Simbolismo estetismo decadentismo
Simbolismo estetismo decadentismo
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Simbolismo estetismo decadentismo
DECADENTISMO
In Italia la corrente del Decadentismo è  rappresentata da Pascoli e D’Annunzio.
  D’Annunzio assorbe meglio le influenze provenienti  dall’estero. La sua produzione varia a seconda della situazioni in cui si  trova. Subisce una censura negli anni posteriori alla guerra.
  D’Annunzio è una fonte necessaria per arrivare alla  poesia contemporanea, per esempio Montale. Nel 1896 Montale afferma che la sua  maturazione poetica passa attraverso D’Annunzio.
  D’Annunzio ha avuto molti imitatori, soprattutto  nell’ambiente della prosa.
  Le novelle della Percosa risentono dell’influenza  verista anche se è presente una tensione erotica e sensuale che non è presente  in Verga.
  Nel 1889 viene pubblicato “Il piacere” romanzo che  subisce le influenze del decadentismo francese, ricerca il bello raffinato  ispirandosi al romanzo “A ritroso” del 1884.
  La volontà degli esteti è di allontanarsi sia dalla  massa che dalla borghesia.
SIMBOLISMO E ESTETISMO
  I movimenti del simbolismo e dell’estetismo si  sviluppano in Francia in concomitanza ad altre correnti letterarie. Nel 1857  c’è la pubblicazione de “I fiori del male” di Baudelaire che segna l’inizio  della poesia moderna, poesia che è un prodotto della società, basata  sull’artificio.
  Non ha più valore pedagogico ma comunica un senso di  ribellione impotente, un senso di fastidio del poeta.
  Nel 1861 viene pubblicato il Manifesto degli  scapigliati che assorbono l’insegnamento proveniente dall’estero con risultati,  però, modesti.
  Carducci attraversa un primo periodo giacobino, poi  prende le parti del regime.
  Dopo la morte di Leopardi si sviluppano un  Romanticismo minore (Aleardi) e la poesia risorgimentale.
  Carducci sperimenta vari stili fino alla  scapigliatura trasgressiva.
  La poesia moderna parla di una volontà di  estraniarsi da questo mondo. La fuga è l’unico mezzo perché l’artista non è più  l’eroe romantico che non può cambiare il mondo.
  Il poeta denuncia la sua posizione ai margini della  società oppure esalta la sua attività poetica di carattere oracolare. Il poeta  diventa veggente, non dal punto di vista razionale. Intuisce le cose e si  esprime attraverso simboli e un linguaggio ermetico destinato a pochi e non  alle masse.
  Solo il poeta può comprendere le corrispondenze fra  i simboli e la realtà. L’arte assume un valore assoluto.
  Il decadentismo nasce in Francia e predilige il  Barocco come degenerazione del rinascimento e l’ellenismo della tarda  classicità romana che presenta la contaminazione tra mondo classico e  cristiano.
  Le certezze offerte dal positivismo vengono meno e  si apre una crisi.
  Nasce anche la psicanalisi, autori come Svevo  leggono Freud che dà un’importanza notevole all’inconscio.
  Gli unici rappresentanti del decadentismo in Italia  sono D’Annunzio e Pascoli che sono influenzati dal classicismo e dall’umanesimo  che sono costanti nel tempo.
Corrispondenze Baudelaire
  Il poeta ravvisa nella natura una serie sconfinata  di simboli e corrispondenze; la chiave per decifrare tutto è in mano al poeta.
  Il poeta si sente l’unico decifratore, è declassato  dalla società borghese che ha interessi nei confronti del denaro e  dell’imprenditoria e non dà spazio alla cultura e all’arte.
  Esistono corrispondenze tra colori, profumi, suoni…
  La sinestesia è una figura retorica molto usata ed è  l’accostamento di due termini appartenenti a due sfere sensoriali differenti.
  Il poeta comprende intuitivamente certe relazioni e  le scrive con parole ermetiche.
  La natura è un tempio. Gli alberi sono pilastri  viventi che lanciano messaggi all’uomo. Tutto quello che ci appare è simbolo di  qualcos’altro.
GABRIELE D’ANNUNZIO
D’Annunzio a differenza di Pascoli che vive una vita  chiuso nel suo nido tra i suoi studi e la carriera di professore prima liceale  e poi universitario, procede in maniera differenza. Frequenta Roma, città  brillante, scrive su un giornale mondano ed è spesso protagonista di scandali.  Si sposa giovane e intrattiene relazioni con donne fatali come la Leone ed  Eleonora Duse.
  Nel 1900 scrive Il romanzo “Il fuoco”,  autobiografico, nel quale è raccontata una storia d’amore tormentata 
  D’Annunzio è impegnato dal punto di vista politico  prima con la destra, con gli interventisti agli inizi della I^ guerra mondiale,  perché come molti sente un riscatto dell’Italia grazie alla guerra.
  Negli ultimi anni si ritira a Gardone in riviera a  causa dei suoi rapporti poco chiari con il fascismo.
  D’Annunzio instaura con il suo pubblico un rapporto  particolare, è un esteta e aderisce al parnassianesimo francese, mettendo  l’arte sopra ogni cosa. L’arte viene liberata da tutti i vincoli etici e  educativi e primeggia il culto della bellezza e della forma ricercata.
  D’Annunzio si fa interprete di queste idee e si  sente superiore alla borghesia parlando di grigiore democratico, omologazione e  banalità.
  Crea quindi una moda e gli autori successivi come i  crepuscolari propongono in contrapposizione un modello basso borghese .
  Il suo rapporto con il popolo e la borghesia è  sprezzante e antitetico, perché tende all’avvicinamento
  Dell’ideale del superuomo.
  D’Annunzio scrive per tutti, non solo per i colti  però i romanzi sono più diffusi rispetto alle poesie.
  Per il pubblico borghese D’Annunzio è un modello da  imitare, il pubblico si immedesima nel superuomo e si sente appagato.
  E’ un autore che può assomigliare agli autori  moderni che scrivono per il pubblico, ma nello stesso tempo è conservatore di  certi elementi come il classicismo carducciano.
  Il romanzo “Le vergini delle rocce” deriva dalla  lettura di Nietzsche il quale scrive per metafore e viene sfruttato dal nazismo  per avere una base filosofica. 
  D’Annunzio fa sua l’idea del superuomo e nel romanzo  immagina un uomo che cerca una donna per avere un erede che sia il Principe di  Roma.
  Tutti i protagonisti dannunziani alla fine saranno  perdenti. Questo apre la strada ai personaggi inetti della letteratura europea  dell’inizio del secolo.
  La produzione poetica subisce un influsso da parte  della poesia francese. C’è una volontà di mediare tutte le tendenze straniere,  per cui D’Annunzio ripropone tutti i procedimenti formali tipici del  simbolismo.
  E’ una poesia per i sensi che ripropone una  sensibilità di tutto ciò che è materiale.
  Ci sono delle fasi in cui l’autore sente il bisogno  di un riscatto, di bontà.
LA PIOGGIA NEL PINETO.
  La poesia fa parte della raccolta Alcyone, uno dei  libri delle Laude e ha dato adito a molte parodie tra le quali quella di  Montale del 1969 pubblicata nella raccolta Satura del 1971.
  Si immagina una passeggiata con una donna e il poeta  ha la volontà di parlare. Il linguaggio è elevato e specifico nella varietà di  vegetali ricercati.
  D’Annunzio cerca la musicalità con rime interne e  c’è l’idea di una natura che si umanizza e nello stesso momento avviene la  trasformazione dell’uomo e della donna   in vegetali.
  Non c’è nessun concetto espresso ma solo panismo,  cioè immedesimazione con la natura.
CANTO NOVO
  La prima edizione risale al 1882 e risente di una  forte influenza carducciana; la seconda edizione è del 1896 e viene modificata  grazie all’influsso della filosofia di Nietzsche, cioè si aggiunge l’idea del  super uomo.
  “Al mare, al  mare, Lalla” pag.  150
“O falce di luna calante” pag. 153
IL PIACERE
  Il questo romanzo è evidente la caratteristica  dannunziana di assorbire tutte le influenze provenienti dall’estero, è chiaro  il riferimento a Huysmann che aveva aderito al naturalismo, poi all’estetismo e  alla fine allo spiritualismo.
  Il romanzo è stato scritto nel 1888 e pubblicato  dall’editore Treves nel 1889 nello stesso anno del Mastro don Gesualdo di  Verga.
  Il grande pubblico borghese che non ha  aspirazioni  vede nei personaggi di  D’Annunzio un mito.
  E’ ambientato a Roma , Andrea Sperelli abita nel  palazzo Zuccari.   D’Annunzio ci  rappresenta la Roma barocca , quella delle fontane e dei palazzi che contiene  caratteri di decadenza.
  Il protagonista, Sperelli, è un esteta che si  circonda di belle cose e la sua ossessione sono l’eros e le donne. Rievoca la  donna amata attraverso la tecnica del FLASHBACK.
  In alcuni momenti il personaggio sente il desiderio  di allontanarsi da queste situazioni e il momento di riscatto è dato dall’altra  donna, Maria, della quale si innamora.
  L’esteta non si oppone alla democrazia e alla  borghesia, ma si chiude in un atteggiamento di disprezzo.
  La crisi si nota nel rapporto con le donne: Elena è  la donna fatale, Maria invece è una donna pura, l’occasione del riscatto.  Sperelli si immagina di sostituire la vecchia amante con un’altra donna. Questo  conduce Andrea al tradimento finale quando confonde le due donne.
  Andrea rimane solo e abbandonato: è un perdente. Il  personaggio è un alter ego del poeta, infatti egli aveva una relazione con Beatrice  Leone e quindi trasferisce la propria personalità nel personaggio.
Il ritratto di Andrea Sperelli
Il personaggio è un nobile, è unico nel suo genere.  E’ antidemocratico: si definisce rappresentante di una razza intellettuale e  superiore.
  La sua formazione intellettuale è diversa da quella  delle parsone comuni e in questo traspare il rimpianto da parte di D’Annunzio  che avrebbe voluto avere la stessa esperienza.
  L’arte e la vita diventano un tutt’uno.
  La morale diventa l’energia necessaria per dominare  se stessi e la forza di distruggere un legame per intarprenderne un altro.
  Il padre gli insegna che la parte estetica del  vivere è primaria e che l’ideale estetico non deve avere vincoli di tipo  morale.
  Il motto del padre è “avere non essere posseduti”, ma  Andrea si lascerà dominare dalle passioni.
  Non c’è spazio per i sentimenti e il rimpianto.
  Si sottolinea quindi nel romanzo la personalità  fragile del personaggio che diventerà poi il soggetto preferito dei narratori  novecenteschi: l’inetto.
  Andrea ha un atteggiamento bugiardo nei confronti di  sé e questo lo porterà alla disfatta.
  L’autoinganno verrà ripreso anche da Pirandello.
  Segue poi la descrizione della Roma amata da  Sperelli: non la Roma dei Cesari, ma quella delle ville e delle fontane.
POEMA PARADISIACO
  Composto nel 1893 in tre sezioni, manifesta la  stanchezza dei sensi da parte del poeta
Consolazioni
  Questa lirica celebra un momento in cui il poeta  ritorna agli affetti materni e sente un desiderio di purificazione e di  ritornare all’affetto familiare.
  Tutto questo assume però un senso di falsità e di  esteriorità.
