1968

 

 

 

1968

 

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1968

 

Il sessantotto

 

                   Il 1968 è stato per molti versi un anno particolare, nel quale grandi movimenti di massa socialmente disomogenei (operai, studenti e gruppi etnici minoritari) e formati per aggregazione spesso spontanea, attraversarono quasi tutti i paesi del mondo con la loro carica contestativa e sembrarono far vacillare governi e sistemi politici in nome di una trasformazione radicale della società.

        

 

Origini e premesse

         Il movimento nacque a metà degli anni sessanta e raggiunse la sua apoteosi nel 1968.

Nel campo occidentale (Europa e Stati Uniti) un vasto schieramento di studenti e operai prese posizione contro l'ideologia dell'allora nuova società dei consumi, che proponeva il valore del denaro e del mercato nel mondo capitalista come punto centrale della vita sociale.

 

         Negli Stati Uniti la protesta giovanile si schierò contro la guerra del Vietnam, legandosi alla battaglia per i diritti civili e alle filosofie che esprimevano un rifiuto radicale ai principi della società del capitale.

Al contempo, alcune popolazioni del blocco orientale si sollevarono per denunciare la mancanza di libertà e l'invadenza della burocrazia di partito, gravissimo problema sia dell'URSS che dei paesi legati ad essa. Diffusa in buona parte del mondo, dall'occidente all'est comunista, la "contestazione generale" ebbe come nemico comune il principio dell'autorità.

 

        

 

Nelle scuole gli studenti contestavano i pregiudizi dei professori, della cultura ufficiale e del sistema scolastico classista e obsoleto. Nelle fabbriche gli operai rifiutavano l'organizzazione del lavoro e i principi dello sviluppo capitalistico che mettevano in primo piano il profitto a scapito dell'elemento umano. Anche la famiglia tradizionale veniva scossa dal rifiuto dell'autorità dei genitori e del conformismo dei ruoli. Facevano il loro esordio nuovi movimenti che mettevano in discussione le discriminazioni in base al sesso (con la nascita del femminismo e del movimento di liberazione omosessuale) e alla razza.

 

        

 

         Gli obiettivi comuni ai diversi movimenti erano la riorganizzazione della società sulla base del principio di uguaglianza, il rinnovamento della politica in nome della partecipazione di tutti alle decisioni, l'eliminazione di ogni forma di oppressione sociale e di discriminazione razziale e l'estirpazione della guerra come forma di relazione tra gli stati.

 

Il movimento negli Stati Uniti d'America

        

 

       Negli Stati Uniti, le lotte si polarizzarono contro la guerra del Vietnam, assumendo la forma di un conflitto antimperialista.

 

 

         Ad essa si combinarono le battaglie dei neri per il riconoscimento dei loro diritti civili e per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. In America questo movimento si unì alle battaglie dei neri per la conquista dei più elementari diritti civili.

 

         Il movimento pacifista  auspicava la progressiva integrazione delle masse di colore nella società bianca; era guidato da Martin Luther King, un pastore battista apostolo della "non violenza", che fin da giovane si era dedicato alla lotta contro la discriminazione razziale. Il suo celebre discorso, in cui auspicava l'uguaglianza tra i popoli ("I have a dream") scatenò un' ondata di proteste e di violenze, culminate nel suo assassinio nel 1968.

 

        

 

 

                                                                               Il movimento hippy

 

 

 

 

         Proprio la guerra del Vietnam cambiò il modo di guardare all'America dei giovani. In questo contesto negli USA nacque il movimento dei cosiddetti hippy, in seguito ribattezzati figli dei fiori, poiché la loro unica arma erano appunto i fiori. Si distinsero per costumi molto liberali ed ampio uso di droghe, soprattutto LSD, un allucinogeno che proprio in quegli anni fu immesso sul mercato con rapida diffusione e di cui si teorizzavano le doti di espansione della mente.

 

 

         Gli hippy si battevano soprattutto contro la guerra nel Vietnam. Si trattava di un sanguinoso conflitto che dal 1962 vedeva impegnati gli USA, che combattevano l'unificazione tra Vietnam del Nord e Vietnam del Sud, poiché al nord vi era un governo comunista, mentre al sud vi era un governo filo-americano. Il timore degli usa era l'unificazione del Vietnam sotto un regime comunista, che si sarebbe potuto diffondere anche ad altri stati asiatici. Nel sud filo-americano, inoltre, vi era un nutrito gruppo di comunisti (i Vietcong) che si battevano per l'unificazione del Vietnam; e perciò, con l'appoggio del governo del Vietnam dal nord diedero vita ad atti di guerriglia.      Gli USA si ritirarono dal conflitto solo nel 1974 per la manifesta impossibilità di vincere la guerra, ma anche sull'onda delle proteste dell'opinione pubblica mondiale, oramai largamente contraria al conflitto. La guerra, tuttavia, si concluse solo nell'aprile del 1975.

          

 

La fine del movimento

 

         Nonostante fosse diffusa in tutto il mondo, la protesta giovanile si spense, all'inizio degli anni '70, ovunque senza aver riportato risultati significativi. La principale ragione di questo fallimento va ricercata nella sua incapacità di tradurre le aspirazioni in programmi concreti e in strutture organizzative in grado di realizzarli. Il Sessantotto, quindi, si caratterizzò come una rivolta etico-politica dei giovani contro la società, piuttosto che come un insieme di movimenti politici finalizzati alla realizzazione di un qualsiasi programma.

         Merito del movimento giovanile di quegli anni fu, soprattutto in Occidente, quello di mettere al centro dell'attenzione valori che fino a poco tempo prima erano stati interesse di pochi. Temi come il pacifismo, l'antirazzismo, il rifiuto del potere come forma di dominio di pochi privilegiati sulla popolazione, i diritti delle donne e l'interesse per l'ambiente, entrarono a far parte stabilmente del dibattito politico e socio-culturale del mondo intero. È da osservare che dopo il Sessantotto il mondo non è cambiato poi molto, ma anche che non sarebbe stato mai più lo stesso.

        

 

Considerazioni

 

         Il Sessantotto è stato un movimento sociale e politico ancora oggi controverso: molti sostengono che sia stato il movimento che ci ha portato ad un mondo "utopicamente" migliore e molti altri sostengono invece il contrario ovvero che sia stato un movimento che ha spaccato e distrutto la moralità e la stabilità politica mondiale.

 

Fonte: http://scuola-digitale-lim.wikispaces.com/file/view/Il_Sessantotto,_Testo_e_Immagini.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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1968

 

Dalle scuole parte la contestazione degli studenti contro una vecchia cultura....

 

