Diario di viaggio organizzato in Mongolia cosa vedere e cosa fare in Mongolia

 


 

Diario di viaggio organizzato in Mongolia cosa vedere e cosa fare in Mongolia

 

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Diario di viaggio organizzato in Mongolia cosa vedere e cosa fare in Mongolia

 

MONGOLIA (2011)

05–19.07.2011 – 9:30 Viaggio organizzato da ITINERA (Dott. B.Mazzotta)

 

  La Mongolia è una Repubblica democratica indipendente nata nel 1990, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. La Costituzione del 15.1.1992 ha instaurato un regime parlamentare con Presidente della Repubblica eletto a suffragio diretto per 4 anni insieme al Parlamento. La Mongolia confina a nord con la Russia e negli altri tre lati con la Cina e non ha sbocchi al mare. Il territorio è costituito da altipiani di steppe con altitudine media di 1580 m e catene montuose a nord e a ovest, fra cui i Monti Hangay, al centro-nord, e la catena dell’Altai Mongolo, che scende da nord-ovest a sud. Il sud è occupato dalla distesa desertica del Gobi. Il clima ha forti escursioni termiche: in inverno -10, -20 °C, abbondanti nevicate e terreno gelato, in estate da 14 °C a 30 °C e piogge frequenti.

  Amministrativamente la Mongolia è divisa in 21 province (aimag) e una città, la capitale Ulaanbaatar, copre una superficie di 1,564 milioni di kmq (circa cinque volte l’Italia) ed ha una popolazione di 2,6 milioni di abitanti, la metà della quale si trova nella capitale. Questo da un’idea della forte urbanizzazione esplosa nel periodo sovietico. Scarsi sono i terreni adatti all’agricoltura, prevalenti nel nord, molti abitanti sono occupati nell’allevamento del bestiame, bovini, ovini, caprini, cavalli e cammelli, praticato in forme seminomadi. Altre risorse sono il legname delle foreste, che ricoprono parte della Mongolia settentrionale, e i minerali, quali carbone, rame, molibdeno e tungsteno. Le industrie sono concentrate intorno alle città. La natura è il patrimonio più importante della Mongolia e il 13,8% del territorio è area protetta divisa in quattro categorie: le Riserve naturali per salvaguardare specie rare di animali e piante o siti archeologici; Monumenti storici e naturali per siti particolari; i Parchi nazionali destinati all’ecoturismo; le Riserve integrali nei luoghi che, per la loro fragilità e importanza, sono vietati agli insediamenti umani. I fantastici paesaggi della steppa e del deserto, il fascino dell’autentica cultura della vita nomade, gli antichi monasteri lamaisti, restaurati dopo l’oscuramento del periodo sovietico, e il contrasto con la prepotente invasione della civiltà moderna nelle città e nei villaggi hanno cominciato ad attrarre il turismo che non può lasciare delusi se si accettano e apprezzano le diversità.

  L’antichità geologica della Mongolia è documentata dalle rocce granitiche del Paleozoico e Mesozoico e dai depositi di carbone. Del Cretaceo superiore sono i ritrovamenti di dinosauri scoperti nel 1922 nel deserto di Gobi e i depositi marini nel Gobi seguiti da quelli alluvionali e fluviali nel Cenozoico, dopo il sollevamento dell’altopiano.

  La preistoria è documentata da pitture rupestri del paleolitico e insediamenti umani del neolitico di agricoltori e pescatori poi ancora da reperti dall’età del rame, del bronzo e del ferro fino al X secolo.

  L’Asia centrale e la Mongolia sono state da sempre la culla di tribù nomadi guerriere che periodicamente sono migrate verso est e verso ovest. A parte un possibile legame dei più antichi Mongoli con gli Sciti descritti da Erodoto e confermato nel 2006 dalla scoperta del corpo mummificato di un guerriero scita di 2500 anni fa nelle montagne degli Altai, più note erano le tribù Xiongnu che fecero incursioni in Cina e portarono alla costruzione della Grande Muraglia, estesa dal deserto del Gobi al mare dalla dinastia cinese Qin nel 209 a.C., e la loro minaccia proseguì ancora per lungo tempo. Gli Xiongnu furono conosciuti in occidente come Unni e, a metà del IV secolo d.C., si rovesciarono nella regione a nord del Caspio abitata dagli Alani e li trascinarono con loro, spinsero i Visigoti oltre il Danubio in territorio romano e, all’inizio del V secolo, s’insediarono in Pannonia fino al Danubio, alle Alpi e al Reno. I loro re, entrati in contatto con l’impero bizantino d’Oriente, con la loro minaccia ottennero tributi e riscatti. Attila, divenne unico re nel 445 e il suo regno comprendeva l’intera Germania, il bacino del Danubio e fino oltre il Don. Invase la Gallia ma fu fermato ai Campi Catalaunici, sulla Marna, da Ezio, comandante dell’esercito d’Occidente e, dopo una sanguinosa battaglia, si ritirò verso l’Italia sulla pianura Padana, morì nel 453; l’impero degli Unni si dissolse e le tribù si dispersero. Attila divenne una figura leggendaria ed entrò nella saga dei Nibelunghi. Altre tribù dominarono poi in Mongolia. Nel VI secolo, il potere passò a una confederazione di tribù di lingua turca, gli uiguri, che crearono una società più urbanizzata basata sull’agricoltura e il commercio e lasciarono monumenti e iscrizioni in alfabeto turco (il Gokturk). Ebbero il loro apogeo agli inizi del secolo VIII. Nell’840, un altro popolo di lingua turca, i kirghisi, rovesciò il potere degli iuguri e si tornò a un periodo di divisioni interne infine, nel 960, la dinastia cinese Song del Nord dominò la Mongolia fino agli inizi del XIII secolo.

  Nel 1162 nacque Temujin, figlio di un capo mongolo, Yesugai, in lotta contro le tribù dei tatari. A solo 9 anni il padre fu avvelenato e Temujin crebbe nella sua tribù con la volontà di vendetta. Grazie al matrimonio con la figlia di un potente capo riuscì a unificare le altre tribù nomadi. Nel 1206, fu nominato Gencis Khan (Sovrano Universale), creò l’impero Mongolo e trasformò i nomadi guerrieri in una potente macchina bellica per la conquista del mondo. Le armate mongole formate da una cavalleria con armature pesanti e una leggera con arco e giavellotto in unità da 10, 100, 1000, 10000 soldati, guidati da bandiere di diversi colori con cui compivano manovre complesse in perfetta coordinazione, si dimostrarono imbattibili sul campo. Gli ufficiali erano scelti esclusivamente secondo un criterio meritocratico. Feroce con i nemici e magnanimo con gli alleati, la fama di Gencis Khan lo precedeva e atterriva i nemici. Nel 1211 iniziò con la campagna contro la Cina aggirando la Grande muraglia e perfezionò le tecniche d’assedio contro le città fortificate e, entro il 1234, conquistò la Cina. Si alleò poi con le tribù turche degli uiguri dello Xinjiang e nel 1221 occupò Bukara e Samarkanda, poi la Georgia e il Caucaso. Nel 1223, sconfisse gli eserciti russi di Kiev, e arrivò infine in Europa fino in Polonia e ai confini con l'Ungheria. Nel 1227 morì e fu sepolto insieme a un immenso tesoro in una località tenuta segreta e mai scoperta. Il suo impero gli sopravvisse però per altri 200 anni. Nel 1229, secondo il suo volere fu eletto Gran Khan dei Mongoli il suo terzogenito, Ogodei, che riprese l’espansione dell’impero con il generale Subotai, già braccio destro del padre. Nel 1231 fu annessa la Corea. Subodai vinse ancora numerose battaglie e conquistò Bulgaria e Ungheria distruggendo Pest (1241). Nel 1235, Ogodei iniziò la costruzione in Mongolia della nuova capitale Karakorum, già ideata da Gencis Khan. Morto Ogodei nel 1241, gli successe il primogenito Guyuk e, nel 1251, Mongke, primogenito del figlio minore di Gencis Khan. Nel 1252 i Mongoli invasero la Persia, nel 1256 l’attuale Vietnam e l’anno dopo conquistarono Bagdad. Nel 1259 morì Mongke e, nel 1260, il figlio Kubilai fu eletto Gran Khan e fondò in Cina la dinastia Yuan. La capitale dell’impero mongolo fu spostata a Pechino, detta Khanbalik (Città del Gran Khan) e i Mongoli diventarono sedentari. Nel 1974, Kubilai mandò la flotta per invadere il Giappone con un'armata di 900 navi e 40000 uomini partita dalla Corea ma, dopo lo sbarco, una violenta tempesta distrusse 200 navi uccidendo 13000 soldati e l’armata tornò in Corea. Nel 1275, il mercante veneziano Marco Polo incontrò Kubilai Khan e racconterà la sua esperienza nel Milione. Le ultime conquiste dei Mongoli furono la Birmania (1277) e la Cina del sud, dove c’era ancora una dinastia Song (1279). Nel 1294, morì Kubilai Khan e da questo momento iniziò la decadenza dell’impero Mongolo ormai diviso in quattro khanati: il più importante quello di Mongolia, Cina e Corea, dopo quello dell'Orda d'Oro che governava la Russia, quello della Persia e del Medio Oriente e quello dall'Asia Centrale. In Europa molti paesi erano ancora tributari dell’Impero Mongolo, ma tendevano a riacquistare la loro sovranità, i khanati erano governati da capi tribù gelosi della loro indipendenza e l’impero mongolo rimase schiacciato fra le due grandi potenze della Russia e della Cina. La dinastia Yuan crollò per una rivolta contadina in Cina che, nel 1368, scacciò i mongoli da Pechino e instaurò la nuova dinastia Ming. L’ultimo imperatore Yuan morì in Mongolia nel 1370. In Mongolia dominarono le tribù occidentali. All’inizio del 1500, Dayan Khan delle tribù orientali, diretto discendente di Gencis Khan, ristabilì la dinastia in Mongolia. Il nipote Altan Khan, nel 1577, ristabilì il buddhismo lamaistico tibetano, praticato al tempo di Kubilai Khan, conferendo il titolo di Dalai Lama al capo della scuola dei Berretti Gialli e fondò il Monastero di Erdene Zuu presso l’antica capitale Karakorum. Nel 1635 nacque Zanabazar, il più grande degli artisti mongoli. Figlio di un discendente di Gencis Khan, fu inviato a 14 anni in Tibet per l’istruzione e riconosciuto dal Dalai Lama come incarnazione di un discepolo di Buddha. Tornato in patria, diventò la massima autorità religiosa come Buddha vivente (Bogd Khan) e si dedicò alla letteratura, alla linguistica e alla scultura, dove raggiunse il suo apice. Morì nel 1724 e fu detto il Michelangelo delle steppe.

