Letteratura ispanoamericana

 


 

Letteratura ispanoamericana

 

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Letteratura ispanoamericana

 

Letteratura ispanoamericana

 

La letteratura ispanoamericana ha origine molto prima dell’arrivo di Colombo in america. Oltre la letteratura orale, tramandata da tutti i popoli, la cultura maya, insediata nel centroamerica un millennio prima di questo avvenimento, aveva sviluppato una scrittura. I codici ai quali appartengono le scritte scolpite nell’architettura non sono ancora stati completamente decifrati ma due importanti narrazioni sono state trascritte (in quiché, ma in caratteri latini) durante l’epoca coloniale: il popol vuh, in cui si mescolano elementi mitici e storici, e il rabinal achí.
Nella poesia precolombiana si distinguono due tipi di versi, entrambi sillabici e senza rima: i corti, sull’amore e la religione, e i lunghi, sul tema epico e narrativo in diverse forme.
Nella poesia náhuatl, del Messico azteco, si trovano degli inni in cui abbonda l’aspetto mitico ed eroico ma anche il sentimento religioso, la morte, la nostalgia e l’amore per la natura. L’ultimo imperatore azteco, Netzahualcoyotl, lasciò un’opera poetica in cui si mescolano pessimismo ed edonismo di fronte alla brevità della vita.
La poesia quechua, composta per essere cantata e accompagnata da strumenti musicali, aveva temi molto svariati (religione, amore, lavoro), con grande ricchezza di sfumature lessicali. Tra i sei tipi di poemi caratteristici, dal festivo al funerario, dalla favola all’inno, di grande intensità e forza lirica, l’arawi ebbe influenza sulla poesia peruana posteriore, trasformandosi nei yarawi o yaravi, dei primi poeti indigeni e meticci della colonia. Il teatro quechua, in cui ricorrono i temi della guerra e del lavoro in forma rappresentativa, ha come esempio l’ollantay, di grande realismo e vigore, che presenta il parallelismo di due azioni drammatiche e include canti corali con funzione analoga a quella del teatro greco.
La cultura scritta è stata imposta dai conquistatori europei in africa e america, diventando un segno distintivo dell’èlite, per opposizione alla cultura orale dei servi e degli schiavi. La colonizzazione crea una letteratura che si orienta molto di più verso la metrópoli che verso il suo contesto locale, il quale rimane così emarginato. C’erano allora altri fattori che rendevano difficile il libero sviluppo della letteratura dell’america spagnola, come gli ostacoli allo scrivere nelle lingue indigene o a coltivare determinati generi, come il romanzo.
Un unico scrittore del periodo drammatizza gli elementi conflittuali tra indigeni e ispanici: l’inca Garcilaso de la Vega, figlio di una nobile indigena del Perù e di uno spagnolo. La sua opera segnerà l’intero periodo coloniale ma anche i successivi, sia con la prima descrizione immaginativa del nuevo mundo (la florida del inca) sulla conquista della penisola da parte di Hernando de Soto, che con i comentarios reales que tratan del origen de los incas (commenti regali che trattano dell’origine degli inca, 1609), nel quale descrive accuratamente i costumi, il trattamento, l’organizzazione sociale e politica, la vita intellettuale e gli avvenimenti storici del regime inca e abbina trascrizioni di canti e preghiere che altrimenti si sarebbero persi. Vuole dimostrare che questo grande impero poteva essere paragonato a quelli di Grecia e Roma, contribuendo inavvertitamente a promuovere il mito del buon selvaggio, presente nella letteratura, anche europea, fino all’ 800. Tuttavia, permette l’apparizione in letteratura di un tipo umano completamente nuovo, il meticcio, nel cui sangue si mescolano l’europeo e l’americano.
