Diario di viaggio organizzato in Turchia

 


 

Diario di viaggio organizzato in Turchia riviera mediterranea cosa vedere e cosa fare in Turchia

 

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Diario di viaggio organizzato in Turchia

 

TURCHIA: LA RIVIERA MEDITERRANEA.

26.03-17.04.2006 - Tour organizzato da Culture Travel S.r.l.

 

L’itinerario del viaggio segue la costa mediterranea della Turchia dominata dalla catena dei monti del Tauro, una regione detta la Riviera della Turchia ricca di bellezze naturali e di siti storici importanti dall’epoca greca a quella bizantina e musulmana, divenuta negli ultimi decenni un paradiso del turismo internazionale per il suo clima favorevole e lo sviluppo delle strutture ricettive. Il viaggio inizia ad ovest del golfo di Antalya nei dintorni di Demre, una regione dove nel V secolo a.C. si trovava il regno di Licia, ci si ferma poi a visitare Antalya ed i suoi dintorni nel golfo per ammirare i numerosi centri storici della Panfilia fra cui Perge, Aspendos e Side. Seguendo la costa verso est, si arriva ad Alanya con la sua imponente fortezza di epoca selgiuchide del XIII secolo, e si scende fino ad Anamur, il punto più meridionale dell’Anatolia con un castello dell’epoca dei crociati. La costa diventa scoscesa e frastagliata fino a Silifke ed all’interno si raggiungono i resti ellenistici-romani di Olba. Lungo la costa si incontrano ancora castelli e strane formazioni geologiche fino ad entrare in Cilicia passando per Mersin, il più importante porto turco del Mediterraneo e si arriva a Tarso, il luogo natale di S. Paolo. Adana è il capoluogo della Cilicia e quarta città della Turchia, ha una grandiosa moschea di recente costruzione, seconda per dimensioni solo a quella di Istanbul. Ci si ferma infine ad Antakya, l’antica Antiochia, bagnata dall’Oronte e vicina al confine siriano, e si visita il suo splendido museo con la raccolta di mosaici romani e reperti ittiti. Ultima tappa è Gaziantep, più a nord, antico centro hittita, poi romano, bizantino e selgiuchida dove passava la via della seta. Il viaggio si conclude all’aeroporto di Gaziantep.

Questo viaggio è stato organizzato in occasione dell’eclisse totale di sole del 29 marzo la cui linea di totalità passava nel golfo di Antalya nei pressi di Side. Il 29 marzo è stato quindi dedicato a questa osservazione e non viene incluso nella descrizione.

 

17.1  LA REGIONE DI ANTALYA.

27-30 marzo 2006

La regione di Antalya occupa la penisola ad ovest ed il vasto golfo omonimo, il più bello della Riviera, terra dei Lici e dei Panfili nel V secolo a.C., divenute province romana sotto Vespasiano. Montuosa all’interno, ricca di boschi e di cime innevate e solcata da profonde valli fluviali che scendono verso il Mediterraneo, offre fra mare, montagna e resti storici, una grande varietà di attrazioni.

 

17.1.1  AD OVEST DI ANTALYA: LA COSTA E MYRA (27 marzo).

La penisola ad ovest del golfo di Antalya era l’antica Licia citata da hittiti ed egiziani. Nel III secolo a.C. si era formata una confederazione di città sul modello greco che finì con il comprendere 23 città con un santuario di Apollo ed Artemide a Xantos, capitale della Licia. C’erano 6 città importanti: Tlos, Xanthos, Pinara, Patara, Olimpo e Myra e quest’ultima è la principale tappa dell’itinerario che parte da Antalya in direzione ovest.

Scendendo lungo la costa ovest del golfo di Antalya si gode uno spettacolare paesaggio fra il mare e le pendici dei monti coperti di foreste. All’interno c’è un vasto parco naturale sui rilievi dei monti del Tauro occidentali. Dopo 42 km si arriva all’altezza di Kemer, stazione balneare e porto di barche, dopo altri 12 km si passa vicino all’antica Phaselis, un tempo grande porto commerciale. Verso l’interno si ha la visione della cima innevata del Tahtalic, alto 1400 m dove si trova una stazione sciistica. Giunti all’estremità sud della penisola la strada gira ad ovest. Si fa sosta a Kumlucia, zona agricola con serre per la coltivazione di primizie ortofrutticole, nota per la festa del pomodoro a giugno. Si è un po’ all’interno ma in posizione elevata e a sud-ovest si domina la costa con il golfo e la città di Finike. Oltrepassata Finike dopo 25 km, si raggiunge la valle del Demre vicino alla quale si trova il sito archeologico dell’antica Myra.

Su una grande parete rocciosa a picco appaiono le facciate scavate sulla pietra delle camere sepolcrali di una grande necropoli rupestre che rimonta al V secolo a.C., facciate di ispirazione greca che richiamano quelle delle case di abitazione e dei templi. Le tombe sono allineate su piani diversi e le più importanti e le più antiche stanno in alto. Due di queste tombe si possono osservare da vicino perché alla base della roccia. Una ha scolpiti sul frontone due guerrieri, un’altra si può osservare anche all’interno ed al centro della camera si trova un pozzo che serviva per i riti. Sulla destra della necropoli rupestre si trova il grande teatro di epoca romana, ricostruito dopo il sisma del 141 d.C. nel periodo in cui la città aveva raggiunto il suo apogeo. Il teatro è poco visibile a distanza, ma entrando si può osservare la cavea che è in buono stato di conservazione con 38 file di gradini, capace di 9000 spettatori, ed ha lunghe gallerie a volta. Vi sono molti esempi di decorazioni con maschere teatrali scolpite su blocchi di trabeazioni in marmo. Dall’alto della cavea si possono osservare in dettaglio anche molti particolari della necropoli rupestre. A poca distanza da questo sito c’è la collina dell’acropoli di Myra, anche questa del V secolo a.C., ma con mura più esterne di epoca bizantina quando la città ebbe un altro periodo di sviluppo e fu sede arcivescovile.

L’abitato bizantino si trova più vicino al mare e nel IV secolo vi fu vescovo Nicola, oggi noto come S. Nicola di Bari, che aveva partecipato al concilio di Nicea del 325 quando aveva combattuto l’eresia di Ario. Morto il 6 dicembre, forse nel 350, esiste una sua biografia del IX secolo. A Myra c’è una chiesa di S. Nicola che risale al V secolo, distrutta dagli Arabi nel VII-VIII secolo, ricostruita dai Bizantini nel secolo XI e completamente rimaneggiata nel 1800. La chiesa ha pianta a croce greca con un bel pavimento in marmo ed ingresso a sud; ad ovest ci sono i resti dell’antico nartece con nicchie dipinte ed in una di esse c’è la figura del santo. In una navata laterale c’è un sarcofago detto “la Tomba del Santo”. Nel 1087 alcuni mercanti di Bari trafugarono parte delle ossa e li portarono a Bari di cui divenne il Patrono. S. Nicola era venerato come protettore dei marinai, dei bambini e dei bisognosi. Al suo tempo era chiamato Nike Laos, cioè “vincitore del popolo” ed il suo culto si diffuse nel nord Europa fino in Russia e prese il nome di Santa Klaus da cui derivò Babbo Natale.

L’area della Myra bizantina è vicina all’odierno abitato di Demre (Kale è il nome turco) sul mare e qui si trovano i cantieri per la manutenzione dei velieri usati per le crociere turistiche lungo la costa.

Lasciata Demre, sulla via del ritorno ci si ferma a Finike dove si può ammirare l’affollato porto delle barche.

 

17.1.2  ANTALYA E DINTORNI (28 marzo).

La città di Antalya, capoluogo della regione, che ha più di 1,5 milioni di abitanti, si trova nel punto più profondo del golfo omonimo circondata a nord dai monti ancora innevati del Tauro. L’antico porto di pescatori negli anni ’80 si è trasformato in un porto turistico importante, ma senza traffico commerciale per le sue dimensioni ridotte. Il centro storico, con impronte romane, bizantine e selgiuchide, ha mantenuto il suo ultimo aspetto ottomano anche se ristrutturato in modo più accogliente e si trova subito ad est dell’antico porto. Le origini di Antalya sono nel 158 a.C. quando fu fondata dal re di Pergamo Attalo II che le diede il nome di Attaleia. Raggiunse il suo massimo splendore sotto i Romani, fu bizantina e selgiuchida e divenne un centro commerciale con il nome di Atalia cioè grotta nera. Fu importante come punto di imbarco durante le crociate e finì poi sotto gli Ottomani. La città moderna si è espansa intorno al nucleo originale verso l’interno e sui due lati.

Il Museo di Antalya è uno di più ricchi della Turchia e si trova sulla costa occidentale della città oltre il Parco di Ataturk e vicino alla spiaggia di Konyaalti. La sua visita introduce alla preistoria ed agli aspetti archeologici ed etnografici della regione. I reperti più antichi sono quelli paleolitici della grotta di Karain a 30 km da Antalya, che fu occupata dall’uomo di Neandertal di 60000 anni fa, e poi quelli del calcolitico, del bronzo antico del III e II millennio a.C. fino all’età del ferro con molti ritrovamenti tombali. In ordine cronologico segue l’esposizione di oggetti del periodo greco-ellenistico con vasi ionici e la sala della statuaria romana con statue di imperatori e divinità. Ci sono poi numerosi preziosi sarcofagi romani e non mancano i più antichi rilievi ittiti. Si passa alle icone bizantine, alla raccolta numismatica ed all’arte islamica ed ottomana. L’ultima sezione è quella etnografica con costumi, strumenti musicali ed oggetti della vita comune. Nel cortile del Museo sono raccolti frammenti e sculture di valore di provenienza diversa.