  D’Annunzio è attratto da tutto ciò che è esteriore.  Questo si manifesta anche nel suo approccio alla religione: non c’è profondità  di sentimento o volontà di bontà, ma solo atti estetici.
LAUDI
  Il progetto delle laudi era di sette libri che  avessero il nome delle Pleiadi, ma solo tre libri sono stati completati: Maya,  Electra e Alcyone.
  Alcyone è stato completato tra il 1899 e il 1903 e è  composto da cinque sezioni. Questo libro è un momento di meditazione dopo due  opere che si ispirano  al superuomo. Il  poeta è attratto dal paesaggio delicato dell’estate. Ogni sezione è dedicata ad  un aspetto dell’estate e separate dalle altre con un DITIRAMBO, un componimento  che in Grecia aveva come soggetto Dioniso.
  Si apre con testo intitolato LA TREGUA che raccorda  il libro con i primi due che trattavano l’impegno eroico del superuomo, mentre  in Alcyone c’è un abbandono nella natura e nel mito.
  Nella lirica TERRA VALE viene rivalutato il mito di  Glauco che diventa Dio marino, il poeta diventa quasi divinità.
  Nella poesia IL FANCIULLO c’è una celebrazione della  poetica che è metamorfosi tra natura e uomo. Le persone diventano creature  verdi come nella PIOGGIA NEL PINETO. La metamorfosi non è realizzabile per  tutti, ma solo per le creature elette come il poeta e il fanciullo.
  Il PANISMO è la metamorfosi completa.
  La prima parte considera il periodo di Giugno e  l’ambientazione è la zona di Fiesole e Firenze. Hanno forma di Laude  (componimento sviluppato nel Medio Evo) e riprende la visione francescana della  natura usando stilemi e modi del sentire francescano in un contesto per niente  religioso.
  La seconda sezione rievoca l’inizio di Luglio,  l’inizio dell’estate e sono una ventina di testi ambientati in Versilia e  celebrano il rapporto panico con la natura.
  Per esempio nella lirica VERSILIA la ninfa diventa  albero.
  La terza fase è quella di luglio, dell’estate piana  e si celebra il potere panico del superuomo.
  La quarta sezione rappresenta la fine di agosto con  i primi presagi autunnali. Sono presenti il senso di morte, abbandono,  disfacimento, tristezza, malinconia, inquietudine…
  Il quarto ditirambo tratta della caduta di Icaro.
  La quinta sezione è quella di Settembre e inizia con  la lirica TRISTEZZA che recita l’impossibilità di resuscitare il mito del mondo  moderno.
  Al termine il libro si chiude con il COMMIATO dove è  presente un saluto e una dedica a Pascoli, perché anche questo poeta manifesta  un forte amore per la natura e viene visto come continuazione di Virgilio.
La sera  fiesolana
  Scritto nel giugno del 1899. Presente in un Taccuino  di appunti aveva annotato un pellegrinaggio con Eleonora Duse del 1897 ad  Assisi.
  L’ambientazione ricorda lo stile dei preraffaelliti,  una corrente pittorica che si sviluppa in Inghilterra con Rossetti che inaugura  una pittura che riprende i tratti del primitivismo letterario e religioso. Si  parla di estetismo con caratteri di misticismo.
  Nella lirica sono presenti tre modi di vedere la  sera.
  Nella prima edizione ogni strofa era introdotta da  un titolo esplicativo: “La nascita della luna”, “La pioggia di giugno”, “Le  colline”.
  Non viene descritto il paesaggio ma si esprime lo  stato d’animo attraverso sensazioni musicali.
  La ricerca musicale evoca sensazioni e colori con valore  sinestetico.
  La presenza dell’uomo è ridotta al minimo, ma tutto  è inserito nella situazione naturale.
  E’ presente la lezione carducciana del colore che si  richiama alla corrente pittorica dei Macchiaioli.
Meriggio
  Fa parte della seconda sezione scritta forse nel  1902.
  Il poeta è solo nella natura, non c’è nessuna donna.
  Nelle prime due strofe il poeta descrive il  paesaggio marino alla foce dell’Arno, mentre nelle ultime due il poeta  smarrisce la propria identità umana e si divinizza. Si trasforma in momento,  cioè in meriggio e si perde nella natura diventando creatura divina.
L’onda pag. 200
Stabat nuda  Aestas
  Questa poesia rientra nella terza sezione e la sua  datazione è ignota.
  Il titolo è preso da un passo di Ovidio del secondo  libro delle Metamorfosi.
  L’estate è qui personificata in un’immagine di donna  dai capelli fulvi; il poeta la riconosce, la insegue, la chiama e lei gli  appare nella sua nudità.
  E’ possibile vedere un’affinità tra questa poesia e  un poemetto di Rimbaud e una poesia di Pascoli scritta tra il 1872 e il 1880  “Patutit dea”.
  Il poeta acquista maggiore capacità nel sentire le  cose impercettibili per l’uomo come il rumore della resina o la presenza di un  serpente intuita dall’odore acre. Il poeta si pone quindi come superiore agli  altri uomini riprendendo l’idea del superuomo.
La sabbia del  tempo
  Il gesto ozioso del poeta di far passare la sabbia  nel palmo della mano gli ricorda la brevità del giono e la fuggevolezza del  tempo.
  Questa poesia è inserita nell’ultima sezione e quindi  celebra la fase finale dell’estate dove è presente l’idea di disfacimento, di  impossibilità di far rivivere i miti passati.
  D’Annunzio utilizza la tecnica del passaggio  analogico che verrà sfruttata anche dai poeti moderni successivi; in questo  caso la sabbia della clessidra diventa la sabbia del tempo.
  Il poeta ha la capacità di intuire e di sentire nel  cuore e ilo cuore diventa lo strumento di misura dal passare del tempo che  genera inquietudine.
  Anche le ombre si fanno più lunghe e sono come gli  aghi delle meridiane.
Nella balletta
  La balletta è la fanghiglia e il termine usato è di  derivanza dantesca.
  Questa lirica ambientata alla fine di agosto fa  presumere già il procedere dell’autunno, stagione della malinconia.
  La poesia è ambientata nella palude, in un’atmosfera  di decadimento e di morte.
  Il componimento è un madrigale e è caratterizzato  dalla presenza di versi franti.
GIOVANNI PASCOLI
  Pascoli è contemporaneo di D’Annunzio ma le loro  vite sono completamente diverse. D’Annunzio era al centro delle cronache  mondane e della vita culturale, un poeta che ha bisogno del consenso e tenta  con vari stili di accontentare il pubblico. La sua vita è divisa tra donne  fatali, impegno politico e civile. E’ amante del lusso e dell’esteriorità.
  Pascoli nasce nel 1855 e muore nel 1912. Trascorre  la sua vita rinchiuso nel suo nido familiare inteso come unione dei componenti  della famiglia originaria e non di una famiglia creata con il matrimonio.
  Per questo motivo Pascoli si presta ad una lettura  psicoanalitica.
  La sua vita è segnata da avvenimenti luttuosi. Nel  1867 muore il padre, ucciso da sconosciuti per un motivo ignoto, e da questo  episodio prendono il via altre morti che si susseguono, quella della madre e di  alcuni fratelli.
  L’animo di Pascoli è solcato da questi avvenimenti e  deve anche smettere gli studi iniziati presso i padri scolopi. Infatti si  laurea in letteratura greca piuttosto tardi, a 27 anni.
  Il suo stato d’animo dopo la morte del padre lo  porta a pensare che esista un’ingiustizia insanabile.
  Dal punto di vista politico si avvicina al  socialismo di Andrea Costa e si mette contro il ministro della pubblica  istruzione perdendo anche la borsa di studio oltre ad essere incarcerato per  tre mesi.
  La sua adesione al socialismo così come quella al  cattolicesimo evangelico hanno carattere velleitario, cioè non arriva ad una  soluzione e non hanno aspetto positivo.
  Quando si laurea discute una tesi su un poeta greco,  Alceo, concentrandosi sugli elementi di metrica. Inizia la sua carriera di  insegnante nei licei come Carducci. Quando comincia a insegnare si stabilisce a  Castelvecchio con le due sorelle Ida e Maria. La casa fu acquistata da Pascoli  dopo aver venduto i le tredici medaglie d’oro vinte al Premio di poesia latina  a Amsterdam.
  Il legame con Ida si spezza quando questa decide di  sposarsi. Le nozze sono viste dai fratelli come un tradimento al loro morboso  legame.
  Il poeta rifiuta l’amore e l’eros, perché crede che  l’unico amore sia quello fraterno, legato al passato. In questo senso rimane  bambino.
  L’amore verso una donna lo attrae e nello stesso  tempo lo respinge. Nel GELSOMINO NOTTURNO, poesia scritta per le nozze di un  amico, si sente escluso dall’esperienza dei due sposi.
  L’esperienza erotica lo attrae, ma lo respinge  contemporaneamente.
  La chiusura sentimentale lo porta a chiudersi nel  nido familiare. Sono molto frequenti quindi simboli che indicano la chiusura  come il nido e la siepe. La siepe a differenza di quella leopardiana è un  elemento rassicurante che separa il poeta dal mondo.
  Il poeta viene poi chiamato a ricoprire la cattedra  di letteratura italiana a Bologna, scoperta dopo la morte di Carducci. Pascoli  rimane lusingato, ma ha timore del contatto con altri.
  Rifiuta la storia e la scienza, perché è convinto  che la scienza abbia fallito e sia portatrice di male.
  Decade tutto ciò che il positivismo aveva esaltato.  Questo si ritroverà anche il Svevo e Pirandello.
  Pascoli si rinchiude nel mondo naturale contro  quello della storia. Non partecipa alla vita politica e quando loi fa ha una  visione distorta della storia e ella politica, come quando abbraccia  l’imperialismo perché lo vede come espansione del nido familiare.
Pascoli è un innovatore per quanto riguarda il  linguaggio, la metrica e la sua interpretazione del simbolismo.
  Pascoli è poco legato al positivismo, ma da questo  prende la precisione nella terminologia.
  Utilizza il correlativo oggettivo, cioè un  procedimento per cui un oggetto diventa un simbolo. Viene usato anche da  Montale e da Eliot.
  Per esempio il nido è simbolo della casa, della  famiglia e indica protezione e chiusura.
  Pascoli di fronte al male dell’Universo rimane  attonito, impaurito e non ha il titanismo leopardiano. Il mondo è visto come un  atomo opaco del male.
  Pascoli cerca di non vedere ciò che gli sta intorno  ed è ossessionato dai morti.
  Nella poesia di apertura della raccolta Myricae, IL GIORNO DEI MORTI, rivede i morti  del cimitero, stretti fra loro per farsi coraggio. Il ricorda provoca felicità  perché rievoca il nido integro.
  Alcune figure come i fiori assumono un significato  diverso rispetto alla letteratura precedente. Per esempio in Ariosto i fiori  indicano la verginità e sono legati all’eros, mentre Pascoli li intende come  ornamento delle tombe, oppure come simbolo di morte (Digitale purpurea).
  Il poeta ha paura della storia, di relazionarsi con  gli altri e questo lo induce ad attaccarsi al nido familiare e ai morti che  ritornano continuamente quasi chiamassero il poeta.
  Il poeta si lega continuamente a ciò che gli dà  sicurezza.
  Il pensiero dei morti rievoca l’antica felicità: il  poeta cerca di ristabilire un nido che però è incompleto.