Tradusse la poesia quechua adottando il castigliano, e non il latino, per “avvicinarmi di più alla lingua che succhiai nel latte” ma anche per raggiungere un pubblico più vasto al fine de rivendicare una civilizzazione che gli europei tendevano a condannare come pagana e barbara.
Le sue opere serviranno di spunto a opere letterarie di ogni genere in tutta europa, anche in epoche successive.
La più interessante delle epopee americane, la araucana, scritta dallo spagnolo Alonso de Ercilla alla fine del Cinquecento, forse per dare rilievo ai suoi connazionali durante la lunga conquista del Cile, rivendica la forza, il valore e la nobiltà dei loro oppositori -gli indios araucani-.
Ma la vera epopea si compone di giornali di bordo, di scoperte, cronache, relazioni, lettere e controversie. I racconti di Colombo, Cortés, Díaz del Castillo, Jiménez de Quesada, Carvajal, “Cabeza de vaca” e vari altri, che fanno dei conquistatori degli eroi leggendari, ma anche le testimonianze dal punto di vista delle vittime, avranno delle ripercussioni nella letteratura ispanoamericana, nella quale predomineranno i temi del viaggio e della ricerca.
A partire dalla conquista, l’europa impone dei miti come quello del primitivismo e quello dell’immaturità dell’america latina, assai vincolati tra loro, che hanno molto pesato nell’autorappresentazione dei suoi abitanti e negli schemi mitici delle sue letterature, ciò che spiegherebbe la forte carica di disperazione di numerosi romanzi circolari e chiusi, persino del xx secolo.
Il rigido controllo monopolista spagnolo estese le sue restrizioni alla vita culturale delle sue colonie, tendendo ad isolarle dalle principali correnti di pensiero europeo. E dopo il declino della brillante cultura spagnola di fine cinquecento e inizi del seicento, la metropoli solo trasmise un debole riflesso di una cultura già divenuta provinciale e marginale. 
Gli intellettuali ispanoamericani della colonia erano educati dalla chiesa, in una tradizione classica e spagnola: oda, epopea, elegia, oppure “soneto”, canzone tradizionale, “romance”, commedia o dramma religioso, su temi abbastanza convenzionali. Il romanzo era quasi inesistente tra le produzioni del “nuovo mondo” e non veniva importato.  La poesia fu il genere meno censurato e più fertile. Juan de Castellanos in Nuova Granada (oggi Colombia), Bernardo de Balbuena e Francisco Terrazas in Messico lodano la grandezza dell’impero che ha portato le sue istituzioni e fasti tra i buoni selvaggi della natura vergine.
La massima espressione della letteratura novoispanica rimane Suor Juana Inés de la Cruz che, superando ogni ostacolo della sua condizione di donna e di religiosa, versa la propria sensibilità in svariate opere poetiche, drammatiche, filosofiche ma anche in canzoni e prosa, che ancora oggi risultano originali, come la risposta a suor filotea (1691) e il poema primero sueño.
Lungo tutto il periodo coloniale ci sono state delle forze che entrarono in conflitto con la cultura importata.  La mescolanza di elementi etnici, l’isolamento delle zone rurali, le differenti forme di vita e di struttura sociale, determinate dalla natura dell’ambiente, la concentrazione delle minoranze illustrate in enclavi urbani dispersi, tutti questi fattori contribuiscono a creare due culture che si sono perpetuate fino ai nostri giorni. La cultura urbana, principalmente nei centri di più grande importanza, continuerà a guardare verso l’europa fino al novecento, ma all’epoca i suoi contatti con essa erano a volte più frequenti di quelli coi territori circondanti. Nelle campagne predomineranno forme arcaiche sia nella letteratura che nelle strutture sociali. La letteratura sarà per molto tempo di tipo orale, sia nei canti delle piantagioni che nei racconti popolari che più tardi nei romances gauchos dell’Argentina.