La visita alla città parte da Piazza Indipendenza con il Monumento ai caduti della lotta di liberazione del 1920-23. Dal terrazzo si ha una visione panoramica sulla città vecchia con i suoi minareti e la moschea. L’ingresso alla città vecchia è dalla Porta di Adriano, sul lato est dell’antica cinta muraria che circondava città e porto, iniziata dai Romani e ricostruita e rinforzata più volte da Bizantini e Selgiuchidi. La Porta di Adriano fu costruita in occasione della visita di Adriano alla città nel 130 a.C., ha tre arcate affiancate da due torrioni ed è ben conservata. All’interno della città un altro caratteristico monumento è l’Yivli Minar alto 37 m, eretto nel XIII secolo dal sultano selgiuchide Alaeddin (1239-36) e divenuto il simbolo della città. Il minareto, in mattoni rossi con il fusto scanalato, è alto 37 m ed ai suoi piedi si trova un’antica chiesa bizantina coperta a cupole, divenuta poi moschea ed ora adibita a mostre.

Attraversando la città dalla porta di Adriano verso il mare si possono osservare le antiche case con strutture lignee esterne in gran parte restaurate. Le vecchie abitazioni stanno subendo un processo di ristrutturazione e conversione in alberghi e luoghi di ritrovo. Un altro monumento ben conservato è il Kesik Minare, o minareto tronco, all’interno di un complesso che era stato prima tempio romano, poi chiesa bizantina nel V secolo ed infine moschea nel XIII secolo durante il periodo selgiuchide. L’estremità meridionale della città si affaccia sul mare con un’alta scogliera dove rimangono resti di antiche opere di difesa fra cui la torre Hidirlik che forse è stata nel passato mausoleo, torre di avvistamento e faro, ed alcuni antichi cannoni. Da qui si può ammirare l’estremità del golfo di Antalya dentro un arco di alte scogliere che convergono nel punto più a nord nel porto, piccolo ma ben protetto. Spostandosi a nord si accede all’area del porto protetto dalle antiche mura dalle quali lo si può osservare dall’alto e si scende poi al livello dei moli affollati di barche e velieri per le crociere turistiche.

Il resto della città non offre altri luoghi interessanti, ma negli immediati dintorni ci sono due cascate formate dal fiume Düden. Ad 8 km ad est della città il fiume precipita direttamente sul mare dall’alto di una scogliera formando una spettacolare cascata (la cascata inferiore) osservabile dal parco Genclik. Il Düden è un fiume carsico che viene dai monti del Tauro, scende in grotta e dopo forma altre cascate fra cui quelle di Kursunlu a 18 km da Antalya all’interno di un parco nazionale. Vi sono una serie di cascate di diverse altezze e di rapide fra alberi secolari in un ambiente affascinante.

 

17.1.3  DA ANTALYA AD ALANYA: PERGE, ASPENDOS E SIDE (30 marzo).

Le rovine di Perge, città della Panfilia fondata dagli Hittiti intorno al 1500 a.C., si trovano sulle rive del fiume Aksu a circa 20 km dalla foce, a quel tempo tutto navigabile. La città fu dominata dai Lidi e poi da Persiani e fu centro commerciale importante per la sua posizione geografica. Si sottomise ad Alessandro il Grande nel 334, passò sotto i Romani nel 188 ed i resti sono quasi tutti romani. Fuori dal sito archeologico c’è l’edificio del teatro greco-romano, capace di 15000 spettatori e vicino i resti dello Stadio lungo 295 m e largo 34, ambedue del II secolo d.C.; le gradinate dello stadio su 12 file erano sorrette da strutture a volta ben visibili dall’esterno che ospitavano le botteghe. La città ellenistico-romana si stende su un quadrilatero circondato da mura, a sud della collina dell’acropoli di origine persiana. Si entra da sud attraverso la Porta romana del tempo di Settimio Severo, una volta tutta rivestita di marmo e decorata di statue, e, subito a sinistra, i trovano le Terme che sono fra le più belle dell’Anatolia. Molte delle statue qui trovate si conservano nel museo di Antalya. La sala più grande era quella del frigidarium. In asse con la Porta romana ci sono le due torri laterali rotonde della Porta ellenistica, opera del III secolo che aveva dietro una grande corte trapezoidale e costituiva il sistema difensivo principale della città, ma con i romani ebbe solo una funzione decorativa. Sull’asse delle due porte c’è la grande strada colonnata che era affiancata da portici, larga 20 m e lunga 300, intersecata a due terzi della sua lunghezza da un’altra strada a 90 gradi. Al centro della strada principale scorreva un canale alimentato dall’acqua del fiume Aksus, che sgorgava da un ninfeo ai piedi dell’acropoli; il percorso era interrotto a intervalli da soglie di pietra in modo che l’acqua, tracimando, rimanesse sempre nel canale. Tornando verso l’ingresso, ad est, si trova la grande piazza dell’agorà di 75x67 m con funzione di mercato, circondata da colonne e da portici. Al centro aveva il tempio di Iside trasformato dai Bizantini in fontana.

Circa 50 km ad est di Antalya si incontra il fiume Köprü, l’antico Eurimedonte, attraversato da uno storico ponte lungo 225 m costruito dal sultano selgiuchida Alaeddin e, vicino al ponte, vi sono i resti di un caravanserraglio. Il fiume era allora navigabile fino alla città di Aspendos di cui ci sono le rovine un po’ più a monte. Aspendos era stata fondata dai Greci intorno al 1000 a.C. e con il suo porto era diventata sotto i Persiani una delle più importanti città della costa. Presa da Alessandro e passata sotto i Seleucidi, ebbe il suo apogeo con i Romani. I Romani costruirono un grande acquedotto che portava l’acqua dell’Eurimedonte fino all’acropoli, opera monumentale, lunga 30 km di cui sono rimasti solo 850 m, vi sono resti di arcate a due ordini ed un castellum aquarum per regolare il flusso dell’acqua. Sul lato dell’acropoli è rimasto uno straordinario Teatro, costruito sotto Marco Aurelio dall’architetto Zenone nel 170 d.C., che è arrivato fino a noi quasi completo perché riutilizzato di Selgiuchidi come caravanserraglio. All’interno, la cinta semicircolare delle gradinate ha un diametro di 95 m, divisa in due ordini ed in cima ha una galleria a volta poggiante su pilastri. La scena era tutta ricoperta di marmi ma è stata completamente spogliata.

Circa 60 km ad est di Antalya, su una piccola penisola, si trova l’abitato di Side dove l’insediamento moderno convive e si fonde con la ricca zona archeologica. Side ha origine nel VI secolo a.C. quando faceva parte del regno di Lidia. Dal periodo ellenistico a quello romano fu un centro della tratta degli schiavi. Il Teatro romano fu costruito nel II secolo d.C. con una cavea a due ordini per 15000 spettatori, rimasta danneggiata dai terremoti del I secolo d.C.; nel V secolo fu trasformato in basilica bizantina. A nord del teatro si trova la piazza dell’agorà con le colonne del portico che la circondavano. Teatro ed agorà erano fiancheggiate ad ovest da una grande via colonnata i cui resti si trovano oggi in una via di traffico normale che attraversa da nord a sud l’abitato. Scendendo a sud, di fronte al mare, si trovano i resti dei templi di Apollo e di Atena del III secolo a.C.: 5 colonne con trabeazione per quello di Apollo ed una sola colonna per quello di Atena. Vicino è il piccolo porto protetto da una lunga diga e dedicato al turismo che ha sostituito la pesca nell’economia locale.

Dopo Side, seguendo la strada costiera, si incontra un bivio con la strada per Konya e la Cappadocia, ma si prosegue per raggiungere Alanya su un litorale sabbioso interrotto da un promontorio roccioso di 250 m. Sul lato occidentale del promontorio si apre la grotta di Damlatas (Pietra di roccia) dove si possono osservare formazioni di stalattiti e stalagmiti in una camera larga 14 m ed alta 15. Per l’alto tasso di umidità, si dice che abbia effetti terapeutici per i malati di asma.

 

17.2  DA ALANYA A MERSIN.

31 marzo - 1 aprile 2006

Alanya, al centro di una fertile pianura, è dominata da un castello su un promontorio roccioso fra due spiagge sabbiose. Da Alanya a Mersin si completa tutta la costa della Panfilia fine al confine con la Cilicia e ad Anamur si raggiunge il punto più meridionale della costa mediterranea della Turchia di fronte all’isola di Cipro. A nord la fascia dei monti del Tauro piega più a sud e le coste dopo Alanya diventano scoscese; la strada scende verso il mare nei golfi, dove sono concentrati gli abitanti e le piantagioni, e risale per superare i rilievi dove la costa diviene più ripida. Protetta dai monti a nord, questa è la parte più calda della Turchia e vi abbondano le piantagioni di banane. Dopo Anamur la costa risale verso nord e da Slifke, dove c’è un altro bivio per Konya e la Cappadocia, si ritrova una zona pianeggiante con spiagge basse e sabbiose.

 

17.2.1  ALANYA ED ANAMUR FINO A SILIFKE (31 marzo).

Alanya è oggi una delle città balneari più attrezzate della Turchia, ma la sua storia è legata alla fortificazione dello sperone roccioso intorno a cui si è sviluppata la città. Con il nome antico di Coracesium, fu a lungo un covo di pirati finché non furono debellati da Pompeo nel 67 a.C. e la fortezza distrutta. Fu fortificata ancora dai Bizantini e conquistata dal sultano Selgiuchide Alaeddin che ne fece la sua residenza invernale nel 1220 e chiamò la città Alaye. La città fortificata ha una triplice cinta di mura e nel porto, ai piedi della rocca, il sultano fece costruire una base navale e c’è una torre ottagonale a difesa del cantiere, detta la Torre Rossa.

Salendo verso la rocca si comincia a vedere la città dall’alto con il porto sul lato est dello sperone e la veduta diviene sempre più completa, spaziando anche sul lato ovest, quando si arriva sulla terrazza panoramica della fortezza. La cinta di mura ha 150 torri ed è ben visibile da lontano. Dentro la prima cinta ci sono le rovine di moschee, caravanserragli e bazar, nelle cinte più interne c’era il palazzo del sultano, una chiesa bizantina ed una cisterna.

