla Tate Gallery di Londra. La  scelta iconografica del quadro deriva dalle suggestioni artistiche ricevute  durante il viaggio in Italia che l’artista ha compiuto nel 1936, (così come le  figure dei nudi sullo sfondo che evocano pose classiche e atteggiamenti formali  tipici dell’arte rinascimentale e manierista). 
  Il quadro si ispira al personaggio mitologico ovidiano  del giovane Narciso, il quale si innamora della propria immagine che veniva  riflessa in uno specchio d’acqua; è perciò impossibile per lui possederla e  alla fine si trasforma in un fiore (che porta il suo nome). Dalì riesce a  riprodurre la metamorfosi ovidiana dando vita a un’ambigua relazione tra  illusione e realtà.
  Le fasi della metamorfosi si succedono in forma narrativa  da sinistra a destra e analogamente accade per i colori opachi e le forme  inizialmente trasparenti che via via acquistano una connotazione realistica e  concreta: la splendida figura di Narciso che si rispecchia nel lago subisce una  trasformazione per cui assume l’aspetto di una mano pietrificata che regge un  uovo crepato dal quale nasce il fiore narciso.
  Dalí pubblica in seguito un  lungo poema con lo stesso titolo della tela in cui sottolinea i significati nascosti nella doppia immagine  iniziale di Narciso che pensa e della mano pietrificata.
Indubbiamente, il mito di  Narciso attiene a un aspetto della psiche umana a cui Dalí non è certo estraneo,  ma questa componente della vicenda narrata da Ovidio non esaurisce le motivazioni  dell’interesse del pittore: la sua attenzione si rivolge anche a quel riflesso  ingannevole che Narciso vide nell’acqua, e che causò la sua tragica fine. 
  In “Metamorfosi di Narciso”, la vicenda del  giovane è scandita in tre sequenze temporali: sullo sfondo il ragazzo compare  in piedi su un plinto, soddisfatto della sua bellezza, mentre poco lontano si  raccoglie un gruppo di persone che invocano vendetta per la ninfa Eco, morta  d’amore per lui; in primo piano avviene invece la punizione decretata da  Nemesi: a sinistra il giovane si sporge sulle acque, scorgendovi fatalmente il  proprio riflesso, mentre la sua immagine si sdoppia, e sulla destra sorge una  mano che sostiene un uovo, da cui nasce il fiore che porta il nome di Narciso. 
Metamorfosi Come Spostamento Di  Identità:
  Gli Studi Di Freud Sul Narcisismo
Il narcisismo è un disturbo della personalità e indica un  eccessivo investimento nella propria immagine. I narcisisti dimostrano mancanza  di interesse verso gli altri, ma sono altrettanto indifferenti ai loro veri  bisogni e spesso il loro comportamento è autodistruttivo. Dal punto di vista  sociale, il fenomeno esteso alla collettività, antepone la ricchezza alla saggezza,  la notorietà alla dignità e il successo è più apprezzato del rispetto di sé. Lo  stato di irrealtà del narcisismo non è solo nevrotico, tende allo psicotico. La  persona e la collettività non sono consapevoli della propria malattia,  condizione che impedisce ogni tentativo di guarigione. La chiave di una  possibile terapia è la comprensione: tutti i narcisisti hanno un profondo  bisogno di essere compresi, di qualcuno che li capisca. La malattia è  condizionata dall'esagerato investimento nell'immagine che obbliga uno spostamento di identità, dal sé,  all'immagine di sé, caratteristico dello stato narcisistico patologico.  Questa concezione è aderente al mito di Narciso che continuava a specchiarsi  nell'acqua per conferma della propria bellezza più che per ammirazione. 
  Nel 1914 Freud  presenta il suo primo saggio sul narcisismo intitolato appunto “Introduzione al  narcisismo” introducendo i concetti di narcisismo  primario, tipico del bambino nella primissima infanzia, in cui la libido è  centrata sul proprio corpo, e quello di narcisismo  secondario, in cui la carica libidica ritorna al soggetto attraverso  un’identificazione con l’oggetto amato.