 

periodo dell’indipendenza

E’ solo dopo l’indipendenza delle nazioni ispanoamericane che si può parlare di una vera letteratura in ognuna di esse. Tuttavia, il periodo in cui il potere spagnolo nelle colonie inizia a trovare seria opposizione coincide con quello del più grande splendore delle corti dei vicereami, in particolare quella di Lima, che godeva di brillante vita sociale.
Una delle opere che cercano di allontanarsi dall’imitazione delle mode europee è scritta da uno spagnolo, Alonso Carriò de la Vandera, che pubblica a Lima nel 1776 el lazarillo de ciegos caminantes, attraverso la quale critica il sistema spagnolo. Tuttavia rimane una delle prime opere ispanoamericane che descrivono popolazioni e costumi sulla rotta da Lima a Buenos Aires. Se da una parte descrive la spensierata vita creola, considerata nell‘800 un ostacolo al progresso, s’identifica nella superiorità dello spagnolo di fronte a indigeni e neri.
Durante questo periodo di transizione libelli, pamphlets e periodici diventano i mezzi di espressione più diretti per manifestare critiche e proteste. Le idee rivoluzionarie, ispirate a Rousseau e a Montesquieu, arrivano dall’europa, attraverso i criollos, tra i quali il venezuelano Francisco de Miranda e il rioplatense Mariano Moreno, il più illustre pensatore sui temi della democrazia e delle genti. Anche le relazioni dei naturalisti europei, come il tedesco Alexander von Humboldt, il francese Aimé de Bonpland e l’italiano Agostino Codazzi, che permettono di conoscere flora, fauna e geologia del continente, fanno rafforzare nei creoli l’idea di gestire da sé le enormi risorse che gli spagnoli non hanno saputo sfruttare.
L’europa del settecento proietta sulle americhe due miti contraddittori: quello dell’utopia abitata da buoni selvaggi e quello dei popoli inferiori che devono essere civilizzati. Quello dell’utopia implica una struttura letteraria di ricerca, come si percepisce in una delle prime opere letterarie originali, il romanzo picaresco periquillosarniento (1816), del messicano José Joaquín Fernández de Lizardi, che segue questo genere di creazione spagnola (già morto in Spagna), per raccontare le avventure di personaggi modesti o il loro degrado con pentimento finale.
Questo autore resta la figura più importante del periodo indipendentista, del quale approfitta per offrire un quadro estremamente vivido di tutti gli aspetti della società coloniale, incluso l’andare a scuola, al monastero, all’ospedale o al carcere. Denuncia ma anche introduce proposte di riforme per contrastare la corruzione generalizzata, le disuguaglianze, le discriminazioni di ogni genere, mettendole in bocca a un nero con trionfale rivendicazione della condizione umana. Diventa ardente difensore dell’uguaglianza di diritti per tutti gli uomini, dell’emancipazione delle donne, della totale libertà religiosa e di stampa. I suoi romanzi sono uno dei primi esempi di ricerca di un’autenticità ispanoamericana, attraverso lo humour più di altri suoi contemporanei. Tra questi sono da notare il portoricano Eugenio María de Hostos o il guatemalteco Juan Bautista de Irisarri, con inquieti e tormentati personaggi.
In quest’epoca di lotte ci fu anche un’intensa attività giornalistica ed epistolare: le lettere del liberatore, il venezuelano Simón Bolívar, e gli articoli dell’ecuadoriano Francisco Eugenio de Santa Cruz y Espejo, possono essere considerate le prime opere dell’indipendenza letteraria.
La poesia è stato il genere che più ha ricevuto influenze europee ma alcuni tentativi interessanti puntano verso nuovi indirizzi.
Nella regione del Río de la Plata nasce il genere gauchesco, che sfocia in poemi satirici sulle ingiustizie. Nel Perù il poeta Mariano Melgar segue la forma della canzone autoctona, il yaraví, per denunciare l’oppressione degli indigeni.
Nel decennio che segue l’indipendenza, gli intellettuali latinoamericani si chiedono il perché del fallimento politico dei progetti dei padri dell’emancipazione. Le risposte che trovano sono due: la mancanza di tradizione e il ritardo economico e politico ereditato dal dominio spagnolo.
L’apparizione delle repubbliche latinoamericane coincide col periodo del romanticismo europeo, per cui gli intellettuali sono profondamente influenzati dai presupposti romantici e cercano di stabilire dei codici umanisti che servano da guida morale, ad iniziare dal venezuelano Andrés Bello, oltre che dall‘ecuadoriano Juan Montalvo e l’uruguaiano José Enrique Rodó. 
Bello recupera forme letterarie classiche per incorporare la natura americana alla retorica universale della civiltà d’occidente. Silva a la agricoltura de la zona tórrida, un poema didattico, è cosparso da idilliche descrizioni, che loda la vita contadina in contrasto con l’ozio delle città. Scrive diverse opere liriche come anche di diritto e di lingua, tra le quali la prima gramática de la lengua castellana destinada al uso de los americanos (1847). La sua poesia mostra le strutture dell’antica retorica e predilige i temi della bontà della natura e della corruttibilità dell’uomo.
Fra gli scrittori didattici, che parteciparono alle lotte per l’indipendenza c’è José Joaquín Olmedo (canto a bolívar, 1825), nella cui opera si riscontrano echi di tutti i suoi autori classici favoriti. Tale peso si percepisce anche nel quasi sempre esiliato cubano José María de Heredia.