Lasciata Alanya si prosegue sulla strada costiera che diventa più accidentata per i rilievi che arrivano a picco sul mare fra folte pinete che a intervalli si aprono in ampie radure coltivate con serre e bananeti nei piccoli golfi dove si scende fino al mare. Dopo 130 km, si arriva al punto più meridionale della costa ad Anamur, antica cittadina in una pianura alluvionale che i Romani chiamarono Anemurium. La città fu importante al tempo dei Romani e dei Bizantini per il suo porto e c’è un’area archeologica ed un’acropoli all’interno, oltre ad una necropoli fenicia, ma la cosa più interessate è il castello di Mamure che si trova circa 5 km ad est. Questo castello è uno dei più imponenti di tutta la Turchia. Le sue origini sono del III secolo, ma fu ricostruito prima dai crociati nel 1198 e poi nella forma attuale dai Selgiuchidi nel 1221. Subì infine alcune trasformazioni dagli Ottomani nel XVI secolo.

Il castello si trova su un promontorio sulla riva del mare. La cinta muraria conserva le merlature e le opere di difesa ed ha 39 torri e 3 cortili. Sul lato di terra vi sono delle poderose torri ed un fossato. Salendo sui cammini di ronda e sulla torre est, quella dell’ingresso, si ha una vista quasi completa della fortificazione. In uno di cortili interni c’è una piccola moschea del XIII secolo ancora utilizzata dai fedeli del luogo.

Riprendendo la strada costiera, dopo circa 30 km, dietro la cittadina di Bozyazi, si vede il castello di questo nome sulla cima di una collina. Si continua fino a Silifke da cui partono gli aliscafi per l’isola di Cipro.

 

17.2.2  SILIFKE ED OLBA E LA COSTA FINO ALLA CILICIA (1 aprile).

Silifke il cui nome deriva da Seleukeia, città fondata dal capostipite dei seleucidi, Seleuco I Nicator, si trova sulla piana alluvionale del fiume Göksu (antico Calicadno) e da una collina è dominata da un castello i cui resti sono di epoca tardo bizantina, anche se le fondamenta sono molto più antiche. Nelle vicinanze di Silifke annegò nel 1190 l’imperatore Federico Barbarossa mentre era in viaggio con la Terza Crociata.

Da Silifke si fa una deviazione verso nord per raggiungere il sito archeologico di Olba, città di origine hittita, che fu fondata da Seleuco I Nicator nel II secolo a.C. ed era luogo sacro a Zeus; sotto i Romani prese il nome di Diocaesarea. La strada per Olba è panoramica fra colline calcaree, uliveti e vigneti e abitati rurali di contadini e pastori, pinete e camping; si incontrano a tratti antichi monumenti tombali. Dopo 27 km, vicino al villaggio di Uzuncaburc c’è il sito di Olba, vicino alle case e non recintato.

Entrando da est c’è un gruppo di 5 colonne con resti di trabeazione che rappresentano i propilei; vicino è il teatro scavato nella roccia che risale al II secolo a.C. e poteva contenere 2500 spettatori. Più avanti, sul lato nord, c’è una monumentale porta romana a tre arcate, inserita una volta nella cinta muraria della città; sul lato opposto sorgono i grandiosi resti del tempio di Zeus Olbios costruito dal fondatore della città nel 295 a.C. ed è l’edificio corinzio più antico dell’Asia Minore. Il tempio è costituito da 30 colonne corinzie scanalate, alcune decorate con fregi. All’estremità ovest del sito ci sono i resti del santuario di Tyke, la dea Fortuna: 5 colonne di marmo con capitelli corinzi ed una trabeazione.

Ritornati a Silifke si riprende la litoranea verso est e, dopo 20 km si raggiunge l’abitato di Narlikuyu (baia della melagrana); vicino si possono visitare delle strane formazioni geologiche, voragini prodotte dal crollo delle volte di grotte carsiche. La prima si chiama Cehennem Deresi (Valle dell’Inferno) ed è una cavità recintata accessibile solo mediante scale di corda. La leggenda vuole che Zeus vi precipitò il gigante Typhon dopo averlo sconfitto, ma dopo lo mise nell’Etna. La seconda voragine, di dimensioni eccezionali, è detta Cennet Deresi (Valle del Paradiso) ed è resa accessibile da una scalinata scavata nella roccia che permette di scendere sul fondo coperto da una ricca vegetazione. Il luogo era nell’antichità luogo di pellegrinaggi e c’era un tempio dedicato a Zeus; nel V secolo, in epoca bizantina, fu costruita nel fondo una chiesa dedicata alla Madonna e dietro la chiesa la cavità prosegue più stretta.

Pochi chilometri più a est, vicino al villaggio di Kizkalesi, si incontrano due castelli medievali, uno sul mare, su uno scoglio a 200 m dalla spiaggia, ed uno sulla riva. Il castello sullo scoglio è chiamato “della fanciulla” per una leggenda secondo la quale un re vi aveva relegato la figlia a cui una veggente aveva predetto che sarebbe morta per il morso di un serpente. La predizione si avverò lo stesso perché un serpente vi arrivò dentro un canestro di frutta. La storia ci dice che il castello fu fatto costruire dal re armeno Leone II e fu rimaneggiato poi dai Selgiuchidi. Il secondo castello è detto di Korikos, fu costruito da un principe armeno nel XII secolo e fu usato come approdo commerciale sicuro da Genovesi e Veneziani; i due castelli una volta erano collegati da una diga.

Alla fine della mattinata, dopo circa 50 km, si passa per Mersin transitando in Cilicia.

 

17.3  LA CILICIA: DA MERSIN AD ADANA, ANTAKYA E GAZIANTEP.

1 -3 aprile 2006

La Cilicia è la regione sud-orientale della Turchia formata dalle pianure alluvionali di tre fiumi che scendono dai contrafforti dei monti del Tauro che qui risalgono verso nord-est. I fiumi sono il Tarsus (antico Cydnos), il Seyan (Sarus) ed il Ceyan (Pyramos). L’abbondanza di acqua e le precipitazioni hanno favorito lo sviluppo dell’agricoltura e specialmente la produzione del cotone che ha sostituito la pastorizia. La prima città che si incontra è Mersin, sul mare, capoluogo di provincia con più di 1,5 milioni di abitanti e principale porto mediterraneo della Turchia con raffinerie e industrie ed un moderno grattacielo da 52 piani, albergo e centro commerciale, che è  l’edificio più alto della Turchia.

Mersin non ha particolari attrattive turistiche e storiche e si prosegue per Tarso (Tarsus) sul fiume omonimo, città ben nota per aver dato i natali a S. Paolo e che per questo conserva alcuni ricordi dell’Apostolo. In una piazzetta si trova la cosiddetta Casa di S. Paolo con davanti un pozzo profondo 38 m che la tradizione vuole gli sia appartenuto e che è luogo di pellegrinaggi. In altro edificio dedicato all’Apostolo è stata restaurata la Kilise Camii, l’antica chiesa di S. Paolo di architettura armena. La tappa successiva, con cui finisce la giornata, è Adana, capitale della Cilicia e quarta città della Turchia per popolazione (2,5 milioni) dopo Istanbul, Ankara e Izmir, che si trova al centro della fertile pianura del fiume Seyan ed ha un aeroporto ed un’università. Nel 1995 è finita la costruzione di una grandiosa moschea con 6 minareti, la seconda dopo quella di Istanbul.

Il 2 aprile si parte per Antakya, l’antica Antiochia, nella valle del fiume Asi (antico Oronte) che viene dal vicino confine della Siria ad est e sbocca nel Mediterraneo in territorio turco. Nel 300 a.C. Antiochia fu capitale del regno seleucida e nel II secolo divenne un grande centro di affari del Medio Oriente con 500000 abitanti e rivaleggiava con Alessandria d’Egitto. Nel I secolo d.C. fu il principale centro di diffusione del cristianesimo poi, dopo la sua affermazione, si contrappose a Roma come centro dell’arianesimo. Nel 526 fu distrutta da un terremoto che fece più di 200000 vittime. Dopo la prima Crociata divenne capitale di un principato retto dal normanno Boemondo di Taranto, dopo tornò sotto Bisanzio e nel 1268 fu distrutta dai mamelucchi e rimase musulmana. Dopo la prima guerra mondiale rimase sotto tutela francese fino dopo la rivoluzione turca quando, nel 1939, con un referendum popolare, fu annessa allo stato turco.

La città non ha più nulla del suo glorioso passato; di interessante ha un famoso museo con una preziosa raccolta di mosaici pavimentali e parietali di case romane provenienti dalla stessa Antiochia e da altre città vicine, oltre a sarcofagi romani e reperti hittiti. Il cortile è stato ricostruito come quello di una casa romana e vi sono molti reperti del periodo ellenistico e romano. Nei dintorni della città vi sono molti castelli costruiti durante le crociate. Alla periferia, sul monte Staurlo o Montagna della Croce, in una grotta naturale c’è una chiesa rupestre che secondo la tradizione è stata fondata da S. Pietro e qui i fedeli si chiamarono per la prima volta Cristiani. Si tratterebbe quindi della prima chiesa della cristianità. La grotta fu scoperta dai crociati quando occuparono la città, ebbe una facciata conservata dai restauri e nel 1983 è stata dichiarata dal Vaticano luogo sacro.

Dopo la visita della città si riparte nel pomeriggio per Gaziantep nell’Anatolia orientale, poco a nord del confine con la Siria a circa 800 m di quota. La città è molto antica, nota dal tempo dei principati hittiti del I millennio a.C.; dopo essere stata romana e bizantina fu occupata dai selgiuchidi nell’XI secolo, poi dominata a lungo dalla vicina città siriana di Aleppo. Dopo la fine della prima guerra mondiale rimase sotto amministrazione francese fino al 1921.

Il mattino del 3 aprile si fa una breve visita della città. Su uno sperone roccioso, in parte anche collina artificiale, c’è un castello costruito al tempo di Giustiniano nel VI secolo e poi rifatto dei Selgiuchidi nell’XI e XII secolo. Ai piedi del castello c’è l’area del mercato e delle officine artigiane che lavorano il rame e l’ottone. La città si trovava sulla via della seta ed ha conservato un caravanserraglio del 1400 con un bel cortile porticato di recente restauro. La città ha anche un importante museo archeologico con una raccolta di steli funerarie e rilievi hittiti ed ospita i mosaici recuperati dalla città romana di Zeugma che due anni fa è stata ricoperta dall’acqua di una diga costruita sull’Eufrate.

Nel pomeriggio il viaggio finisce all’aeroporto di Gaziantep con un volo per Istanbul.