ANNI DI CAMBIAMENTI, CONTRADDIZIONI E VIOLENZA

Gli anni '60 furono caratterizzati da profonde trasformazioni della società italiana: si passò, infatti, da una società prettamente agricola ad una fortemente industrializzata.
Dal punto di vista sociologico si assistette alla diffusione di nuovi stili di vita, a nuovi usi ed a nuovi costumi molti dei quali di origine anglosassone.
La vita delle famiglie italiane ebbe numerose innovazioni e compì una svolta migliorando di molto lo standard di vita medio. Purtroppo, in moltissimi casi, questi discorsi valgono soltanto per le realtà centro-settentrionali, il Sud Italia continuò a vivere in maniera più arretrata ed, anzi, vi fu un peggioramento delle condizioni complessive di vita della popolazione che conobbe una nuova migrazione come all'inizio del secolo; questa volta non si andava in America, ma, semplicemente, nel Nord Italia, ma, spesso, si era ugualmente stranieri.
In campo politico, dopo l'involuzione autoritaria del 1959 (governo Tambroni), si assistette ad un progressivo avvicinamento del Partito Socialista all'area di governo.
Prima, con i governi presieduti da Amintore Fanfani, vi fu solo l'astensione o l'appoggio esterno all'esecutivo da parte del PSI, poi, sotto la guida di Aldo Moro, vi fu la partecipazione diretta di esponenti socialisti ai governi della Repubblica.
Era nato il centro-sinistra.
Purtroppo gli ambiziosi progetti riformatori furono stroncati dal tentato golpe del 1964 ed il centro-sinistra si limitò semplicemente all'ordinaria amministrazione, non dando risposte a problemi politici, economici e sociali che furono alla base della contestazione del 1968.
Il '68 va inserito in un discorso planetario poiché tale fenomeno interesso tutti i principali paesi del mondo, avendo alla propria base le medesime istanze di emancipazione e di miglioramento delle condizioni generali di vita. Comunque la si pensi i cambiamenti e le conquiste di quegli anni hanno cambiato in meglio il Paese ed il mondo intero.
Alla base delle lotte e dei movimenti sessantottini vi erano essenzialmente i seguenti punti tematici:
- svecchiamento della cultura (modernizzazione del "sistema");
- superamento di antichi pregiudizi, soprattutto in campo sessuale (libertà di scelta da parte dell'individuo);
- emancipazione delle donne e delle minoranze;
- miglioramento della scuola e dell'università;
- miglioramento delle condizioni di vita degli operai e dei lavoratori in generale;
- caratterizzazione "di sinistra" di tali movimenti, di una sinistra "nuova" che spesso si scontrò o semplicemente "non si incontrò" con la tradizionale sinistra marxista e "proletaria" di scuola socialista e comunista che accusava (come P. P. Pasolini) i "movimenti" del '68 di essere, in realtà, semplicemente dei radicali borghesi individualisti;
- tutti gli eventi del '68 videro a ogni latitudini e a ogni longitudine la sconfitta sul piano e sul terreno politico dei "movimenti" che, come sostenuto da Alberoni, si istituzionalizzarono (cioè si posero il problema della "politica" e del "governo" in maniera tradizionale) troppo tardi, quando ormai erano nella fase finale, avendo perduto ogni forza propulsiva.
In Italia non si ebbe un'unità tra studenti (che furono la colonna vertebrale del '68) e gli operai. Lo stesso Pci fu "tiepido" verso i "movimenti". Da frange estreme del movimento studentesco presero vita, nei successivi anni '70, alcuni degli eventi terroristici (come le famigerate Brigate Rosse) che hanno sconvolto per oltre un decennio la nostra storia repubblicana e democratica.
La partecipazione giovanile e studentesca alla vita politica nel 1968 e poi quella operaia nell' "autunno caldo" del 1969 avvennero in un clima che andava surriscaldandosi di anno in anno.
Dopo che i lavoratori della grandi fabbriche del nord Italia avevano raggiunto un accordo unitario tra tutti e tre i sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil) vi fu un periodo di lotta e di rivendicazioni salariali e per un significativo miglioramento delle condizioni di vita. Il 5 febbraio vi fu il primo grande sciopero unitario dei pensionati che rivendicavano un aumento del loro trattamento pensionistico. A distanza di pochi mesi tutte le categorie lavorative erano in lotta: lotta unitaria con fini ben precisi. L'11 settembre vi fu un imponente sciopero generale dei metalmeccanici che rivendicano il contratto unico nazionale.
Le tute blu sono solo l'avanguardia di una più ampia ondata di sciopero. Seguono a ruota chimici, alimentaristi, commessi, impiegati ed edili.
È l'autunno caldo, al termine del quale l'Istat censirà 7.507.000 scioperanti 
con ben oltre 300 milioni di ore di sciopero e di lotta. Lotta che porterà ad un accordo collettivo con la Confindustria che accetta quasi in toto la piattaforma proposta dai sindacati (accordi del 21-22 dicembre). Lotta solidale anche con le altre parti del Paese, anche con quel Sud in cui mafia e violenza non mancavano di farse sentire. Dopo che la criminalità aveva fatto deragliare un treno locale in Calabria, la Freccia del Sud, migliaia di metalmeccanici delle fabbriche di Milano, Torino e delle altre realtà del Triangolo Industriale, scioperarono per protesta sfilarono per le strade di Reggio Calabria. Si trattava di anziani operai settentrionali e di tanti di quei ormai non più giovani che nel decennio precedente si erano trasferiti al Nord in cerca di lavoro nelle grandi fabbriche settentrionali. Andarono a Reggio Calabria a proprie spese, guidati unitariamente dai leader delle tre confederazioni metalmeccaniche Trentin (Cgil), Carniti (Cisl) e Benvenuto (Uil).
Qualcosa stava cambiando, ma ben presto l'Italia sarebbe entrata in una spirale di grande violenza, il terrorismo, con i suoi morti e le sue paure era alle porte.
Proprio in quel 1969 segnato da una ritrovata unità della classe operai italiana e da una maggiore incisività delle sue richieste, l'Italia visse la propria prima grande tragedia. 
Gruppi neofascisti misero una bomba in Piazza Fontana a Milano: è la prima grande strage di cui, tuttora, non si sa ancora tutto, ma l'Italia perde la propria verginità ed entra in un tunnel.Sempre nel 1969 era stata approvata la legge sul divorzio che gli italiani confermeranno con un referendum apposito nel 1974.
L'inizio del terrorismo farà si che per gli Italiani diventino familiari bollettini informativi e Tg in cui si racconti di scontri quotidiani tra polizia e studenti e poi, negli anni '70-'80, di rapimenti, omicidi e persone da parte delle Brigate Rosse.
Continuano anche attentati che faranno centinai di morti: Piazza Fontana, Piazza della Loggia a Brescia, treno Italicus e galleria del Vermi a San benedetto val di Sambro (Bo).
Il terrorismo e la violenza caratterizzano, insieme con la crisi economica, questi anni di crisi. La crisi fu così grave che le menti politiche più avvedute ipotizzarono che solo con un governo di unità democratica Nazionale si sarebbe potuto salvare l'Italia dal baratro in cui stava precipitando.
Il leader democristiano Aldo Moro, statista di fine intelletto, il leader repubblicano Ugo La Malfa e quello socialista Francesco De Martino dimostrarono grande interesse per le proposte del segretario comunista Enrico Berlinguer per un governo di unità nazionale, frutto di un "compromesso di portata storica" come disse lo stesso leader del Pci, in grado di coinvolgere anche i comunisti nel governo del Paese al fianco dei laici, dei socialisti e della Dc.
Moro si fece interprete di questa linea e, sfidando la maggioranza del suo partito e una grande diffidenza di ampi nazionali e internazionali, portò il Pci nella maggioranza di governo. 
Dopo le elezioni della primavera del 1976 che avevano visto un sostanziale pareggio tra Dc e Pci, si formò un governo monocolore democristiano guidato dal de Giulio Andreotti che godeva dell'astensione di socialisti, laici e del Pci. Per la prima volta dal 1947 i deputati e i senatori del Pci non votavano contro un governo italiano.
Il passo successivo sarebbe stato l'entrata a pieno titolo del Pci nel governo, ma mentre l'on. Moro stava lavorando a questo obiettivo fu rapito e ucciso dalle Br. L'Italia non fu più la stessa e sembrò che la situazione dovesse precipitare.
Ma nel giro di pochi anni il fenomeno terroristico entrò in crisi: dissociazioni, pentimenti e azioni meritorie della magistratura e delle forze dell'ordine segnarono la crisi del terrorismo brigatista ed un lento ritorno alla normalità anche nelle formule i governo, il Pci non entrò mai nel governo del Paese come, invece, aveva auspicato il compianto on. Moro, il cui sacrificio corrispose con l'entrata in crisi del movimento terrorista e brigatista. 

Luca Molinari

Dalle scuole parte la rivolta degli studenti contro una vecchia cultura che blocca il processo evolutivo dell’Italia

FISCHIA IL VENTO  URLA IL ‘68

di IGOR PRINCIPE

"...Il primo marzo, sì, me lo rammento / saremo stati in millecinquecento / e caricava la polizia / ma gli studenti la cacciavan via / No alla scuola dei padroni / Via il governo, dimissioni...". Lette queste parole, non si fatica a riportare la memoria a un anno e a un luogo preciso: 1968, Roma, Valle Giulia. I versi di Paolo Pietrangeli fotografano quello che viene considerato l'atto iniziale dei dieci anni più turbolenti del secondo dopo guerra italiano: gli scontri tra la polizia e gli studenti della facoltà di Architettura della capitale. Tutto ciò risale a trent'anni fa; tuttavia, molte domande concernenti quegli anni non hanno ancora trovato risposta, né giudiziaria né storica. Con questo articolo rispolvereremo i fatti accaduti in Italia tra il 1966 e il 1969, anni che videro la nascita e il progressivo affermarsi della protesta studentesca.