  “..il narcisismo appare ora spostato su  questo nuovo io ideale, che si trova in possesso, come l’io di quando si era  bambini, di tutte le più preziose qualità. L’uomo si è dimostrato ancora una  volta, come sempre nell’ambito della libìdo, incapace di rinunciare a un  soddisfacimento di cui ha goduto in passato. Non vuol essere privato della  perfezione narcisistica della sua infanzia e se – importunato dagli ammonimenti  altrui e dal destarsi del suo stesso giudizio critico – non è riuscito a  serbare questa perfezione negli anni dello sviluppo, si sforza di riconquistarla  nella nuova forma di un ideale dell’io. Ciò che egli proietta avanti a sé come  proprio ideale è il sostituto del narcisismo perduto dell’infanzia, di  quell’epoca cioè in cui egli stesso era il proprio ideale.”                                                       (S. Freud, Introduzione al narcisismo, in Opere, Bollati-Boringhieri, Torino,  1989)
  Il  saggio consta di tre capitoli in cui viene presentato lo stadio narcisistico  (termine derivato dalla leggenda di Narciso) come una fase evolutiva della  libido sessuale. Secondo Freud in questo stadio la libido prende come primo  oggetto l'Io stesso del bambino e solo in un momento successivo questo  investimento libidico si rivolgerà invece ad un oggetto esterno. All'inizio del  primo capitolo Freud definisce il narcisismo come un carattere appartenente in  maniera diversa a tutti gli uomini e mai del tutto superato. L'interesse per lo  stadio narcisistico risiede nella particolare forma di alcune psicosi in cui  l'Io del malato sembra essere di fatto il centro della corrente libidica: il  paziente perde ogni interesse verso l'esterno rivolgendo a sé stesso la propria  corrente libidica oggettuale, dando così forma a sovrainvestimenti dell'Io che  sfociano ad esempio nelle manie di grandezza. Secondo Freud è ciò che avviene  nelle parafrenie (schizzofrenia e dementia praecox), a dispetto invece delle nevrosi  ossessive in cui l'interesse verso l'esterno è confermato dalle fantasie del  malato. Freud inoltre individua questa fase anche nel comportamento del bambino  quando assume sé stesso a centro del mondo, nella sua onnipotenza dei pensieri  e nelle credenze superstiziose degli uomini primitivi. Nel secondo capitolo  Freud tratta diffusamente delle pulsioni dell'Io, della libido oggettuale e  della libido dell'Io, in contrapposizione alle teorie di Jung che tendevano ad  unificare queste pulsioni in un'unica energia psichica. Esemplifica poi il  comportamento narcisistico nei casi della vita amorosa degli uomini, della  malattia e perfino dell'ipocondria. Nell'ultimo capitolo Freud, tenendo ferma  la distinzione tra libido oggettuale e libido dell'io,si interroga sul destino  di quest'ultima, arrivando a supporre che essa vada a sostenere un ideale che  l'Io ha di sè. Nell'età adulta dunque una parte della corrente narcisistica si  indirizza non più all'io ma al suo ideale, ideale a cui Freud riconosce la  dignità di istanza psichica e coscienza morale. L'esistenza di questo ideale  sarebbe inoltre condizione della rimozione di pulsioni e pensieri, nonché della  censura onirica e della sensazione del "sentirsi osservati" riportata  dai nevrotici. Nell'ultima parte del libro l'autore segue la genesi dell'ideale  dell'io, la dinamica degli investimenti libidici (in particolare nella vita  amorosa), e sottolinea l'importanza dell'ideale dell'Io nella comprensione  della psicologia delle masse, tema che Freud affronterà compiutamente nel  successivo saggio “Psicologia delle masse e analisi dell'io”.
     “  Affermiamo che l’uomo dispone in origine di due oggetti sessuali: sé stesso e  la donna che si prende cura di lui; con ciò postuliamo che un narcisismo  primario sia presente in ogni essere umano, narcisismo che può rivelarsi per  alcuni l’elemento dominante nella scelta oggettuale. Il paragone fra l’uomo e  la donna rivela poi che nei confronti del tipo di scelta oggettuale esistono fra  i due sessi differenze di fondo, ancorché non riscontrabili ovviamente in ogni  singolo caso. L’amore d’oggetto che corrisponde pienamente al tipo di scelta  oggettuale per appoggio è invero caratteristica tipicamente maschile. In questo  amore si manifesta una spiccata sopravvalutazione sessuale che deriva  certamente dall’originario narcisismo infantile, e che corrisponde pertanto a  una traslazione di quest’ultimo sull’oggetto sessuale. Tale sopravvalutazione  sessuale è all’origine del peculiare stato d’innamoramento, in cui sono  adombrati i tratti della coazione nevrotica, stato che risale quindi a un  impoverimento libidico subíto dall’io a vantaggio dell’amore.”                                 (S. Freud, Introduzione al narcisismo, in Opere, Bollati-Boringhieri, Torino,  1989)
  Il narcisismo è  inoltre visto in un certo senso come ostacolo nella misura in cui si impernia  attorno alla riflessione.  In effetti, l'innamorarsi di Narciso della la propria immagine significa per  Freud che la pulsione non arriva all'oggetto come altro, ma trova come suo  oggetto l'immagine stessa del soggetto. Il soggetto scambia come oggetto altro il riflesso immaginario di sé perché c'è una superficie riflettente, come  specchio o acqua. Questa superficie non lascia passare la pulsione (la quale  tenderebbe genuinamente all'oggetto, all'altro) e l'irretisce nel soggetto  stesso. Il narcisismo non è quindi solo amore speculare per se stessi, è  soprattutto il ritornare a sé della propria immagine. 