 

Fonte: http://www.travelphotoblog.org/ArchivioPersonale/Eurotour.doc

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TURCHIA ORIENTALE

1-9.10.2011 – 14:40 – Viaggio organizzato da PALLADIO (Arch. G. Ametrano)

 

  Il viaggio si svolge attraverso una vasta regione della Turchia nota come Anatolia orientale che comprende il bacino del Tigri e dell’Eufrate ed è limitata a nord dal Mar Nero, confina a est con Georgia, Armenia e Iran e a sud con Iraq e Siria. L’itinerario del viaggio parte da Trabzon (Trebisonda) sul Mar Nero, poi verso est fino al confine con l’Armenia, a Kars e alla città morta di Ani, capitali dell’antico regno armeno poi, più a sud, l’Ararat e i luoghi fortificati che controllavano le vie commerciali dell’est. Si scende poi al lago di Van, centro dell’antica dinastia urartea, con le sue cittadelle e i successivi insediamenti armeni e islamici. Si va quindi a ovest per raggiungere Diyarbakir, città fortificata al tempo di Costantino e centro islamico selgiuchida nell’alto corso del Tigre. Proseguendo a ovest, si entra nel bacino dell’Eufrate, fra i grandi laghi formati dalla diga di Ataturk, nell’area del regno ellenistico di Commagene con i monumenti funerari della famiglia reale di Mitridate Callinico e del figlio Antioco I Epifane. Di quest’ultimo è il mausoleo-santuario costruito sulla vetta del Nemrut Dagi. Si scende quindi a sud verso Urfa, antica Edessa, e Harran, vicino al confine siriano, dove passava la grande strada carovaniera per l’oriente e centro islamico nel periodo degli Abassidi. Poco più a nord si visita il sito archeologico di Gobekli Tape che si fa risalire all’inizio dell’agricoltura con grandi monoliti raffiguranti uomini stilizzati. Il viaggio finisce a Gaziantep con la visita al nuovo museo di Zeugma che raccoglie i mosaici di ville romane, recuperati prima che il sito fosse sommerso dalle acque dell’ultima diga sull’Eufrate.

 

  L’Anatolia, la parte asiatica della Turchia, ha avuto una storia travagliata. La prima potenza a dominarla fu quella degli Hittiti, che nel XVII secolo a.C. unificarono le piccole città-stato facendo di Hattusa la loro capitale e sostituendo gli Hatti che erano le popolazioni native. Le rovine di Hattusa si trovano 200 km a est di Ankara, vicino alla moderna città di Bogazkale. La potenza degli Hittiti raggiunse l’apice fra il XIV e il XIII secolo, si espanse fino in Siria e si scontrò con gli Egiziani di Ramesse II nella battaglia di Kadesh (1286) sulle rive dell’Oronte (Asi). Lo scontro terminò con un trattato di pace documentato sia negli archivi hittiti sia nel tempio di Amon a Tebe. L’impero hittita scomparve dopo la guerra di Troia (1200 a.C.) con l’invasione dei “popoli del mare” dall’Egeo, Hattusa fu distrutta e gli assiri scacciarono gli ultimi Hittiti dalla Siria. I Frigi sostituirono gli Hittiti nell’Anatolia centrale e i Lidi in quella occidentale.        

  Fra il IX e il VI secolo a.C., nella regione montagnosa e vulcanica, che ha al centro il lago di Van, si era affermata la dinastia urartea che si espanse occupando gran parte dall’Anatolia orientale e parte dell’Armenia, dell’Iran e dell’Iraq. Nel VII secolo arrivarono le migrazioni degli armeni indo-europei che entrarono profondamente in Anatolia. Dopo la caduta del regno assiro, nel 612, e quella di Babilonia, nel 536, arrivò il predominio del regno achemenide persiano che entrò poi in conflitto con le colonie greche della costa egea nel V secolo. Dopo Alessandro Magno, nell’Anatolia occidentale si formò il regno degli attalidi con Pergamo, che diventò un centro culturale ellenistico concorrente di Alessandria d’Egitto, e il regno del Ponto sulla costa del Mar Nero, mentre la dinastia dei seleucidi occupava la Cilicia, la Siria e la Persia. I romani, dopo le guerre puniche, cominciano la loro penetrazione nel mondo greco, alleati degli attalidi. All’estinzione di questa dinastia, ereditano il territorio e combattono Mitridate, re del Ponto. In breve, fra Augusto e Diocleziano, tutta l’Anatolia centro-occidentale entrò a far parte dell’impero romano, mentre alla frontiera orientale stavano Parti e Sassanidi. La situazione rimase stabile anche durante l’impero romano d’oriente con qualche vantaggio alla frontiera orientale. Al risveglio del mondo arabo, nel VII secolo con l’islam, oltre i confini dell’Anatolia orientale, controllata sempre dai bizantini, il califfo Omar fondò l’impero arabo conquistando Siria, Palestina, Egitto e il nuovo impero Persiano; seguì la dinastia degli omayyadi a Damasco (661-750) e la dinastia Abasside di Bagdad (750-1258).

  La prima invasione di popolazioni turche in Anatolia fu quella proveniente dalle steppe dell’Asia fra l’Aral e gli Altai, guidata dalla dinastia Selgiuk che nel 970 si era convertita all’Islam. Dopo aver esteso la sua influenza sull’Iran e il califfato abasside di Bagdad, nel 1071 affrontò e sconfisse l’esercito bizantino a Melazgirt (Manzikert) a nord del lago di Van e arrivò fino a Nicea (Iznik) minacciando Costantinopoli. Con la prima crociata, fu presa Nicea e in Anatolia si formarono gli stati crociati di Antiochia (Antakya/Hatay) e Edessa (Urfa) fino alla conquista di Gerusalemme. I selgiuchidi si consolidano nell’Anatolia centrale in Cappadocia creando un sultanato con capitale Konya dove sorse una scuola filosofica mistica islamica che creò l’ordine dei Dervisci danzanti. Nel 1204, durante la Quarta crociata, i Veneziani conquistarono Costantinopoli cacciando l’imperatore Andronico I dei Comneni e i figli crearono un piccolo regno a Trebisonda (Trabzon) sul Mar Nero protetta dai monti che resistette ai selgiuchidi e, solo nel 1461, fu conquistata dagli ottomani di Maometto II. Nel frattempo, nel 1241, i selgiuchidi crollarono con l’arrivo dei Mongoli di Gencis Khan che dall’Armenia passarono per Erzurum e saccheggiarono Kayserei (antica Cesarea), imponendo tributi ai selgiuchidi. Poi, dall’Egitto venne l’invasione del sultano Baybars con i mamelucchi, ex schiavi turchi, che occupò lo stato crociato di Antiochia nel 1268 e l’impero selgiuchide si divise in piccoli khanati secondo il modello mongolo. Con l’esaurirsi delle crociate, gli stati creati in Anatolia caddero in mano ai turchi. Edessa era caduta già nel 1144.  Fra gli emirati che si erano stabiliti nell’Anatolia nord-occidentale, c’era quello dei turchi ottomani che all’inizio del 1300 crearono la dinastia osmanica con capitale Bursa. In breve attraversarono i Dardanelli e occuparono Adrianopoli (Edirne) che divenne la nuova capitale del sultanato ottomano di Murad I. Questi, con la vittoria sui Serbi e Bulgari a Kosovo, nel 1389, ottenne il pieno controllo dei Balcani. Morto assassinato Murad I, il figlio Bayezid I conquistò la Bulgaria e assediò Costantinopoli, ma a questo punto i mongoli di Tamerlano erano entrati nell’Anatolia da oriente e imponevano tributi. Bayezid li affrontò nel 1402 presso Angora (Ankara) ed ebbe una disastrosa sconfitta, fu preso prigioniero e poco dopo ucciso. Tamerlano, sazio dei saccheggi si ritirò in Asia. La dinastia ottomana si consolidò con il successore Mehmet (Maometto) II che conquistò Costantinopoli nel 1453 e ne fece la sua capitale. Da questo momento sorse l’impero Ottomano che doveva durare fino al suo crollo alla fine della prima guerra mondiale. Dopo aver raggiunto il suo apice con Solimano il Magnifico (1520-1566) fino a minacciare Vienna nel 1529, l’Impero ottomano si estendeva dai Balcani all’Egitto e la Persia, i paesi arabi e l’Africa del nord fino all’Algeria. Dopo la battaglia di Lepanto (1571), nel 1600 iniziò la sua decadenza per la pressione da nord dell’Austria sui Balcani e della Russia sul Mar Nero. Nel 1683, fallì il secondo assedio a Vienna, l’Ungheria tornò agli Asburgo, la Morea (Peloponneso) passò a Venezia, la Russia occupò la Crimea nel 1783. Nella campagna di Napoleone del 1798-99, l’Egitto fu occupato e le truppe francesi arrivarono fino in Siria. Nella prima metà del 1800 iniziò il crollo dell’impero. Nel 1821-29, si svolse la guerra terminata con la liberazione della Grecia (pace di Adrianopoli). La guerra di Crimea (1854-56) scoppiò, per la richiesta della Russia sotto Nicola I, di un protettorato sui cristiani ortodossi nell’Impero turco, questo ebbe per alleati Inghilterra e Francia, a cui si aggiunse il Piemonte (regno di Sardegna), la guerra si concentrò all’assedio e la conquista di Sebastopoli, e portò alla neutralizzazione del Mar Nero con la chiusura dei Dardanelli a tutte le navi da guerra. Nella successiva guerra russo-turca del 1877-78, i russi avanzano fino a Costantinopoli, ma intervenne l’Inghilterra e la Russia si ritirò e ottenne la Bessarabia fino alle foci del Danubio e parti dell’Armenia con Kars. Sotto la pressione delle potenze europee, il sultano concesse l’uguaglianza di tutti i sudditi di qualsiasi etnia e religione, ma crebbero sempre più le richieste di indipendenza degli stati soggetti. Anche all’interno della Turchia, all’inizio del 1900, si creò il movimento dei Giovani Turchi per un governo costituzionale. Allo scoppio della Prima Guerra mondiale ci fu la persecuzione delle popolazioni armene in Anatolia e i Russi invasero la Turchia dalla frontiera orientale dal 18 aprile 1916 fino al 24 febbraio 1917. Alla fine della guerra, l’impero ottomano, uscito sconfitto con Istanbul occupata da Francesi e Inglesi e minacciato di spartizione da Grecia e Armenia, fu scosso dalla rivolta del Movimento Nazionale Turco con le forze armate guidate da Mustafa Kemal Pascià che stabilì ad Ankara un nuovo parlamento iniziando la guerra di liberazione, sul fronte est contro gli Armeni e a ovest contro i Greci che avanzavano da Smirne (Izmir). Il successo delle forze turche su ambedue i fronti e la conquista di Smirne portò al Trattato di Losanna, firmato il 24 luglio 1923, che riconosceva il nuovo governo turco. Il 29 ottobre del 1923 è stata proclamata la nuova Repubblica di Turchia.