  All’inizio del XVII secolo, le tribù mongole che abitavano nel nord-est la Manciuria, gli antichi jurken, domati al tempo di Gencis Khan, con il nome di manchu dopo la caduta degli Yuan in Cina, avevano fatto risorgere l’antica dinastia Qing e si avvantaggiarono per le divisioni interne delle altre tribù mongole. Legdan Khan, ultimo discendente diretto di Gencis Khan che si opponeva al loro predominio, fu ucciso nel 1634. Nel 1636 si impadronirono della Mongolia Interna, nel 1644 intervennero in Cina per domare la rivolta contro i Ming e vi instaurarono la loro dinastia Qing che doveva durare fino alla rivoluzione cinese del 1911. Anche tutta la Mongolia cadde sotto il loro dominio dispotico e vessatorio e da qui nacque l’odio dei Mongoli verso i Cinesi divenuti sinonimo di Manchu.

  Il XX secolo iniziò con la fuga del 13° Dalai Lama da Lhasa nel 1904 e il suo arrivo a Urga, l’attuale Ulaanbaatar. L’anno dopo, il 23 luglio, un violento terremoto di 8,7 della scala Richter nelle regioni settentrionali della Mongolia lasciò una cicatrice nel terreno di 400 km, larga10 m e profonda 60. Nel 1906 iniziarono i moti di ribellione contro gli occupanti manchu e nel 1910 il governatore fu costretto a fuggire da Urga, l’anno dopo, il 28 dicembre, la Mongolia dichiarò la sua indipendenza instaurando una monarchia sotto Bogd Khan, ottavo Buddha vivente, con cinque ministri. Nel 1915 Russi e Cinesi firmarono un trattato in cui si stabilì la divisione fra Mongolia Interna, che passava alla Cina, e la Mongolia Esterna, che rimaneva autonoma ma sotto l’influenza di Mosca e Pechino. Nel 1916, il governo cinese non riconobbe più l’autonomia della Mongolia e invase il paese. Scoppiata la rivoluzione bolscevica, nel 1917, i delegati del Partito Mongolo del Popolo chiesero invano l’appoggio dei sovietici e la Cina invase di nuovo il paese nel 1919. Nei due anni successivi la Cina fu in piena guerra civile e i rivoluzionari mongoli, guidati da Sukhbaatar, detto l’Eroe Rosso (Ulaan Baatar), ottennero da Lenin l’appoggio delle truppe sovietiche ed entrarono a Urga nel luglio 1921. Nacque il Governo Popolare della Mongolia che ebbe ancora a capo Bogd Khan ma senza poteri effettivi. Il 26 novembre 1924 si instaurò la repubblica Popolare della Mongolia. Poco dopo morì Bogd Khan, si convocò il Parlamento e Urga fu ribattezzata Ulaanbaatar in omaggio a Sukhbaatar che era già morto nel 1923. Nel 1924 morì Lenin e, fino all’ascesa di Stalin, il Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo (PRPM) si affermò in modo indipendente, ma dal 1928 iniziarono le epurazioni, i leader del partito furono eliminati e il potere concentrato nelle mani di Choibalsan, un monaco mancato già a fianco di Sukhbaatar nel 1921, divenuto fedelissimo di Stalin. Seguendo il modello sovietico, terre, animali e proprietà furono confiscati e distribuiti ai pastori nomadi riuniti in cooperative, bandendo ogni impresa privata. A seguito della carestia, scoppiarono tumulti nelle città rapidamente repressi. Settecento monasteri furono chiusi e distrutti e tutte le loro ricchezze finirono a Mosca. Entro il 1937 furono giustiziate e scomparvero 27000 persone fra cui 17000 monaci, e ci furono 57000 arrestati su una popolazione di 700000.                              

  Nel 1939 scoppiò la crisi internazionale. Il Giappone, nel 1931, aveva già invaso la Manciuria facendone un protettorato con il nome di Manchu-Kuo con a capo l’imperatore Pu Yi, pronipote dell’ultima imperatrice cinese Ci Xi. Alleato di Hitler, il Giappone invase l’Asia e minacciò la Mongolia attraverso la Manciuria. L’Unione Sovietica mandò le sue truppe al confine orientale della Mongolia e arrestò l’invasione. La guerra rafforzò il legame fra mongoli e sovietici. Una divisione corazzata mongola partecipò alla seconda guerra mondiale e sul fronte giapponese morirono 237 mongoli. In questo periodo Choibalsan fu eletto primo ministro, fu adottato l’alfabeto cirillico sostituendo la scrittura uigura e, nel 1942, fu fondata la prima università mongola. Docenti vennero dall’Unione Sovietica, 50000 giovani mongoli studiarono nelle università sovietiche e la lingua russa divenne quella principale. Finito il conflitto mondiale nel 1945, in un plebiscito promosso dall’ONU, la maggioranza dei mongoli votò a favore dell’indipendenza, ma fu respinta la richiesta di ingresso all’ONU per l’opposizione di Stati Uniti e Cina. La bandiera mongola fu adottata nel 1949 ed ha tre bande colorate, quelle esterne rosse (vittoria) e la centrale blu (patriottismo), sulla banda dal lato dell’asta c’è il simbolo dorato del soyombo (libertà) che risale al XIV secolo.

  La Manciuria sparì inglobata in tre provincie della nuova Cina nella Regione del Nord-Est, confinanti con la Mongolia Interna.

  Nel 1952, morì Choibalsan e nel 1953 Stalin. Nel 1956 si completò il collegamento ferroviario che attraversò la Mongolia e la collegò da una parte con la transiberiana a dall’altra a Pechino. La società in Mongolia subì un profondo rinnovamento, iniziò l’industrializzazione e si diffuse l’alfabetizzazione anche nelle regioni più remote, le popolazioni diventano più stanziali e sorsero molti villaggi e nuove città, la capitale raggiunge i 100000 abitanti. Un nuovo terribile terremoto colpì la regione del Gobi-Altai nel 1957. Nel 1961 la Mongolia fu ammessa all’ONU e poi entrò nel Comecom, l’organizzazione economica dei paesi comunisti. Nel 1967 si acuì il dissidio fra Cina e Unione Sovietica e truppe cinesi minacciarono la Mongolia. L’Armata Rossa entrò in Mongolia e la minaccia si ritirò. I Mongoli riscoprirono le radici dell’antica cultura e della tradizione alla base della loro identità nazionale e molti ritornarono ai riti del buddhismo lamaista. Nel 1979 il Dalai Lama visitò la Mongolia accolto da moltissimi fedeli. Nel 1981 il primo cosmonauta mongolo, Jugderidyn Gurragcha, andò nello spazio con Soyuz 39 e Salyut 6.

  Nel 1989, crollò il regime sovietico e il partito unico e i quadri del PRPM diedero le dimissioni. Nell’estate 1990 si tennero le prime elezioni democratiche e il primo presidente durerà fino al 1997. Nel gennaio 1992, con la prima costituzione, nacque la Repubblica Popolare di Mongolia ed è ancora il PRPM a detenere la maggioranza. La perdita degli aiuti di stato e dell’Unione Sovietica provocò il tracollo economico, la produzione calò e salì l’inflazione. La Mongolia ottenne dei consistenti aiuti da parte delle organizzazioni mondiali. Nelle elezioni del 1996 vinsero i partiti di opposizione, ma il nuovo governo si dimostrò corrotto e incapace e rimase irrisolto l’assassinio di un leader del partito democratico. Nelle elezioni del 2000 ritornò al potere il PRPM. Faticosamente, la Mongolia ha trovato la sua strada accettando la modernità e mantenendo inalterata la sua identità in termini di stili di vita e tradizioni.

 

52.1 IL VIAGGIO.

 

  Un viaggio in Mongolia è sempre un itinerario imprevedibile che si snoda lungo un percorso che parte dalla capitale, città insieme antica e moderna, e subito la lascia per entrare nei vasti spazi, regno dei pastori nomadi, ma con la crescente concorrenza di villaggi e città, e la presenza di monasteri e resti archeologici. Il panorama è sempre vario fatto di valli, pascoli, foreste, laghi e fiumi, dove la presenza umana è segnalata dalle bianche tende dei nomadi e dalle grandi mandrie.

  L’itinerario è noto alle guide che seguono piste sterrate senza indicazioni stradali su auto fuoristrada 4x4 e, dopo lunghi percorsi, sostano nei luoghi previsti ognuno dei quali ha un nome, una storia, un suo interesse locale e, giorno dopo giorno, il viaggio acquista un significato che si va scoprendo per strada.