 

romanticismo

Nella seconda metà dell’ottocento il romanzo storico viene considerato lo strumento ideale per creare un sentimento di orgoglio nazionale nel vuoto intellettuale che segue l’espulsione degli spagnoli. Il periodo preferito del romanziere storico è l’indipendenza, a causa della vicinanza nel tempo e del carattere di soggetto nazionale. Alcuni esempi sono il boliviano Nataniel Aguirre, con juan de la Rosa, l’uruguaiano Eduardo Acevedo Díaz con ismael(1890) e altri romanzieri di minor successo, nei quali la povertà del linguaggio e il convenzionalismo lessicale indeboliscono la descrizione.
Il peruviano Ricardo Palma crea, invece, un genere nuovo, quello della “tradizione”, con tradizioni peruviane del 1872, caratterizzato da  una visione genuinamente originale del passato storico, ispirandosi sia all’arte delle narrazioni orali (che non si era mai persa in latinoamerica) che al quadro costumbrista (costumista), sviluppatosi nella Spagna del’900 con il ritratto di personaggi popolari. Pur essendo romantico, tocca con umore e ironia temi molto insoliti per la sua epoca, come il sesso, la corruzione del clero ed i rapporti interetnici, collocandoli nel periodo coloniale.
La letteratura argentina in buona parte deriva da movimenti di protesta contro il dittatore Juan Manuel Rosas, che governò per 20 anni (dopo tre al governo della sola città di Buenos Aires). La tradizione gauchesca era stata iniziata dall’uruguaiano Bartolomé Hidalgo all’epoca dell’indipendenza, e l’immensità della pampa e tutte le sue tragedie sono state un soggetto rilevante nella letteratura della regione del Río de la Plata.
La solitudine e gli spazi vuoti sembrano annullare gli sforzi umani, persino sulla costa, dove il fiume sembra mare. Il mondo animale fa parte della forza ostile che è la natura, ma prevalgono le forze della violenza, della crudeltà, dell’ipocrisia. I personaggi sono paragonabili a quelli del romanticismo europeo, pur con certe differenze, per esempio la mancanza di una loro idealizzazione.
Segnerà l’epoca il saggio polemico civilización y barbarie. Vida de Facundo Quiroga y aspectos físicos, costumbres y usos de la República Argentina, 1845 (civiltà e barbarie. Vita di Facundo Quiroga e aspetti fisici, costumi e usi della Repubblica Argentina), di Domingo Faustino Sarmiento (famoso anche per avere favorito, durante la sua posteriore presidenza, lo sviluppo della scuola e l’immigrazione): in quest’opera, il nomade gaucho simboleggia la “barbarie”, termine che esprime tutti i mali del paese, in opposizione alla civiltà. Quest’ultima significa la “sociabilità”, l’impero della legge, l’inviolabilità della proprietà privata, valori non riconosciuti dal gaucho, uomo “naturale” che nella solitudine della pampa non ha nessuna ragione per pensare al bene comune. Facendo uso del presente storico, il saggio si regge sulla dinamica del conflitto, in particolare tra città e campagna, e per lunghi anni ha influenzato le analisi che gli argentini hanno fatto dalla loro società. Facundo diventa infatti un brutale brigante della montonera (cavalleria gaucha che lottò contro gli spagnoli), costante ribelle contro ogni legge, ordine e religione.
Sulla stessa linea, sono i romanzi la cautiva del 1837, di Esteban Echeverría e amalia del 1851, di José Mármol, che si basano su categorizzazioni analoghe. Queste vengono invece completamente invertite nel racconto di viaggio di Lucio Mansilla tra gli indigeni, una excursión a los indios ranqueles del 1870 e nel martín fierro di José Hernández.
Sarmiento, Echeverría e Mármol immaginavano che l’Argentina non potesse andare avanti in alcuna direzione che non fosse quella segnata dall’europa, pur mettendo in risalto le virtù di un’età eroica che stavano scomparendo. Mansilla, invece, non idealizza il buon selvaggio ma gli riconosce alcune virtù (come l’ospitalità e la generosità). Allo stesso tempo critica la civiltà, nella quale vede i pericoli dei cattivi governi e, trasformando il suo pensiero, non teorizza più la superiorità dell’europeo.
La poesia gauchesca divenne sempre più satirica, ma José Hernández riesce comunque a valorizzare artisticamente l’essenza della vita del “gaucho”, caratteristico abitante della pampa, trasformandolo in un archetipo universale e tragico. Infatti, el gaucho martín fierro, del 1872, classificato come epopea, o poema vicino al romanzo, racconta le sfortune di un payador (cantore) in prima persona. Il protagonista soffre una serie di attacchi alla sua dignità umana e ricorda i valori dell’età dell’oro della pampa, che ricorda mentre deve affrontare sfruttamento, corruzione, ingiustizia; ed incarna i valori propri della frontiera, come il coraggio, la fiducia in se stesso, l’indipendenza, contro i valori della civiltà, che per l’autore sono l’impero della legge, l’organizzazione sociale e il commercio.
Martín Fierro cattura dunque la vita del gaucho quando sta scomparendo - con i valori di ospitalità e generosità e l’agire sempre spontaneo - in contrasto con quella delle città, viste come centri di cultura e di raffinatezza.
La forma del poema è quella della payada, duello tra due cantori in una specie di canzone-indovinello che ricorda la tenzone medievale che, come in molte culture, rappresenta un modo rituale di lotta. Un passaggio assai significativo in tal senso si trova alla fine della seconda parte, intitolata la vuelta de martín fierro, nel discorso di un nero, al quale il protagonista ha ammazzato il fratello combattendo gli indigeni.