A metà degli anni '60 il mondo occidentale evidenziava benessere economico e stabilità sociale. Scongiurato il pericolo di una terza - e definitiva - guerra mondiale con l'attenuarsi degli attriti tra Usa e Urss, la vita di tutti i giorni aveva ripreso a seguire i suoi ritmi naturali, che per milioni di individui erano scanditi dagli orari degli uffici e delle fabbriche. Il sogno di un'esistenza serena, agognata - soprattutto in Europa - durante i durissimi giorni della ricostruzione successiva al 1945, si era per molti realizzato, e negli anni '60 si poterono toccare con mano i primi risultati del cosiddetto "miracolo economico". Un numero sempre maggiore di famiglie poteva permettersi cose che, fino a pochi anni prima, erano viste come lussi irraggiungibili: l'automobile, la televisione, le ferie al mare.
Insomma, il lunghissimo periodo di instabilità che cominciò con la Grande Guerra del 1914 sembrava definitivamente consegnato alla storia, scalzato dall'idea di un mondo finalmente in pace con se stesso. Ma sotto la coperta della stabilità covava un germe di ribellione. Alla lunga, la società di quel tempo si dimostrò provinciale e un po' bigotta, e rivelò le sue prime rughe.

I padri di famiglia, appartenenti a una generazione che visse in prima persona la tragedia della seconda guerra mondiale, rivendicavano il diritto di vivere in santa pace senza scossoni; i loro figli, invece, si accorsero che col ritrovato benessere stava affermandosi una società immobile. I papà erano orgogliosi di aver tagliato il traguardo delle famose "tre emme" (Macchina, Mestiere, Moglie), che - appunto - significavano tranquillità. I figli, dal canto loro, cominciarono a sentirsi ingabbiati. Ad accentuare l'inquietudine dei giovani contribuirono la musica e la letteratura: erano, quelli, gli anni dei Beatles, dei Rolling Stones, di Bob Dylan. In Italia c'erano gli "urlatori", capeggiati da Celentano. Sul versante letterario, un urto violento si ebbe con la Beat generation: il mito di una vita "On the road", priva di schemi, faceva proseliti tra i giovani americani.

I genitori non gradivano questa incessante richiesta di libertà da parte dei loro figli, né riuscivano a comprendere le ragioni del loro rifiuto di una vita normale. Così lo steccato tra due generazioni crebbe sempre di più e si arrivò al primo atto di protesta. Durante gli ultimi mesi del 1964, l'università californiana di Berkeley fu occupata dagli studenti, guidati da un ragazzo di chiare origini italiane, Mario Savio. Fu, quello, lo squillo di tromba che annunciò l'inizio della Contestazione. Il vento che soffiava dalle coste della California giunse in Europa due anni più tardi. L'Italia fu il primo paese del vecchio continente a recepire il messaggio della protesta che veniva di là dall'oceano: il 9 febbraio del '66, a Milano, vengono arrestati due anziani tipografi e sei giovani studenti e lavoratori. La principale imputazione che grava sul capo di alcuni di loro è quella di aver diffuso volantini a favore dell'obiezione di coscienza, in questo modo istigando i militari alla disobbedienza. Un vero e proprio caso, però, scoppia - sempre nel capoluogo lombardo - il 22 dello stesso mese, con l'incriminazione di tre studenti e del preside del liceo ginnasio Parini, Daniele Mattalia. Accusa: incitamento alla corruzione. Causa di tanto rumore fu un inchiesta pubblicata sul giornalino dell'istituto, La zanzara. I redattori, affrontando il tema del sesso, scrissero: "Vogliamo che ognuno sia libero di fare ciò che vuole, a patto che ciò non leda la libertà altrui. Per cui assoluta libertà sessuale e modifica totale della mentalità". L'inchiesta continuava: "Sarebbe necessario introdurre un'educazione sessuale anche nelle scuole in modo che il problema sessuale non sia un tabù, ma venga prospettato con una certa serietà e sicurezza". Quindi, la conclusione: "La religione in campo sessuale è apportatrice di sensi di colpa". Il tenore di queste frasi, oggi, fa pensare alla scoperta dell'acqua calda. Ma la magistratura reagì con la rabbia di chi subisce un'ustione. Gli studenti e il preside furono rinviati a giudizio, e solo il presidente del tribunale dimostrò un minimo di equilibrio, pronunciando un giudizio di assoluzione accompagnato dalle seguenti parole: "Non montatevi la testa, tornate al vostro liceo e cercate di dimenticare questa esperienza senza atteggiarvi a persone più grandi di quello che siete". L'episodio del Parini, conclusosi per il meglio, può essere visto come l'accensione della miccia di una bomba che sarebbe esplosa un anno dopo. Partita da un liceo, la protesta si estese alle università, il cui mondo viveva nel subbuglio creato dal disegno di legge "ventitrèquattordici" (dal numero, 2314), presentato dal ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui. L'ultima riforma universitaria si ebbe durante il Ventennio e a partire dagli inizi degli anni '60 il popolo degli aspiranti alla laurea era cresciuto a dismisura (più del 100%). Per evitare il collasso - che poi si ebbe comunque - il ministro proponeva una serie di interventi, trai quali l'istituzione di tre titoli: diploma al biennio, laurea, dottorato di ricerca.

La "2314" incontrò l'ostilità parlamentare del Pci - che ne chiedeva numerosi emendamenti - ma soprattutto il vero e proprio muro da parte dei diretti interessati, gli studenti. La prima protesta si levò dall'ateneo di Trento, la cui vicenda è paradossale. Voluta da FlaminioPiccoli e da altri notabili dell'entourage democristiano, l'università trentina - e in particolare la sua facoltà di sociologia - avrebbe dovuto essere la fabbrica dei pensatori cattolici. Ma accadde che lì si formarono uomini quali Mauro Rostagno, Renato Curcio, Margherita Cagol, Marco Boato, cioè i cervelli della contestazione (e, più tardi, del partito armato), che agli inizi di novembre del 1967 diedero il via alla catena delle occupazioni che paralizzò il mondo accademico italiano. Dopo Trento fu la volta della Cattolica di Milano, quindi Torino, prima con architettura e poi con le facoltà umanistiche, dove l'occupazione durò un mese prima di essere interrotta dall'intervento della polizia. E fu proprio a Torino che la battaglia contro l’autorità accademica conobbe i suoi momenti più alti.

Gli studenti mettevano in discussione i metodi, i contenuti della didattica e il potere del professore. Questi - come scrivono Montanelli e Cervi ne "L'Italia degli anni di piombo" - "era (...) un barone che non aveva mai speso un po' del suo tempo e della sua pazienza per capire e avvicinare gli studenti". Di fronte a questo distacco, la massa degli studenti - non più solo ex liceali, ma anche provenienti dagli istituti tecnici - reagì proponendo un modello di insegnamento che aveva il suo vertice nell'esame "alla pari" tra il docente e l'allievo. Quel momento, lungi da qualsiasi tipo di valutazione, doveva essere visto come un confronto il cui esito non poteva che essere positivo. Accanto a rivendicazioni di questo tipo convivevano forme di protesta decisamente folcloristiche, tra le quali primeggiavano la distruzione e il rogo dei libri di testo, considerati strumenti di un insegnamento ormai destinato ad andare in pensione.

Dinanzi a tanto rumore, la maggioranza dei "baroni" accantonò il "titolo nobiliare" e si dimostrò estremamente indulgente, permettendo agli studenti ogni cosa; una minoranza invece, resistette, o tentò di farlo . Vediamo ora come, grazie a un curioso effetto boomerang, la contestazione ritornò nelle aule di liceo. Abbiamo visto che le prime scosse del terremoto studentesco ebbero come epicentro il "Parini", a Milano. In seguito, il ruolo di guida della contestazione fu assunto da uno dei licei più in auge nell'ambiente borghese della capitale: il "Mamiani".