  Lasciata la capitale, si va verso le regioni occidentali, scoprendo l’organizzazione turistica mongola basata su campi attrezzati costituiti da tradizionali tende mongole (gher), a uno o due letti per dormire ma con i servizi esterni. Si passa per la regione storica dei Khan turchi dell’impero uiguro con i ritrovamenti di steli e iscrizioni nell’alfabeto Gokturk e poi nel sito dell’antica capitale Karakorum distrutta dai Manchu dove si assiste a una delle manifestazioni del festival Naadam e si visitano i resti del grande monastero Erdene Zuu. Durante una sosta alle sorgenti termali dell’Arkhangai, si ha modo di osservare da vicino la vita dei nomadi, poi si scende a sud verso il deserto del Gobi lungo la valle dell’Orkhon con le sue cascate. Durante il lungo percorso, si sosta in piccoli monasteri che testimoniano i tempi oscuri del periodo staliniano, si entra finalmente nella regione più meridionale del Gobi, al confine con la Cina. Qui si trovano il sito paleontologico dei dinosauri, il più importante dell’Asia, e il Parco Nazionale con le dune di sabbia e un ramo estremo dei Monti Altai e si attraversa la “Valle delle Aquile” uno dei luoghi paesaggistici più belli, fra rocce granitiche del periodo paleozoico. Dopo si torna a nord, sostando in un altro monastero e altri luoghi storici, e infine si fa una tappa di una sola notte alla periferia di Ulaabaatar. Nell’ultima fase del viaggio si sale alle province del nord fino al confine con la Siberia. Queste sono le province più ricche, centri dell’industria mineraria e dell’agricoltura, e si ha modo di vedere anche la faccia più moderna del paese. La tappa principale è la visita del monastero di Amarbayasgalant, uno dei tre più importanti della Mongolia, nel nord dell’aimag Selenge, e qui si assiste anche a una funzione religiosa. Per ultimo si visita il Parco Naturale dei Vulcani Spenti, all’estremo ovest del vicino aimag di Bulgan, per osservarli da vicino. Tornando verso la Capitale, si passa per i distretti minerari autonomi di Orkhon e Darkhan, enclavi economicamente indipendenti dalle province, dove si trovano.

  L’ultimo giorno a Ulaabaatar è dedicato alla visita dei musei e degli altri luoghi più importanti della Capitale e si finisce con uno spettacolo al Teatro dell’Opera e del Balletto.

 

52.2 ARRIVO A ULAABAATAR.

 

  Si arriva in Mongolia all’aeroporto Gencis Khan di Ulaanbaatar alle 6:00 del mattino il 6 luglio 2011 dopo complessive 10 ore di volo, due di sosta a Mosca e +6 ore di fuso orario. La Mongolia mantiene l’ora legale tutto l’anno e quindi, nei mesi invernali, la differenza di fuso è di +7 ore. Si rimane per una notte all’Hotel Bayangol vicino al centro della città.

  La capitale della Mongolia è nata come città nomade, agglomerato di gher, le tende tradizionali dei pastori, e, fino alla metà del 1700, si chiamava Urguu (palazzo in mongolo), o Urga, e si spostava per centinaia di chilometri seguendo le esigenze dei pastori e dei mercanti. Gencis Khan aveva già in mente una capitale stabile che fu costruita dal suo successore, il terzogenito Ogodei, nel 1235 e chiamata Karakorum, centro dell’impero e quindi del mondo. Si trovava nella provincia (aimag) di Arkhangai a 420 km dall’attuale e durò fino al 1267, quando Kubilai Khan la spostò nel luogo dell’attuale Pechino, come capitale della dinastia Yuan. Karakorum rimase come centro religioso, fino a quando i manchu la rasero al suolo nel 1380. La capitale della Mongolia, dopo la caduta degli Yuan, rimase nomade fino al 1779, quando si fermò nel sito attuale come un grande accampamento che si spostava solo di pochi chilometri, quando il luogo diventava invivibile. Divenne capitale della Mongolia Esterna nel 1911, con la prima proclamazione d’indipendenza dalla Cina dei manchu. Nel 1924, assunse il nome attuale in onore dell’Eroe Rosso (Ulaan Bataar) Sukhbaatar. Nel 1933 il territorio della capitale divenne autonomo da quello della aimag Tuv, cui apparteneva, con una superficie di soli 4800 kmq. Sotto l’influenza dei sovietici, la città si trasformò con grandi condomini e giganteschi uffici governativi e, da allora, ha continuato a crescere fino ad avere oggi 1,3 milioni di abitanti, la metà della popolazione della nazione. Nel 2006, per i festeggiamenti degli 800 anni dalla fondazione dell’impero mongolo, è stata rifatta la piazza principale, Sukhbaatar, con il monumento a Gencis Khan e ai suoi successori. In quest’occasione, è stato celebrato in grande il festival del Naadam con i tre giochi tradizionali, la lotta, le gare degli arcieri e quella dei cavalieri. Il festival si tiene ormai ogni anno, fra l’11 e il 12 luglio, richiamando molti turisti e non solo nella capitale ma anche in molte altre località, un omaggio alle tradizioni del passato e all’orgoglio nazionale.

  La città si estende da est a ovest e la via principale è la Enkh Tivny Urgun Chuluu, o Viale della Pace, che passa a sud della Piazza Sukhbaatar. Il fiume Seibe scorre da sud e a est del centro cittadino. Le strade sono larghe ma il traffico è caotico. La giornata è dedicata a una visita generica della città sostando al Monastero Gandan, il più grande e frequentato della città e alla piazza principale, Sukhbaatar. Una visita più completa è prevista nell’ultimo giorno, prima della partenza.

  Il Monastero Gandan si trova un chilometro circa a ovest della Piazza Principale, il suo nome completo significa “il grande luogo della felicità completa”, è un complesso di templi all’interno di un recinto con ingressi a forma di pagoda. La sua costruzione fu iniziata nel 1838 ed è stato sempre il più importante della città. Si entra in un piazzale ingombro di piccioni, turisti, fedeli e sacerdoti lamaisti, intorno, altri padiglioni, incensieri di bronzo e una serie di ruote delle preghiere che i fedeli fanno girare in senso orario. In fondo al viale centrale compare il tempio principale, un edificio bianco sormontato da una struttura a pagoda. All’interno, Bogd Khan aveva fatto erigere nel 1911 una grande statua in oro e bronzo, pesante 20 tonnellate, del “dio che guarda ovunque” (Megjid janraiseg) cui il tempio era dedicato. Nel 1937, durante le epurazioni di Stalin, il tempio fu danneggiato e la statua trafugata. Il tempio fu conservato per diventare un esempio di monastero per i visitatori stranieri. Dopo il 1990 ricominciarono le cerimonie religiose e oggi il Gandan ha circa 600 monaci. La statua è stata ricostruita con il lavoro di 50 artigiani e artisti; è alta 26 m ed è stata consacrata dal Dalai Lama in persona nel 1996. Si può ammirarla entrando nel tempio. Vi sono molti altri templi nel recinto fra cui il Tempio Zuu (tempio del Gioiello). All’interno si trova la statua del settimo Buddha vivente del 1869 e, ai lati, gli altri due Buddha del passato e del futuro. C’è anche la rappresentazione bidimensionale del paradiso di Buddha, il mandala, e la bandiera del Buddha con i quattro colori: blu (cielo), giallo (sole), rosso (fuoco), verde (terra), bianco (anima).         

  Attraversando la città si passa per i principali musei che si visiteranno nell’ultimo giorno, il Museo di Belle Arti, il Museo Nazionale della Storia Mongola e il Museo di Storia Naturale. Si finisce a Piazza Sukhbaatar, il cuore della città. Al centro si trova la statua equestre dell’eroe della rivoluzione, nel punto dove fu proclamata l’indipendenza dalla Cina nel 1921. Sul lato nord della piazza si trova il Parlamento, o Palazzo del Governo. Davanti al quale, nel 2006, è stato eretto un colonnato neoclassico preceduto da una gradinata e, in fondo, il monumento a Gencis Khan di bronzo assiso su un trono e due cavalieri mongoli in posizione avanzata che lo sorvegliano. Alle estremità ovest ed est del colonnato, vi sono le statue dei suoi successori: Ogodei e Kubilai. Sul lato nord-est della piazza c’è il Palazzo della Cultura e, a sud-est, il Teatro di Stato dell’Opera e del Balletto di colore rosa.

  Il lato sud della piazza è stato occupato in questo periodo dalle tende mongole (gher) per le manifestazioni del festival Naadam che si svolgeranno nella prossima settimana.

  Si torna in albergo a riposare perché domani inizierà l’itinerario attraverso la Mongolia.

 

  52.3 VERSO EST PER IL LAGO UGII.

 

  Il mattino del 7 luglio, alle ore 8:30 il gruppo è pronto per la partenza a bordo di tre fuoristrada 4x4 uno dei quali è munito di un navigatore GPS (ground position system), unico ausilio di guida per arrivare alle destinazioni prescelte, a parte la grande esperienza dei piloti nella conoscenza delle piste, non potendo affidarsi alle segnalazioni stradali completamente insufficienti. Si caricano provviste di acqua e per il pranzo al sacco. Il programma della giornata è di percorrere circa 390 km verso ovest per raggiungere il lago Ugii nella zona sud-orientale della aimag di Arkhantai. Nella zona si trovano preziosi reperti della dominazione turca fra il VI e l’VIII secolo in Mongolia.