Il romanticismo arriva in latinoamerica attraverso l’influenza spagnola e francese, quando già la nuova avanguardia europea era il realismo. Nella maggior parte dei casi, mosse gli scrittori a creare le proprie culture nazionali, ma, se in europa il movimento spesso rispondeva al processo d’industrializzazione, in latinoamerica sottolineava ironicamente il sottosviluppo, la carenza di “modernità”, che faceva aspirare a un modello europeo e che favoriva l’installarsi di un disastroso stato di neocolonialismo.
In questo contesto, un nostalgico tradizionalismo idealizza la realtà dei personaggi della narrativa. Un tipo di romanzo romantico dell’800 vede per esempio una marcata preferenza per le protagoniste femminili: in Argentina la già citata amalia (José Mármol), oltre a soledad (Bartolomé Mitre) ed esther (Miguel Cané); in Colombia maría (Jorge Isaac) e manuela (Eugenio Díaz); in Messico clemencia (Ignacio Altamirano); a Cuba cecilia valdez (Cirilo Valverde) in Ecuador la cumandá di Juan León Mera.
Lo schema dell’argomento si ripete: amori contrastati (da ostacoli di classe, o di origine etnica). A seconda dei casi, le protagoniste sono meticcia, mulatta, ebrea o creola allevata dagli indiani, in una sorta di interpretazione dei modelli europei del genere che ritroveremo nelle telenovelas della seconda metà del novecento.
Nel suo insieme la letteratura romantica ispirò dei soggetti “originali” ma in realtà conservatori. La maggior parte degli autori ha una mentalità tradizionale con la quale romperanno in futuro i rivoluzionari modernisti.
Anche nella poesia, il patriottismo, gli indios, la natura, forniscono dei soggetti per così dire originali: condor invece di aquila, Ande invece di Alpi, Niagara e Tequendana al posto delle cascate europee: come nella  prosa,  le produzioni dovevano avere una funzione didattica.
In tabaré il poeta uruguaiano José Zorilla de San Martín si fa interprete della voce di una “razza morta” (l’etnia charrùa) scomparsa dopo la conquista, per raccontare la sua storia.
Come Andrés Bello nella silva all’agricoltura della zona torrida, anche il colombiano Gregorio Gutiérrez canta - in memorie sulla coltura del mais in antioquia - la flora americana, descrivendo la coltivazione del mais con pieno uso di riferimenti domestici, come le allusioni al cocco e all’”arepa” o pane di mais. In genere le opere riportano stampe locali, scene rustiche, ma la sensibilità romantica diviene sentimentalismo di carattere popolare, più che visione utopica che guardi al futuro. Questa è una costante in molti romanzi storici dell’800, ambientati in diversi periodi (conquista, colonia, indipendenza) da parte di scrittori di molti paesi, in particolare del Messico, ma anche della Repubblica Domenicana (con enriquillo, del 1882, di Manuel de Jesús Galván) e di Cuba (con il romanzo storico indianista guatemocín, del 1846, di Gertrudis Gómez de Avellaneda).