  Nella poesia IL GIORNO DEI MORTI l’immaginare è  paragonato al vedere. Il poeta rivede la famiglia che piange e che sta insieme  anche dopo la morte.
  Margherita è la sorella maggiore morta pochi mesi  prima della madre; attraverso le sue parole il poeta rivede la sua azione  materna nei confronti degli altri fratelli.
  Vengono ripetute immagini che si riferiscono alla  morte, come il dormire con le braccia al petto.
  La poesia è in terzine e rievoca spesso forme e  terminologie dantesche. Per esempio l’espressione “vergine sorella” è ripresa  dal discorso di Piccarda Donati nel Paradiso e anche “soave e piana” rievoca la  figura di Beatrice.
  Si ricorda poi la morte del padre avvenuta  tragicamente senza motivo apparente e senza sapere il nome degli omicidi. Il  poeta immagina le parole del padre e i suoi pensieri nel momento del trapasso.
  Spesso si rivolge alla divinità o utilizza simboli  cristiani, ma la sua adesione alla religione non fu mai profonda, ma assunse  sempre caratteri laici.
  Il termine illacrimata è ripreso dalla terminologia  foscoliana e il continuo utilizzo della parola VEDERE dà la sensazione di una  visione della situazione da parte del poeta.
L’attività del Pascoli non fu rivolta solo alla  poesia, ma anche alla critica, soprattutto a quella dantesca.
  Dà la stessa importanza alle sue attività principali  cioè la letteratura italiana, la letteratura latina e la critica letteraria.
  Oltre alle raccolte di poesie Pascoli compone Odi e  Inni che sono difficili dal punto di vista linguistico.
La raccolta MYRICAE fu pubblicata nel 1891, ma ha  avuto un iter compositivo complesso.
  Il titolo deriva dall’inizio della quarta egloga  virgiliana “PAULA MAIORA CANTAMUS….”
  Le tamerici sono arbusti di poca importanza.
  I canti di Myricae sono dedicati al padre, mentre i  Canti di Castelvecchio alla madre.
  E’ presente il legame del poeta con la natura,  presente anche nei Primi poemetti.
  I canti di Myricae sono bozzetti descrittivi scritti  con una tecnica novecentesca sinestetica.
  Sotto gli elementi della natura vengono inseriti  sentimenti o situazioni. Per esempio l’aratro diventa simbolo dell’abbandono e  della solitudine.
  E’ presente quindi la poetica degli oggetti che da  un lato assume un carattere di precisione per quel che riguarda il lavoro e le  piante, e dall’altra gli stessi oggetti assumono un significato simbolico.
Novembre
  Novembre è il mese dei morti e il mese in cui la  natura perde la sua bellezza.
  Ma l’aria è limpida e il sole è chiaro e quindi si  ha l’illusione che sia ancora primavera. La realtà è ben diversa: le foglie  cadono, il silenzio fa pensare all’estate fredda dei morti.
  L’aggettivo gemmea è coniato dal sostantivo gemma ed  è una sinestesia.
  Il prunalbo è il biancospino, ma qui viene identificato  con precisione.
  C’è una contrapposizione tra la primavera apparente  dell’estate di S. Martino e l’autunno che è reale.
  E’ quindi un contrasto tra la vita e la morte. La  prima strofa riporta elementi positivi ma la congiunzione avversativa MA propone  una revisione.
  Il cielo è vuoto perché manca il canto degli uccelli  e l’immagine del sottosuolo riporta ancora l’idea insistente dei morti. Altre  illusioni simboliche alla morte sono il silenzio e l’ipallage del cadere  fragile delle foglie.
  Le foglie danno poi il senso della caducità della  vita.
Queste liriche sono quadretti impressionistici cioè  il poeta attraverso immagini di colore trae le sue impressioni. E’ una tecnica  che prevede l’uso della sinestesia.
  Pascoli utilizza però anche un linguaggio estremamente  preciso e dà una valorizzazione simbolica del paesaggio di carattere  esistenziale.
  Pascoli ha però anche una sensibilità  espressionista, cioè usa aggettivi e connotazioni violenti con caratteri  incisivi e grotteschi.
Il lampo
  Lo scenario è inquietante e tragico, con una  violenza espressionista.
  C’è un riferimento particolare al momento della  morte del padre. Pascoli cerca di rappresentare ciò che il padre può aver visto  nell’ultimo istante di vita.
  Questo si sa grazie ad una passo di prosa dove Pascoli  rievoca la morte del padre.
  Il simbolo più inquietante è quello dell’occhio che  rimane aperto nel momento della morte e esterrefatto perché il padre non si  aspetta la fucilata.
  Lo stesso si troverà nella lirica X AGOSTO dove il  padre rimane con gli occhi sbarrati additando al cielo lontano le bambole.
Lavandare
  Questa poesia si trova nella sezione Ultima  passeggiata. Il poeta si immagina di passare in autunno in un campo arato da  poco dove si trova un aratro dimenticato.
  Lo stesso aratro si troverà nell’ultima strofa negli  stornelli marchigiani cantati dalle lavandaie e diventa simbolo di abbandono e  di solitudine.
  L’uomo è minacciato continuamente, è abbandonato, la  divinità è lontana e l’uomo spaurito si rinchiude nel suo nido.
  L’atto di lavare è sottolineato dalla rima interna  che ha valore onomatopeico.
  Il verbo nevicare è usato transitivamente e indica  le foglie che cadono come se fossero neve.
  La solitudine e l’incomunicabilità si trovano anche  nella narrativa e nel teatro contemporaneo: Pirandello, Svevo…
Arano
  Questa lirica è stata composta nel 1885 e  rappresenta una scena impressionista caratterizzata dal momento autunnale e dai  suoi oggetti, dalla precisione con cui descrive gli oggetti di lavoro, così  come fa per alberi, animali…
  Il linguaggio di Pascoli è stato oggetto di studio  per molti critici; si può parlare infatti di bilinguismo perché Pascoli conosce  e utilizza il latino come se fosse la sua lingua madre.
  Infatti Pascoli spesso fa annotazioni in latino  oppure conia vocaboli latini per indicare elementi moderni, come la macchina da  scrivere.
  Lo stesso D’Annunzio viene influenzato dal  linguaggio immediato e dall’atmosfera pascoliana, anche se la critica  dannunziana si ferma solo alla trattazione della natura da parte di Pascoli  senza accennare alla simbologia nascosta da questa apparente semplicità.
  La poesia di Pascoli è dettata infatti dalla sua  tormentata psicologia.
  Pascoli è attento alle cose piccole della natura  seguendo quella che è la poetica del fanciullino. Il poeta deve regredire  all’infanzia, addirittura allo stato prenatale e deve focalizzare la propria  attenzione su cose che colpiscono la sua sensibilità, vedendo le cose come se  fosse un bambino.
  Da una parte riprende la poetica degli oggetti che  vengono visti e deformati dagli occhi del fanciullino.
  Nella poesia in questione sembra che il poeta si  metta dalla parte del passero.
  Pascoli riproduce i rumori della natura con  espressioni onomatopeiche che a volte sono esagerate, ma fanno parte del  linguaggio preletterario o addirittura agrammaticale.
L’assiuolo
  L’assiolo è un uccello notturno definito in modo  popolare chiù.
  La descrizione è quella di un paesaggio serale che  attraverso le iterazioni del verso dell’uccello richiama lo stato d’animo di  angoscia del poeta e forse richiama ancora la perdita del padre.
  Lo stupore si esprime nella domanda del primo verso.  Molta poesia a partire dai romantici è ambientata di notte .
  Pascoli utilizza sensazioni visive e uditive come La  luce perlacea che viene accennata anche da D’Annunzio.
  L’impressionismo linguistico si esprime attraverso  sinestesie come i “soffi di lampi” o il “nero di nubi” che ricavano la qualità  dall’oggetto.
  Il poeta non descrive una tragedia ma inserisce  immagini che evocano sensazioni di dolore, angoscia e morte. E’ quindi una  poesia evocativa.
  Anche il verso degli uccelli si carica di  significato simbolico soprattutto del mistero e dell’arcano.
  Il mare è un’immagine consolatrice che ricorda  l’infanzia e le cure materne.
  L’espressione “eco di un grido” si riferisce forse  al grido del padre al momento della morte. E’ un immagine chiaramente rivissuta  dato che il poeta non era presente al momento della morte.
  A questo punto il verso chiù diventa un singulto. Il  chiù è simbolo di male e di morte.
  Sistri ricorda il mito di Iside con la sua idea di  morte e resurrezione.
  Le Porte indicano la morte, perché sono chiuse e i  morti non possono più tornare. In realtà nella vita di Pascoli i morti  ritornano insistentemente.
  Il poeta di fronte alla morte è scettico,  perplesso…la vita gli fa paura e la morte gli provoca un sentimento di  incertezza.
Il linguaggi di Pascoli è definito pargoleggiante; è  ricco di onomatopee ed è un linguaggio fonosimbolico cioè un suono rimanda ad  un oggetto che a sua volta è un simbolo.
  Pascoli usa spesso anche lingue speciali o gerghi e  crea nuovi linguaggi mischiando per esempio l’inglese con il toscano per meglio  descrivere la lingua degli emigrati italiani in America.
  Anche il latino è molto utilizzato, ma non come  lingua morta; Pascoli la arricchisce di varianti linguistiche e la fa rivivere.
  Anche i contenuti della poesia latina non sono  quelli classici, ma solo gli stessi della poesia italiana.
X agosto
  Questa poesia è stata composta nel 1896 e rievoca la  morte del padre avvenuta il 10 agosto 1867.
  Le stelle cadenti tipiche di questa notte diventano  lacrime , come se il cielo piangesse sulla terra e il cosmo partecipasse al  dolore dell’uomo.
  Qui Pascoli affronta temi di carattere metafisico:  il male e il dolore che è inflitto a persone innocenti come il padre e la  rondine.
  Di fronte al male che genera dolore anche il nido  del poeta si disperde, infatti la morte del padre genera una serie di sciagure.
  La lirica è simmetrica. C’è un’inversione  nell’utilizzo della parola tetto e nido utilizzate la prima per la rondine e la  seconda per il padre.
  La costruzione latineggiante ricorda in alcuni  tratti il parlato.
  Il nido è il rifugio del poeta, ha una forma  protettiva ed è nascosto dagli altri.
  Il verbo UCCISERO è lapidario evoca l’ingiustizia  del fatto.
  Ci sono immagini che evocano l’ambito cristiano  (croce), Cristo crocefisso per l’ingiustizia dell’uomo.
  C’è l’accostamento tra il verme e il cielo che è  lontano; tra la terra e il cielo che sono elementi inconciliabili.
  La terra nell’ultimo verso è descritta come l’atomo  opaco del male, che è una presenza costante e rivela nel poeta un pessimismo  simile a quello leopardiano.
  L’occhio aperto ed esterrefatto è presente anche ne  IL LAMPO.
  La morte della rondine e dell’uomo si definiscono in  un quadro cristiano: la rondine è come in croce e l’uomo dice Perdono.
  Nei poemetti latini Pascoli riprende l’etica  cristiana e la inserisce nella decadenza del mondo romano. In realtà le due  religioni si sovrappongono e ne escono caratteri comuni ad entrambi.