 

  Nell’Anatolia orientale iniziavano le strade commerciali verso l’estremo oriente, rami della Via della Seta, e nell’Anatolia orientale, hanno le loro sorgenti i grandi fiumi del Tigri e dell’Eufrate. Questa regione è oggi la parte più povera e feudale della Turchia abitata da minoranze come gli Armeni e i Curdi, dedita principalmente all’agricoltura con grandi proprietari e con una classe media modesta e una società tradizionalista.          

                                                                                                       

53.1  DA TRABZON A ERZURUM.                                                                                          

 

 

Il viaggio inizia il giorno 1 ottobre arrivando di sera in aereo, via Istanbul, a Trabzon (antico nome Trebisonda), porto sul Mar Nero e maggiore città della Turchia orientale con 450000 abitanti. La città è ricordata nell’Anabasi di Senofonte, con il nome di Trapezunte, come luogo di arrivo nella ritirata dei circa 10000 mercenari greci assoldati nel 401 a.C. da Ciro il Giovane per sostituire nel trono di Persia il fratello Artaserse II. Dopo la vittoria di Cunassa dei Greci, la morte di Ciro e l’assassinio a tradimento dei comandanti greci, Senofonte guidò la ritirata verso il mare, attraversando l’Armenia e raggiunse Trapezunte. Nel 1204 Trabzon fu capitale di un regno dei Comneni, dopo la loro scacciata da Costantinopoli con la quarta crociata. Non si visita la città che ha poche attrattive e, il giorno dopo il pernottamento, si parte in pullman per visitare il monastero di Sumela nella valle di Altindere che attraversa i monti del Ponto alle spalle della città.  La strada è quella delle antiche carovaniere per Erzurum e questo è il percorso, di circa 300 km, che si farà in questa giornata. Il monastero si trova vicino al passo di Zigana e si vede a distanza, su una parete di roccia a 1200 m s.l.m. e a 300 m dal fondo valle, in un panorama di boschi e vette innevate che sono oggi Parco Nazionale. Il monastero fu costruito nel V secolo da monaci greci-bizantini per custodire un’icona della Vergine Maria. Il nome Sumela deriverebbe da melas che significa oscuro con riferimento alle vicine Montagne Nere o al colore scuro delle icone che rappresentano la Madonna Nera. Il monastero fu completato nel XIII secolo ed ebbe il momento di massimo splendore durante il regno di Alexius III (1349-1390) dei Comneni con capitale Trabzon. Dopo la conquista ottomana di Trabzon, nel 1461, il sultano Maometto II riconfermò i privilegi del monastero. Nel XVIII secolo fu restaurato e le mura decorate con affreschi e fu anche ingrandito nel XIX secolo aggiungendo altri edifici. Fu occupato dai Russi, con l’invasione della Turchia dal 18 aprile 1916 al 24 febbraio 1918 e fu abbandonato dopo la rivoluzione di Ataturk nel 1923, quando con il trattato di Losanna ci fu lo scambio di popolazioni fra Grecia e Turchia. Crolli, incendi e incuria lo hanno ridotto in condizioni precarie, ma dichiarato “Bene da conservare”, è stato iniziato il restauro con l’aiuto dell’UNESCO, è diventato museo e non ci sono più monaci.                 

  Si raggiunge il monastero seguendo un sentiero fra i boschi e si arriva in uno stretto piazzale sotto la parete del monastero. Appoggiata alla parete, c’è una serie di arcate che costituiscono l’acquedotto e si entra al monastero da una lunga e stretta scala lungo la parete. Dopo l’ingresso, si trovano a destra gli edifici della facciata esterna visibili da lontano, con il corpo di guardia, le celle dei monaci, le cucine e i locali degli ospiti. Questa è la parte costruita nel 1860. Una scala scende al cortile interno, dove si trova la parte antica con la chiesa in grotta, diverse cappelle, la biblioteca e le sorgenti sacre venerate dai greci-ortodossi. Le pareti esterne della chiesa e quelle interne della grotta sono ricoperte da affreschi dipinti in tre strati in periodi diversi del XVIII secolo e i più antichi sono i migliori. Gli stili sono insieme della scuola bizantina e georgiana. I soggetti sono scene bibliche della vita di Gesù e della Vergine Maria. All’esterno sono un’Annunciazione e una Natività, all’interno la Dormizione della Vergine, Daniele nella fossa dei leoni, Santi e Vescovi.

  Alle 10:15 si lascia il monastero, si riprende il pullman seguendo il fondo della valle lungo il corso del fiume. Si fa sosta in un ristorante nella vallata e alle 12:00 circa si riprende il viaggio. Lasciata la catena montuosa del Ponto, la strada prosegue verso Erzurum. Alle 15:00 circa, si passa per Bayburt, capoluogo di provincia, dominato dai resti di un castello bizantino e attraversato dal fiume Coruh. Sulla piazza c’è un antico minareto. Alle 17:00 circa, si raggiunge Erzurum a 1750 m, la città più fredda della Turchia perché a sud sorge la catena del Palandoken che supera i 3000 m, centro di sport invernali, dove si trovano le sorgenti dell’Eufrate. Nel IV secolo al tempo di Teodosio I, la città si chiamò Teodosiopoli ed era il confine con la Persia. Nel V secolo era una città armena fra bizantini e sassanidi. Nel VII secolo, arrivò la dominazione araba degli Abassidi. Nel X secolo, con la riconquistata indipendenza degli armeni, fece parte del loro regno. Nel secolo XI, arrivarono i selgiuchidi che lasciarono la loro impronta nelle grandi moschee.                               

  Il centro cittadino offre i resti della Cittadella bizantina con le sue mura massicce, la Grande Moschea (Ulu Camii) del XII secolo, la Scuola Coranica (Madrasa), più antica (in restauro) con due minareti, e un’altra del XIV secolo che aveva pure due minareti, ma uno è crollato, e un magnifico ingresso con arco decorato. Su un lato è scolpito un simbolo selgiuchide con leoni, palme e un’aquila bicipite.                              

  Si pernotta all’Hotel Polat Renaissance.    

               

53.2  KARS, ANI E IL CONFINE ARMENO.

                                              

  Lasciata Erzurum, il mattino del 3 ottobre, si sale a nord-est verso il confine armeno e, dopo circa 4 ore, si raggiunge Kars alle 11:00. Oggi capoluogo di provincia, Kars è stata capitale della dinastia armena dei bagratidi fra il 928 e il 961, poi occupata da bizantini e selgiuchidi. La città è dominata da una collina rocciosa sulla cui sommità si trova una fortezza le cui forme attuali sono del XIII secolo. Nel 1387 la città fu presa da Tamerlano che danneggiò le fortificazioni, poi nel 1534 passò agli ottomani che, nel XVIII secolo, ricostruirono la fortezza facendone una cittadella. Con la guerra russo-turca (1877-78) i russi attaccarono la fortezza di Kars e, con la Pace di Santo Stefano la città e una vasta regione passarono sotto la Russia. I confini furono ricostituiti dopo la rivoluzione russa e il trattato di Brest-Litowsk (3 marzo 1918). L’occupazione russa di Kars ha lasciato la sua impronta nella città nel quartiere con abitazioni di architettura russa fine ottocento.         

  La visita della città inizia dalla cittadella, salendo sulla collina da dove si può osservare il panorama con il fiume Arpa Cayi che l’attraversa e l’antica chiesa armena dei Santi Apostoli trasformata in moschea. Si attraversa la porta della cittadella e si entra nel grande cortile circondato dai bastioni ottomani. Si scende poi al centro cittadino all’antica chiesa dei Santi Apostoli costruita da re Abbas della dinastia dei Bagratidi nel X secolo, in pietra basaltica e con cupola conica intorno alla quale sono scolpite le figure dei dodici apostoli. L’interno è a pianta centrale a quadrifoglio. Nel 1064, alla conquista dei selgiuchidi, fu trasformata in moschea. Fu riconvertita in chiesa cristiana ortodossa durante il dominio russo, dal 1878 al 1918 (40 anni). Dal 1969 al 1980 fu usata come museo e, dal 1994, è stata riaperta come moschea Kumbet, mantenendo tutte le modifiche architettoniche subite nel corso della sua storia. Nell’interno si nota la cupola sferica sotto la copertura conica esterna. In città è stato eretto un monumento al presidente della vicina repubblica dell’Azerbaijan. Dopo il pranzo, lasciando la città, si osservano le caratteristiche costruzioni di stile russo costruite nel periodo dell’occupazione.                       