Situato al quartiere Prati - una delle zone più eleganti di Roma -, l'istituto era frequentato soprattutto dai cosiddetti figli di papà. I quali figli, tuttavia, dovevano obbedire ad un regolamento interno oltremodo rigido: ingressi e banchi separati per maschi e femmine, grembiule nero o blu per le fanciulle, divieto di rossetto e cosmetici, intervallo separato per rispetto delle "elementari norme igieniche". Esposti a un vento di protesta potente quanto un tifone, gli alunni del "Mamiani" - dopo anni di clausura - non poterono che cogliere al volo la possibilità di sovvertire l'ordine costituito in nome del suo esatto contrario: cominciò quindi un'interminabile sequenza di occupazioni, sistematicamente accompagnate da provvedimenti disciplinari. E il Sessantotto fece il suo ingresso anche nella scuola più "reazionaria" di Roma. La protesta degli studenti, quindi, si allargava a macchia d'olio in tutta Italia, coinvolgendo la quasi totalità delle scuole medie superiori e delle università.

Spesse volte, le occupazioni venivano sciolte grazie all'intervento delle forze armate; tuttavia, sino a quel momento, non si poté parlare di veri e propri scontri tra studenti e polizia. La situazione mutò dal 1° Marzo. Quel giorno, come abbiamo accennato, è da tutti considerato l'inizio del Sessantotto, cioè della lotta contro il Sistema e i suoi difensori. Casus belli fu l'ordine di serrata della facoltà di Architettura, proveniente dal rettore Pietro d'Avack.
I locali - situati in via di Valle Giulia, presso Villa Borghese - erano presidiati dalle forze di Polizia. Gli studenti che componevano il "comitato di agitazione" decisero allora di sbloccare la serrata. Racconta Oreste Scalzone, leader tra i più carismatici della protesta: "Arrivammo sotto quella scarpata erbosa e cominciammo a tirare uova contro i poliziotti infagottati, impreparati, abituati a spazzar via le manifestazioni senza incontrare resistenza. Quando caricarono, non scappammo. Ci ritiravamo, su e giù per i vialetti e i prati della zona, armati di oggetti occasionali, sassi, stecche delle panchine e roba simile. Qualche "gippone" finì" incendiato...". Bilancio della giornata: 148 poliziotti e 47 dimostranti feriti, 4 arresti, duecento denunce. Ma quel che più conta, è che a "valle Giulia" l'iniziativa dell'attacco venne dagli studenti. Fu una svolta fondamentale nella storia del movimento studentesco: infatti, in quell'occasione, comparve per la prima volta un elemento che, in seguito, fu protagonista di innumerevoli manifestazioni. Si tratta del "servizio d'ordine", che avrebbe presidiato ogni corteo dalle repressioni ordinate dalle pubbliche autorità. Le quali, invece, dimostrarono una certa indulgenza nei confronti e dei dimostranti del 1° Marzo (i cui fermati furono rilasciati poco dopo su pressioni del Governo che, inoltre, ordinò a D'Avack di riaprire l'università) e degli occupanti del "Mamiani" (per i quali furono sospesi i provvedimenti disciplinari). La lotta, però, era cominciata, e sarebbe durata a lungo.

Il Sessantotto, s'è detto, non fu un fenomeno solo italiano, ma di dimensioni mondiali. All'episodio di Roma seguirono le manifestazioni in Francia, in Germania, in Giappone, addirittura a Città del Messico. Quest'ultima si concluse tragicamente: il 3 ottobre in piazza delle Tre Culture, la polizia aprì il fuoco sugli studenti, trecento dei quali persero la vita. La contestazione non risparmiò la Spagna, dove fu dichiarato lo stato d'emergenza. Ovunque, la protesta fu dettata dagli stessi motivi che animarono gli studenti italiani: istituzioni inadeguate, atenei che non favorivano la partecipazione dei giovani alla vita universitaria, professori "baronali". Ma veniamo alla Francia, dove - a differenza di quanto accadde in Italia - la ribellione assunse connotati smaccatamente politici, favoriti dall'appoggio del il movimento operaio.

Il primo focolaio fu acceso il 22 marzo alla Sorbonne da gruppi di studenti di sinistra, capeggiati dall'anarchico tedesco Daniel Cohn-Bendit: l'iniziativa, però, fu disprezzata anche dal capo del Partito comunista francese, George Marchais, che considerava quei ragazzi "...figli di grandi borghesi che metteranno presto a riposo la loro fiamma rivoluzionaria per andare a dirigere l'impresa di papà e sfruttare i lavoratori" (in termini analoghi Pier Paolo Pasolini aveva giudicato i ribelli di "Valle Giulia").
Ma la base elettorale del Pcf non la pensava come il suo leader e il 13 maggio si unì agli studenti - già protagonisti di due precedenti manifestazioni, il 5 e il 7 dello stesso mese - in un corteo che portò nelle strade di Parigi centinaia di migliaia di persone. Le due categorie sfilarono insieme, ma alla fine della giornata vennero alle mani poiché gli studenti si rifiutarono di sciogliere gli assembramenti per occupare la Sorbonne. Ma si trattò di una scaramuccia di poco conto. All'occupazione dell'università seguì, da parte degli operai, una serie di scioperi che paralizzò il paese, piombato d'improvviso nell'anarchia.

Il presidente De Gaulle, quindi, pronunciò dagli schermi della televisione un discorso con il quale sottoponeva il suo mandato al giudizio dei francesi, che tramite referendum avrebbero dovuto negargli o confermargli la fiducia. Nella seconda ipotesi, egli si sarebbe impegnato "...con i pubblici poteri... a cambiare ovunque sia necessario le vecchie, scadute e inadatte strutture e ad aprire una via più ampia per il sangue giovane di Francia".
Il popolo non recepì, e la protesta andò avanti sino a portare alle dimissioni del Ministro dell'Educazione. Giocando d'azzardo, De Gaulle sciolse l'Assemblea nazionale e indisse le elezioni politiche per la fine di Giugno. Si aprì uno scontro violento tra i gollisti - che paventavano l'instaurazione di un "comunismo totalitario" - e la gauche, che per bocca di Françoise Mitterrand sentiva nella voce del presidente "quella della dittatura". Tra i due "totalitarismi" vinse il primo, conquistando 358 seggi su 485. Fu la prima espressione di una forza sotterranea che poi prese il nome di "maggioranza silenziosa". La protesta di studenti e operai si esaurì subito dopo. L'esempio francese fece scuola e anche nel nostro Paese si ebbero le prime forme di collaborazione tra chi studiava e chi lavorava. Ma per vedere il primo corteo unificato bisognerà attendere il 3 luglio del '69 a Torino, quando accanto agli operai che chiedevano affitti meno onerosi sfilarono studenti che gridavano "Vogliamo tutto". Non fu quella, però, la prima apparizione in piazza delle tute blu. Già l'anno precedente, nelle province di Treviso e di Siracusa, si era assistito a scontri tra operai e forze dell'ordine. Il primo episodio si verificò a Valdagno: quattromila dipendenti dell'industria tessile Marzotto - protestando contro il rischio di licenziamenti - attraversarono il paese e abbatterono la statua del fondatore dell'industria per la quale lavoravano. Alla fine, l'intervento della polizia portò a quarantadue arresti.
Nel profondo sud, ad Avola, accadde il secondo episodio. Il 3 dicembre, diecimila braccianti protestarono chiedendo il rispetto, da parte degli imprenditori agricoli, dei contratti collettivi. In quell'occasione, le forze dell'ordine usarono le maniere forti, e spararono sulla folla causando la morte di due persone. Con gli operai, quindi, i metodi furono più duri che con i giovani, e questo può far pensare al perpetuarsi della tradizionale risposta che veniva data - soprattutto negli anni Cinquanta - alle rivendicazioni dei lavoratori. Ma non è nostro compito indagare sulle ragioni sociologiche. Certo, i fatti di Valdagno e di Avola contribuirono a riscaldare un clima già reso incandescente da altre iniziative prese dagli studenti, tra le quali primeggia l'assalto al "Corriere della Sera" (7 Giugno '68, 11 arresti e 250 fermi). Il '68 si chiuse con una punta di goliardia. In occasione della "prima" al Teatro alla Scala, il movimento studentesco guidato da Mario Capanna si presentò davanti al tempio della lirica armato di uova e ortaggi, che furono scagliati contro i "borghesi" che si apprestavano a partecipare alla più mondana delle serate milanesi. Venti giorni più tardi, a Viareggio, un tentativo simile finì invece in tragedia.