  Pascoli è attratto dal cristianesimo, ma dice che la  morte del padre non è stato motivo di redenzione, infatti non parla di una vita  dopo la morte.
  L’adesione alla religione è quindi incompleta.
PRIMI POEMETTI
  Sono liriche più lunghe, scritte in terzine, che  seguono ancora la linea di Myricae, riprendendo il tema della campagna come  rifugio. Cambia il linguaggio che diventa più difficile o più semplice a  seconda del componimento. Si perde però il carattere frammentario tipico di  Myricae.
  Nei Poemetti esprime anche un’idea politica rivolta  al socialismo inteso come ideale di vita proiettato verso l’uguaglianza e la  giustizia.
  L’attenzione di Pascoli è rivolta alla piccola  proprietà depositaria dei valori tradizionali, semplicità e saggezza, da  contrapporre alla realtà.
  Viene chiamata Utopia regressiva questo consiglio di  ritirarsi in campagna contro il male, protetto dalla siepe e dagli affetti  familiari.
Digitale  purpurea
  In questa lirica riprende la simbologia floreale. La  digitale è una fiore rosso violaceo con delle macchie che vengono interpretate  da Pascoli come dita spruzzate di sangue.
  Il fiore diventa simbolo di una sessualità ambigua,  tormentata. Pascoli non ha voluto fare esperienze al di fuori della famiglia:  il suo nido è quello di origine.
  Si avvicina alla sfera sessuale come un bambino è  contemporaneamente attratto e respinto.
  Nel Pascoli il fiore o è fiore di morte, depositato  sulle tombe o rimanda al sesso inteso però come morte, cioè come perdita di  qualcosa tipica dell’infanzia.
  Questa lirica si ispira a un episodio vissuto dalla  sorella Maria nel convento insieme ad un’amica, quando avvicinandosi alla  digitale una suora le rimprovera dicendo che il profumo del fiore è venefico.
  Le due amiche Maria e Rachele (forse la sorella Ida)  si incontrano dopo tanti anni e rievocano l’esperienza. Rachele confessa però a  Maria di aver fatto quell’esperienza e l’altra rabbrividisce al racconto di  Rachele.
  Rachele dice di aver fatto un’esperienza dolce tanto  che porta alla morte, perché ha perduto l’innocenza e l’amica ha un brivido  perché questo racconto l’attrae.
  Le due donne sono descritte in modo diverso Maria è  esile e bionda, per cui pura, mentre l’altra è bruna e questo dà l’idea di un  carattere sensuale.
  Nella poesia decadente è molto forte questa  differenza tra donna angelo e donna vampiro. L’attrazione per una donna  affascinante si spiega con il fatto che questa porta in sé i germi della  decadenza.
  L’aspetto del candore e del bianco dei conventi è  invece tipico della poesia crepuscolare, dove si crea l’immagine di una donna  anti dannunziana inserita in un contesto piccolo borghese.
  L’orto chiuso del convento dà l’idea di un luogo  escluso dal mondo dove però è presente anche il male rappresentato dal fiore.
  Nella seconda parte le amiche rivivono il passato e  questo flashback è espresso dal verbo vedere.
  Le parole innocenza e mistero sono in contrasto e  sottolineano che nel convento c’è qualcosa di misterioso.
  L’ospite caro può essere o un parente che visita le  ragazze o Cristo ricevuto nella comunione.
  Il bianco indica la purezza e la sanità delle  ragazze ed è in contrasto con il colore del fiore.
  Nella terza parte c’è la confessione di Rachele e  Maria alla trasgressione reagisce con un brivido.
  Tristo e pio fanno riferimento al V^ canto  dell’Inferno.
  Il fiore velenoso ha un fascino inebriante ed è un  motivo tipico decadente.
La siepe
  Questa lirica è un inno alla proprietà rurale. Anche  la donna assume un carattere di proprietà.
  La proprietà terriera è un allargamento del nido.  Pascoli rinnega tutto ciò che lo circonda chiudendosi in un momento alternativo  alla vita.
  Verso la fine dell’800 la proprietà terriera subisce  un arresto a favore del capitalismo di altro genere.
  Pascoli vuole tornare a qualcosa che ormai non si  può più recuperare.
  Sia la siepe reale sia quella metaforica creano un  sorta di eden all’interno che si contrappone al pericolo e alla morte.
  La campagna acquista un carattere positivo e  idillico.
  Gli aggettivi utile e pia danno l’idea di sacro e  inviolato.
  L’anello è un cerchio, figura di perfezione e fedeltà.
  C’è un linguaggio ambiguo: la piaga indica l’amore,  qualcosa che produce dolore. L’amore è visto con carattere di violenza, di  morte.
  La terra è feconda e fedele come la donna.
  La siepe dà sicurezza contro i ladri, ma dà anche  ricovero ai nidi e nutre le api.
  La siepe viene rinforzata al crescere della famiglia  ed è generosa perché cede le bacche al passeggero che ha sete, ma preserva le  piante all’interno.
  Il cane ha funzione protettiva.
NUOVI POEMETTI
  Chiù
  Rievoca un momento doloroso: il matrimonio della  sorella Ida nel 1895 che viene percepito come un tradimento dai due fratelli.
  Le due sorelle nella lirica si chiamano Viola  (Maria) e Rosa (Ida). Viola è turbata dall’avvenimento e immagina la prima  notte di nozze.
  L’eros è visto in modo doloroso e distruttivo.
  Per Viola è morto qualcosa in lei e nella sorella,  perde interessi perché la sorella l’ha lasciata sola.
  Il cuore che batte diventa una presenza inquietante.
  Nella seconda strofe si rievoca il matrimonio e la  prima notte di nozze. Viola è in tensione perché crede che la sorella sia  rimasta sola.
  La perdita della verginità è vista come un piaga  tenera perché avviene in un momento d’amore e mortale perché porta la perdita  dell’innocenza.
  Il poeta è estraneo all’esperienza, l’amore è visto  come un momento di crisi e turbamento.
  L’ultima notte passata in casa è particolare perché  si svegliano tutti più tardi come per rifiuto alle nozze.
CANTI DI  CASTELVECCHIO
  Pubblicati nel 1903, dedicati alla madre. Vengono  definite dal poeta come Myricae autunnali.
  Nella prefazione il poeta invita alla natura come  rifugio per il dolore; si riprende l’aspetto delle cose umili della natura.
  Si focalizza l’attenzione sulle cose piccole che  sfuggono all’occhio umano: si riprende la teoria del fanciullino che rimpicciolisce  le cose grandi e ingrandisce le piccole.
  Pascoli lavora a più opere contemporaneamente e si  parla di rapsodismo, continua aggiungere opere alle varie raccolte.
  L’elemento naturalistico si riempie di un contenuto  famigliare evocando i lutti e i morti.
  Viene meno il frammentarismo, le liriche sono più  estese e questo è dato anche dal titolo che rievoca i canti leopardiani.
  Il modello è il Poema paradisiaco di D’Annunzio e i  simbolisti francesi, che si avvicinano ai crepuscolari.
Il gelsomino  notturno
  Lirica scritta per le nozze di un amico, evoca la  prima notte di nozze accennando a due vicende: il ciclo naturale della  fecondazione dei fiori e la vicenda che avviene in casa trattata in termini  allusivi.
  Ci sono numerose sinestesie che richiamano l’atto  della fecondazione.
  Nella prima redazione Pascoli è più esplicito nel  comunicare la fecondazione dei fiori, qui è più allusivo.
  La lirica si apre con una congiunzione come se  continuasse un discorso.
  C’è un invito esplicito all’amore legato alla morte  e viene collocato di notte, tempo in cui si pensa ai propri lutti. 
  Il poeta focalizza l’attenzione su due particolari:  il momento dell’apertura del fiore e l’apparizione delle farfalle notturne.
  Il gelsomino ha un profumo che rievoca le fragole  mature, rosse: il colore rievoca il sangue. C’è una sinestesia perché si  accostano un colore e un profumo.
  E’ interessante l’immagine della Chioccetta, che è  il nome dialettale della costellazione delle Pleiadi. Il cielo diventa un’aia  azzurra e le stelle pigolano. Questa è un’analogia, cioè la sovrapposizione dei  sensi. L’insistenza del profumo rievoca allusivamente l’atto d’amore, così come  i puntini di sospensione danno l’idea che il poeta assista dall’esterno.
  La parola urna richiama le ceneri dei morti, ma  anche l’ovario del fiore.
  Questo è molle perché coperto di rugiada e segreto  perché si trova in una posizione interna e protetta come il ventre femminile.
Nebbia
  Il poeta in questa lirica esprime la paura per tutto  quello lo circonda e trova la pace e la tranquillità nel suo piccolo nido.
  Il problema è costituito dalle cose lontane ed è un  problema irrisolto così come l’eros che ha un carattere conflittuale . Queste  cose vanno rimosse.
  La nebbia è un elemento che allontana, che rinchiude  il nido.
  Il discorso del nido famigliare si allarga al nido  nazionale, l’Italia deve rimanere isolata e deve proteggere i suoi cittadini.
  Usa il suono onomatopeico.
  Pascoli usa un linguaggio che è allo steso modo  determinato e indeterminato: infatti è tecnico e preciso in alcune cose (due  peschi, due meli…) , mentre il resto è sfumato.
  I lampi notturni e le aeree fiamme sono forse gli  sgomenti notturni come quelli dei bambini che sono spaventati da presenze  inquietanti.
  I morti come fantasmi turbano i sonni dei vivi. (Il  bacio del morto in Myricae).
  Attrazione e repulsione nei confronti della morte: è  chiara la richiesta alla nebbia di nascondere ciò che è morto.
  Ciò che è sicuro è ciò che è concreto: mura.
  La presenza della valeriana può alludere al bisogno  di quiete e di oblio. Dormire significa non voler affrontare una situazione.
  L’attrazione della morte è espressa dal bianco della  strada che il poeta immagina di fare accompagnato dal suono delle campane. Il  cipresso è l’albero che ricorda la morte.
Il fanciullino
  Per Pascoli il fanciullino è presente potenzialmente  in ogni uomo, è la parte poetica dell’uomo.
  Solo il poeta, che è superiore agli altri, è capace  di farlo rivivere perché sa scorgere il significato delle piccole cose.
  Anche per Pascoli come per D’Annunzio il poeta è  vate, profeta, veggente.
  La centralità del poeta viene meno soprattutto dopo  la I^ guerra mondiale, quando il poeta diventa colui che non sa e che si chiede  che cosa sia la poesia.
  Nel fanciullino si può parlare ancora di simbolismo  pascoliano, che indica la via che viene dalla comprensione alogica della  piccole cose.
  Solo il poeta può vedere il significato nelle  piccole cose ma non lo può comprendere. Non vede corrispondenze tra le cose ma  vede significati profondi nel particolare. (positivismo).
  La poesia ha ancora una funzione morale e sociale  tipica del romanticismo.
  La poesia ha ancora la capacità di sedare i  contrasti sociali e ha il ruolo di consolatrice.
Nella prima  parte il poeta è visto come un fanciullino che è capace di entrare in  rapporto con il mistero che è nelle cose attraverso una capacità intuitiva  arazionale.
  Cebes è un personaggio del Fedone di Platone per il  quale la mancanza di paura della morte è dovuta alla perdita del fanciullino.
  Quando si è piccoli il fanciullino si nasconde dietro  il bambino, mentre man mano si cresce il fanciullino rimane piccolo.