  Si esce dalla capitale in direzione ovest attraversando rapidamente la periferia. Le strade che escono dalla capitale sono tutte asfaltate e si dirigono in tutte le direzioni. Si esce dal territorio metropolitano entrando nell’aimag Tuv di 74000 kmq con 100000 abitanti, in maggioranza nomadi, e 1,6 milioni di capi di bestiame, la capitale è Zuunmond a soli 43 km da Ulaabaatar. Si comincia a familiarizzare con il paesaggio mongolo: strade quasi deserte, animali al pascolo, paesaggio collinare e le bianche tende mongole (gher) sparse a distanza. A volte s’incontrano cumuli di pietre con un palo verticale ricoperto di stoffe colorate, rosse, blu e verdi.  Sono gli ovoo, offerte agli spiriti locali secondo antiche credenze sciamaniche assimilate nel lamaismo buddhista. Oggi sono un benvenuto ai viaggiatori che girano intorno al cumulo in senso orario e depositano una pietra o anche un’offerta. Una volta, quando i guerrieri andavano in guerra, ognuno depositava una pietra e, al ritorno, ne portava via una in modo da poter contare il numero dei caduti.

  Alle 10:30, dopo circa 130 km, si arriva in prossimità di un punto di ritrovo, dove c’è una certa animazione. Si apprende che gli abitanti dell’area stanno organizzando i giochi del Naadam e in particolare le gare tradizionali a cavallo con premiazione dei primi cinque arrivati. Ci sono un gruppo di gher, una tenda per la giuria del festival con la bandiera nazionale. Si può notare come la motorizzazione è ormai diffusa fra i nomadi. Proseguendo, alle 12:00 circa, si passa vicino a un villaggio con case di legno e muratura, dai tetti colorati, e numerosi pullman, auto e autocarri. Si lascia la strada asfaltata e da questo momento si seguono piste sterrate. Un’ora dopo, si raggiunge la località Piccole Sabbie con formazioni rocciose vulcaniche e si fa sosta per il pranzo al sacco. Ripreso il viaggio alle13:40, s’incontra un gruppo di gher con allevatori di cammelli. Si può notare come i pastori usano spesso la motocicletta per controllare e raccogliere le bestie. I cammelli sono della razza battriana domestica, la più grande e resistente, alcuni hanno le gobbe flosce, indice di denutrizione, perché hanno perso le loro riserve di grasso. Alle 14:00 circa, si entra nell’Arkhangai, una provincia di 54300 kmq con 98000 abitanti e 1,7 milioni di capi di bestiame, e si giunge in una località che era il cuore dell’antico impero uiguro dei Khan turchi che hanno dominato la Mongolia dal VI all’VIII secolo con la loro capitale Khar Bakgas. Si trova circa 40 km a sud del lago Ugii e altrettanto a nord del sito di Karakorum, la prima capitale dell’impero mongolo, oltre il confine sud con l’aimag di Uvurkhangai. Ci si trova all’improvviso davanti  a un allineamento di stupa buddhisti eretti a ricordo nel 2006, per l’anniversario degli 800 anni dell’impero mongolo. Vicino si trova anche un gigantesco cumulo di pietre (ovoo) con le solite stoffe colorate che, per le sue dimensioni, dimostra l’antichità del luogo. Nei dintorni si fanno ancora altre scoperte. C’è il sito dove l’esploratore russo Yadrintsev scoprì nel 1889 due preziose steli turche con le iscrizioni in Gokturk (runico) che furono più tardi identificate come dedicate ai due khan turchi Bilge Tagan e il fratello Kul Tegin. Nel sito è rimasta la copia di una stele e un cartello con la storia delle iscrizioni. Nel 1890 un gruppo archeologico finlandese cominciò a studiare le iscrizioni. Nel 1891, il turcologo russo W. Radloff studiò sul posto le iscrizioni che erano in antico turco e quella di Kul Tegin anche in cinese. Il cinese fu tradotto in tedesco da George von der Gobelanti e, V. Thomson, della Royal Danish Research Association, iniziò la decifrazione, prima dell’alfabeto Gokturk, che completò il 25 novembre 1893, poi annunziò ufficialmente la decifrazione dell’iscrizione il 15 dicembre dello stesso anno. Radloff fu così il primo scienziato a usare la decifrazione delle iscrizioni nel 1894/95. Nei pressi si visita il Museo delle steli, dove si trovano gli originali delle due steli e molti altri reperti trovati nell’area. Le steli sono ambedue del 734 (il dominio turco è durato dal 582 al 745), sono alte 3,30 m e larghe 1,30. Solo la stele di Kul Tegin è stata completamente decifrata.

  Alle 17:30 si riprende il viaggio in direzione nord per raggiungere il lago Ugii. L’aimag Arkhantai, oltre ad avere interessanti testimonianze del passato è una regione ricca di foreste, laghi e fiumi pescosi come l’Orkhon e il Tamir, il Khanui, dove è nata la dinastia di Attila, e il Chuluut, vi sono numerose aree vulcaniche con sorgenti termali, ed è frequentato per l’osservazione degli uccelli e la pesca. Si scopre il lago in una vallata spoglia di alberi esteso per 25 kmq. Si raggiunge il nostro Campo attrezzato per la notte vicino alla riva del lago e si ha il primo contatto con l’ospitalità turistica mongola. Le tende mongole (gher) sono a uno o due letti, si accende la stufa a legna perché fa freddo, in compenso le coperte di lana sono pesanti. I bagni e le docce sono all’esterno e l’acqua calda è fornita da pannelli solari, ma già a sera è insufficiente. Il lago sembra un luogo di pace, ma sulla riva pullulano gli insetti. Intorno pascolano numerosi cavalli.

 

  52.4 IL NAADAM A KARAKORUM.

 

  Il mattino del giorno 8 luglio si abbandona il campo attrezzato del lago Ugii scendendo a sud. Si lascia l’Arkhantai entrando nell’aimag di Uvurkhangai dove si trova il sito dell’antica capitale imperiale Karakorum e l’abitato moderno di Kharkhorin. Per la sera è stato prenotato il campo attrezzato Khan Taij che oltre alle tradizionali gher ha un edificio con camere singole e servizi e vi si depositano i bagagli. Oggi iniziano le manifestazioni del Naadam e si va nel piazzale delle feste, dove è sistemato il padiglione della giuria e degli artisti e i sedili dei visitatori. Fuori del piazzale sono la pista e i traguardi delle gare di percorso a cavallo, gli arrivi sono distribuiti durante la mattinata. Vi sono alcuni guerrieri mongoli e arcieri nelle armature del 1200 e, dopo le 11:00, arriva un gruppo di cavalieri in armatura e stendardi che fanno evoluzioni nel piazzale. Alle 11:45 iniziano le esibizioni di musica mongola con la strumentazione tradizionale a percussione, a fiato e a corda, fra queste ultime la cetra mongola yatga. Altre esibizioni sono quelle della danza e infine iniziano quelle di lotta in cui gli sfidanti, vestiti con pantaloncini attillati, una giacchetta che copre solo spalle e braccia e due stivali di cuoio, si affrontano, controllati da un giudice di gara, per l’eliminazione diretta e vince chi riesce a far toccare terra all’avversario, anche con un ginocchio. Alla fine il vincitore volteggia come uno sparviero a dimostrare la sua superiorità. Le gare di lotta sono seguite con passione dai mongoli, il vincitore del Naadam è considerato l’uomo più forte. Chi ha vinto due volte il Naadam è nominato Titano.

  Lasciando il piazzale s’incontrano allevatori kazaki di aquile usate per la caccia nei monti Altai con le loro magnifiche bestie. Nel pomeriggio si va nel luogo, dove sorgeva l’antica capitale Karakorum, voluta da Gencis Khan, ma costruita dal suo successore Ogodei, e vissuta solo quaranta anni fino al trasferimento a Khanbalik (odierna Pechino) di Kubilai Khan, fondatore della dinastia Yuan. Karakorum fu rasa al suolo dai Manchu nel 1380, dopo la caduta degli Yuan e, solo nel 1583, Avtai Khan, dopo la conversione al buddhismo, costruì sul luogo un grande monastero: l’Erdene Zuu (cento tesori) che alla fine del 1700 ospitava mille monaci. Il monastero fu circondato da una muraglia quadrata di 420 m di lato con 108 stupa, ancora conservata. Il numero 108 è sacro per i Buddhisti perché erano i giorni che Buddha aveva trascorso in meditazione per raggiungere l’illuminazione. Nel 1930 i sovietici, trafugarono i tesori e distrussero i templi, tranne tre, massacrando i lama, infine lo riaprirono come museo vietando ogni rito religioso. Nel 1991 il monastero è stato riaperto e ripristinato. Si visita il monastero entrando da un ingresso laterale. Al centro c’è il tempio principale con la statua del Buddha bambino, a destra e a sinistra ha le due statue del Buddha della medicina e di quello della luce (Amitabha). Di fronte all’ingresso principale del monastero c’è il tempio del Dalai Lama costruito da Altan Khan per commemorare la sua visita al Dalai Lama in Tibet nel 1675. Fuori dal recinto si trova una tartaruga di pietra, una delle quattro che si trovavano ai quattro punti cardinali della città. Si sale sulla collina alle spalle del monastero, dove si trovano gli scavi di una città precedente la capitale e un’altra delle quattro tartarughe. Dalla collina si ha la vista completa del complesso monastico Erdene Zuu. Si prosegue ancora per 20 km a sud della capitale fino al monastero di Shanklin Khiid che è uno dei monasteri più antichi della Mongolia, costruito nel 1647 e dove si dice che Zanabazar abbia trascorso la sua infanzia.