Metamorfosi Dello Spirito Come  Volontà Di Potenza:
  “Così Parlò Zarathustra”
   
  La stesura dell'opera “Così parlò Zarathustra” viene iniziata nel 1883. L'inizio racconta di  tre metamorfosi che rappresentano il cammino di pensiero in cui si muove Nietzsche  per comprendere il mondo. Viene  raffigurato il cammino della coscienza dagli idoli della superstizione e dalle  menzogne della morale al dionisiaco e al superuomo in tre tappe:
Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo.
La prima tappa è quindi quella del cammello, che rappresenta l’uomo che si piega davanti alla maestà di Dio, è l'uomo sottomesso, che accetta la morale della tradizione. La seconda è quella del leone, che reagisce e combatte contro i falsi idoli, simboleggia la rottura con questa morale, anzi, la negazione della morale come tale. La terza è quella del fanciullo che dice sì alla vita e che esprime l’essenza dionisiaca della libertà umana; è l'uomo nuovo, la cui emancipazione dalla tradizione, permette la creazione di nuovi valori.
Molte  cose pesanti vi sono per lo spirito, lo spirito forte e paziente nel quale  abita la venerazione: la sua forza anela verso le cose pesanti, più difficili a  portare.
  Che  cosa è gravoso? domanda lo spirito paziente e piega le ginocchia, come il  cammello, e vuol essere ben caricato.
  Qual è  la cosa più gravosa da portare, eroi? così chiede lo spirito paziente, affinché  io la prenda su di me e possa rallegrarmi della mia robustezza.
  Non è  forse questo: umiliarsi per far male alla propria alterigia? Far rilucere la  propria follia per deridere la propria saggezza?
  Oppure  è: separarsi dalla propria causa quando essa celebra la sua vittoria? Salire  sulle cime dei monti per tentare il tentatore?
  Oppure  è: nutrirsi delle ghiande e dell’erba della conoscenza e a causa della verità  soffrire la fame dell’anima?
  Oppure  è: essere ammalato e mandare a casa coloro che vogliono consolarti, e invece  fare amicizia coi sordi, che mai odono ciò che tu vuoi?
  Oppure  è: scendere nell’acqua sporca, purché sia l’acqua della verità, senza  respingere rane fredde o caldi rospi?
  Oppure  è: amare quelli che ci disprezzano e porgere la mano allo spettro quando ci  vuol fare paura?
  Tutte  queste cose, le più gravose da portare, lo spirito paziente prende su di sé:  come il cammello che corre in fretta nel deserto sotto il suo carico, così corre  anche lui nel suo deserto.
  Il cammello è un animale paziente che  subisce, che sopporta il suo carico sotto il peso del sacrificio, del suo  dovere; esso è metafora dell’uomo occidentale cristiano. L'uomo fa ciò che deve  fare, a prescindere dal fatto che ciò lo renda felice o meno. Anzi, è proprio  quello che umilia, che punisce l'orgoglio e l'affermazione di sé a dover essere  perseguito. 
  Ma là  dove il deserto è più solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito  diventa leone, egli vuol come preda la sua libertà ed essere signore nel  proprio deserto.
  Qui  cerca il suo ultimo signore: il nemico di lui e del suo ultimo dio vuol egli  diventare, con il grande drago vuol egli combattere per la vittoria.
  Chi è  il grande drago, che lo spirito non vuol più chiamare signore e dio? “Tu devi”  si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice “io voglio”.
  “Tu  devi” gli sbarra il cammino, un rettile dalle squame scintillanti come l’oro, e  su ogni squama splende a lettere d’oro “tu devi!”.
  Valori  millenari rilucono su queste squame e così parla il più possente dei draghi:  “tutti i valori delle cose – risplendono su di me”.