Sempre per contestare la mondanità dei borghesi, la notte del 31 dicembre un gruppo di contestatori si recò alla "Bussola" - locale che contribuì a creare il mito di Mina -, dove si festeggiava il nuovo anno con una cena non proprio a buon mercato. La "goliardata" fu presto interrotta dai soliti scontri con i carabinieri, cui seguì il solito bilancio: barricate, auto danneggiate, 55 fermi. Ma quel che fa la differenza dagli altri episodi di protesta studentesca è la presenza - per la prima volta - delle pallottole. Una di esse si conficcò nella schiena di Soriano Ceccanti, studente pisano, che rimase paralizzato. Dopo qualche anno, al termine, di indagini estremamente complesse, il giudice che si occupò del caso concluse che quel colpo non poteva essere partito dalle postazioni dei carabinieri. Ad ogni modo, il 31 dicembre '68 si sparò per la prima volta anche tra gli studenti, inaugurando una pratica che caratterizzò tutto il '69.
Durante il 1969 la protesta si incattivì. All'interno delle università gli studenti passarono alle maniere forti anche nei confronti dei professori, sino a quel momento duramente contestati ma sempre entro i limiti del rispetto personale.

Questa regola fu infranta nel marzo di quell'anno, quando alla Statale di Milano il professor Pietro Trimarchi, ordinario di Diritto Civile, fu sequestrato dagli studenti all'interno dell'aula 208. Reo di aver trattenuto il libretto ad uno studente che non aveva superato l'esame - e che avrebbe quindi "saltato" l’appello successivo -, il professore fu "processato per direttissima" dai colleghi del respinto, tra i quali Mario Capanna (leader del movimento studentesco) in veste di Pubblico Ministero. Fu seguita una procedura ben lontana dalle teorie sul processo care ai pensatori liberali: Trimarchi fu sistematicamente insultato e raggiunto dagli sputi degli studenti, e dovette intervenire la polizia per porre fine all’episodio. A questo aumento di turbolenza nelle aule si aggiungeva una sempre maggior tensione tra il mondo dei lavoratori. Si approssimava l'autunno, e con esso il rinnovo di 32 contratti collettivi, tra i quali il "pilota" per eccellenza, quello dei metalmeccanici. La protesta operaia, come abbiamo accennato, si unì a quella studentesca a Torino, il 3 luglio.
In un'altra occasione - dettata dal caso fortuito -ci fu un'ennesima vittima, il ventunenne poliziotto Antonio Annarumma. Era il 19 novembre. Quel giorno, a Milano, si tennero due manifestazioni: una operaia (un comizio di un leader sindacale al teatro Lirico) e una politica (un corteo della sinistra extraparlamentare al quale partecipò anche qualche membro del movimento studentesco).

Sfortunatamente, la folla che uscì dal Lirico andò a ingrossare le fila del corteo, disorientando la Polizia che lo fiancheggiava. Quest'ultima - in un eccesso di dovere - attaccò, e i membri del corteo risposero con lancio di tubolari d'acciaio recuperati da un vicino cantiere edile. Un di essi, scagliato a mo' di giavellotto, raggiunse Annarumma alla guida della sua jeep, colpendolo alla tempia. La morte del poliziotto scatenò nei giorni successivi una bagarre: tra i poliziotti si rischiò l'ammutinamento, mentre gli studenti - sostenendo la propria estraneità all'assassinio di Annarumma - occuparono di nuovo la Statale al grido di "solo i padroni sono gli assassini". Capanna, che quel giorno era tra i giovani, si presentò al funerale di Annarumma: solo la Polizia riuscì a salvarlo dal linciaggio. In questo clima si arrivò al 12 dicembre, il giorno di Piazza Fontana. Da quel pomeriggio le cose cambiarono, e non certo in meglio. Prese il via una lunga stagione di trame oscure e di violenza che si concluse dieci anni dopo.

Il centrosinistra (febbraio 1962 - luglio 1976)

Le riforme

Il quarto governo Fanfani, nato all’inizio del 1962, ottiene la fiducia grazie all’astensione dei socialisti e segna l’inizio dell’era del centrosinistra, cioè l’alleanza tra Dc e Psi. Rimane in carica poco più di un anno, fino alle elezioni del giugno 1963, ma realizza alcune delle grandi riforme care ai socialisti e punti cardine dell’intero programma di governo del centrosinistra. Nel 1962 viene istituita una commissione per la programmazione economica e, in dicembre, viene nazionalizzata l’industria dell’energia elettrica con la nascita dell’Enel. All’inizio dell’anno successivo vengono adottati i provvedimenti di riforma della scuola, con la realizzazione della scuola media unica e l’estensione a 14 anni della frequenza obbligatoria. Non saranno mai realizzati, invece, il piano verde per l’agricoltura e l’attuazione dell’ordinamento regionale previsto in Costituzione, che rappresentavano altri obiettivi prioritari dell’alleanza di governo.

Alla vigilia delle elezioni, dunque, la spinta riformatrice del centrosinistra ha già perso vigore, anche perché inizia un periodo di crisi economica caratterizzato dalla forte crescita dell’inflazione. Il risultato elettorale, inoltre, mette in luce tutta la debolezza dell’alleanza DC-PSI: il partito cattolico perde voti a vantaggio del PLI (strenuo oppositore dell’apertura a sinistra) e del PSDI, mentre a sinistra cresce il PCI.

I socialisti entrano direttamente nella compagine di governo solo alla fine dell’anno quando, dopo il governo balneare formato da Leone, Aldo Moro dà vita al primo dei tre governi consecutivi cui partecipano tutti i membri del quadripartito di centrosinistra (DC, PRI, PSDI, PSI). Il programma di riforme originario, rimasto incompiuto, viene subito rilanciato ma la coalizione sembra aver perduto forza e la incisività iniziale. La crisi economica in atto frena la realizzazione di interventi radicali molto costosi, e inoltre Moro deve fare i conti con le pressioni dei grandi potentati economici dell’edilizia, dei finanzieri, delle lobby agrarie, favorevoli alla conservazione dello status quo normativo.

Nel 1966 PSI e PSDI si fondono nuovamente, dando vita al PSU. Il PCI – dopo la morte di Togliatti nel 1964, al quale succede Luigi Longo - rimane così isolato e quasi totalmente immobile. Due anni dopo, però, le elezioni del 1968 decretano il fallimento del PSU. Il 2 luglio 1969 l’anima socialista e quella socialdemocratica, confluite nel PSU, divorziano nuovamente e rientrano separatamente nella compagine governativa. Nel frattempo si susseguono governi di transizione guidati da Leone e da Rumor. Ma la carica innovatrice e riformatrice del centrosinistra si è ormai irrimediabilmente esaurita, mentre in seno alla società civile aumentano le tensioni, cui si aggiungono gli scandali legati all’esistenza - vera o presunta - di piani di destabilizzazione e di colpi di Stato (il piano "Solo" di De Lorenzo, ad esempio). È iniziata una nuova stagione, quella della contestazione studentesca prima, e del terrorismo poi.