  Il pomeriggio è dedicato alla visita delle rovine di Ani, presso Ocakli, una città abbandonata che era stata nel medioevo una delle più importanti città sulla via della seta. La costruzione della città risale a diversi secoli prima di Cristo. Nel X secolo era stata, dopo Kars, capitale della dinastia dei bagratidi, difesa da due lati dai canyon di due fiumi, l’Arpa Cayi e l’Alaca Suyu e, nel terzo da una doppia muraglia con torrioni costruita durante la dinastia. La città era ricca per i commerci e la sua posizione strategica e, nel periodo del suo massimo sviluppo, fino al secolo XI, vi erano da 100 a 200 mila abitanti. La decadenza venne con quella della dinastia armena, il dominio dei bizantini e poi l’arrivo dei selgiuchdi che, nel 1064, saccheggiarono la città ma poi restaurarono e rinforzarono le mura e trasformarono la cattedrale in moschea. I turchi costruirono palazzi, caravanserragli, bagni e la loro architettura ha lasciato una più duratura impronta. Dal 1124, una dinastia georgiana cristiana alleata dei turchi governò a periodi alterni e l’economia rifiorì. Nel 1236 i mongoli saccheggiarono la città, che da questo momento divenne loro tributaria. Vennero delle dinastie turche, alla fine del 1300 arrivò Tamerlano, nel 1534 entrò a far parte dell’impero ottomano. Dal1877 al 1917 fu occupata dai Russi. A metà del 1600, Ani era una piccola città e, un secolo dopo, era ormai abbandonata. I primi scavi sono stati eseguiti durante l’occupazione russa, nel 1893-94 e nel 1904-17 e poi continuati dai Turchi dopo la rivoluzione del 1923, fino ad oggi. La città è oggi un monumento storico, religioso e archeologico, museo all’aria aperta frequentato dal turismo internazionale.                            

  Si entra dalla doppia cerchia muraria in gran parte restaurata. Appena entrati, vi sono descrizioni e mappe e si attraversa la Porta dei Leoni nella seconda cerchia più interna. Dall’interno si vede la facciata della torre con il simbolo sergichida della svastica. L’area è vastissima e si vedono numerosi monumenti. Il più vicino è la Chiesa del Redentore costruito nel 1034-36 al tempo dei bizantini. Nel 1957, fu lesionato durante un temporale e una metà è crollata e, dal lato opposto si può vedere l’interno. La chiesa a pianta centrale, coperta a cupola, aveva all’interno 6 cappelle.                            

  Fuori dai limiti della città, sul lato nord si apre uno dei canyon che la difendeva, oltre, si vedono delle grotte che erano abitate in epoca neolitica, testimoniando l’antichità del luogo. Tornando all’area archeologica, ci sono i resti di un bagno turco (Hamam) di epoca selgiuchida e una pianta. Più a est, c’è il secondo canyon, in fondo al quale scorre il fiume Arpa Cayi che qui rappresenta anche il confine con Turchia e Armenia, nel pendio, si trova una seconda chiesa. Si tratta della chiesa dedicata a San Gregorio l’Illuminatore e costruita nel 1215 da un ricco mercante durante il periodo georgiano. Sulla torre e sulla facciata est vi sono decorazioni di animali in rilievo in stile turco ripresi dal calendario degli animali. All’interno si può vedere la cupola sferica racchiusa all’esterno da un cono.                    

  Spostandosi a ovest si raggiunge la Cattedrale trasformata in moschea dai selgiuchidi. La costruzione è opera dell’architetto armeno Tiridates del X secolo che, nel 989, aveva lavorato al restauro della chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli dove era crollata la cupola. La basilica di Ani è a tre navate con cupola (crollata), di dimensioni imponenti ma leggere e resistenti ai sismi, aventi pareti a doppio rivestimento in lastre di pietra e l’intercapedine riempita da malta e pietre (muratura a sacco).                    

  Si lascia il sito di Ani alle 16:30 circa e si prosegue verso sud-est per raggiungere Dogubeyazit, vicino ai confini dell’Armenia e dell’Iran e in vista del Monte Ararat, dove si giunge a tarda sera e si pernotta all’Hotel Simer.

 

53.3  LA FRONTIERA ORIENTALE E IL LAGO DI VAN.     

 

  Il mattino del 4 ottobre si può osservare il panorama nei dintorni dell’albergo dominato a nord dal monte Ararat (nome turco: Agri Dagi) di 5165 m, il più alto della Turchia, accompagnato, a est, da un secondo picco (il Piccolo Ararat) di 3925 m. Dal 1920 il massiccio si trova interamente in territorio turco. Dogubeyazit è una città di confine, vicina all’Armenia e all’Iran. I signori del luogo controllavano le strade commerciali verso l’oriente, diramazioni della Via della Seta, e furono soggetti ai Selgiuchidi e poi agli ottomani che nominarono come loro funzionario l’Ishak Pasa Sarayi. Il suo palazzo fortificato si trova su un monte a sud della città che porta lo stesso nome e si raggiunge in circa un’ora di pullman, alle 9:00. Intorno al monte sono diverse costruzioni dell’antico insediamento selgiuchide con una moschea. Il palazzo, completato nel 1784, è ora in restauro per essere stato abbandonato da molto tempo. Ora è considerato monumento nazionale e aperto al pubblico. Si entra dalla Porta della Corona, di stile selgiuchide, in un primo cortile che era il corpo di guardia. A destra un grande portale con l’ingresso alla Moschea privata del Pasa della quale si vede la cupola dal cortile, in fondo l’ingresso monumentale agli appartamenti privati diviso nelle sezioni per gli uomini e le donne. Poiché molti soffitti erano crollati, nel restauro è stata creata una struttura di legno e vetro di protezione. Visitando le stanze private si possono osservare le decorazioni turche selgiuchide alle pareti e i sistemi di riscaldamento, camini nelle stanze, ma anche un sistema centralizzato ad aria calda sotto il pavimento e nelle pareti. C’è anche un’originale latrina alla turca.                        

  La visita del palazzo dura un’ora e, alle 10:00 circa, si riparte per il sud verso il lago di Van accompagnati ancora per qualche tempo dalla vista delle vette del Grande e Piccolo Ararat. Prima di arrivare al lago si sosta alle cascate di Muradiye, dove un fiume confluisce con un altro formando delle belle cascate. Un ponte sospeso attraversa il fiume che riceve le cascate e così si possono osservare da ambedue le sponde. Lasciata Muradiye, si prosegue verso il lago che si costeggia per un buon tratto fino alla città di Van, capitale della regione.                              

  Il lago di Van è il più grande della Turchia, quasi un mare interno, posto a un’altitudine di 1640 m e circondato da montagne alte 3000 m. Non avendo emissari, è salato ed ha un’area di 3755 kmq. Nella regione del lago di Van si era affermato il regno di Urartu fra il IX e il VI secolo a.C. con capitale Tuspa in una cittadella fortificata su una cresta di roccia calcarea all’interno del territorio di Van. Il regno di Urartu durò dall’840 al 580. Fu antagonista degli Assiri e si estese dall’Anatolia orientale e parte dell’Iraq e dell’Iran. Il crollo fu provocato dagli Sciti alla fine del VII secolo d.C.. Molti secoli dopo, la cittadella fortificata è stata riutilizzata nel periodo cristiano e poi dai selgiuchidi e dagli ottomani, che vi eressero una fortezza.                             

  Le rovine della città di Tuspa sono incluse in un parco che circonda il sito archeologico. Dal parco si ha la panoramica delle fortificazioni. Sulla destra sorge la parte più alta e antica, detta Osservatorio degli Urartei, un insieme impressionante di torri di fango e paglia, verso sinistra, vi sono le fortificazioni selgiuchide e ottomane e un minareto. Nella parte più antica si trovano i sepolcri reali degli urartei fra cui quella di Argisti I (790-765 a.C.). Si tratta di una tomba a camere, scavata nella roccia, in una parete verticale di difficile accesso. La camera è spoglia e vi sono nicchie e camere laterali. Sulla parete di roccia esterna vi sono iscrizioni in caratteri cuneiformi. Dopo la tomba, si sale verso la cinta delle mura ottomane preceduta dalla porta d’ingresso alla cittadella. Dall’alto si vedono la vallata, il lago e la città di Van. In fondo si vede il Suphan Dagi di 4058 m, la seconda montagna più alta della Turchia, a nord-ovest del lago. Un sentiero sale fino alla fortezza ottomana sulla piattaforma panoramica. L’unico resto notevole è un minareto della vecchia moschea. Nella vallata opposta al lago, si stende un altro quartiere di Van. La città di Van fu distrutta dai Russi durante la guerra 1915-17.                            

  Si pernotta a Van al Tamara Hotel.            

 

53.4  MUSEO DI VAN, ISOLA DI AKDAMAR E CAVUSTEPE.  

 

  La mattina del 5 ottobre inizia con la visita del Museo Archeologico di Van dedicato alla civiltà degli urartei che furono il primo popolo a unificare politicamente questa regione. La regione era ricca di miniere di ferro, rame e argento e divenne centro di una tecnologia avanzata nella lavorazione dei metalli dimostrata dal ritrovamento di numerosi manufatti. Uno dei più importanti centri urartei fu la fortezza di Cavustepe costruita fra il 756 e il 730 durante il regno di Sarduri II. Gli scavi sono stati eseguiti fra il 1961 e il 1984 e hanno scoperto una cittadella superiore e una inferiore con tre strati di insediamenti. La parte alta si trova a est, ha una forma quadrata, alta 30 m con murature in blocchi di calcare ben squadrati. La cittadella bassa si stende secondo l’asse est-ovest, vi sono i magazzini, l’area templare e infine il palazzo in diverse sezioni e le cisterne. Un altro insediamento fortificato è quello di Yoncatepe della prima età del ferro su una collina 9 km a sud-est di Van, scavata fra il 1997 e il 2007. Oltre all’area residenziale è stata trovata una necropoli al margine nord della collina. Nel museo vi sono vetrine con manufatti di ferro, gioielli, braccialetti e specchi. Tredici steli di pietra scolpita, mai viste in altre parti dell’Anatolia, sono state trovate nel 1998 al centro della città di Hakkari nell’estremo sud-est della Turchia. Le steli sono su lastre di pietra fra 0,7 e 3,1 m di altezza e rappresentano figure umane frontali nella parte superiore del corpo, senza le gambe. Undici di esse rappresentano guerrieri con spade, lance e asce. Due steli rappresentano figure femminili senza braccia. Le steli sono state scolpite con tecniche e stili differenti fra la metà del XV e XI secolo a.C.. Tutte le steli sono esposte nel museo e una foto ne riporta alcune. Nell’altipiano di Trishin, che si trova a 120 km a sud del lago di Van, sono state trovate rocce scolpite e dipinte con uomini e animali preistorici datati nel Mesolitico (9000-8000 a.C.), Neolitico (8000-5500 a.C.), Calcolitico (5500-3200 a.C.), prima età del bronzo (3200-2000 a.C.) e periodi successivi. Vi sono figure di animali estinti, come bisonti e alci, e scene realistiche di caccia con le tecniche usate. Un importante punto di riferimento per la preistoria dell’Anatolia orientale è il tumulo di Tilkitepe, che si trova 7 km a sud della città di Van, alto 6-7 m con un diametro di 55 m. Scoperto durante una spedizione archeologica del 1899 e scavato nel 1937, i reperti dimostrano l’esistenza di tre strati culturali e consistono in un gran numero di scheletri e molte ceramiche e stoviglie. Nelle vetrine del museo si trovano esemplari di queste ceramiche, tavolette con scrittura cuneiforme, e anche vesti del periodo selgiukide, testi islamici e contenitori di vetro per profumi e unguenti.                    