  Alle 17:30 si torna verso nord per Kharakhorin e si sosta ai piedi di una collina che la domina da sud-ovest. Sulla collina si trova un grande monumento, costruito nel 2004, che commemora gli imperi fondati dai popoli mongoli: quello degli Unni (300-200 a.C.), quello dei Turchi (600-800 d.C.) e quello di Gencis Khan (XIII secolo). Il monumento è detto della Grande Mappa Imperiale. Vi sono le tre mappe distinte centrate sulla Mongolia con le loro aree di influenza, al centro, fra le tre mappe, è il classico ovoo con la piramide di pietre e le aste colorate.

  Alle 18:30 si torna al campo Khan Taij, dove dopo cena si assiste a uno spettacolo di musica mongola e all’esibizione di una contorsionista.                                                                                                                                  

  52.5  L’ARKHANGAI E LE SORGENTI TERMALI.

 

  Il mattino del 9 luglio, lasciata Kharkhorin, si torna verso nord rientrando nell’Arkhangai, dove finisce la strada asfaltata e si riprendono le piste sterrate. Si faranno solo 150 km. L’Arkhangai, nell’interno offre un paesaggio di steppa verde ricca di pascoli e foreste di conifere fra i monti della catena Khangai. La zona è vulcanica con numerose sorgenti termali. Nei pascoli si vedono per la prima volta gli yak, bovini dal pelo lungo. Lo yak è uno dei più grandi bovini, alto 2-2,2 m e lungo da 3 a 3,4 m, è originario del Tibet e vive fino a grandi altitudini, fra i 3000 e i 5500 m. Sono stati addomesticati da migliaia di anni e usati per il loro latte, le fibre del pelo, la carne e come animali da trasporto; solo il maschio ha le corna.     

  Il cielo è coperto e pioviggina. Alle 11:30 si giunge in un campo attrezzato, il Duut Resort, con le gher e un edificio per la ricezione e i servizi. Qui si rimarrà la notte. Vicino sono le sorgenti calde di Tsagaam Soum che forniscono agli abitanti del luogo acqua calda a 33 °C ed hanno anche proprietà curative. Nel campo vi sono anche piscine alimentate con queste acque. Dopo il pranzo si va a visitare il luogo dove sgorga l’acqua delle sorgenti trasportata agli utenti con tubazioni coibentate. Il luogo delle sorgenti si trova a circa un chilometro. Piove e il terreno è scivoloso, c’è una fossa, circondata da un muro di cemento, dal quale escono vapore e un rivolo di acqua calda, ma le tubazioni sono sotterranee. Si torna alle gher ad asciugarsi, all’interno è stata accesa la stufa a legna.       

  Alle 17:00, il cielo è sereno ed è tornato il sole. Si esce con le macchine per visitare un accampamento di pastori. Si scende dalla zona alberata sulle colline ai pascoli. Il luogo abitato dai pastori è costituito da un gruppo di gher con diversi recinti per le bestie e qualche edificio di legno; sembra una sistemazione semipermanente. Si è accolti all’interno di una gher da una famiglia di pastori con tre bambini, si assaggia la loro bevanda di latte fermentato (airag), come una birra, e del formaggio essiccato. Nella tenda si tiene appesa anche la carne da poco macellata. Fuori si assiste alla mungitura dello yak, mentre un altro allatta il suo piccolo. Fuori dai recinti si trovano molti cavalli e yak. Le bestie sono la sola ricchezza della e famiglie e la loro fonte di reddito. La vita si fa dura d’inverno, quando le temperature scendono a -20, -30 °C, i pascoli sono gelati e gli animali trovano poco per alimentarsi. Dal 1999 al 2002, per quattro inverni consecutivi, si sono avute le temperature più basse raggiungendo anche i -50 °C. L’Arkhangai è stata una delle regioni più colpite e i pastori persero da un quarto a metà dei capi di bestiame. Anche il 2010 è stato un inverno molto rigido e queste crisi periodiche sono indicate dai mongoli con il termine zud (equivalente al permafrost), riferito al terreno indurito dal gelo che impedisce alle bestie di brucare l’erba.                        

  A sera si torna al campo per la cena e alla televisione si assiste alle gare di lotta mongola del festival.          

           

  52.6  DALLA VALLE DELL’ORKHON AL DUNDGOBI.     

  Il giorno 10 luglio, si lascia Duut Resort alle ore 7:00 del mattino perché ci attende il lungo trasferimento verso l’aimag di Dundgobi che letteralmente significa “il centro del Gobi”, vera anticamera del deserto e si dovranno percorrere circa 300 km. Si attraversa l’aimag di Alkhangai in direzione est salendo a un punto panoramico più alto e poi, scendendo a sud, si passa il confine con l’Uvurkhangai entrando nella valle del fiume Orkhon, dove le piogge hanno lasciato molti tratti allagati che si passano a guado. Durante la marcia, l’auto N. 1 che precede rompe un ammortizzatore e deve essere cambiato. L’operazione richiede solo 20 minuti e gli autisti danno prova della loro perizia. Alle 9:30 si riparte e si arriva al fiume Orkhon che si attraversa su un ponte di legno, passando sulla sua riva destra. Si fa sosta e si riprendono una piccola mandria di yak sulla riva e i due lati del fiume dal ponte. Da questo momento si segue la riva destra risalendo il corso per raggiungere le splendide cascate. Il fiume facilmente straripa durante la stagione delle piogge fino a tutto agosto e le strade sono spesso allagate e impraticabili. Dopo agosto, invece, il fiume è in secca per tutto l’inverno e le cascate sono deludenti. Per un tratto dopo le cascate, il fiume scorre dentro una gola profonda 22 m prodotta in milioni di anni, arretrando con l’erosione. Si lasciano le macchine e si raggiunge la cascata a piedi. Il salto è di una ventina di metri e le rive sono coperte di alberi. Segue la sosta pranzo che, come il solito, è al sacco e si riprende il percorso alle 13:30. Alle 14:00 circa si sosta al villaggio Batulgi, uno dei tanti costruiti durante il periodo sovietico per favorire la collettivizzazione, che ora mostra segni di decadenza, dopo la caduta del regime sovietico, ma è pur sempre un luogo privilegiato per le comunicazioni e gli scambi anche per la civiltà nomade. C’è un moderno distributore di benzina e gasolio, si vede poca gente per strada, i negozi sono degli empori con i prodotti di uso comune, vi si trovano anche gelati confezionati tenuti nel frigo. Si prosegue attraversando vallate e pianure spesso interrotte da zone inondate dalle piogge dei giorni precedenti e la marcia è rallentata. Alle 15:45 la macchina N. 3 fora una gomma che si deve cambiare. L’operazione dura meno di 20 minuti ma, la necessità di ripararla, comporta di fare una sosta imprevista nel capoluogo della regione, Arvaikheer. Alle 16:00 circa si riparte e durante il tragitto, verso sud-est, oltre l’orizzonte si osserva un addensarsi di nubi come nella formazione di un temporale; dopo un’ora, all’orizzonte compare un arcobaleno. Alle 18:50 si raggiunge Arvaikheer, dove si trova il gommista che non può mancare in tutti i centri abitati e si è pronti a ripartire alle 19:30; nel frattempo le macchine hanno fatto anche benzina. Ci sono ancora 90 km per la nostra destinazione, che si trova oltre il confine con l’aimag Dundgobi. Si attraversa una steppa pianeggiante, ma le piste sono tortuose e la velocità media è bassa. Dopo il tramonto si fa sera e le macchine procedono con i fari accesi.

  Si arriva al campo attrezzato Secret of Ongi alle 22:30. La serata è calda perché qui ormai soffia il vento del Gobi. Dopo cena, si passa la notte nelle gher.                                            

     

 52.7  IL DESERTO DEL GOBI.

 

  Il giorno 11 luglio, si lascia Secret of Ongi alle 8:00 per visitare il vicino monastero di Ongyin in una piccola area montagnosa all’estremo ovest del Dundgobi attraversato dalla valle del fiume Ongi. Il complesso aveva due monasteri, uno a nord e uno a sud della valle e ambedue furono distrutti dai sovietici e uccisi 800 monaci. Il complesso era stato costruito nel 1760 per commemorare la prima visita del Dalai Lama in Mongolia. Riaperto nel 1990 da 13 monaci, fu visitato dal Dalai Lama due anni dopo. Oggi vi sono diversi edifici e un nuovo tempio dal tetto verde finito nel 2004. Accanto al tempio c’è una gher che raccoglie reperti raccolti nel sito. Nel tempio si trovano due giovani monaci, nuove leve del monastero.

  Alle 9:30 si riparte lungo una pista sabbiosa. Il panorama è ormai cambiato, l’aimag Dundgobi è l’anticamera del deserto, 74700 kmq di superficie e 51000 abitanti con 1,5 milioni di capi di bestiame, sabbie rossicce, terra di cammelli che s’incontrano numerosi, ma non è un vero deserto, la steppa ha piccoli ciuffi di erbe che sono sufficienti per nutrire capre e cammelli, vi sono piccoli corsi d’acqua, come l’Ongi più di frequente asciutti, e piccoli laghi. Si passa vicino a rilievi di origine vulcanica         e si attraversa un tratto di steppa di arbusti, alti oltre il metro, una varietà di timo. Durante la traversata, la macchina N. 1 buca una ruota che è rapidamente cambiata, ma bisognerà attendere per la riparazione perché i centri abitati sono lontani.