  “Tutti  i valori sono già stati creati, e io sono – ogni valore creato. In verità non  ha da essere più alcun “io voglio!””. Così parla il drago.
  Fratelli,  perché il leone è necessario allo spirito? Perché non basta la bestia da soma,  che a tutto rinuncia ed è piena di venerazione?
  Creare  valori nuovi – di ciò il leone non è ancora capace: ma crearsi la libertà per  una nuova creazione – di questo è capace la potenza del leone.
  Crearsi  la libertà e un no sacro anche verso il dovere: per questo, fratelli, è  necessario il leone.
  Prendersi  il diritto per valori nuovi – questo è il più terribile atto di prendere, per  uno spirito paziente e venerante. In verità è un depredare per lui e il compito  di una bestia da preda.
  Un  tempo egli amava come la cosa più sacra il “tu devi”: ora è costretto a trovare  illusione e arbitrio anche nelle cose più sacre, per predar via libertà dal suo  amore: per questa rapina occorre il leone.
  La  figura del leone è introdotta  dall'immagine del deserto ancora "più solitario". Anche il cammello è  un abitatore del deserto, il che significa che nemmeno la morale del dovere ha  una destinazione sociale. Il dovere non è finalizzato alla convivenza con gli  altri, ma è un modo di essere dell'individuo, è interiorizzato. Il leone, però,  è ancora più solo del cammello, la sua forza di critica e di demolizione della  morale è indirizzata verso se stesso e non verso valori sociali. Con questa  immagine, Nietzsche sottolinea la necessità di un rinnovamento interiore - una  metamorfosi, appunto - l'esigenza di rimuovere il dovere dal proprio  inconscio.  Il "tu devi", il drago dalle mille scaglie d'oro,  rappresenta la sedimentazione dei valori secolari che danno un significato al  mondo, presentandolo all'individuo come una realtà compiuta e fornita di  valore. Il leone vuole riprendersi la propria libertà, essere il proprio  padrone: al leone quindi viene assegnata la funzione di liberare l'essere  profondo dell'individuo (cioè l'inconscio). Si tratta di un'opera di  distruzione per creare uno spazio vuoto. Il pericolo maggiore di ogni morale  non è, secondo Nietzsche, il suo contenuto, ma il suo sostituirsi all'individuo  ed imporgli valori già fatti ("tutti i valori sono già stati  creati"). Per questo, la sua critica non è rivolta soltanto alla morale  cristiana, ma alla morale in quanto tale. Il leone non crea, distrugge: ma così  facendo recupera la dimensione della possibilità, del non determinato, e quindi  prepara il terreno per la creazione. Il leone è come lo spirito libero che  spezza le catene del “tu devi”, ma non è ancora l’uomo nuovo.
  Ma  ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in  grado di fare? Perché il leone rapace deve anche diventare un fanciullo?
  Innocenza  è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola,  un primo moto, un sacro dire di sì.
  Sì, per  il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di sì: ora lo  spirito vuole la sua volontà,  il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo.
  Tre  metamorfosi vi ho nominato dello spirito: come lo spirito divenne cammello,  leone il cammello, e infine il leone fanciullo. –
  Cosí  parlò Zarathustra. Allora egli soggiornava nella città che è chiamata: “Vacca  pezzata”.
Al fanciullo è  associata la rinascita, la mancanza di un passato, l'oblio. Il fanciullo non ha  valori da accettare, e nemmeno da rifiutare, non ha valori esterni a se stesso;  non crea una nuova morale. L'immagine della ruota che gira da sé indica che il  nuovo uomo, l’oltreuomo o superuomo, deve essere un creatore di  valori sempre nuovi, vitali, tali cioè da non sedimentarsi in nuovi  condizionamenti interni. La creazione è definita un "giuoco", cioè  qualcosa che si rinnova continuamente, che non ha un fine esterno (in  particolare non ha il fine di erigere una nuova costruzione, nuove regole o  nuovi comandamenti). Solo il fanciullo quindi, che non subisce una vita, ma la  crea, è in grado di costruire un suo mondo e inventare la vita: il tutto come  un gioco (ogni atto della sua vita sarà un valore che lui stesso inventa). In questa  prospettiva la vita è libera espressione della propria libertà, della propria  espressività e creatività.                                                 Il riferimento alle metamorfosi indica che ogni singolo individuo deve  percorrere questo cammino: il superuomo non può essere una conquista sociale,  ma è essenzialmente il risultato di un rinnovamento interiore.