  Finita la visita al museo, si parte con il pullman per l’imbarco all’isola di Akdamar nel lato sud del lago. L’isola, nel X secolo faceva parte di un regno armeno cristiano al tempo di Gagik I che, essendo tributario del califfo di Bagdad, si era staccato dal regno dei baratidi e trasferito nell’isola. Qui aveva eretto, accanto alla sua residenza della quale non è rimasto nulla, la chiesa della Santa Croce costruita, fra il 915 e il 921, da un architetto, noto come Monaco Manuele, insieme ai suoi confratelli. Per le decorazioni in rilievo sulle facciate, è considerata un tesoro dell’arte, proprietà del Patriarcato armeno.                        

  Dal punto d’imbarco, un battello ci traghetta all’isola a circa 2 km dalla riva. Si arriva alle 11:00 e si sale per la visita. La chiesa è a pianta cruciforme, internamente ha una cupola coperta all’esterno da un cono. Ha due ingressi, uno a sud e uno a ovest. La chiesa fu trasformata in monastero nel 1131, la torre campanaria a sud è stata aggiunta più tardi nel 1800. I rilievi sulle facciate rappresentano storie religiose e mitologiche del Vecchio e Nuovo Testamento, vi sono animali, fregi molto elaborati e figure di santi. Nella facciata sud, a sinistra, c’è la storia di Giona con la balena, a destra, quella di David e Golia. La costruzione è in tufo rosso, le strutture si vedono all’interno, nella cappella d’ingresso e nel corpo principale. Vi sono diversi dipinti fra cui quello di un santo monaco con una croce armena a doppie punte, ripresa dai crociati e usata, modificata, dai Cavalieri di San Giovanni, poi di Rodi e poi di Malta.                              

  Si lascia l’isola alle 12:40 e, ripreso il pullman, si torna verso Van, ma si fa una deviazione per visitare il sito archeologico di Cavustepe. Questo palazzo fortezza si trova circa 40 km a sud-est di Van su una collina calcarea e molte informazioni si sono avute durante la visita al Museo Archeologico di Van. Il complesso ha una lunghezza di 800 m e un orientamento da est a ovest, è stato costruito nel secolo VIII a.C. al tempo di Sarduri II. Si sale sulla collina dal lato est, dove si trova la parte fortificata, indicata come la Rocca superiore, di forma quadrata, costruita con mura spesse e bastioni, alti circa 30 m in blocchi di calcare ben squadrati e connessi che mostrano l’abilità dei costruttori. Dopo inizia la cittadella inferiore, la parte più importante dell’insediamento, difesa da mura a contrafforti e un fossato, formata da una successione di piattaforme che hanno spianato il terreno. Si comincia con la zona dei magazzini delle derrate, dove si vedono le tracce di grandi orci interrati in due sezioni, quindi l’area templare con la piattaforma di un tempio e un’area sacrificale con pietra circolare e foro centrale dove colava il sangue delle vittime che finiva poi nel pendio esterno all’ara. Poco più avanti è il tempio principale con un muro di blocchi basaltici levigati. Le dimensioni esterne sono 10x10, quelle interne della cella di 4,5x4,5 m. Su alcuni dei blocchi di basalto, vicini all’ingresso, vi sono delle iscrizioni in caratteri cuneiformi molto accurate. Dopo la zona templare, c’è quella residenziale, le cucine e le camere del palazzo, dove si sono ritrovati oggetti di uso comune, quindi un complesso di cisterne per l’acqua con diverse larghe aperture, collegate fra loro da gallerie sotterranee. Lungo il percorso si trovano dei vasi di pietra sacrificali dove gli urartei offrivano animali agli dei.                               

  Alle 16:30 si riprende il pullman per tornare a Van, dove si rimane per l’ultima notte.   

               

53.4  DAL LAGO DI VAN A DIYABAKIR

 

  Il mattino del 6 ottobre si lascia Van e si va verso la zona nord del lago girando in senso antiorario. La destinazione è la cittadina di Ahlat per visitare una moschea e, proseguendo, un cimitero selgiuchide. Il percorso è piuttosto lungo e si impiegano 3 ore, dalle 7:00 alle 10:00. Ahlat è un luogo che è stato conquistato in successione da tutti i popoli che sono passati in questa regione, dagli urartei agli ottomani. Vi sono due moschee, la più antica, in posizione elevata, è la Ulu Camii (Grande Moschea), detta di Adilcevaz del periodo selgiuchide, costruita su una chiesa diroccata. Rimasta inutilizzata per molto tempo e ridotta in cattivo stato, è stata restaurata da una fondazione. L’interno ha una bella struttura in pietra ad arcate e ci sono il mihrab e il pulpito dell’iman. La seconda moschea, in basso, di fronte al lago, è la Zal Pasa Camii ottomana progettata dall’architetto Sinan del tempo di Solimano il Magnifico e restaurata recentemente nel 1968.

   Lasciata Ahlat, si prosegue seguendo prima la riva del lago e poi lasciandolo fino a Bitlis, nelle cui vicinanze si trova il sito di un antico cimitero selgiuchide, ora in fase di restauro e documentazione, che raccoglie monumentali pietre tombali del secolo XI decorate su lastre verticali di pietra vulcanica. Un cartello con la cronologia del sito ricorda che le prime tombe islamiche sono del tempo del califfo Omar nel 641, i Selgiuchidi iniziarono nel 1071, nel 1244 arrivarono i Mongoli e nel 1387 Tamerlano. Le ultime pietre tombali sono del 1514. Le decorazioni sono sul lato anteriore, sul lato posteriore è decorato un portale, come un mihrab.                    

  Alle 12:00 circa, si lascia il cimitero e si prende la strada per Diyarbakir, verso sud ovest abbandonando l’altopiano di Van. Dopo Baykan s’incontra un ponte selgiuchide a schiena d’asino sul Batman Cayi, un affluente del Tigri (Dicle), in corso di restauro; fu costruito nel 1147 dalla dinastia artukide del XII secolo. Alle 17:00 circa si arriva a Diyarbakir, posta su un altipiano basaltico e vicina al fiume Tigri. La città, capitale di provincia, al centro del Kurdistan turco, è una zona di transizione fra quelle settentrionali degli altipiani montagnosi e le pianure della Mesopotamia. La città è circondata da una cinta muraria di basalto nero costruita in origine dall’imperatore Costantino nel 349 per difenderla contro i sassanidi, già restaurata più volte e ben conservata. Nel centro cittadino, occupato dal grande Bazar, si trovano diverse moschee tra cui la Nebil di architettura ottomana con l’esterno a strisce bianche e nere e la Ulu del periodo selgiuchide. Si entra in un vasto cortile con edifici in pietra scura a due piani e portici su due lati, in mezzo vi sono le fontane per le abluzioni, negli altri due lati la moschea e una chiesa del V secolo, la prima a essere cambiata in moschea con il suo campanile trasformato in minareto. C’è anche un antico minareto selgiuchide.                           

  Si pernotta al Dedeman Hotel.                                                       

                                            

53.5.  L’ALTO CORSO DELL’EUFRATE E NEMRUT DAGI

                       

  Il mattino del 7 ottobre, si lascia Diyarbakir in direzione ovest, dove si trovano i laghi formati dall’Eufrate (Firat), nelle province di Adiyaman e Malatya, con la costruzione della Diga di Ataturk.                           

  La diga si trova a sud, presso la città di Bozova, nella provincia di Sanliurfa, è alta 169 m e lunga 1820 m. Il progetto di sviluppo per l’Anatolia sud-orientale (GAP) fu presentato nel 1970, la diga fu iniziata nel 1985 e finita nel 1987 e il riempimento dell’invaso è durato fino al 1990. La potenza idroelettrica installata è di 2400 MW con 8 turbine e gruppi da 300 MW. I laghi dell’invaso a monte occupano 817 kmq. Più di 55000 persone sono state costrette ad abbandonare le loro abitazioni e ricollocarsi in altre comunità, i laghi sono diventati riserve di pesca con grande potenziale di sviluppo, aperti al turismo e agli sport. Tutta la zona era stata occupata da antiche civiltà, dagli Hittiti ai Turchi e molti siti storici e culturali sono stati ricoperti dalle acque come l’antica città di Samosata, capitale del regno di Commagene, nella provincia di Adiyaman, sommersa nel 1989. Una città con lo stesso nome (Samsat) è stata fondata per gli abitanti. Nei luoghi dell’invaso, si è provveduto preventivamente al recupero di molti monumenti e testimonianze del passato.

  La giornata è dedicata alla visita dei luoghi dell’antico regno di Commagene formatosi fra le montagne del Tauro e l’Eufrate dopo la caduta dell’impero seleucita con la battaglia di Magnesia del 188 a.C. contro i Romani. Nel 163 il satrapo locale Ptolomaeus di Commagene si rese indipendente ma era minacciato sia dal più potente regno ellenistico di Pergamo sia dalle dinastie persiane dei Parti. Mitridate I Kallinikos (Vincitore), che regnò fra il 109 e il 62, preservò la pace e l’indipendenza del regno facendo una politica accorta e mettendo in risalto i comuni legami dinastici e religiosi con greci e persiani. Lo stesso fece il figlio Antioco I Epifane fino al 36 a.C., che si alleò anche con i romani di Pompeo Magno. Il regno divenne poi tributario dei Romani sotto Augusto e fu annesso all’impero Romano nel 72 d.C. da Vespasiano.    