 Dall’autunno caldo agli anni di piombo

Nel 1968 esplode la contestazione studentesca. La società del miracolo economico, infatti, ha promesso benessere e successo per tutti, che in realtà non può offrire. Di qui il rifiuto, anche da parte dei giovani di estrazione sociale piccolo e medio borghese, dei valori e dei modelli figli del miracolo stesso. Alla società consumistica di massa i giovani studenti contrappongono l’alternativa del collettivismo, da realizzare attraverso una rivoluzione culturale e l’instaurazione di una controcultura. In questo quadro, l’autorità e i valori della famiglia diventano i principali bersagli dei contestatori. Mentre da un punto di vista ideologico i miti di riferimento sono l’antifascismo, la dottrina marxista (ma solo dopo un’attenta revisione dei tratti originari) e l’antimperialismo (ma non più con riferimento all’URSS, bensì alle rivoluzioni contadine e culturali sul modello cinese o vietnamita).

Alla contestazione giovanile e studentesca si somma anche quella operaia. In questo clima di alta tensione, infatti, il movimento sindacale giunge all’apice della sua forza, facendosi portavoce di richieste relative ad un vastissimo arco di problemi, fino a mettere sotto accusa le basi stesse dell’intero sviluppo economico degli ultimi anni. Lo sciopero, quindi, cessa di essere uno strumento di lotta finalizzato esclusivamente alle rivendicazioni salariali o ai problemi specifici del mondo del lavoro, e si tramuta in mezzo più funzionale alla strategia sindacale che mira all’attuazione di quelle riforme radicali che i governi di centrosinistra non hanno avuto la forza di realizzare. Tanto è vero che si è parlato di "pansindacalismo", cioè di un tentativo dei sindacati di sostituirsi ai partiti politici, guadagnandosi un canale privilegiato di dialogo e trattativa col governo. Il loro limite. Però, è di non riuscire a coagulare intorno al proprio programma l’intera società, a causa della naturale propensione a difendere gli interessi della sola classe operaiache li costringe a rimanere chiusi e isolati nel mondo delle fabbriche.

Di fronte alla contestazione, i partiti politici rimangono spiazzati. La destra italiana, diversamente da quella francese ad esempio, non riesce ad esprimere un forte partito conservatore capace di coinvolgere, in nome della salvaguardia di interessi comuni, tutte le forze che guardano con timore alla contestazione. A sinistra, invece, né il PCI né tantomeno il PSI sono in grado di imporsi alla testa del movimento e quindi di sfruttarlo, poiché il loro patrimonio culturale ed ideologico ancora non si è adeguato ai tempi e non c’è possibilità di dialogo con i giovani, portatori di ambizioni spesso estremistiche, radicali e globali.

Le vicende dell’autunno caldo del 1968-69, tuttavia, condizionano l’attività legislativa degli anni seguenti, contribuendo ad alimentare una nuova spinta riformatrice che si concretizzerà nell’approvazione dello statuto dei lavoratori, nell’attuazione delle regioni, nei referendum e negli interventi in tema di divorzio. Malgrado ciò, il bilancio di questa stagione è deludente non solo perché il movimento studentesco non riesce – come era scontato – ad imporre una trasformazione rivoluzionaria della società e della politica, ma soprattutto perché le forze progressiste riescono ad attuare solo una piccola parte – sia pure importante - del loro programma di riforme. Intanto si fa strada la consapevolezza che prima di ogni altra riforma, occorrerebbe una radicale revisione dell’intero apparato burocratico-amministrativo dello Stato.

L’esperienza della contestazione fallisce, in certa misura, anche sul piano culturale poiché ha come bersagli l’autorità, il capitalismo, la repressione sessuale, la famiglia e il consumismo, ma è proprio verso questi valori, scaturiti dal miracolo economico, che la società italiana continuerà a dirigersi. I modelli di riferimento adottati dai contestatori, del resto, appartengono a realtà terzomondiste, come Cuba, la Cina e il Vietnam, che male si adattano alla società italiana. Il movimento rivoluzionario, inoltre, è una piccola minoranza che non riesce a coinvolge la maggioranza degli operi, anche a causa delle profonda eterogeneità della classe proletaria italiana (grande industria del nord; campagna industrializzata della terza Italia, ecc.).

Nei primi anni Settanta la contestazione studentesca e l’offensiva sindacale (che ha ottenuto la firma dei contratti collettivi) perdono vigore. Nel nord del Paese, contro i disordini provocati dai gruppi di estrema sinistra, scende in piazza la cosiddetta "maggioranza silenziosa". Al sud, invece, è la destra ad alzare la voce come nel caso della rivolta di Reggio Calabria e de L’Aquila (alle elezioni amministrative del 13 giugno 1971, nei centri meridionali si registra un netto balzo in avanti del MSI).

L’Italia arriva così alla vigilia di una nuova e ben più grave emergenza, quella del terrorismo, i cosiddetti "anni di piombo", caratterizzati da una incredibile serie di attentati e stragi. Il terrorismo non ha un volto unico, ma è un fenomeno estremamente variegato e poliedrico. C’è un terrorismo di destra e un terrorismo di sinistra (su tutti, le Brigate Rosse). E si è perfino ipotizzata l’esistenza di un terrorismo di Stato, cioè ad opera di rami deviati dei servizi segreti, funzionale cioè agli interessi di determinate parti politiche. Ma sulla gran parte degli avvenimenti di quegli anni, la magistratura ancora non ha fatto piena luce.

 Verso il compromesso storico

La quinta legislatura è la prima a finire con lo scioglimento anticipato delle camere. Questa soluzione fa comodo a tutti i partiti perché permette di rinviare lo svolgimento del referendum abrogativo della legge sul divorzio: le forze di sinistra, che hanno voluto fortemente la legge, temono infatti di essere sconfessate dagli elettori, mentre la DC vuole ad ogni costo evitare di dover combattere una accesa battaglia referendaria contro il divorzio spalla a spalla col MSI, pregiudicando la possibilità di rimettere in piedi la coalizione di centrosinistra.

L’ultimo governo della quinta legislatura ed il primo della successiva sono guidati da Giulio Andreotti, con l’appoggio di liberali, socialdemocratici e repubblicani. Sono i cosiddetti governi della "centralità", e segnano una battuta d’arresto del censtrosinistra.

L’alleanza DC-PSI viene ripristinata nell’estate del 1973, grazie all’accordo di palazzo Giustiniani fra i tre principali esponenti democristiani Moro, Fanfani e Rumor. Il problema più urgente da fronteggiare è la crisi economica. La politica di dilatazione della spesa pubblica finora seguita, la cosiddetta "politica delle mance", ha fatto crescere l’inflazione. Il 1973 è anche l’anno della crisi petrolifera, che costringe ad adottare severe misure restrittive di risparmio energetico. Per fronteggiare questa situazione, il quarto governo Rumor si affida ad uno speciale direttorio interministeriale, la cosiddetta troika, con Colombo alle Finanze, Giolitti al Bilancio e La Malfa al Tesoro.

Il PCI, dal canto suo, annuncia una opposizione più tenue sui temi di politica economica e il voto favorevole sui provvedimenti utili ad alleviare la crisi. Inizia così la marcia di avvicinamento al governo e sul finire del 1973 il nuovo segretario Berlinguer - succeduto a Longo - lancia per la prima volta l’idea del "compromesso storico", tra Dc e Pci. A livello internazionale, intanto, sta per essere inaugurata, con i partiti comunisti di Francia e Spagna, la linea dell’eurocomunismo, incentrata sulla richiesta di una maggiore autonomia da Mosca nell’elaborare, nei diversi contesti in cui si opera, la propria strategia per la conquista del potere.

Nel maggio del 1974 si svolge il referendum sul divorzio, che rappresenta un momento di passaggio decisivo nella storia politica italiana ed in particolare nella vicenda del centrosinistra. La scelta imposta dal referendum, infatti, segna una netta spaccatura tra laici e cattolici e perciò mette a nudo l’incapacità dell’alleanza tra DC e PSI di proporsi come guida della società civile a causa del forte disaccordo su molti temi cruciali come, oltre al divorzio, l’aborto, la politica economica e l’ordine pubblico (la legge Reale, che da più poteri alle forze di polizia, passa malgrado l’astensione socialista, grazie al voto favorevole dei missini).