  Attraverso le tre metamorfosi dello spirito Nietzsche  mostra come il motto "Tu devi" vada trasformato dapprima nell'  "Io voglio", ed infine in un sacro "Dire di sì", espresso  dalla figura del fanciullo giocondo.
Fonti Utilizzate:
- Bibliografia:
- Gian Mario Anselmi, Gabriella  Fenocchio – Tempi e immagini della letteratura                                               (Naturalismo, Simbolismo e primo Novecento), Edizioni Scolastiche Bruno  Mondadori;
  - Franz  Kafka - La metamorfosi e altri racconti, traduzione di Emilio Castellani,     1999 Garzanti Libri, Milano;
  - Robert Louis Stevenson – The strange case of Dr  Jekyll and Mr Hyde, 2001 Giunti Gruppo Editoriale, Firenze;
  - P.  Pagliani, R. Alosi, E. Malaspina, A. Buonopane, R. Ampio – Concentus, armonia  di voci dal mondo classico, 2002 Petrini Editore, Torino;
  - Piero  Adorno – L’arte italiana, Casa editrice G. D’Anna, Messina-Firenze;
  -  Giovanni Fornero – Protagonisti e testi della filosofia, 2000 Paravia Bruno  Mondadori Editori;
  - Sigmund  Freud - Introduzione al narcisismo,  in Opere, Bollati-Boringhieri,  Torino, 1989;
  -  Friedrich Nietzsche -  Cosi parlò  Zarathustra, Casa editrice Adelphi. 
              
- Sitografia:
- http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale
  - http://4umi.com/ovid/meta/1.htm
  -  http://spazioinwind.libero.it/latinovivo/Ovidio_Metamorfosi.htm
Indice generale:
  Premessa …………………………………………………………pag.  2
  Metamorfosi  Come Intima Fusione Con La   Natura:
          “La Pioggia Nel Pineto”  …….………………………………. pag. 3
  La Metamorfosi   Come Espressione Di  Un Disagio:
  Il Racconto Di Kafka ………………………...……………. pag. 4
  Metamorphosis As A Split  Personality:
  “The Strange Case Of  Dr Jekyll And Mr Hyde” ………………… pag. 7
  La Metamorfosi   Come Specchio Della  Perdita Di Identità:
           “L’Asino  D’Oro” Di Apuleio e…   ……………………………. pag. 9
  …Le “Metamorfosi” Di Ovidio:    ……………………………  pag.12
  Dalla  Mitologia All’Arte:
  “Apollo E Dafne” E…         …………………………………pag.15
  …“La Metamorfosi Di  Narciso”  ……………………………pag.16
  Metamorfosi  Come Spostamento Di Identità:
  Gli Studi Di Freud Sul  Narcisismo  ………………………….. pag.17
  Metamorfosi  Dello Spirito Come Volontà Di Potenza:
  “Così Parlò Zarathustra” …………………………………….. pag.20
  Fonti  Utilizzate …………………………………………………. pag.24
Gabriele d’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 e muore a Gardone nel 1938. Fu non solo poeta ma anche soldato nella prima guerra mondiale e seguì con passione la politica. Annunziò lo stato libero di Fiume. Quando si stabilì a Roma, conobbe gli ambienti eleganti della città e visse una vita ricca e piena di scandali e di fatti che gli diedero molta pubblicità come la sua relazione con la grande attrice Eleonora Duse. Fu a favore della guerra e partecipò alla "Beffa di Buccari" (una località vicino a Fiume), partecipò al volo su Trieste e quando finì la guerra fu nazionalista e organizzò la marcia su Fiume. Prese parte a quei movimenti che poi permisero la vittoria del Fascismo. Amò molto la bellezza e la grandezza sia nella vita che nell'arte. Appartiene al decadentismo per il suo estetismo (amore della bellezza; estetismo: movimento che si ebbe in Francia, dal monte Parnaso, dove abitavano le muse, per indicare una poesia pura, preziosa), uno dei suoi aspetti principali che rappresenta il Parnassianesimo e nasce dall'odio della realtà quotidiana; infatti estetismo, sia nella vita che nell'arte, vuole dire ricerca di eleganza e di raffinatezza; senza pensieri di moralità, ma con l'estetismo D'Annunzio cerca pure di innalzare la sua istintiva sensualità nell'amore, nel piacere, nel bello. Tra le opere ricordiamo le raccolte poetiche “Intermezzo” e “Poema paradisiaco”, le novelle abruzzesi di “Terra vergine”, i romanzi “Il piacere”, “L’innocente”, il “Trionfo della morte”, “Le vergini delle rocce”, il ciclo delle “Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi”.