 

modernismo e poesia

II modernismo è un’epoca, e non una scuola, il cui tratto comune consisterà nel produrre grandi poeti difficilmente catalogabili, che daranno vita ad una letteratura indipendente, di valore universale, diventata principio e origine del posteriore grande sviluppo della letteratura ispanoamericana. Gli stili, peraltro, furono ampiamente divergenti in un buon numero di artisti che scrissero dall’ultimo ventennio dell’800 al secondo del ‘900.

Se in ispanoamerica il romanticismo ha significato nostalgia della stabilità, della sicurezza nella fede cattolica e del sistema delle gerarchie sociali, il modernismo galleggiò invece negli ambiti dell’incertezza, della perdita della fede e del crollo dell’ordine sociale. Si esplora nell’innovazione linguistica, nelle forme; si ricerca una nuova lingua letteraria, liberata, a livello creativo e comunicativo, da ogni condizionamento, persino biologico, come anche dai limiti dell’epoca; per cui al castigliano e ai dialetti locali viene anteposto il francese. Anche qua, come tra i modernisti francesi, la poesia rompe con ogni didatticismo e proposito morale.
L’importanza storica di Rubén Darío, il grande poeta nicaraguense che coniò il termine modernismo, è quella di aver catalizzato gli eventi artistici della sua epoca, assorbendo tutte le tendenze contraddittorie che confluiscono nel movimento modernista: a volte sembra profetico come victor Hugo, parnassiano come Leconte de Lisle o affascinato per la musica come Verlaine, oltre a essere eclettico, simbolista, decadente o nativista, perché si sentiva libero di ispirarsi a tutte le scuole. Provò ogni tipo di verso, spesso in un quadro mitologico, esaltò la raffinatezza, la poesia come sostituto della religione, e non quale servile imitazione di una moda, ma in autentici riflessi del dubbio e dell’angoscia.
Nella sua poesia, estremamente varia, emergeva talvolta il poeta civicamente impegnato, in opere dedicate a Roosvelt o a Colombo (in un genere in cui, tra l’altro, non eccelse) altre volte il profilo di un  proscritto solitario. Se un giorno cantava l’amore sensuale, l’altro poteva mostrarsi sopraffatto dalla colpa religiosa. I suoi titoli principali partono dal 1888, col volume azul, al quale seguiranno prose profane, canti di vita e di speranza, il canto errante, poema d’autunno e altri poemi, canto all’argentina (1914) e molti altri. Caratteristica della sua poesia è l’idealizzazione del sensuale: esprime i suoi gusti, tentativi e limiti con assoluta fedeltà, come anche la sua voglia di trascendere il puramente animale, in conflitto con l’impulso sessuale. l’arte, secondo lui, idealizza la natura, la quale a sua volta indica un ordine celeste, se interpretata in modo adeguato.
Darío può essere considerato come il primo scrittore veramente professionista della latinoamerica, grazie alla cui opera la letteratura ispanoamericana sviluppò un’attenzione più seria per la forma e il linguaggio.
La forma più estrema della tendenza modernista è rappresentata dal giovanissimo cubano Julián del Casal, che, in una visione idealista dell’esperienza, cerca di evadere la vita contemporanea attraverso l’esotismo oppure visioni dell’europa fredda e nevosa, che l’allontanano dalla sordida realtà tropicale. Il mondo visibile è troppo imperfetto, bisogna fuggirlo con l’arte, l’unica religione che gli rimane nella sua lotta con la malattia, che lo porterà alla morte a vent’anni.