A fine anno i socialisti escono dal governo Rumor, al quale succede un esecutivo guidato dal leader democristiano Aldo Moro, favorevole ad instaurare un dialogo con l’opposizione comunista. Sei mesi più tardi, alle elezioni amministrative, le prime in cui votano anche i diciottenni, il PCI ottiene un notevole successo, ridisegnando a vantaggio delle forze di sinistra la mappa del potere locale. Per lo scenario politico italiano è un piccolo terremoto: il massiccio spostamento a sinistra dell’elettorato - non solo quello giovanile giovani, ma anche ceti medi e cattolici – dimostra che per la prima volta si guarda al PCI non più come fautore di tendenze rivoluzionarie, bensì di tecniche di buon governo.

Sullo sfondo, intanto, impazza il terrorismo in un clima di terrore e di tensione. E proprio per fronteggiare questa drammatica situazione, si fa strada l’idea di un governo di solidarietà nazionale, cioè con la partecipazione anche del PCI. La legislatura termina con lo scioglimento anticipato delle camere, per iniziativa dei socialisti che vogliono sfruttare alle politiche l’onda del successo elettorale delle amministrative. Le elezioni del 20 giugno 1976, segneranno una nuova svolta nella storia politica italiana.

 

Sessantotto italiano (1968-1977)  di Enzo Peserico

 1. Il Sessantotto più lungo

Talora una data storica dà il nome non solo al fatto di cui è l'indicatore cronologico ma anche ai suoi protagonisti: è il caso del Sessantotto e dei suoi attori, i sessantottini. Fra quanto accaduto in tutto il mondo nel 1968 e denominato sulla base di tale data, l'analisi è limitata al fenomeno di contestazione più lungo sotto il profilo temporale e più significativo dal punto di vista sociale e politico, il Sessantotto italiano: più lungo perché, mentre l'evento-simbolo del Sessantotto, la rivolta del Maggio francese con gli scontri all'Università della Sorbona, le barricate al Quartiere Latino e il blocco di ogni attività produttiva perde rapidamente consistenza e vitalità, mentre la Primavera di Praga e altri movimenti di rivolta nei paesi del mondo comunista vengono subito stroncati dall'intervento militare dell'URSS, la stagione del Sessantotto italiano dura, con alterne vicende, fino al 1977; più significativo perché la pur imponente contestazione giovanile statunitense - emersa nel 1964 all'Università di Berkeley - manca di un progetto politico definito. In Italia, invece, la contestazione cresce rapidamente e viene presto innervata ed egemonizzata da nuclei e da gruppuscoli animati dall'ideologia socialcomunista, che fonda la lotta violenta al sistema.

 

2. I prodromi della rivolta

Come ha osservato Eric Voegelin (1901-1985), i fenomeni messianico-rivoluzionari di massa sono preparati da situazioni sociali di profonda inquietudine, che costituiscono il terreno di coltura dell'ideologia, intesa come sistema di miti che promette il raggiungimento della felicità "secolarizzata", cioè totalmente infraterrena, attraverso l'azione politica.

Il fenomeno del Sessantotto italiano si sviluppa a partire da una diffusa situazione di insoddisfazione, soprattutto giovanile, derivante dalla disgregazione dei valori dominanti, progressivamente erosi da un modello di "società opulenta" incapace a sua volta di rispondere ad attese di profilo diverso dall'innalzamento del livello materiale di vita, peraltro ottenuto attraverso un disordinato processo di industrializzazione e di allargamento artificioso dei consumi, che aveva portato rapidamente a una squilibrata espansione delle periferie urbane dell'Italia Settentrionale e allo sradicamento culturale di ampie fasce della popolazione.

In questo humus sociale carico di insoddisfazione e insieme di attesa di un "mondo nuovo", liberato da costrizioni e da ingiustizie, cresce il rifiuto della new wave of life vagheggiata dalla cultura liberal-illuminista predominante in Occidente, e accanto alle ribellioni comportamentali comincia a diffondersi, anche grazie alla paziente e spregiudicata opera di molti "cattivi maestri", l'utopia della Rivoluzione comunista.

 

3. La rivoluzione "in interiore homine" e quella politica

Il carattere unitario del Sessantotto non va perciò ricercato in fenomeni di superficie, quali le occupazioni universitarie o le manifestazioni studentesche, che continuano a produrre ricostruzioni reducistiche da parte di nostalgici protagonisti - su tutte emblematica per faziosità quella di Mario Capanna nel pamphlet Formidabili quegli anni - bensì in quell'atmosfera di idee e di sentimenti diffusa nel mondo giovanile fino a diventare culturalmente dominante. Si tratta, in altri termini, di una Rivoluzione culturale, che ha espresso due tendenze di fondo. La prima può essere definita rivoluzione "in interiore homine", che mostra il volto del Sessantotto a livello dei comportamenti individuali e collettivi; il tipo che la incarna è il rivoluzionario d'elezione: "La mia vita come rivoluzione". Egli fa la rivoluzione rovesciando lo stile di vita dell'uomo naturale e cristiano, in un processo di progressiva distruzione di ogni legame vitale - con Dio, con gli altri uomini e con sé stesso - fino all'esito coerentemente drammatico dell'autodistruzione attraverso la tossicodipendenza o il suicidio. La seconda tendenza si manifesta nella rivoluzione politica, che mostra il volto del Sessantotto a livello macrosociale: il tipo antropologico che la incarna è il rivoluzionario di professione: "La mia vita per la Rivoluzione". Egli realizza il suo progetto attraverso due vie: la lotta politica - anche violenta - e la lotta politica armata, cioè il terrorismo.

Queste due tendenze percorrono, talvolta intersecandosi e confondendosi, tutta la storia del Sessantotto, per ripresentarsi emblematicamente unite in quel Movimento del '77 che rappresenta il momento ultimo della contestazione giovanile. Ma l'unione ha vita breve: l'ala "desiderante" - che si esprime, per esempio, negli "indiani metropolitani" - svanisce nell'autodistruzione personale, nella droga e nel nichilismo; l'ala violenta, invece, espressa dall'area di Autonomia, sancisce il proprio fallimento andando a ingrossare le file dei gruppi terroristici, nel frattempo decimate dagli arresti e dalle defezioni.

La tendenza che si manifesta nella ribellione politica assume in Italia un ruolo preponderante. Il momento è favorevole: il desiderio di costruire il mondo nuovo e perfetto, liberato dall'ingiustizia e dalle disuguaglianze, trova nella teoria rivoluzionaria di Karl Marx (1818-1883) e di Vladimir Ilijc' Uljanov detto Lenin (1870-1924) il modello utopico del futuro e la "tecnica" politica per costruirlo infallibilmente. L'ideologia si arricchisce nel contempo di miti che, sapientemente propagandati, rafforzano la "fede" nella vittoria della Rivoluzione: la Resistenza, i vietcong, i combattenti nella guerra di "liberazione" del Vietnam meridionale (1953-1975), la guerriglia del Che (Ernesto Guevara de la Serna, 1928-1967), la Cina di Mao Zedong (1893-1976).