Franz Kafka nacque a Praga il 3 luglio 1883 da genitori entrambi di origine ebraica. Nella sua “Lettera al padre” (in cui lo scrittore rivela il rapporto difficoltoso con il padre, rapporto che spesso, anche a livello inconscio, ha caratterizzato tutta l’opera dello scrittore) disse di aver ereditato dalla famiglia materna le sue “doti di sensibilità, irrequietezza “ e una certa predisposizione allo humour. Sin da giovane si orientò verso tematiche politiche, filosofiche e sociali e ben presto si appassionò alla “causa socialista” e alla filosofia positivista. Finiti gli studi liceali, si iscrisse all’università tedesca di Praga, prima nella facoltà di chimica, poi nella facoltà di giurisprudenza, dove ottenne la laurea nel 1906. Venne assunto dall’Istituto d’assicurazione per gli infortuni sul lavoro, e tenne quel lavoro sino alla pensione; ma la sua vera passione fu quella per la letteratura, che suo padre considerava una perdita di tempo. Già nel 1908 Kafka scrisse i suoi primi racconti, che poi verranno pubblicati in un libro intitolato “Meditazioni”. Nel 1912 iniziò a scrivere il romanzo il “Disperso”(in seguito pubblicato con il titolo di “America”) e completò “La Metamorfosi” e il racconto “La condanna”. Fino alla sua morte avvenuta prematuramente nel 1924, egli continuò a scrivere un buon numero di romanzi e racconti. Tra i romanzi oltre “America” sono da ricordare “Il castello” e l’inquietante “Il processo” (forse uno dei suoi scritti che più sconvolgono, in cui tutto sembra sospeso, irreale). Tra i racconti, che spesso vengono pubblicati assieme alla “Metamorfosi”, si possono ricordare “Un medico di campagna” , “Davanti alla legge”, “Un sogno”, “Relazione per un’accademia”, tutti abbastanza rappresentativi dello stile e delle tematiche dello scrittore.
Robert Louis Stevenson was born in Edinburgh on 13 November 1850. His father was an engineer and he originally wanted to practise this career but ill health made him to abbandon the study of engineering and take up Law at Edinburgh University. By 1875 he had already decided to become a professional writer. His childhood inspired in later life many of the charming poems published in “A Child's Garden of Verses” (1885). As a novelist and essayist, Stevenson is admired for his style, imagination and narrative skill. His most popular works are “Travels With a Donkey” (1879), “Treasure Island” (1882), “The Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde” (1886) and “Kidnapped” (1887). He travelled widely in Europe and the United States; his wife, Fanny Osborne, was American. In search of better health, Stevenson and his family eventually travelled to the Pacific and settled in Samoa, where he spent the last four years of his life (he died in 1894).
Apuleio, filosofo platonico e retore latino. Nacque intorno al 125dC a Madauro, nella Numidia. Educato a Cartagine, studiò poi ad Atene e fece lunghi viaggi in Oriente, consumandovi gran parte dei suoi averi; fu anche per qualche tempo a Roma. Tornato in Africa, conobbe a Oea (Tripoli) una ricca vedova, assai più anziana di lui, Pudentilla, madre di un suo antico compagno di studi, Ponziano;col consenso, anzi secondo Apuleio per istigazione di questi la sposò; ma il suocero di Ponziano, per togliere ad Apuleio la possibilità di diventare erede della moglie, montò contro di lui un processo per magia, accusandolo anche di aver attirato Pudentilla in quelle nozze coi suoi incantesimi. Il processo, celebrato nel 158 a Sabratha, finì certamente con un’assoluzione, ma Apuleio, amareggiato, se ne tornò a Cartagine, dove ebbe una posizione di rilievo con la carica di sacerdos provinciae del culto imperiale. Non si sa dove né quando morì (180ca). L’ attività dello scrittore fu fecondissima e varia per interessi e generi. Di lui rimangono le seguenti opere: “Metamorfosi” o “Asinus Aureus”, “Apologia” o “De magia liber”, “Florida”, “De deo Socratis”, “De Platone et eius dogmate”, “De mundo”.