  Il fanciullino rappresenta la capacità poetica di  meravigliarsi di fronte a piccole cose.
  Il nuovo desiderare si rifà alla sfera dell’eros.
  Anche nella prosa utilizza suoni onomatopeici.
  Pochi sono in grado di far emergere il fanciullino e  di solito sono le persone mature e non i giovani.
  Nella terza  parte il poeta dà un aspetto politico alla poesia. L’esistenza del  fanciullino è garanzia di fratellanza.
  Gli uomini si sentono fratelli in virtù del fatto  che fanno emergere il fanciullino: è chiaramente un’idea utopistica.
  Il fanciullino vede nel buio o crede di vedere e qui  si inserisce la poesia come ricordo, è come se il fanciullino rivivesse ciò che  non ha mai visto.
  Il fanciullino è capace di invenzione e fantasia e  consiste nell’aspetto arazionale che è all’interno di tutti noi.
  Anche l’amore è inteso come puro e infantile, in  senso erotico invece è un misto di paura e attrazione.
  La parola poetica ha valore di invenzione assoluta  come Adamo che mette nome alle cose.
  I concetti classici di proporzione e armonia vengono  capovolti, il linguaggio crea una poesia anti classica.
  Prende in considerazione i personaggi di diverse  classi sociali: si parla di socialismo umanitario.
  Nella quinta  parte la sapienza del fanciullino è originaria, egli conosce le verità  antiche e non gli importano quelle nuove.
  E’ attratto dall’antico come il Leopardi  (Zibaldone).
  Questo atteggiamento dà ragione alla poesia latina.  Esprime il passato, i dolori passati in quella lingua che si adatta alla  situazione.
  Nella XIV  parte si parla della poetica degli oggetti e della necessità di dare nomi  specifici alle cose.
  Questi testi aiutano a ricostruire la poetica del  Pascoli attraverso le dichiarazioni di intenti.
  Il poeta ha la capacità di vedere e insieme di  comunicare.
  Il poeta come il fanciullino fa attenzione a quello  che incontra.
  Il poeta sceglie e inventa il nome delle cose  cercando di essere preciso ma non scientifico, usando un linguaggio adatto  all’occasione, anche un linguaggio popolare.
  Il linguaggio pascoliano è quindi preciso e nello  stesso tempo indeterminato.
La grande  proletaria si è mossa
  E’ un discorso scritto e pronunciato a Barga nel  1911 in occasione della guerra di Libia.
  Il questo discorso Pascoli è favorevole all’impresa  coloniale che per attuarsi necessità di violenza e di schiavizzare un popolo.
  Questo appoggio si spiega come esaltazione della  nazione all’interno della quale si devono concludere odi e conflitti.
  Pascoli crede che la conquista di popoli una volta  soggetti alla dominazione romana sia giusta, così come la dominazione di paesi  ricchi su paesi poveri.
  Tutto questo per ampliare il nido degli italiani,  cioè per estendere il nido famigliare al nido nazionale.
  Il linguaggio si avvicina all’oratoria dannunziana.
  L’Italia è vista come povera e umile come il paese  dei proletari, che diventa grande attraverso sacrifici.
  La progressiva ascesa personale si attua attraverso  la volontà ed  è evidente nella lirica La  piccozza.
  Il questo discorso il socialismo utopico si coniuga  con il nazionalismo tanto che la rinascita italiana è legata al risorgimento.
  Parete della critica sottolinea l’appoggio di  Pascoli alla piccola borghesia e l’esaltazione della piccola proprietà  terriera.
LUIGI PIRANDELLO
 Pirandello è  l’autore italiano più conosciuto all’estero soprattutto per il metateatro che  viene rappresentato sia a Roma che a Milano che a Londra e a New York.
  Infatti l’autore si proietta verso tematiche che si  avvicinano alla sensibilità di autori stranieri.
  Pirandello nasce in Sicilia nel 1867 e muore nel  1936: è contemporaneo di D’Annunzio ma i due caratteri e le due formazioni sono  profondamente diversi.
  Fino al 1892 la formazione di Pirandello è  influenzata da tre componenti:
- l’ambiente siciliano
- l’ambiente tedesco
- l’ambiente romano
La Sicilia rimane in alcune ambientazioni di romanzi  e si sente l’influenza di Verga e De Roberto.
  Il padre era garibaldino e dirigeva una miniera di  zolfo. Non vede di buon occhio gli studi del figlio e Pirandello prova un senso  di inettitudine nei confronti del padre. E’ un rapporto conflittuale, lui si  sente inferiore al padre.
  Tra il 1887 e il 1889 e dopo il 1891 vive a Roma,  studia lettere e ha contatti con Capuana.
  Per problemi con dei professori lascia Roma e si  trasferisce a Bonn dove si laurea con un tesi intitolata “Suoni e sviluppo dei  suoni del dialetto di Girgenti”.
  Le sue prime opere sono poesie. Nel 1889 pubblica  “Mal giocondo” e nel 1891 “La pasqua di Gea”.
  Nel 1892 torna a Roma e vi rimane per 10 anni  dedicandosi all’insegnamento e alla letteratura.
  Nel 1894 si sposa con un matrimonio combinato. La  moglie dopo il disastro famigliare provocato dall’allagamento di una solfatara,  impazzisce e viene rinchiusa in manicomio.
  La sua pazzia si manifesta attraverso una  ingiustificata e potente gelosia.
  Pirandello studia i sintomi della pazzia e della  sanità fino a chiedersi chi sia veramente il pazzo.
  Nel 1893 scrive il romanzo “Marta Ajala” pubblicato  nel 1901 con il titolo “L’esclusa”.
  Questo romanzo è ambientato in Sicilia, in ambiente  piccolo borghese. La protagonista è un’insegnante accusata dal marito di  tradimento. Viene allontanata dal paese e ha un rapporto con l’uomo con il  quale viene accusata di adulterio proprio quando il marito si convince della sua  innocenza.
  Nel 1895 scrive “Il turno”, un romanzo breve,  ambientato sempre in Sicilia.
  Sciascia parla di sicilianità a proposito di  Pirandello perché nei suoi romanzi c’è poco dinamismo e c’è fatalità…
  Nel 1903 avviene il disastro finanziario e iniziano gli  squilibri della moglie.
  Nel 1904 viene pubblicato “Il fu Mattia Pascal” che  apre la narrativa umoristica.
  Nel 1908 Pirandello inserisce alcuni scritti in un  saggio “Umorismo” e pubblica il romanzo “Il vecchio e il giovane” e le “novelle  per un anno”.
  Dal 1916 al 1925 Pirandello si dedica al teatro del  grottesco. Le sue opere teatrali vengono raccolte nel libro “Maschere nude”.
  Del 1921 è l’opera “Sei personaggi in cerca  d’autore” e del 1922 “Enrico IV”.
  Nel 1924 Pirandello si iscrive al partito fascista e  fa parte del Manifesto dei letterati fascisti.
  In realtà l’autore vede nel movimento una sorta di  pensiero rivoluzionario che possa rompere gli schemi di una società borghese  che egli sente con fastidio. Si sente imprigionato dagli schemi, dalle falsità,  dai modi di fare stabiliti…
  Forse nel fascismo trova uno spiraglio per rompere  questi schemi.
  In realtà Pirandello non segue il partito e nelle  sue opere non ci sono interventi politici.
  Quello che interessa Pirandello è la condizione  esistenziale dell’uomo.
  Tra il 1926 e il 1936 si ha la stagione del  surrealismo con l’opera “I giganti della montagna” del 1930 e il romanzo “Uno,  nessuno, centomila” del 1925.
  Nell’ultima parte della sua vita Pirandello ha una  fiducia mistica nella natura, si libera dagli schemi pere unirsi alla natura.
  Privilegia il mondo dei miti contro la società.
  Nel 1934 riceve il Premio Nobel per la letteratura e  muore nel 1936 durante le prove di un suo dramma.
  L’opera che apre al nuovo Pirandello è “Il fu Mattia  Pascal” che subisce un’influenza importante dal Positivismo e dal verismo. La  sua adesione al positivismo non è totale e ottimistica.
  La scienza non è concepita ottimisticamente.
  Verso gli inizi del secolo approda a un  soggettivismo novecentesco: prima il soggetto conosceva la realtà ora è messo  in rilievo che questa concezione non è possibile.
  Pirandello è attratto dai fenomeni della psiche e  dalla parapsicologia.
  Gli studi psicologici sono influenzati da Binet con  il suo libro “Le alterazioni della personalità” del 1892. Pirandello ritrova  concretamente queste alterazioni nella moglie.
  Il testo aveva come oggetto la comprensione dei  livelli psichici di una persona.
  Pirandello critica il simbolismo, l’estetismo e  soprattutto D’Annunzio proiettandosi verso l’arte umoristica.
  Nel 1893 pubblica un saggio “Arte e coscienza  d’oggi” nel quale critica la crisi intellettuale e morale della sua epoca,  della sua generazione incapace di individuare nuovi valori tanto da trovare la  relatività in ogni cosa.
  E’ esplicativo l’esempio della LANTERNINOSOFIA cioè  la filosofia dei lanternini.
  Un tempo esistevano grandi lanterne che  rappresentavano i grandi valori, quando questi si spengono l’uomo è privo di  luci e procede nel buio con la propria piccola luce. Vede quindi solo davanti a  sé e non conosce né comunica con gli altri.
  Si parla di relativismo gnoseologico, cioè ogni  conoscenza è relativa, ognuno ha la propria verità.
  La poetica dell’umorismo è presente nelle due  premesse iniziali del romanzo “Il fu Mattia Pascal” e nel saggio “Umorismo”.
  Pirandello oscilla tra una posizione ontologica  dell’umorismo che potrebbe essere perenne o storico.
  Esamina gli autori umoristici della letteratura come  Chervantes e si accorge che l’umorismo può essere un elemento storico o  perenne.
  Pirandello vede il limite dell’uomo che vive in un  Universo privo di senso e si dà un significato della vita attraverso  autoinganni. L’umorismo serve proprio a svelare questa contraddizione esistente  nell’uomo. Si sente una matrice leopardiana.
  Pirandello individua nella caduta  dell’antropocentrismo tolemaico la nascita del malessere che induce alla  relatività del reale. Si sviluppa così una sorta di nichilismo accentuato dalla  disgregazione dei valori ottocenteschi.
  L’arte ha valore solo se è arte umoristica e mette  in luce le contraddizioni.
  Pirandello mette in crisi il positivismo e le  ideologie romantiche, contesta nel positivismo il criterio di verità oggettiva,  garantita dalla scienza.
  Anche il romanticismo è lontano dall’idea di verità  soggettiva.
  Il soggetto che esprime il senso artistico cade e il  soggetto non conosce la verità e all’interno del soggetto si animano conflitti  e caos. Non esistono più certi valori e le forme di rappresentazione si  discostano da quelle originali.
  Un’altra caratteristica della filosofia pirandelliana  p il contrasto forma – vita, personaggio – persona.
  L’uomo per dare un senso alla propria vita, si  organizza secondo le convenzioni e i riti per rafforzare l’illusione di un  significato dell’esistenza.
  L’uomo riveste forme a cui rimane legato come per  esempio le convenzioni e gli usi….
  Questi valori illusori  sono autoinganni e costituiscono la forma che  non è vita.