  Si attraversa intanto il confine con l’aimag Umnugobi (Gobi del Sud), la regione più grande e la meno popolata nell’estremo sud che confina con la Cina. Ha una superficie di 165,4 mila kmq, una popolazione di soli 47000 abitanti e 900000 capi di bestiame, le capre forniscono il miglior cashmere della Mongolia e quindi del mondo. I rigidi inverni della Mongolia hanno fatto sviluppare alle capre una fibra più resistente e più lunga di quelle che vivono in altri paesi. In Mongolia la fibra raggiunge la lunghezza di 43 mm contro i 35 mm di quella cinese che rimane il primo produttore del mondo con un 67% contro il 22% della Mongolia. Qui si trova anche il sito paleontologico più importante dell’Asia centrale, dove nel 1922 la spedizione, guidata da Roy Chapman Andrew del Museum of Natural History di New York, scoprì i primi scheletri di dinosauri e le loro uova dimostrando che questi sauri erano ovipari.

  Alle 13:00 circa, si fa sosta per il pranzo in un campo attrezzato per turisti detto Campo Tartaruga, perché l’edificio principale ha la forma di una tartaruga. Vi sono anche un altro edificio a forma di elefante, una raccolta di tronchi fossilizzati e un piccolo museo che conserva lo scheletro di un vero dinosauro del Gobi e lo scheletro di un cammello sistemato in modo da simulare un dinosauro. Il campo non è lontano dal sito paleontologico noto come le Rocce di Bayanzag dette anche le Rupi Fiammeggianti, perché al tramonto il colore delle rocce si accende come in un incendio. Dopo il pranzo, alle 14:00 circa, si punta in direzione delle rupi che sorgono dalla steppa. Le rocce sono depositi marini formati da spessi strati di argilla alternati a calcare bianco perché qui nel Cretaceo, da 135 milioni di anni fa, c’era un mare. Il sollevamento dell’altopiano nel Paleocene ha scoperto le rocce che poi sono state isolate dall’erosione. Gli strati più profondi appartenevano al Giurassico-Cretaceo, il tempo dei dinosauri, e qui sono state trovate le loro ossa. Si entra fra gli anfratti delle rocce osservando le sagome modellate dall’erosione, poi si prosegue. Si sale poi su un rilievo che domina il panorama delle Bayanzag per osservarla ancora una volta.

  Alle 17:00, la steppa si popola di pastori di capre e pecore vicino a un pozzo con acqua poco profonda. Il pastore versa l’acqua del pozzo in una vasca, dove le bestie si abbeverano.

  Si procede ora verso ovest, dove tramonta il sole e, dopo un’ora, si può osservare all’orizzonte una lunga striscia di dune chiare di colore ocra che si allunga per 150 km, ma è larga solo una decina di chilometri con lo sfondo scuro di una catena di monti che sono un ramo dei monti Altai. Le dune sono le Khongoryn Els dette anche le “dune che cantano” perché il vento della steppa che le investe crea a volte dei suoni modulati. Le dune si sono formate per uno strano gioco dei venti che hanno concentrato le sabbie più sottili in questa fascia della steppa.

  Si arriva al tramonto sotto le dune mentre il sole scende dietro di loro. Un gruppo di cammellieri lascia le dune per i loro accampamenti. Il nostro gruppo trova una sistemazione nel campo attrezzato di Hongor per passare la notte.

 

 52.8  LA VALLE DELLE AQUILE.

 

  Il mattino del 12 luglio si parte alle 8:30, lasciando il Campo Hongor per proseguire oltre le dune fino alla catena degli Altai. Un percorso di circa 200 km fra piste nella steppa e canyon nel Parco Nazionale Gobi Gurvan Saikhan (le tre meraviglie), uno dei più noti della Mongolia che comprende, oltre alle dune di sabbia e calanchi una catena di monti vulcanici di rocce granitiche con fantastici paesaggi lunari, ultimo ramo dei monti Altai di epoca paleozoica che vengono dalla Siberia. Nel parco vi sono 250 specie di uccelli stanziali fra cui gli avvoltoi, altri uccelli migratori in primavera e molte specie di mammiferi rari e in pericolo di estinzione.

  Si torna prima ad osservare da vicino le dune, entrando in una zona meno erta, ma la macchina N. 1 si insabbia ed è necessario l’intervento di un’altra per trainarla e farla uscire dalla buca. Alle 9:20 si prosegue in direzione ovest sulla steppa costeggiando le dune per aggirarle, poi si piega a nord per attraversare il tratto di steppa che separa le dune dalla catena degli Altai. Si cerca l’ingresso al canyon che deve condurci alla Yolyn Am (la Bocca dell’Avvoltoio), detta anche Valle delle Aquile, ultima meta di questa giornata. Non sempre il navigatore GPS, di cui è munito il pilota della macchina N. 1, aiuta a trovare la pista corretta. Alla fine si ottiene conferma presso un casale che s’incontra sulla strada. Un’altra conferma è data dall’ovoo, il cumulo sacro di pietre che per i mongoli è quasi un segnale stradale. Alle 12:50, si entra nel canyon della catena di monti, questo si stringe in un percorso tortuoso nel cui fondo scorre un ruscello e le macchine vi passano a stento. In uno slargo fra le rocce a strapiombo si sosta per il pranzo al sacco.

  Alle 13:30 circa, si riprende il cammino lungo il canyon e vi sono ancora 11 km per la Yolyn Am. Il canyon è frequentato da pastori e ci sono pascoli per le mandrie, protetti ai due lati da catene di rocce granitiche. Dopo 45 minuti si giunge all’ingresso della riserva di Yolyn Am con un parcheggio, dove si lasciano le macchine e si prosegue a piedi per circa 2 km. L’ultimo tratto della valle è lungo un torrente e fino a una gola con rocce a strapiombo. In alto volano gli avvoltoi. Il fondo della gola non è mai raggiunto dal sole e vi è sempre del ghiaccio tutto l’anno. Nonostante il nome di Valle delle Aquile oggi non si trovano più questi uccelli che stanziano invece nelle regioni più occidentali della Mongolia attraversate dagli Altai, dove abitano i nomadi Kazaki che da oltre 2000 anni li hanno ammaestrati per la caccia come i falconi.  Alle 16:00 si è di ritorno al parcheggio e si riprendono le macchine. Prima di lasciate il Parco Nazionale di Gurvan Saikhan si visita il piccolo Museo Nazionale all’uscita del Canyon, dove si trovano molti animali imbalsamati, fra cui aquile, avvoltoi, volpi della steppa, daini e mufloni.

  A sera si pernotta nel Campo attrezzato Khanbogd, all’interno del Parco.

 

 52.9  ATTRAVERSANDO GOBI CENTRALE PER ULAABAATAR.

 

  Il 13 luglio si parte alle 6:30 perché oggi è previsto un percorso di 450 km verso nord per lasciare l’aimag Umnugobi (Gobi del Sud) e attraversare quasi tutto l’aimag Dundgobi (Gobi Centrale) per visitare il monastero di Gimpil Darjaalan. Alle ore 8:00 si passa di nuovo vicino alle Khongoryn Els, quindi si prosegue lungo la steppa verso il confine e si passa vicino a una caratteristica casa invernale in pietra, una specie di rifugio nei periodi più freddi, ma sembra abbandonata da tempo. Passato il confine con il Dundgobi, vicino a un pozzo s’incontra una mandria di cammelli battriani domestici, i più comuni nelle regioni del Gobi. Scendendo verso il Gobi due giorni prima, l’11 luglio, si era fatta sosta in questa regione per visitare il complesso di Ongyin, oggi il monastero da visitare è più a nord, vicino al villaggio di Erdenedalai. Dopo il pranzo al sacco nella steppa, si riparte alle 13:00 e un’ora dopo accade un incidente alla macchina N. 1 con la rottura dei bulloni in una ruota. La riparazione è piuttosto laboriosa per estrarre i bulloni spezzati e rimontare il tutto. Alle 16:00 si riparte e si raggiunge il villaggio di Erdenedalai alle 16:30 abitato da una comunità di allevatori di cammelli. Il tempio di Gimpil Darjaalan si trova in periferia e si è conservato quasi intatto perché risparmiato dalle purghe staliniane. Come il complesso di Ongyin, era stato costruito nel 1760 per commemorare la prima visita del Dalai Lama in Mongolia e, dopo la sua riapertura nel 1992, ha ricevuto la visita dell’attuale Dalai Lama. Il tempio è dedicato al fondatore della setta dei Berretti Gialli. Un custode apre il tempio che sta subendo lavori di restauro, ma non si vedono monaci in giro. Dopo due generazioni di bando alla religione da parte dei sovietici, sono pochi i monaci in Mongolia e mancano i lama preparati per l’istruzione. La guida dice che vi sono solo sei monaci. Si fa una visita all’emporio del villaggio e si riparte alle 17:45. Si passa vicino a un piccolo lago, il Burd oggi quasi completamente prosciugato, che conserva le rovine di un monastero e di un palazzo del XII secolo, si vedono anche branchi di gazzelle che fuggono nella steppa, ma non si ha tempo per fotografarle. A sera si sosta al Campo attrezzato di Erdene-Ukhaa.       

  Il giorno dopo, 14 luglio, si parte alle 7:30 per visitare, a circa 20 km, le formazioni di rocce granitiche, Baga Gadzriin Chuluu, detta “la terra dei piccoli sassi”, luogo sacro per i Mongoli dove, secondo una tradizione, Gencis Khan radunò il suo esercito prima di una battaglia. In una valle fra le rocce, rimane il giardino di un monastero con simboli buddhisti. Nei dintorni vi sono molte pitture rupestri e per questo la zona è venerata degli abitanti. Si riprende il cammino attraversando l’ultima zona di steppa, dove s’incontrano dei laghi e, alle 11:00 circa, si attraversa il confine con il Tuv e si procede per raggiungere la capitale Ulaabaatar e l’Hotel Mongolica nella periferia meridionale. Alle 13:00 la macchina N. 1 buca una ruota a circa 10 km dalla meta e si decide di trasferire tutto il gruppo nelle altre due macchine. Sarà necessaria ancora un’ora e mezza. L’Hotel è di recente costruzione all’interno di un parco, ma lontano dal centro. Si pranza e si riposa fino al mattino del giorno dopo.