Anche per l’uruguaiano Julio Herrera y Reissig, la poesia fu in gran parte un rifugio, ma dinanzi alle preoccupazioni per i cambiamenti. Inventò e creò un mondo di paesaggi idealizzati ma anche grotteschi, in cui la vita è fuori dalla chiesa, nella natura, nelle forme rurali del passato, per le quali esprime grande nostalgia. Egli andò più lontano, rispetto a Darío, nella percezione delle forze incoscienti, esprimendo al meglio isolamento e abbandono.
Fra i modernisti, il colombiano José Asunción Silva è il più prossimo alle radici romantiche: l’infanzia è l’unico periodo della vita che per lui conserva il suo splendore, e la maggior parte della sua poesia tratta della notte e della morte.
Il messicano Salvador Díaz Mirón sembra il meno modernista nel modo di scrivere: linguaggio retorico, visione determinista e pessimista, propensione al naturalismo, criterio storicista nella prospettiva futura, incapacità di fuggire alla visione soggettiva, alcuni temi sociali trattati quasi grottescamente.
Il suo connazionale, Manuel Gutiérrez Nájera è invece il più cosmopolita (sebbene non sia mai uscito dal paese natale) e il più libertino: trapiantò il lusso, la raffinatezza e la frivolezza della belle époque parigina, l’edonismo degli “allegri novanta”, in terre messicane.
Il boliviano Ricardo Jaimes Freyre, da parte sua, ambientò la sua opera storica, linguistica e poetica in paesaggi e miti per lo più nordici.
Gli aspetti divergenti si accentuarono dopo il 1900. Tra i modernisti tardivi, i più prolifici e popolari spesso risultano i più deludenti: il messicano Amado Nervo, il colombiano Guillermo Valencia e il peruviano José Santos Chocano, che sarà il più maschilista e aggressivo, ma anche il primo ad impiegare un sistema di riferimento americano nella poesia; tutti contemporanei della notevole poetessa uruguaiana Delmira Agustini.
Il modernismo in uno spazio americano raggiunse un livello di maggiore intensità in poeti come il cileno Carlos Pezoa Véliz o l’argentino Leopoldo Lugones che, assieme a Baldomero Fernández Moreno e al messicano Ramón López Velarde (il quale scrisse dalla fine della rivoluzione), rappresentano la corrente “mundonovista” o vocalista del modernismo, pur seguitando a trattare del tempo e della morte.
In Ecuador si fa notare la “generazione decapitata” (chiamata così per la breve vita e la tragica fine di quasi tutti i suoi componenti), le cui opere, ripetute in recite e celebrazioni varie e cantate in pasillos, diventeranno dei riferimenti culturali a livello popolare.
Tuttavia, il modernismo si espresse anche in prosa: Darío e Gutiérrez Nájera figurano tra i primi scrittori ispanoamericani che la impiegarono col semplice scopo di esprimere stati d’animo. Se la narrativa di Nájera conserva degli elementi aneddotici e moralisti, la maggior parte dei racconti di Darío è costituita da allegorie del conflitto tra artista e società, in descrizioni pittoriche, prive di aneddoto e di filo conduttore, immerse in un’atmosfera di sensualità. Anche in questo genere Darío diede origine a nuovi stili di letteratura non realista, come il romanzo “fantastico” o l’”artistico”, a volte in contesti storici molto lontani nel tempo e nello spazio. La tendenza, però, condusse a un certo preziosismo, che significò un’attenzione al linguaggio e al valore intrinseco delle parole oltre ad una sensibilità verso gli effetti più squisiti che sarebbe risultata molto fruttuosa.
Il modernismo, insomma, riuscì a deviare la prosa dal suo orientamento funzionale verso la ricerca di valori formali.