  In alcuni esiste un vitalismo, la volontà di  esprimere la propria vitalità. Il soggetto costretto a vivere nella forma sente  il desiderio di vivere al di fuori di essa.
  L’individuo diventa maschera o personaggio vivendo  all’interno della forma.
  Il personaggio recita all’interno della società una  parte che o sceglie o gli viene imposta.
  La società quindi non è formata da eroi o individui,  ma da maschere e personaggi.
  Il personaggio quindi ha due strade: o l’ipocrisia e  l’incoscienza, cioè non si rende conto della sua situazione, oppure  l’autoironismo che è una scissione tra forma e vita. L’individuo quindi può  trovare uno spiraglio di vera vita. Con la riflessione l’individuo si rende  conto della differenza tra quello che fa e quello che è.
  Importante è la differenza tra comicità e umorismo:  nella comicità non interviene la riflessione.   
  Il comico è l’avvertimento del contrario, mentre l’umorismo  è il sentimento del contrario ed è la capacità, riflettendo, di trovare la  contraddizione interna all’uomo.
  L’arte umoristica tende alla contraddizione, alla  disarmonia perché è espressione della disarmonia dell’universo. 
  Pirandello è consapevole del fatto che la vita “non  conclude” cioè non ha senso, dal punto di vista formale predilige le strutture  aperte.
  Pirandello si allontana dal genere tradizionale,  sceglie un linguaggio quotidiano per comunicare le storture di una esistenza  senza senso.
  Nei romanzi si trova la destituzione dell’io,  l’individuo cessa di essere, il luogo dell’identità si caratterizza per spinte  contrastanti.
  La ragione non è un mezzo per spiegare la vita, ma  l’irrazionalità del reale.
  L’arte umoristica rifiuta la concezione classica, il  romanticismo e il decadentismo.
IL FU MATTIA PASCAL
  Il romanzo è stato scritto nel 1903-04 e pubblicato  a puntate sulla rivista “Nuova Antologia” e nel 1910 pubblicato da Treves.
  Il romanzo inizia con due premesse: una al romanzo e  una filosofica.
  Le vicende che portano il personaggio a considerarsi  forma sono già avvenute. Il protagonista arriva alla consapevolezza di essere  forma.
  La struttura del romanzo è tradizionale. La prima  parte si svolge a Miragno paese in Liguria dove vive Mattia Pascal. Il nome del  protagonista ricorda il cognome del filosofo francese del ‘700 che mette in  luce l’inadeguatezza della ragione che dà spazio al sentimento. Mattia invece  ricorda matto.
  La giovinezza di Mattia Pascal è tranquilla, il  padre gli lascia un’eredità, ma la madre incapace di gestire il patrimonio lo  mette nelle mani di un amministratore che se ne approfitta.
  La spiegazione a certi comportamenti hanno origine  famigliare. Anche nelle novelle Pirandello rappresenta protagonisti con vite  famigliari e lavorative insopportabili.
  Mattia conosce Romilda per conto di un amico troppo  timido, ma si innamora della ragazza che aspetta un figlio da lui.
  L’amministratore si offre di fare da padre al figlio  di Romilda e Mattia fa la corte alla moglie dell’amministratore, Olivia.
  Olivia rimane incinta e Malagna è contento perché  voleva un erede. Intanto Mattia si sposa con Romilda che non lo ama più e si  porta in casa la suocera (vedova Pescatore).
  La sua vita famigliare è ricca di liti e  insofferenze che portano Mattia a escogitare la fuga.
  Mattia è impiegato in un biblioteca di scarso valore  e quando il fratello gli invia dei soldi parte. La sua fuga si ferma a  Montecarlo dove vince al casinò. Decide così di tornare a casa ma apprende di  essere morto, cioè si ripesca dal fiume un suicida irriconoscibile e si pensa  che sia lui.
  Mattia Pascal si sente libero e assume un’altra  forma, recita la parte di un altro personaggio Adriano Meis, ma non ha identità  e non può possedere nulla.
  Giunge a Roma, città importante per il decadentismo  ma descritta qui  come città grigia,  fatta di uffici pubblici e di quotidianità.
  Decide di andare a pensione in una casa modesta, di  un certo Paleari, un vecchio esperto di spiritismo.
  All’interno di questa casa sono presenti altri  personaggi: Adriana, la figlia del vecchi Paleari, verso la quale Mattia nutre  interesse; una maestra di pianoforte e Terenzio Papiano, un imbroglione, genero  di Paleari.
  Durante una seduta spiritica Mattia prova a  dichiararsi ad Adriana ma Terenzio gli ruba tutti i soldi.
  Inizia una situazione di crisi. Mattia non può  sposare Adriana perché non ha un’identità e pensa di suicidarsi. Lo fa con la  forma di Adriano Meis.
  Ritorna così alla sua forma originaria e torna a  Miragno; però apprende che la moglie si è sposata con un amico e che nessuno lo  riconosce.
  Va a vivere quindi nella sua casa famigliare e si  impiega nella vecchia biblioteca affidando il suo caso alla scrittura.
  Racconta la sua vita al capo della biblioteca e  continua a visitare la tomba del “fu” Mattia Pascal.
  
  Il romanzo si apre con due premesse. Nella prima Mattia preme sull’importanza di avere  un’identità, mentre nella seconda si  riprende il discorso della perdita dell’importanza dell’antropocentrismo.
  L’ambientazione è una biblioteca disordinata e  questa allude alla perdita dell’autocoscienza umana. Pirandello usa l’aspetto  ironico per svelare la contraddizione del reale.
  Viene messo in crisi anche il significato di arte.  L’arte del ‘900 mette in luce la non utilità della poesia che serve solo a dare  l’idea della disarmonia della realtà.
  Dimostrando che l’uomo non è al centro dell’universo  l’uomo ha un posto insignificante nel mondo.
  Lo stesso concetto si ritrova in una delle Operette  morali di Leopardi.
  Quando l’uomo considerava che la terra fosse ferma  aveva una forte autocoscienza e era pervaso di ottimismo. Aveva una vera e  propria dignità; la letteratura poteva avere determinati caratteri e serviva  anche per intrattenere.
  Ora l’universo invece è privo di senso, così come  nella Ginestra di Leopardi la terra è vista come un granello di sabbia. Inoltre  si riprende l’immagine dell’eruzione vulcanica.
  Così come l’universo anche la vita umana è priva di  senso.
  Il narratore avverte la crisi di coscienza.
  In alcuni momenti l’uomo si distrae e crede ancora  di essere al centro dell’universo, così si sente investito di importanza e se  la prende anche per delle sciocchezze.
  Nel libro Mattia Pascal scrive come arriva alla  consapevolezza di non vivere.
  Non è un romanzo di formazione ma si vuole  comunicare l’esistenza di un problema.
  Il romanzo è diverso da quello verista, non segue un  percorso cronologico.
Capitolo 9  Menzogna e solitudine
  Il capitolo si intitola “Un po’ di nebbia” ed è  ambientato in un’atmosfera autunnale che sottolinea la malinconia del personaggio  che inizialmente è esaltato per la inaspettata libertà e pi si rende conto che  non avendo più identità non può instaurare rapporti sinceri.
  Il personaggio di Tito Lenzi, che si vanta di essere  un dongiovanni, viene visto con compassione da Mattia Pascal.
  Questa filosofia prevede la perdita di ogni valore,  c’è uno scarto tra essere e sembrare: ognuno può esser uno per sé, ma altro per  gli altri. Questa è la spiegazione al relativismo.
  Questa è la dissociazione cui l’uomo è vittima.
  C’è una sproporzione tra forma del personaggio e le  sue parole. Sembra sempre mentire.
  Mattia Pascal prova invidia verso gli altri  personaggi perché si rende conto dei limiti della sua libertà: gli altri  possono scegliere se mentire o no mentre per lui la menzogna è necessaria.
  Ognuno è condannato in quella forma imposta dagli  altri che presuppone la creazione di un personaggio.
  Il fatto di mentire fa cadere la possibilità di  avere amici.
  Il fatto di uscire dalla forma aveva dato euforia al  personaggio che però ora va cadendo.
  Le persone si vedono vivere e quando la coscienza  interviene ci si conosce e questo significa morire.
  La condizione di Mattia Pascal gli impedisce di  avere valori sicuri.
  Viene preso anche in considerazione l’aspetto  negativo della città: il progresso porta caos e alienazione. Pirandello quindi  critica il positivismo e il lavoro che spersonalizza.
  C’è anche il momento di distrazione nel quale l’uomo  si crede ancora al centro dell’universo.
  In questo capitolo quindi si mettono in pratica i  concetti della premessa filosofica.
  Mattia sente la necessità di vivere, acquisire una  forma e un’autenticità.
Capitolo 12 Lo  strappo nel cielo di carta ( da L’occhio e Papiano)
  Nel capitolo è presente una critica della  consistenza dell’io e dell’oggettività della realtà. Ognuno ha la sua verità,  per cui la Verità assoluta non esiste.
  Viene proposta la tragedia di Oreste di Sofocle.  Paleari mostra come questa tragedia sia inattuale  perché in questa società non ci sono ideali  come in quella antica.
  Inoltre scompaiono le certezze  presenti nel mondo antico. Oreste nella  tragedia è sicuro del proprio atto, se fosse intervenuta una qualsiasi crisi,  la sua volontà di vendicarsi non sarebbe più stata certa ma sarebbero sorti dei  dubbi.
  Il dubbio era l’elemento caratteristico della  tragedia shakespeariana  . Oraste è  paragonato ad Amleto
  Ora l’uomo dubita perché non è guidato da valori e  non sa cosa fare. Le marionette vengono definite beate perché non hanno dubbi.
  Da Copernico in poi l’uomo ha perso ogni certezza.
  Papiano è un uomo senza scrupoli per cui non è  sottoposto a lacerazione.
  Adriano Meis ha la coda di paglia perché non può  reagire e mostra il proprio stato di inferiorità.
  Mattia Pascal è irritato dalla sua posizione, è una  condizione di impotenza perché non può avere rapporti di amicizia o  sentimentali.
  
  NOVELLE PER UN  ANNO
  Questa è una raccolta in cui sono comprese anche  novelle scritte in gioventù.
  Il progetto vorrebbe una novella per ogni giorno  dell’anno, in realtà esse vogliono mettere in luce la disarmonia dell’uomo e  della vita.
  Alcune sono ancora rusticane con un’ambientazione  siciliana, altre sono ambientate in città, dove c’è alienazione e necessità di  fuga da una situazione lavorativa o famigliare ossessionante.
  Questa fuga avviene attraverso atti assurdi che esprimono  il bisogno di vivere veramente.
  Per esempio nella novella Tu ridi, l’uomo per  sfuggire alla realtà nel sogno ride.
  Le ultime novelle sono di carattere surrealista.
La carriola 
  Questa  novella è stata scritta nel 1928. Si può dividere in tre sequenze: un prologo  nel quale si accenna all’atto, il racconto della vicenda e la riflessione del  personaggio.
  L’atto a cui si allude verrà spiegato alla fine  della novella, il suo scopo è quello di liberare il personaggio dalla forma.
  Il protagonista non si riconosce più e si accorge di  non vivere veramente. Si intravede uno spiraglio di vita ma poi si ritorna alla  situazione precedente.
  Il tema della pazzia è caro a Pirandello anche per  la situazione della moglie.
  La pazzia, l’atto gratuito, non è pazzia se si  analizza la situazione del personaggio.