 

52.10  LE PROVINCE DEL NORD: SELENGE E BULGAN.                          

 

  Il mattino del 15 luglio si riparte alle 8:30 con gli equipaggi riposati e tutte le riparazioni effettuate. Si sale ora verso le province settentrionali confinanti con la Siberia. Sono le più industrializzate e ricche per le miniere di carbone, rame, molibdeno e oro e dove è stata sviluppata la coltivazione dei cereali (grano) e si produce un ottimo miele. Vi sono le migliori strade asfaltate e vi passa la principale ferrovia che viene da Irkutsk, in Siberia e attraversa tutta la Mongolia fino a Pechino. Oggi si percorreranno 250 km per raggiungere il Monastero di Amarbayasgalant uno fra i tre più importanti complessi buddhisti dalla Mongolia, insieme all’Erdene Zuu di Kharkhorin e al Gandan di Ulaanbaatar, già visitati.

  Si attraversa la periferia della città passando una delle porte e i quartieri periferici e s’imbocca la strada asfaltata verso il nord. Siamo già nel Tuv e, a un passaggio a livello della ferrovia, si attende il transito di un merci. Alle 9:30 si sosta al confine con la regione di Selenge segnalato da un monumento con il nome della provincia in cirillico, il simbolo nazionale soyombo e le spighe del grano per ricordare l’introduzione di questa coltivazione. C’è anche una piramide di pietre (ovoo), omaggio agli antenati che proteggono il territorio. Il Selenge ha una superficie di 41200 kmq, 103000 abitanti e 700000 capi di bestiame. Ripreso il cammino, si attraversa il villaggio di Baruunharaa e subito dopo si prende la strada che conduce a ovest. Alle 13:00 si sosta per il pranzo al sacco in una locanda che mette a disposizione i tavoli e l’acqua calda per il caffè e il tè. Ripreso il cammino, alle 14:30 si lascia la strada asfaltata per le piste sterrate negli ultimi 30 km di percorso verso nord. Alle 15:30 si entra in una vallata e s’intravede il Monastero. Si attraversa uno stagno, dove si rinfresca una mandria di cavalli e, poco dopo, si entra nel Campo attrezzato If Tour, dove si rimarrà per la notte. Alle 16:30 si esce per la prima visita al monastero.

  Amarbagayasgalant fu fatto costruire fra il 1726 e il 1736 dall’imperatore manchu Yongzheng in onore del grande artista mongolo e monaco buddhista Zanabazar morto a Pechino nel 1724 e sepolto prima a Urga, l’attuale Ulaabaatar, ma poi trasferito in questo monastero nel 1779. L’architettura è di stile mancese come i palazzi imperiali di Pechino con una pianta simmetrica. I sovietici, nel 1937, distrussero 10 dei 37 templi e fu restaurato fra il 1975 e il 1990 con l’aiuto dell’UNESCO, oggi vi sono circa 60 monaci. Il monastero si trova in una vallata ai piedi di una catena montuosa, ha un perimetro di 150 per 200 m e l’entrata è a sud, come nelle case dei nomadi.                                                 Normalmente si entra da un ingresso secondario a ovest che porta direttamente al Tempio Principale. L’ingresso monumentale sud ha, davanti, una spianata, dove si tengono in certe ricorrenze le danze Tsam, divenute nel tempo una tradizione tipicamente mongola, con i lama che indossano le maschere dette appunto Tsam e sono abbigliati secondo i personaggi della rappresentazione. Dall’ingresso sud si entra in un primo cortile in cui, come nelle città cinesi, c’è a sinistra la Torre del Tamburo (che si suona la sera) e a destra quella della Campana (che si suona al mattino), poi si passa per il Tempio delle divinità Protettrici con le figure dei quattro Guardiani. Infine si passa al cortile con il Tempio Principale sormontato dalla ruota della Vita che simboleggia il ciclo della morte e della rinascita. La sala del Tempio ha un corridoio centrale, dove siedono i monaci durante le funzioni e, in fondo, la statua in grandezza naturale di Rinpoche Gurdava, il lama che, tornato in patria nel 1992 dopo essere stato in Tibet e Nepal, raccolse gran parte della somma per il restauro del monastero. Girando intorno si vedono le piccole rappresentazioni del Buddha della medicina con i testi sacri, dipinti su stoffa (thangka) e un mandala, rappresentazione del paradiso di Buddha. Dietro il Tempio Principale, c’è il tempio del Buddha Sakyamuni, quello storico del V secolo a.C., con le sue statue fra cui le sue quattro reincarnazioni.

  Sul pendio della collina dietro il monastero ci sono due stupa di recente costruzione dedicati alla setta lamaista dei Berretti Gialli fondata nel XIV secolo che ha istituito il Dalai Lama come reincarnazione del Buddha. I due stupa si raggiungono tramite due lunghe gradinate. Lo stupa occidentale ha una cupola sormontata dal simbolo dei Berretti Gialli e una grande statua di Buddha. Lo stupa orientale ha la gradinata interrotta da grandi ruote di preghiere e in alto statue di lama con berretti gialli. Dall’alto si vedono il monastero e il nostro Campo attrezzato If Tour con le gher.

  Dopo la discesa si torna al Campo.

 

52.11  RITORNO ALLA CAPITALE.

  La mattina del 16 luglio, alle ore 9:00, si caricano i bagagli sulle macchine, e si torna al Monastero per assistere a una funzione che inizia alle 10:00. La funzione fa parte dell’addestramento mattutino dei monaci novizi che recitano i mantra. I monaci sono seduti sulle panche ai lati del corridoio centrale del tempio, mentre un lama istruttore in piedi li dirige e controlla. La recitazione dei mantra è ripetitiva e, quando si cambia, si batte il tamburo alla sinistra. La cerimonia dura due ore.

  Alle 12:00, si torna al Campo per il pranzo e, alle 13:00, si parte lasciando la vallata lungo le piste sterrate. Dopo un’ora, si raggiunge la strada asfaltata e si procede in direzione ovest e, alle 16:20, si attraversa il confine con l’aimag di Bulgan segnalato da un monumento e si prosegue su strade sterrate. Bulgan è un’altra delle regioni settentrionali che confina con la Siberia. Ha una superficie di 48700 kmq, 63000 abitanti e 1,4 milioni di capi di bestiame. La steppa del sud si trasforma in rigogliose foreste verso il nord, al confine con la Siberia. La attraversano l’Orkhon e il Selenge prima di riunirsi al confine russo. Oltre alla pastorizia si coltiva grano e altri prodotti. L’aimag possiede inoltre le più ricche miniere di rame e molibdeno della Mongolia e, dal 1994, comprende il distretto autonomo di Orkhon con capitale Erdenet.

  Il programma prevede di fare oggi l’ultima visita al Parco Naturale dei Vulcani Spenti, 80 km dal confine orientale dell’aimag. Si tratta di un’area naturale protetta di 1600 ettari, dove si trovano alcuni vulcani spenti, fra cui Uran Togoo, Tulga e Uul. L’area è stata considerata monumento nazionale per le sue caratteristiche geologiche e paesaggistiche ed è stata istituita nel 1965 per proteggere piante e animali della steppa e della taiga che qui ha inizio essendo ormai vicini alla Siberia. Alle 17:00, si arriva al Campo attrezzato Hutag Undur, dove si rimarrà per la notte. Si lasciano i bagagli nelle gher e alle18:00 si riparte per salire sul più vicino dei vulcani, l’Uran Togoo, un cono isolato ricoperto di vegetazione a una decina di chilometri di distanza. Le macchine ci lasciano a metà della salita e si prosegue a piedi. Sull’ultimo tratto la pendenza diventa ripida e scivolosa. Io rinunzio a salire, altri proseguono. Alle 19:40, si ritorna al Campo per la cena.

  La mattina dopo, 17 luglio, si lascia Hutag Undur alle 7:00 perché oggi si devono percorrere 570 km per raggiungere la Capitale Ulaanbaatur attraversando gli aimag Bulgan, Selenge e Tuv. Dopo un primo tratto di piste sterrate si raggiunge la strada asfaltata che proseguirà fino alla capitale. Si passerà per il distretto minerario di Orkhon, dove la guida aveva tentato di avere un permesso per la visita della grande miniera di rame, ma l’agenzia ha comunicato di non averlo ottenuto. Alle 8:45 si passa per la periferia di Erdenet e poi per la zona industriale con le fabbriche che lavorano il minerale. La città fu costruita con gli aiuti dell’Unione Sovietica nel 1974 per sfruttare le miniere di rame che sono le più ricche dell’Asia e al quarto posto nel mondo. Per le miniere è stato costruito anche un ramo della ferrovia che la collega al ramo principale di Darkhan. Durante l’era sovietica un terzo della popolazione era costituito da russi. Oggi vi abitano ancora molti russi come tecnici nelle miniere e la lingua russa è ancora molto usata.