Publio Ovidio Nasone, poeta latino vissuto nel I secolo a.C. Nato a Sulmona nel 43 a.C., Ovidio raggiunse il successo letterario a Roma, dove entra a far parte del circolo culturale di Messalla Corvino e stringe amicizia con i poeti più importanti del tempo. Giunto all’apice della fama, viene però colpito da un provvedimento punitivo emanato da Augusto, le cui cause non sono state mai completamente chiarite, e viene relegato a Tomi sul Mar Nero, dove muore nel 17 d.C. La sua attività poetica può essere divisa in tre periodi: al primo periodo [ciclo della poesia propriamente elegiaca amorosa] appartengono le poesie erotiche, che cantano l'amore nella galante cornice della vita di Roma: gli "Amores", un canzoniere d'amore; le "Heroides", lettere di eroine ai loro infedeli amanti; l' "Ars amatoria", una precettistica dell'arte d'amare; i "Medicamina faciei femineae", un trattato di cosmetica; i "Remedia amoris", composti per aiutare a guarire dalle pene d'amore; al secondo periodo [ciclo della poesia epico-mitologica] appartengono le opere mitologico-narrative, di più ampio respiro, composte a partire dal 3 d.C., e in varia misura collegate con la celebrazione del principato: sono le "Metamorfosi", il poema delle trasformazioni, e i "Fasti", un poema che doveva illustrare il calendario romano, ma che fu interrotto dalla relegazione del poeta a Tomi; il terzo e ultimo periodo [ciclo della poesia dell'esilio] comprende la composizione dei "Tristia" e delle "Epistulae ex Ponto", i canti della solitudine e della nostalgia, della noia e della disperazione.
Gian Lorenzo Bernini, architetto, scultore, pittore, scenografo e autore del teatro italiano (Napoli 1598- Roma 1680). È uno degli artisti più importanti del Seicento: basti ricordare che a lui si devono opere quali il colonnato di piazza San Pietro e il baldacchino bronzeo collocato al centro della stessa basilica.
Salvador Dalì, pittore spagnolo, scrittore, illustratore di libri, scenografo, disegnatore di gioielli e di mobili (Figueras 1904-1989). Dalì è stato una delle personalità più complesse, singolari, eccentriche di tutto il Novecento. Dopo aver frequentato a Madrid l’accademia San Fernando e aver tenuto due personali a Barcellona, nel 1927 Dalì si reca a Parigi dove conosce Picasso (un anno prima Dalì era diventato neocubista dipingendo le formazioni geologiche della costa catalana). In un secondo soggiorno parigino entra in contatto, tramite l’amico Mirò, con i surrealisti. E qui, nel 1929 nasce il grande Dalì: se prima le sue modelle preferite erano state la sorella Ana Maria e la cugina, d’ora in poi la sua musa ispiratrice diventerà Melena Deveclina Diakanoff, figlia di un impiegato di Mosca, da tutti chiamata Gala, moglie di Paul Eluard (pseudonimo di Eugène Grindel, poeta francese). L’apparizione della donna costituisce per lui la tanto attesa rivelazione: Gala incarna infatti la donna dei sogni della sua infanzia. La riconosce dalla sua struttura fisica e dalla schiena nuda: “ella era destinata a essere la mia Gradiva (riferimento alla novella di Wilhelm Jensen), la mia dea della vittoria, colei che con la forza indomabile del suo amore sarebbe riuscita a guarirmi”. Ma questa sua passione per una donna già sposata (che poi divorzierà) causa la rottura definitiva con il padre, la fine della propria giovinezza e il progressivo allontanamento dal proprio nucleo familiare. Nonostante i giudizi contrastanti che coinvolgono le sue opere, in ogni caso Dalì riesce nell’intento di fondere la tradizione barocca spagnola e la fredda precisione della metafisica, con le implicazioni della psicoanalisi. Dal 1930 al 1940 è intensa la sua attività di scrittore: nel 1941 pubblica a New York (dove si era stabilito l’ anno precedente) la sua famosa autobiografia “La vita segreta di Salvador Dalì”. Tra le numerose opere di pittura troviamo “Presagio della guerra civile” (1936), “Leda atomica” (1948), “Concilio ecumenico”(1960), “Battaglia di Tetuan” (1962).