  La prima sequenza quindi parla di quell’atto che se  venisse scoperto lo rovinerebbe perché il personaggio ha una serie di incarichi  ed è una persona di un certo tipo.
  Ad un certo punto il protagonista incontra la vita e  si accorge del suo essere forma, imposta dagli altri.
  Il personaggio è assorbito nella sua professione e  non può concedersi distrazioni.
  In questo caso Pirandello descrive un personaggio di  una classe alto borghese, invece predilige descrivere situazioni basso  borghesi, come gli impiegati.
  Nel momento del viaggio però riesce a distrarsi.
  Il paesaggio dolce e rilassante gli apre una  prospettiva di nuova vita.
  Non si può liberare dalla forma ma deve trovare un  modo per uscirne.
  Dopo aver immaginato una nuova vita il ritornare  alla vita solita gli provoca noia, alienazione, sdoppiamento dell’identità.
  Egli vede sé stesso ma non si riconosce ( questo può  condurre a pazzia).
  Si sente quindi estraneo alla sua stessa vita.
  La sua vita è una forma imposta da altri.
  La coscienza che fa intuire la vita diversa non è da  tutti. Non è la cultura a provocare questa coscienza ma le situazioni  circostanti.
  La convenzionalità e la falsità circondano anche la  sfera degli affetti.
  Il sonno è il rifugio psicologico contro ogni  problema.
  Il vedersi vivere è la discordanza tra la forma e la  vita. Quando si vede la forma non si può più vivere d’accordo con lei, per cui  conoscersi vuol dire morire.
  Non c’è soluzione a questo dramma umano.
  La libertà di vita si raggiunge allora con l’atto  che potrebbe sembrare pazzia, è l’unico mezzo per sopportare la forma.
  Questo atto consiste nel far fare la carriola al  proprio cane, il quale rimane sbalordito perché proprio lui, uomo rigido e  posato fa una cosa del genere che risulterebbe normale fatta da uno dei figli.
Il treno ha  fischiato
  Questa novella è precedente, è del 1914 e si trova  nel quarto volume intitolato Uomo solo.
  L’autore sembra essere un conoscente del  protagonista per cui conosce i motivi dell’apparente follia.
  Ancora prima di dare la spiegazione del fatto  premette che questo farneticare è un’inevitabile conseguenza di una vita  insopportabile.
  Usa termini molto precisi inerenti alla vita  d’ufficio.
  L’impiegato preso di mira che cova al suo interno  una insoddisfazione che deve sfogare è una condizione che si trova anche in  Svevo e Kafka.
  E’ presente la critica alla meccanicizzazione della  società e il tema dell’uomo ridotto a essere una macchina e incapace di vivere.
  L’autore non  è sorpreso dalla pazzia del protagonista perché è a conoscenza della  situazione.
  Viste le premesse perciò la coda di mostro che  rappresenta la pazzia è naturalissima.
  La descrizione della vita famigliare è un tipico  esempio di umorismo.
  Il motivo del sonno presente anche in altre novelle  è il rifugio dalla vita insopportabile.
  Per l’autore è meglio la follia che la forma  orribile e la vita squallida. Questo si ritrova anche nell’opera teatrale  Enrico IV.
  Il treno che fischia porta il protagonista lontano  dalla sua vita impossibile.
Sei personaggi  in cerca d’autore
  Quest’opera teatrale viene rappresentata per la  prima volta a Roma dove non riscuote molto successo, ma viene presto  riconosciuta soprattutto all’estero.
  Il teatro pirandelliano riassume le tematiche dei  romanzi e delle novelle, ma in questo caso va oltre: il problema è quello di  rappresentare il teatro.
  Pirandello si chiede quale sia il senso della  rappresentazione teatrale.
  Si parla quindi di metateatro, cioè l’autore si  interroga sulla capacità di fare teatro.
  Uno dei temi forti in quest’opera è  l’incomunicabilità che si traduce sulla scena con il caos.
  Il dramma consiste in una scena in allestimento; una  compagnia teatrale prova un dramma di Pirandello quando compaiono i sei  personaggi, nati vivi dalla fantasia dell’autore, ma rifiutati dall’autore  stesso.
  Sono un padre, una madre, un figlio, una figliastra,  un giovane e una bambina, che chiedono al capo comico di rappresentare il loro  dramma. Il dramma consiste nella famiglia composta dalla madre, dal padre e dal  figlio che si sfalda; la madre sposa un altro uomo dal quale ha altri tre  figli. Quando quest’uomo muore la famiglia cade in una crisi economica e la  figliastra è costretta a prostituirsi nel negozio di madama Pace. A questo  punto arriva il padre al negozio e sta per avere un rapporto con la figliastra  quando arriva la madre e blocca il possibile incesto.
  Da questo punto in poi la figliastra vivrà con il  senso di vendetta e il padre con il rimorso.
  L’opera si conclude con il suicidio della bambina e  del giovane.
  Cade quindi il confine tra scena e spettatore che  viene chiamato a riflettere. Pirandello si interroga sulla necessità del  teatro.
  Nella prefazione all’opera Pirandello stesso spiega  che questi sei personaggi si sono presentati spontaneamente alla sua fantasia,  sono nati vivi dalla sua fantasia.
  Si distacca da un impianto naturalista che si limita  alla registrazione oggettiva dei fatti.
  Secondo l’autore questi personaggi devono avere un  senso non solo all’interno della loro vicenda, ma un senso universale, per  tutti. Devono rappresentare una situazione umana. Pirandello quindi si  identifica tra gli scrittori di natura filosofica.
  Non trova però un senso in questi sei personaggi per  cui non li mette in scena. 
  Per questo i sei personaggi si sentono rifiutati,  perciò ricercano all’esterno una loro rappresentazione, proprio in un teatro.
  Gli attori sono però incapaci di rappresentare il  loro dramma .
  E’ presente il contrasto tra la vita e la forma che  è cristallizzata.
  I personaggi si ripropongono continuamente alla  fantasia dell’artista.
  La rappresentazione è un misto tra tragico, per via  della vicenda, e comico.
  I personaggi litigano tra di loro, impongono la loro  posizione e vivono il loro dramma.
  Vengono descritti vari conflitti: quello tra vita e  forma, che nella rappresentazione è fissa.
  La figliastra e il padre vivono la lacerazione del  fatto di essere forma.
  La madre invece è un personaggio naturale, che vive  il suo dramma senza la ragion d’essere e la coscienza di essere forma.
  E’ priva di spirito, però ha il compito di rivelare  il valore della forma artistica.
  Il giovane e la bambina sono solo presenze.
  La rappresentazione quindi consiste nel vano  tentativo di cercare un autore.
  Pirandello accoglie i personaggi, ma rifiuta il loro  dramma.
  Gli attori provano a recitare il dramma ma non  riescono, perché non corrisponde alla verità della vicenda che i sei personaggi  continuano a vivere.
ITALO SVEVO
Svevo nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia di  genitori ebrei, commercianti.
  Viene avviato a una carriera lontana dalla letteratura  della quale si interessa e coltiva ambizioni.
  Conosce la lingua tedesca, studia in Baviera e poi  conclude gli studi commerciali a Trieste.
  Si appassiona alla musica e suona il violino.
  Ha delle esperienze come impiegato che saranno  importanti per i suoi romanzi.
  L’élite israeliana a Trieste viene presto a  conoscenza di nuove teorie come l’opera di Freud.
  Legge però anche romanzi francesi e i classici  italiani. Inoltre scrive alcune commedie.
  Per quanto riguarda la filosofia legge Schopenauer,  Darwin e aderisce in parte al socialismo.
  Si possono dividere tre fasi letterarie:
- la formazione letteraria che si conclude nel 1899 con la decisione di non scrivere più;
- il periodo di silenzio letterario fino al 1918
- il ritorna alla letteratura con il romanzo La coscienza di Zeno.
I suoi tre romanzi sono :
  Una vita e Senilità che si ricollegano ancora al  positivismo e La coscienza di Zeno che si riallaccia invece alle nuove teorie  della Psicoanalisi.
  Con Svevo abbiamo la nascita del romanzo di  avanguardia, che mette in scena inetti, perdenti e si propone di raccontare una  storia interiore. Ha carattere terapeutico.
  Dopo il matrimonio Svevo decide di non scrivere più,  ma coltiva in segreto la sua passione per la letteratura e elabora mentalmente  il suo romanzo.
  Nella sua cultura letteraria confluiscono autori  posivisti, il marxismo e il pensiero negativo di Schopenauer e Nietzsche.  Inoltre studia il pensiero di Darwin e di Freud così da usare mezzi scientifici  per la conoscenza di sé e dell’umanità.
  Respinge però l’ottimismo e rifiuta la presunzione  di poter spiegare tutto.
  Nel 1887 pubblica sulla critica sociale il saggio La  tribù nel quale riflette il suo marxismo.
  La Coscienza di Zeno si apre con il rifiuto da parte  del protagonista della cura psicoanalitica. La sanità consiste nella normalità  che  a un certo punto diventa  omologazione.
  Il medico pubblica le confessioni di Zeno.
  Tutti i romanzi di Svevo contengono personaggi  inetti, fallimentari. Se Zeno si curasse potrebbe diventare normale anche se  perderebbe alcuni dei suoi impulsi.
  Si rende conto di essere inetto e ironicamente  preferisce l’inettitudine alla sanità.
  Anche il momento della morte del padre mette a  confronto la sua inettitudine con la sanità paterna.
  I tre romanzi sono pubblicati nel 1892 Una vita, nel  1898 Senilità e nel 1923 la Coscienza di Zeno.
  L’uomo si crea autoinganni, svela gli alibi morali  che nascondono pulsioni inconsce.
  I romanzi sono svolti con una focalizzazione  interna, cioè l’autore e il narratore coincidono e commentano la situazione non  dall’esterno.
  I primi due romanzi sono influenzati dal verismo e  dal naturalismo nella descrizione degli ambienti e dei personaggi.
  Nella Coscienza di Zeno invece la struttura  narrativa viene demolita. Il narratore è in prima persona e la tecnica del  flusso di coscienza porta sfasamenti temporali.
  Il romanzo Una vita, il cui titolo originale era Un  inetto, racconta di Alfonso Nitti, un copista che ha una predisposizione  letteraria. Il protagonista tenta il riscatto corteggiando la figlia del  proprietario della banca.
  La ragazza vuole scrivere un romano con lui, ma  Nitti se ne va. Quando torna la ragazza è fidanzata con il suo rivale, lui non  sa approfittare delle situazioni. Si sente fallito e si suicida, conclude in  modo tradizionale la sua vita.
Senilità che aveva titolo originale Il carnevale di  Emilio è un romanzo equilibrato. Ci sono infatti due personaggi inetti Emilio e  la sorella Amelia che vivono un’esistenza grigia , una vecchiaia interiore.
  Gli altri due sono invece personaggi solari, capaci  di vivere: Angiolina dalla quale Emilio si innamora e Stefano Balli del quale  si innamora invece Amalia.
  La stia è quella di Emilio impiegato di 35 anni che  vive con la sorella scialba, zitella, dall’apparenza senile. Sogna un’avventura  facile e breve quando incontra Angiolina della quale pensa di approfittare  ponendo delle premesse.
  Di fatto la sua inettitudine lo porta a un  atteggiamento duplice.
  Amelia si innamora segretamente del Balli.