  Alle 10:00, si attraversa il confine con l’aimag Selenge e si prosegue nella valle dell’Orkhon. Ora è evidente l’influenza dell’industria della pesca nell’economia della regione per la diffusione della lavorazione di pesce secco e affumicato, alimento prezioso per l’inverno, messo in mostra lungo la strada. Alle 11:35, si sosta nella città di Darkhan, seconda città della Mongolia posta lungo la ferrovia transmongolica, fondata dai sovietici nel decennio 1960 per essere il centro industriale del nord con le cooperative di contadini, operai e lavoratori delle miniere di carbone a 60 km dalla città. Dopo il crollo del comunismo nel 1990, la chiusura degli uffici governativi e il ritorno dei russi a Mosca, l’attività industriale e l’economia entrarono in crisi. Nel 1994, è diventata distretto autonomo, e non appartiene più all’aimag di Selenge. La sua economia si basa oggi sulle miniere e sulla produzione di cereali. Dopo una breve visita della città, si pranza al Mongolian Grill, un ristorante self-service. Alle 13:00 si riparte e vi sono ancora 219 km da Ulaabaatar. Si ripercorre una strada già fatta in senso inverso. In altre due soste si fotografano una farfalla tipica della Mongolia e ancora le mandrie nella prateria.

  Alle17:30, si scende all’Hotel Bayangol di Ulaabaator, dove si rimarrà per le ultime due notti. Il lungo itinerario lungo la Mongolia è finito avendo percorso 3470 km ed è il momento di ringraziare e salutare i tre piloti dei fuoristrada che ci hanno condotto lungo il percorso superando tutte le difficoltà.

 

52.12  ULTIMO GIORNO A ULAABAATOR.   

 

  Il 18 luglio è il penultimo giorno di permanenza in Mongolia e si completerà la visita della città, iniziata il 6 luglio, giorno dell’arrivo. Si esce alle 9:30, accompagnati dalla nostra guida ufficiale a bordo di un pullmino e s’inizia con la visita dei principali musei della città.

  Il primo è il Museo delle Belle Arti Zanabazar che si trova 500 m a ovest della piazza principale, Sukhbaatar, fondato nel 1966 e ristrutturato nel 2006 in occasione degli 800 anni dell’impero mongolo, e dedicato al più grande artista mongolo, Zanabazar (1635-1724), detto il Michelangelo delle steppe. Le prime sale del museo sono dedicate all’arte antica con le sculture in roccia del neolitico e riproduzioni moderne dei petroglifi, figure di animali stilizzati dipinti dai nomadi preistorici, usando ocra rossa o marrone o scolpite nella roccia con attrezzi taglienti. Con il tempo le incisioni sulle rocce e le steli sono diventate più raffinate e le steli hanno assunto forme umane come quelle del periodo turco. Oltre ai corredi tombali vi sono oggetti di arte popolare con materiali diversi e ornamenti e una mappa della capitale nel periodo del festival Naadam. La Sala moderna ha composizioni e dipinti moderni ispirati a tradizioni religiose dello sciamanismo e del buddhismo. Si entra infine nelle sale dedicate a Zanabazar dove sono raccolte le opere dell’artista. Le più importanti sono le sculture che hanno creato lo stile della scuola di Zanabazar scolpite su fusioni cave di ottone senza saldature. Zanabazar è stato anche l’inventore del primo alfabeto mongolo per trascrivere i testi tibetani e sanscriti e, secondo la tradizione, ha ideato il simbolo della Mongolia, il soyombo, l’ideogramma riportato oggi sulla bandiera nazionale. Il soyombo è una successione di simboli. In alto una fiamma (rinascita) seguita dal sole e un quarto di luna (madre e padre del popolo). Nel corpo principale del simbolo, fra due rettangoli verticali (mura di una fortezza), si seguono dall’alto un triangolo (morte ai nemici) e un rettangolo orizzontale (rettitudine), poi il simbolo della cultura orientale (yin-yang), le due forze opposte che si alternano (solidarietà), e per chiudere, ancora un rettangolo orizzontale e un triangolo. Altre sale raccolgono gli oggetti rituali. I costumi e le maschere Tsam per le danze rituali, fra queste, quella del vecchio uomo bianco Tserendug, i thanka, arazzi sacri dipinti su stoffa con cui si adornano i templi, e i mandala, cerchi che rappresentano in forma bidimensionale il paradiso di Buddha.

  Il secondo è il Museo Nazionale della Storia Mongola, vicino al Palazzo del Parlamento che, in tre piani, raccoglie tutti i reperti della storia mongola. Al primo piano, sono i reperti più antichi come le steli del periodo unno e iuguro, al secondo, la collezione dei costumi delle etnie mongole e, al terzo e più importante, la genealogia e le conquiste dell’impero mongolo di Gencis Khan, la raccolta delle armature e delle bardature dei cavalli, gli strumenti musicali e una gher completa. C’è poi la sezione dedicata al periodo socialista, dal 1221 al 1990, e le foto del primo cosmonauta mongolo, Jugderidyn Gurragcha.                               

 

  Il terzo è il Museo di Storia Naturale, posto un poco più a nord del precedente . Si paga per fotografare, ma in certe sale è vietato lo stesso. Ha la sua maggiore attrazione nelle sale dei dinosauri.  Il più grande è il Tarbosaurus, 5 m di altezza e 12 m di lunghezza e dal peso di 5 tonnellate, divoratore di carogne, copia asiatica del Tirannosaurus Rex. Ci sono poi i famosi dinosauri che lottano: un Velociraptor e un Protoceratops avvinghiati in un combattimento mortale e sepolti vivi sotto una frana, 80 milioni di anni fa. Furono trovati da una spedizione polacca e mongola nel 1971 e sono considerati tesoro nazionale. Un altro ritrovamento speciale è quello di un Oviraptor vicino alle sue uova, sepolto forse da una tempesta di sabbia. Il Gobi era allora una terra diversa con acquitrini, paludi e fiumi, zone sabbiose e oasi. Vi sono poi tartarughe fossili dal tardo Giurassico al Pliocene (da 100 a 5 milioni di anni fa). La maggiore diversità della fauna si è avuta dal tardo Cretaceo al tardo Paleocene (da 80 a 40 milioni di anni fa).

  Dopo il pranzo in un ristorante, nel pomeriggio si va a visitare, a sud della città, un monumento sulla collina di Zaisan da cui si ha anche il migliore panorama della Capitale. Il monumento fu fatto costruire dai sovietici nel 1960 per commemorare i morti mongoli delle ultime guerre. Alla base della collina è stato posto un carro armato autentico della brigata corazzata mongola che, nella seconda guerra mondiale, ha partecipato alle operazioni, prima contro i Giapponesi e poi in Europa contro i nazisti, entrando a Berlino. Si sale al monumento con una lunga scala e sulla sommità ci sono una stele con la statua del soldato mongolo e una piattaforma con un dipinto che rievoca i protagonisti della vittoria. Dall’alto e da un terrazzo intermedio si vede ai piedi tutta la città con il fiume Selbe che la circonda da sud a est. Ai piedi della collina, verso ovest si trova il Buddha Park con la statua dorata del Buddha Sakyamuni (quello storico), alta 16 m.

  L’ultima visita si fa al Palazzo d’Inverno di Bogd Khan, l’ultimo re di Mongolia che assunse il potere nel 1872 e, nel 1911, fu messo a capo del movimento di indipendenza della Mongolia contro i Manchu e proclamato Bogd Khan, ottavo Buddha vivente, poi eletto capo del Governo Popolare della Mongolia ma senza poteri effettivi. Morì nel 1924 ma poco prima era stata già proclamata la Repubblica Popolare di Mongolia. Il palazzo si trova qualche chilometro a sud del centro, oltre il fiume Selbe, è diventato museo nel 1961 e ristrutturato nel 2007. L’ala antica, dopo un ingresso monumentale con i soliti Guardiani protettori, è una serie di padiglioni nel verde. Vi sono molti ricami in seta artisticamente simili a pitture tradizionali che rappresentano scene religiose, ritratti e divinità del mondo buddhista. C’è anche una statua del Buddha Sakyamuni di ottone dorato della fine 1800, in stile tibetano. Il palazzo in cui è vissuto l’ultimo re si trova però sulla destra ed è un edificio bianco a due piani, dove sono stati raccolti tutti i doni offerti dalle autorità straniere, gioielli, vesti e mobili d’epoca e i troni del re e della regina.                                                                   

  Il poco tempo rimasto è poi dedicato agli acquisti di cashmere e prodotti artigianali, fino alle 18:00, quando inizia uno spettacolo al Teatro dell’Opera e del Balletto per il quale sono stati acquistati i biglietti. Si tratta di uno spettacolo destinato ai turisti che offre un ampio assortimento di musica, canti e danze tradizionali e moderne. L’orchestra usa strumenti tipicamente mongoli e presenta fra l’altro un assolo di corno, si ascolta il caratteristico canto khoomi, canto armonico o di gola, una tecnica vocale che produce suoni coinvolgendo laringe, stomaco e palato, capace di emettere due tonalità, una gutturale e profonda e l’altra più eterea come un fischio, canto ispirato ai suoni della natura. Fra i balli ci sono quelli tradizionali delle maschere tsam e numerose coreografie. Non manca l’esibizione di una contorsionista. Lo spettacolo finisce alle19:30.

  Si torna in albergo per la cena.     

  Il giorno dopo, 19 luglio, è il giorno della partenza. Si lascia l’albergo per l’aeroporto alle ore 5:00, dove si saluta e ringrazia la guida che ci ha seguito e si prende il primo volo per Mosca alle ore 7:25 con arrivo alle 9:50 ora locale (-2 ore di fuso). Segue una lunga attesa fino alle 19:40 per l’imbarco sul volo per Roma. Nonostante le 10 ore effettive di volo e le lunghe attese, per il gioco dei fusi orari (-6 ore in totale), si arriva lo stesso giorno alle 21:40. Il viaggio è durato 15 giorni con una permanenza effettiva in Mongolia di 13 giorni.                        

 

Fonte: http://www.travelphotoblog.org/ArchivioPersonale/Extrtour.doc

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