  Alle 9:30 circa si arriva al grande invaso della diga e si attraversa con un traghetto in circa 30 minuti. Ci vogliono circa 50 minuti di percorso per salire alle colline, dove sono le tombe della dinastia. La prima è il tumulo di Karakus Tepe (collina dell’aquila). Qui sorgeva il sepolcro di tre signore della casa reale di Mitridate I. Ai piedi della collina c’è una colonna con un’aquila dedicata alla figlia del re. Girando intorno alla collina, si trovano in successione, una coppia di colonne, con un toro sulla sommità di una, dedicata alla madre e un terzo gruppo, con un leone a terra e una colonna isolata, dedicato alle sorelle. Lasciata la collina, si scende nella valle e si passa vicino al Ponte romano Cendere, costruito al tempo di Settimio Severo (II-III secolo d.C.) su un affluente dell’Eufrate su cui oggi arriva un ramo dell’invaso prodotto dalla diga. Il ponte è stato restaurato, ma sono rimaste molte pietre originali e tre delle quattro colonne alle due estremità. Le colonne erano dedicate ai membri della famiglia dell’imperatore, la quarta colonna era stata abbattuta per cancellare la memoria del fratello Geta ucciso da Caracalla (damnatio memoriae). Sulle colonne vi sono ancora le iscrizioni romane. Il ponte, a un solo arco, era nel punto più stretto all’uscita di una gola del fiume. Lasciato il ponte romano, si attraversa l’affluente su un ponte moderno e si va verso Eski Kale, nei luoghi dell’antica capitale fortificata Arsameia del regno di Commagene nel periodo ellenistico (dal III al I secolo). Salendo a piedi su una collina si trovano i luoghi di culto della tomba di Mitridate I. Si incontrano un cartello e delle steli commemorative, poi un tunnel chiuso e una stele scolpita in rilievo che rappresenta Mitridate I che stringe la mano di Heracles. Sulla roccia c’è una lunga iscrizione in greco. Si ridiscende la collina e si riprende il pullman alle 14:30 circa, per l’ultima e più importante destinazione: il Monte Nemrut (Nemrut Dagi) con il mausoleo-santuario di Antioco I.                             

  Il monte è alto 2150 m e Antioco I ne aveva tagliata la sommità per mettere il suo sepolcro e lo aveva ricoperto di nuovo con le pietre tolte formando una piramide di 50 m. Ai piedi della piramide aveva creato due terrazze principali. In quella a est, al sorgere del sole, si trovano sedute in trono le statue del re Antioco e delle divinità equivalenti greche e persiane fra i simboli del potere, aquila e leone. Le statue, sedute su troni, erano alte da 8 a 9 m ma tutte le teste sono cadute e disperse. L’allineamento iniziava a sinistra con un leone e un’aquila, simboli della dinastia, seguiva il re Antioco I con il copricapo reale, la dea Tyche (la Fortuna) con la cornucopia, Zeus, padre degli dei di greci e romani, associato al dio supremo iraniano Aramazd, il dio Sole che s’identifica con Apollo-Mitra-Helio-­Hermes, infine il semidio guerriero Heracles-Artagnes-Marte, unione fra umano e divino e si chiudeva ancora con la coppia aquila e leone. Dell’allineamento originale rimangono solo le statue acefale. Di fronte c’è una grande piattaforma, dove si svolgevano le cerimonie religiose. Nella piattaforma a ovest c’erano le lastre con bassorilievi raffiguranti il re che stringe la mano a diverse divinità, ora molte sono mancanti e abbattute. Un’altra piattaforma si trova a nord, mentre da sud sale il sentiero di accesso.                       

  Le rovine di Nemrut Dagi sono state scoperte nel 1881 dal tedesco Karl Sester, note prima solo ai pastori del luogo, e sono state dissotterrate dopo la seconda guerra mondiale. Antioco I, che era persiano da parte di padre e greco da parte di madre, faceva risalire le sue origini a Dario I e ad Alessandro Magno. Con la sua opera il re ha voluto unire le religioni delle due civiltà. Quando i Romani conquistarono Commagene, il santuario fu saccheggiato e abbandonato.                        

  Per salire al santuario si fa l’ultimo tratto a piedi lungo una gradianata di pietre e un’ultima salita fra i ciottoli, ma la vista ripaga la fatica. Si assiste al tramonto dalla terrazza occidentale fra le gigantesche teste delle divinità.                   

  A tarda sera si giunge alla città di Adiyman, dove si pernotta al Bozdogan Hotel.         

 

43.6  DA URFA AD HARRAN E GOBEKLI TEPE FINO A GAZIANTEP.

 

  Il mattino dell’otto ottobre si lascia l’Hotel Bozdogan e la città di Adiyaman in direzione sud-est verso Urfa, l’antica Edessa, dove al tempio di Adriano si rifugiarono gli ebrei scacciati da Gerusalemme alla fine delle guerre giudaiche. Nel tragitto si scende dall’altopiano anatolico, la cui altezza media è di 1500 m fino ai 450 m della pianura mesopotamica. Scendendo si attraversa l’Eufrate (Firat) nelle vicinanze della diga di Ataturk. Non ci si ferma a Urfa e si prosegue per Harran che è stata un’importante città nella via commerciale per l’oriente (Via della Seta) ed è stata occupata in successione da Hittiti, Sassanidi (Persiani), Romani, e Segiuchidi. Allora c’era un braccio dell’Eufrate che rendeva fertile l’area. Gli Abassidi vi crearono un’università islamica che fu un centro di conoscenza degli antichi classici ellenistici. Dopo l’arrivo dei mongoli nel XIII secolo, Harran fu in parte abbandonata anche per l’inaridirsi delle risorse d’acqua e, fino ad oggi, è rimasta un villaggio. La diga di Ataturk ha riportato poi fertilità nella zona. Al tempo dei Romani, Harran era chiamata Carrae e, nel 53 a.C., fu luogo di una battaglia contro i parti in cui fu sconfitto e ucciso Marco Licinio Crasso, terzo membro del triumvirato con Cesare e Pompeo.                             

  Vicino, si trova il sito archeologico della città antica del tempo degli Abassidi. Qui fu fondata un’università islamica, dove i sapienti arabi riscoprirono i classici alessandrini. Fra le rovine, ci sono i resti di una grande moschea che si considera come la più antica di architettura islamica in Anatolia. Fu costruita dal califfo Omayyade Mervan II nel periodo 744-750. La fronte dalla facciata è lunga più di 100 m e un minareto, alto 33,30 m, è rimasto in piedi fino ad oggi. Gli scavi sono cominciati nel 1983 e continuano. L’area medievale e il villaggio moderno di Harran si trovano più a sud. L’attuale insediamento risale a 400 anni fa, quando per la siccità non c’erano alberi e legno nella zona e le costruzioni erano fatte con argilla e paglia seccati al sole. Hanno una forma a trullo, accostate una all’altra come un alveare, e piccole finestre per dare luce e ventilazione durante le calde estati. Oggi gli abitanti, tutti arabi, vendono come in un bazar, prodotti di artigianato per attrarre i turisti.  Vicino al villaggio, vi sono i resti di un castello, forse in origine fortezza romana; l’attuale è dei secoli XI-XII, al tempo delle crociate, un edificio imponente con resti di torrioni circolari.

  Lasciata Harran, si raggiunge il sito di Gobekli Tepe, un ritrovamento archeologico unico del periodo di transizione fra la civiltà dei cacciatori raccoglitori e i primi villaggi di agricoltori e comunità di produttori. Questo si può considerare il più antico luogo di culto con edifici dell’età della pietra datati dal X (strato III) al IX (strato II) millennio a.C.. Gli scavi hanno scoperto, all’interno di buche nella roccia, pilastri megalitici a forma di T alti 3-6 m e pesanti 4-6 tonnellate. Nel Recinto A, scoperto nel 1995 e scavato fra il 1996-97, i megaliti a forma di T portano scolpiti spesso braccia e mani e raffigurano quindi esseri umani stilizzati. Ve ne sono sempre due al centro di ogni recinto. Importanti sono i rilievi dei due monoliti centrali P1 e P2 scolpiti con una rete fatta di serpenti su un palo e una fila di tori, una volpe e una gru.  

  Nel Recinto D, scoperto nel 2001 e ben preservato, vi sono molti rilievi di animali, volpi, cinghiali, tori, gazzelle, serpenti, ragni e scorpioni. I monoliti centrali 18 e 31 sono alti 5,50 m, sopra un piedistallo di roccia. Gli scavi sono molto estesi e il colpo d’occhio della panoramica è impressionante.                                                                                                

  Alle 13:00 si torna verso ovest, superando Urfa, si raggiunge Birecik sull’Eufrate, dove si fa sosta per il pranzo in un ristorante di fronte alla città. La diga di Birecik è stata quella più a sud sull’Eufrate turco e l’invaso prodotto ha sommerso l’antico sito archeologico di Zeugma, città greca ellenistica e romana, ricca di mosaici delle domus romane del II e III secolo d.C.. Questi mosaici sono stati preventivamente recuperati e si trovano ora nel museo di Gaziantep. 

  Gaziantep è l’ultima tappa della giornata e anche del viaggio che termina con la visita al Museo Zeugma di recente costruzione. Il museo ha tre livelli, un grande salone a pianterreno, un secondo piano e un piano sotterraneo. Nel salone all’ingresso è riportata un’iscrizione del re Antioco I, re di Commagene: è un’invocazione alle comuni divinità di Persia e Macedonia alle cui norme tutti si devono riconoscere sotto pena di essere scacciati dalla comunità. L’iscrizione è stata trovata nell’agorà di Zeugma, conservata e portata nel museo. Fra i mosaici del salone, si segnalano quello di Oceano e Tetide, di Eros e Psiche e il ratto di Europa, vi sono anche molti dipinti parietali.                                                    

  L’ultima notte si trascorre all’Hotel Dedeman di Gaziantep.

 

43.7.  RITORNO.

 

  Il giorno 9 ottobre si termina il viaggio con il trasferimento all’aeroporto di Gaziantep per il primo volo con destinazione Istanbul e quindi l’imbarco per Roma.         

 

Fonte: http://www.travelphotoblog.org/ArchivioPersonale/Extrtour.doc

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