  La vicenda di Emilio è un sogno ad occhi aperti a  livello del subconscio, è una vicenda fallimentare.
  L’elemento freudiano è il principio del piacere e  della realtà. Ognuno è portato al piacere come i bambini che poi vengono  educati. Il principio di realtà pone dei vincoli come la morale.
  In Emilio il principio di realtà soffoca quello di  piacere, vorrebbe vivere, avere un’avventura ma il principio di realtà , la  famiglia la carriera glielo impediscono.
  Emilio è desideroso di vivere ma reagisce nel sogno.  Quando incontra Angiolina vive in una situazione che non è reale.
  Un amore  prudente
  Il romanzo si apre quando Emilio e la ragazza si  conoscono, si incontrano e passeggiano. Il perbenismo e l’incapacità di vivere  portano Emilio a crearsi degli autoinganni che lo fanno vivere nel sogno.
  Decide di iniziare una relazione impostata sulla  prudenza, nascondendosi dietro la famiglia, la carriere che sono menzogne per  non coinvolgersi troppo.
  Da una parte c’è brama di piacere, dall’altra la  debolezza del suo carattere.
  Si culla nella sua vita monotona, rendendosi conto  di non vivere e di non essere in grado di vivere.
  Si crea delle maschere: non è se stesso e non è in  grado di valutare intorno a lui.
  Si ritiene una macchina ancora in costruzione e non  ancora attiva. Ha bisogno di ancorarsi ai valori borghesi.
  Angiolina è descritta come una ragazza bella ma  ignorante. E’ semplice ma piena di salute interiore.
  Emilio vorrebbe fare il dongiovanni ma non è capace  perché si innamora della ragazza.
  Secondo la teoria di Schopenauer l’uomo ha la  volontà di smontare i propri autoinganni.
  E’ una specie di monologo interiore di Emilio.
  Angiolina non si crea problemi e per questo è  ritenuta sana, ma questo tipo di sanità viene rivista da Svevo perché la salute  è normalità e omologazione con gli altri, uno stato di non problematicità.
  Per distruggere la malattia è necessario distruggere  l’Universo Intero.
  I romanzi sono ambientati a Trieste descritta come  una città grigia.
  La donna e il  romanzo
  Emilio rompe con Angiolina e torna alla sua vita di  inetto, ricominciando a scrivere ma senza risultati. Così preso dalla sua  storia non si accorge che la sorella sta vivendo un dramma per l’amore non  corrisposto di Stefano Balla Si accorge quando non c’è più niente da fare.
  Emilio incontra Angiolina l’ultima volta e intanto  la sorella si suicida.
  Si sovrappone l’esigenza di tornare alla normalità,  Emilio è convinto di essersi liberato e invece associa continuamente la ragazza  alla vita.
  Emilio mente e per questo lascia anche la scrittura.  Non è in grado di riproporre dal punto di vista letterario la sua vicenda con  Angiolina.
  Si riconosce la stessa esperienza dell’autore.
LA COSCIENZA  DI ZENO
  Dopo il silenzio letterario Svevo scrive questo  romanzo che viene immediatamente apprezzato da Joyce e Montale, il quale fa un  commento e un sunto dell’opera nel 1976.
  La trama è la storia rivissuta di Zeno che entra in  analisi e poi la rifiuta. Il medico per vendetta pubblica i suoi appunti.
  Il romanzo si apre con una prefazione  e un preambolo che sono seguiti da varie  sezioni.
  Nella prefazione la voce narrante è quella del  dottore. Si individuano i tre temi fondamentali dell’opera: il primo è quello  della malattia, il secondo è quello della scrittura come cura e il terzo è  quello della resistenza alla cura.
  Zeno è consapevole che salute e malattia non  esistono, ma esiste solo una malattia cosmica debellabile con la distruzione  dell’universo.
  Le parole del medico ci portano a un rancore verso  di lui in quanto pubblica gli appunti per vendetta.
  Ci porta a un giudizio negativo verso il medico e  verso la psicoanalisi.
  Le parole del dottore non godono di credibilità.
  Il preambolo è costituito da una risposta alla  prefazione.
  La presbiopia citata da Zeno è un difetto ottico  degli anziani, chi è vecchio quindi dovrebbe saper vedere bene da lontano e  quindi essere in grado di ripercorrere la propria vita.
  Ma a ostacolare la vista ci sono alte montagna, che  sono gli anni.
  Svevo nella narrazione utilizza molti germanismi che  in varie edizioni vengono tolti per questione di stile.
  Zeno fa un’operazione di auto ipnosi che finisce nel  sonno, durante il quale crede di aver visto qualcosa che non ricorda.
  Secondo Freud tutte le perversioni hanno origine  nell’infanzia, così cade l’idea che l’infanzia sia un periodo di sanità.
  Il proposito di ricordare la propria infanzia è uno  dei tanti propositi che Zeno fa ma non rispetta.
  Ci sono due opposizioni: quella tra vecchio e  infanzia che si collega a quella tra malattia e salute.
  Vedere l’infanzia significa recuperare la salute, ma  Zeno scopre che l’infanzia è malata essa stessa e così arriva alla conclusione  che la psicoanalisi è inutile.
Il fumo.
  Per Zeno il fumo è un vizio come l’incapacità di  amare una donna sola o fare un’attività seria.
  È considerato un alibi che gli serve per  giustificare una mancata attività. Fa quindi una serie di propositi legati  all’ultima sigaretta che poi non mantiene.
  La malattia di Zeno è frutto di un attaccamento  morboso alla madre e del fallimento della figura paterna che avrebbe dovuto  essere il mediatore tra le due figure.
  Il padre è visto come un antagonista, colui che  bisogna imbrogliare. Solo al momento della sua morte Zeno mostra il suo  affetto, anche se il padre sul letto di morte sentendosi soffocare e credendo  che la causa fosse il figlio, gli dà una sberla.
  L’inizio del racconto è quindi legato al fumo.
  Il fumo giustifica il furto. Quello del fumo sembra  quasi un rito, qualcosa di dovuto, una necessità.
  È presente anche nell’infanzia l’elemento della  menzogna e la capacità di simulare. La colpa della mancata innocenza  nell’infanzia di Zeno viene attribuita al padre.
  Zeno da anziano commenta la sua gioventù.
  Zeno è come Emilio in Senilità quando si sente sul  punto di produrre qualcosa, ma è solo un alibi per nascondere l’inettitudine.
  L’ultima sigaretta viene sempre associata a date,  eventi e ricordi: sono limiti che Zeno si pone ma che trasgredisce.
  Il tempo di Zeno è quello che vive nella coscienza:  il passato si confonde con il presente. (viene influenzato dalla teoria della  relatività di Einstein).
  La morte del  padre
  È l’avvenimento più importante perché causa numerosi  sensi di colpa.
  Il rapporto padre – figlio è un rapporto di  diffidenza, di incomunicabilità.
  L’evento culminante è lo schiaffo che il padre  sentendosi soffocare e credendo che sia colpa del figlio da a Zeno un momento  prima di morire.
  Il figlio nel mometno della malattia vuole  riscattare il poco affetto.
  Questo passo è preceduto da una discussione tra i  due sulla religione. Il padre conosce tutte le risposte e questo è sintomo di  sanità.
  Zeno vecchio ricorda il momento di questa discussione  e capisce che è dovuta la poco affetto nei confronti del padre.
  Il padre vorrebbe comunicare al figlio la propria  sanità, ma quando il figlio è disposto ad ascoltare lui perde le parole.
  Zeno è complicato e malato, mentre il padre è  semplice e sano.
  Zeno chiama il medico nei confronti del quale prova  un’antipatia a prima vista che si trasforma in risentimento quando vorrebbe  applicare le sanguisughe per prolungare la vita al padre, mentre Zeno lo  proibisce perché per non allungare la sofferenza del malato.
  Questo viene filtrato dalla coscienza di Zeno in un  sogno nel quale Zeno sogna il capovolgimento della situazione.
  La descrizione degli stati patologici è ancora  tipica dell’uso positivista.
  L’atteggiamento del medico è scostante, Zeno si  oppone alle sue prescrizioni, e questo verrà filtrato dalla coscienza come  colpa di non aver curato il padre.
  Il medico lo accusa di voler recidere quel filo di  speranza che il padre poteva ancora avere.
  A questo punto Zeno per sfuggire alla situazione si  abbandona in un sonno senza sogni.
  Invece Zeno vecchio ripensando alla situazione di  quei giorni rivive il trauma nel sogno, dove si ribalta la situazione . Zeno è  consapevole che il suo sogno interpretato contraddice quello che ha asserito in  precedenza, cioè di aver superato il trauma per la morte del padre. I sensi di  colpa e l’angoscia perdurano.
  Curando il padre Zeno sente un’insofferenza che si  ripercuote sul padre stesso e diventa poi senso di colpa.
  Il padre   sicuro nelle sue certezze religiose non ha mai riflettuto sulla morte.
  Con lo schiaffo il padre non vuole punirlo, ma Zeno  lo interiorizza in questo senso.
  Il momento improvviso della morte non permette a  Zeno di dimostrare la propria innocenza.
  Dalla storia del mio  matrimonio: il fidanzamento
  Secondo  la psicoanalisi Zeno ha bisogno del matrimonio per sostituire la figura paterna  con il suocero.
  Zeno  crede di recuperare la sanità nel matrimonio.
  Secondo  un saggio di Freud sui malati di nevrosi ossessiva, questi malati hanno bisogno  di un antagonista, che deve morire per risolvere la propria malattia.
  In  questo caso Zeno ha un rivale in amore: Guido e sente il desiderio di  ucciderlo.
  In  casa Malfenti ci sono quattro  ragazze: Ada la più grande e la più bella, Augusta, la più brutta, Alberta che  è adolescente e colta e Anna che è una bambina.
  Zeno  si misura con Guido al violino.
  L’avventura  matrimoniale inizia con un inganno, cioè crede di guarire sposandosi.
  Prova  prima con Ada che lo rifiuta perché innamorata di Guido, poi con Alberta e  infine con Augusta.
  Le  tattiche adottate da Zeno sono perdenti e ciniche.
  Zeno  si sposerà con augusta ma il fatto di aver provato con tutte e di essersi  accontentato della peggiore sarà un alibi per l’immediato tradimento.
  Per  ironia della sorte questo matrimonio funzionerà bene a differenza di quello tra  Ada e Guido.
  Il  discorso che fa Augusta mette in agitazione Zeno che può compromettere la sua  futura pace familiare.
  Quando  entra in casa Malfenti il suo proposito è sposarsi per ritrovare la sanità, ma  solo attraverso l’innamoramento.
  Zeno  non decide mai ma lascia ad altri le sue decisioni: questo causa senso di  soddisfazione ma è determinato da mancanza di volontà.
  Il  fatto che la suocera, che lui detesta, pianga gli dà la soddisfazione di aver  sciolto per un momento la sua freddezza.
  Il  romanzo si conclude con la consapevolezza da parte di Zeno che la psicoanalisi  non serva contro le malattie, perché la malattia è tipica di tutta l’umanità e  può essere risolta solo con l’annientamento dell’umanità stessa.
  Solo  la distruzione può salvare l’umanità che è malata fin dalle radici.
  Anche  i personaggi che sembrano sani in realtà sono malati.
Fonte:
http://www.webalice.it/forluca/materials/appunti/ITALIANO.DOC
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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