In questo clima culturale nascono e si moltiplicano i rivoluzionari di professione: nelle scuole e nelle fabbriche si aggregano e si disgregano in continuazione gruppuscoli rivoluzionari. Se l'eclissi dei valori tradizionali aveva progressivamente prodotto, dalla fine degli anni 1950, fenomeni di disgregazione del corpo sociale e quindi un'atmosfera di profonda insoddisfazione e, insieme, di desiderio di un "mondo nuovo", la nuova aggregazione attorno all'ideologia marxista - seppure ispirata a figure diverse - rifiuta il confronto con la realtà e, secondo un processo che aveva già caratterizzato la Rivoluzione francese, produce teorie e slogan, afferma quanto non può essere dimostrato, esorcizza il dissenso, produce cioè miti da trasporre nella realtà per costringerla ad adeguarsi alle "analisi" distillate nei pensatoi rivoluzionari. Si tratta di un dinamismo artificiale, perché produce esso stesso le affermazioni inverificabili e gli slogan che muovono all'azione gli attivisti; così lo descrive Marco Barbone, ex terrorista pentito, in un'intervista-confessione del 1984: "[...] noi esistevamo e ci rapportavamo in base a discussioni politiche. Era il nostro universo, il microcosmo (cosa che verrà drammaticamente accentuata nelle organizzazioni combattenti), l'orizzonte dell'esistenza". Il pensiero viene "socializzato", con il risultato che la politica diventa il mezzo infallibile per fare giustizia. Il sociologo Sabino S. Acquaviva ricorda le parole rivoltegli da uno studente: "Tu non potrai mai capire la sensazione di dominare il mondo, di fare definitivamente giustizia nel mondo, una piccola e specifica ma definitiva giustizia, colpendo chi si è macchiato di tanti delitti". Identificando etica e politica, il rivoluzionario di professione ha l'obbligo morale di far trionfare i postulati dell'ideologia con qualsiasi mezzo. La mitologia della Resistenza fornisce gli esempi dell'"antifascismo militante" e così, fra la teorizzazione dell'annientamento fisico dell'avversario, l'atto di violenza e, in seguito, l'azione terroristica, non vi è soluzione di continuità: l'ideologia giustifica ogni comportamento e lo eleva ad atto morale. Se qualcuno ha problemi di coscienza, Lenin ha già risposto una volta per tutte nel 1920 ne I compiti delle associazioni giovanili: "Ma esiste una morale comunista? Esiste un'etica comunista? Certo, esiste. [...]

"La nostra etica scaturisce dagli interessi della lotta di classe del proletariato".

 

4. L'"altro" Sessantotto

Accanto agli attori della contestazione di sinistra il Sessantotto in Italia conosce anche altri protagonisti, dal momento che il fenomeno rivoluzionario, pur diventando preponderante attraverso le sue avanguardie numerose e violente, non esaurisce il mondo giovanile composto altresì, accanto alla larga maggioranza dei passivi, dai contestatori di destra. La destra giovanile, essenzialmente studentesca e aggregata inizialmente attorno alla contestazione al sistema, entra ben presto in antitesi con il progetto egemonico dei movimenti delle sinistre e si caratterizza quindi come reazione anticomunista, individualista e antiegualitaria all'ideologia marxista, venendo così coinvolta, e progressivamente esaurita, in una tragica guerra fra giovani, innescata dalla sistematica demonizzazione del "fascista" e quindi costellata da sanguinosi episodi di violenza. Il comprensibile atteggiamento reazionario del "Sessantotto di destra" ne svela tuttavia l'incapacità di elaborare e di proporre un modello esistenziale e culturale diametralmente opposto al fronte libertario e marxista-leninista, ma anche alternativo a quello offerto dalla cultura dominante, capace quindi di presentarsi come scuola di vita e di nuova civiltà.

Né, d'altra parte, migliore è la sorte del mondo giovanile cattolico coinvolto nel fenomeno. Frastornato dall'"aggiornamento" conciliare e soffocato politicamente dall'egemonia democristiana, esso si lascia sedurre dall'utopia marxista: i suoi quadri dirigenti abbandonano in larga parte la Chiesa e la base finisce in buon numero a ingrossare le file dei rivoluzionari di professione. Pertanto, il movimento cattolico perde nel Sessantotto un'occasione storica: di fronte alla debolezza della cultura liberal-illuminista e all'aggressione intellettuale e politica della rivoluzione socialcomunista rinuncia a prendere l'iniziativa, entra anch'esso "in crisi" e, trascurando la dottrina sociale della Chiesa, accetta l'analisi sociale marxista, assumendo così un atteggiamento di subalternità culturale che continua a produrre effetti desolanti.

 

5. Il Sessantotto come Rivoluzione culturale

Il Sessantotto si presenta quindi, nel suo aspetto più profondo, come una Rivoluzione culturale, che ha inciso sul costume e sui comportamenti sociali molto più che sulla politica. Certamente il desiderio di un mondo nuovo, ossia l'aspetto utopico della contestazione, è stato sepolto insieme alle numerose vittime degli anni di piombo, e si è capovolto nella tragica disperazione di chi più intensamente ha creduto ai miti dell'ideologia e li ha visti dissolversi fra le "urla dal silenzio" delle vittime dell'esperimento comunista, oppure nel fallimento esistenziale dell'utopia libertaria.

Tuttavia, se l'utopia libertaria e l'ideologia marxista si sono frantumate nel confronto con il reale, la generazione del Sessantotto ha smarrito anche la memoria di quel patrimonio di verità individuali e sociali contenuto nella tradizione cristiana e già sfigurato dai modelli liberali e illuministici della "società opulenta". In questo modo, la secolarizzazione laicista è avanzata rapidamente anche in Italia e ha potuto tenere il campo indisturbata, saldando in un'unica egemonia culturale progressista tanto le tendenze libertarie che quelle socialcomuniste, orfane del mito messianico-rivoluzionario. D'altra parte, il Sessantotto ha mostrato inequivocabilmente l'incapacità della Modernità, con il suo arsenale ideologico, di fornire risposte significative alla sua deriva nichilista, e ha quindi reso evidente, per contrasto, l'esistenza di un'alternativa reale alla dissoluzione personale e sociale: alternativa culturale e politica, questa, né utopistica né relativista, e percorribile attraverso la riscoperta dei valori che caratterizzano l'uomo naturale e cristiano e che fondano la sua civiltà.

 

Fonte: http://la5g.altervista.org/sto/1968.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Parola chiave google : 1968 tipo file : doc

 

1968

 

1968

 

IL CONTESTO PRIMA DEL ’68 : in generale dalla fine della guerra fino al ’68.

’68: nascono i primi movimenti sessantottini: origini del movimento studentesco

  • caratteri del movimento ( cosa volevano, cosa facevano…)
  • punti tematici delle lotte e dei movimenti sessantottini

 

LA CONTESTAZIONE STUDENTESCA:

il movimento studentesco nel 1968.

Cause:

  • università fortemente spiazzata dalle iscrizioni di massa
  • politica economica
  • valori tradizionali

 

FRANCIA:

  • regime di De Gaulle + situazione Francia
  • il maggio francese
  • i primi movimenti: cosa vogliono, cosa fanno ( occupazione delle università..)
  • contesto della Francia dopo il ’68.

 

INGHILTERRA:

  • anni ’60: novità nella cultura e costume dei giovani
  • bisogno di rinnovamento della sinistra (RSA) Radical Student Alliance: cosa vuole ottenere
  • London School Walter: meeting di protesta (’67)
  • ’67: agitazioni nelle università del Regno Unito ( Edimburgo, Leicester, Keele…. )
  • ’68: RSSF: Organizzazione della nuova sinistra

 

AMERICA LATINA:

Continuazione di processi che si erano radicati all’inizio del ’60: guerriglie, autoritarismo militarista e rivolte studentesche.

  • situazione nei diversi paesi: Città del Guatemala

                                                   Argentina

                                                   Uruguay

                                                   Città del Messico

 

STATI UNITI:

contesto USA anni ‘60

scioperi studenteschi

‘64: rivolta di Berkeley e nascita del Free Speech Movement che guida la rivolta

Insurrezioni delle comunità nere: Black Panther Party ( Clack Power)

 

ITALIA:

  • autunno ’67: occupazione atenei di tutte le principali città del centro-nord
  • cause: sistema di introduzione

                       autoritarismo accademico

  • occupazioni nelle università (più sgombri da parte della polizia)
  • Valle Giulia: protesta sociale, critica alla società dei consumi…
  • ’69: gli operai vogliono impedire il declino del movimento studentesco

Maggio-giugno: scioperi spontanei e improvvisi

 

RIVOLTA OPERAIA IN ITALIA

  • situazione economica ( miracolo economico..)

Mobilitazioni sindacali

Progetto di incontro studenti-operai

Autunno caldo

  • tentativo di costruire un’organizzazione rivoluzionaria nazionale
  • il contesto dopo il ‘68

 

STORIA DELL’ARTE

Pellizza De Volpedo: il quarto stato

 

Fonte: http://www.pacioli.net/ftp/maturita/1968.doc

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1968

 

 

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