  Sigmund  Freud, neuropsichiatra austriaco (Freiberg 1856- Londra 1839). Studia medicina  a Vienna e nel 1881 si laurea; si specializza in neurologia. Nel 1885, grazie a  una borsa di studio, è a Parigi presso la scuola di neuropatologia di  Salpetriere. Nel 1886 si sposa con Martha Bernays, da cui ebbe sei figli (da  ricordare Anna Freud, che portò avanti il lavoro del padre nel campo della  psicoanalisi infantile). Nel 1895, tornato a Vienna, pubblica assieme a Josef  Breuer gli “Studi sull'isteria”  che segnano l'inizio della scoperta della psicoanalisi.Il fatto che portò alla  nascita della psicoanalisi è la celebre guarigione di una paziente, Anna O.  Colpita da isteria, Breuer utilizzerà l'ipnosi per riportare alla luce gli  avvenimenti inconsci che causarono il trauma. Accortosi però che la paziente  stava sviluppando un certo legame affettivo nei suoi confronti (il transfert), Breuer lascerà proseguire  la cura a Freud, il quale, senza ipnosi e con l'aiuto della talking cure (il metodo  discorsivo che dava libero sfogo al flusso dei pensieri), ne curerà  definitivamente l'isteria.
      Nel 1900 Freud  pubblica l' ”Interpretazione dei  sogni”, il testo che segna ufficialmente la nascita della psicoanalisi.  La nuova teoria faticherà a imporsi e troverà non poca resistenza in ogni  campo, soprattutto a causa dei risvolti rivoluzionari legati alla scoperta  della sessualità infantile.Nel 1908 si tiene il primo congresso della Società Psicoanalitica  Internazionale, al quale partecipano anche Jung e Adler, successivamente  allontanatisi dalla linea di Freud e fondatori di teorie proprie ed  autonome.Nel 1933, a  Berlino, il regime nazista brucerà, tra gli altri, anche i libri di Freud.  Visse a Vienna fino al 1938, quando fu costretto a lasciare il paese e a  riparare a Londra, dove morì l’anno dopo. Le sue opere principali sono: L'  “Interpretazione dei sogni” (1900); “Psicopatologia della vita  quotidiana” (1901); “Tre  contributi alla teoria sessuale”  (1905); “Il motto di spirito e le sue relazioni con l'inconscio” (1905); “Totem e tabù”(1913); “Per la storia del movimento  psicoanalitico” (1914);” Al di  là del principio del piacere” (1920); “L'Io e l'Es” (1923); “L'avvenire di un'illusione”  (1927); “Il disagio della civiltà”  (1930); “Lezioni introduttive alla psicoanalisi” (1932).
  Friedrich Wilhelm Nietzsche, filosofo  tedesco (Röcken 1844- Weimar 1900). Nietzsche nasce a  Röcken, un paese nei pressi di Lipsia. Presto  rimasto orfano di padre, si trasferisce con la famiglia a Naumburg dove  comincia gli studi. Nel 1868 conobbe Wagner e in seguito si interessò ai testi  di Schopenhauer.  Nietzsche romperà poi i rapporti con Wagner, al quale aveva dedicato il suo  primo grande libro, “La nascita della  tragedia in Grecia”.A soli 24 anni, laureato in filosofia classica a Bonn,  ottiene la cattedra all'Università di Basilea. Nel 1879 abbandona la carriera  accademica per problemi di salute, soggiorna allora in varie località compiendo  viaggi in Italia, Francia e Svizzera. Nel 1888, con già molte pubblicazioni  alle spalle, si trasferisce a Torino, città che sembra apprezzare  particolarmente: qui scrive, tra gli altri, “Il crepuscolo degli idoli”, “L'Anticristo”  e “Ecce homo”. Il 3 gennaio 1889, in Piazza Carlo  Alberto, viene colto da una crisi di follia dovuta probabilmente all'acuirsi di  una malattia venerea contratta in gioventù (anche se vi è discordanza su questo  punto, alcuni pensano infatti che non vi sia alcuna componente organica nella  pazzia di Nietzsche, ma solo e necessariamente psichica). Dalla crisi non si  riprenderà più. Ricoverato prima in una clinica a Basilea, viene trasferito a  Naumburg, dove verrà curato dalla madre e poi dalla sorella.
      Opere principali: “La  nascita della tragedia in Grecia” (1872); “Considerazioni inattuali” (1876); “Umano, troppo umano” (1878); “Aurora”  (1882); “La gaia scienza” (1882); “Così parlò Zarathustra” (1883); “Aldilà del bene e del male” (1886); “Sulla genealogia della morale” (1887); “Il caso Wagner” (1888); “Il crepuscolo degli idoli” (1888); “L'Anticristo” (1888); “Ecce homo” (1888).
fonte:http://www.matematicamente.it/tesine/Cristina_Calin-La_metamorfosi.doc
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