 

costumismo e criollismo  

Quand’anche non siano sotto l’influenza diretta dei modernisti, verso la fine dell’800 gli autori cominciano a preoccuparsi per questioni di stile e di linguaggio. Allo stesso tempo, in opposizione al cosmopolitismo del periodo modernista, emerge una propensione a dipingere la vita rurale e provinciale di certi paesi, conosciuta come criollismo, con intenti di verosimiglianza e fedeltà alle fonti popolari.
Il colombiano Tomás Carrasquilla scrisse la marquesa de yolombó, frutos de mi tierra e molti racconti basati su tradizioni popolari, di cui il meglio si trova in simone il mago, misto di umore grottesco ed ingenuità provinciale.
Questa corrente perdurò fino alla seconda metà del ‘900 ed ebbe massima vitalità prima del 1918. Gli autori più rappresentativi e prolifici sono l’uruguaiano Javier de Viana e il cileno Mariano Latorre; poi, i venezuelani Luis Manuel Urbaneja Achelpol, José Rafael Pocaterra e Rufino Blanco Fombona; il peruviano Ventura García Calderón e molti altri autori di racconti delle repubbliche centroamericane, tra i quali spicca Ricardo Fernández Guardia, del Costa Rica.
Di alcuni di questi si critica però la mancanza di autenticità, in particolare quando non erano originari dei contesti geografici e/o sociali che descrivevano, né avevano condiviso il genere di vita dei loro personaggi.
Altri romanzi da considerare sono alla costa del 1904, dell’ ecuadoriano Luis Martínez, che racconta le migrazioni dalle zone andine verso le costiere, alla ricerca di lavoro e di migliori prospettive di vita; los gauchos judíos del 1910, dell’ argentino Alberto Gerchunoff e juan criollo del 1910, del cubano Carlos Loveira.
Dalle preoccupazioni dei criollisti riguardo al ritardo e alla povertà delle zone rurali scaturiranno i romanzi regionalisti, realisti e di denuncia sociale degli anni ‘20 e ‘30.
Lo schema comune è determinista, il soggetto centrale è il conflitto tra modernità e valori tradizionali, con un occhio critico all’era di progresso e di sviluppo che si stava avvicinando, portando con sé non solo la distruzione di antiche istituzioni ma anche la creazione di nuovi tipi di sfruttamento: assieme ai predecessori romantici, gli autori di questa generazione temevano che il frutto del nuovo materialismo fosse l’anarchia morale.
L’ordine incomincia dunque ad essere più importante della soggettività, per cui gli scrittori pensano di creare, con le oro opere, oasi di ordine in società anarchiche. Il loro interesse non è più nella forma ma nella tematica.
Intervengono, come forze che separano gli amanti, la classe sociale o il denaro, più che la natura o la religione. La natura diviene, inoltre, energia malevola e non manifestazione benevola della divinità.
I romanzi realisti presentano delle strutture somiglianti a quelle dei romanzi romantici, tranne che per un aspetto: sono versioni “degradate” dall’ideale e in ispanoamerica spesso sono l’inversione del soggetto romantico: se i primi idealizzavano il “buon selvaggio” i secondi descrivono la tragica situazione degli indigeni.
Romanticismo e realismo hanno come antenato il costumbrismo (costumismo), ma alcuni autori, in Argentina, considerano i loro nuovi romanzi realisti come costumisti. In Messico, anche, si denuncia la politica, la stampa, la disonestà e l’ipocrisia della classe media, il degrado morale delle nuove società. Dappertutto in ispanoamerica domina la preoccupazione morale ma in questi due grandi paesi viene trattata con più insistenza, forse perché nelle loro grandi città si stava producendo un più rapido processo di modernizzazione, del quale si era più coscienti.

 

indigenismo

Il romanzo indigenista è raro prima degli anni ‘20 del ‘900 e l’unico esempio significativo permane aves sin nido, della peruviana Clorinda Matto de Turner, nel quale si ripete il soggetto – presente in molti romanzi con personaggi femminili dell’800 - dell’amore inconsapevole tra fratellastri a causa delle unione illegittime.
L’indigeno, grande sconosciuto da parte delle popolazioni bianche e meticcie delle nazioni ispanoamericane, diventa gradualmente un simbolo dei valori autoctoni di fronte all’influenza straniera.
Le relazioni con la cultura indigena hanno dunque costituito un processo importante nella storia culturale del continente, che segue le principali correnti ideologiche dei diversi periodi.
Prima di 1920 s’insisteva nell’educazione dell’indigeno “per liberarlo dalle superstizioni”; negli anni ‘30 lo si vede come una forza politica di avanguardia per affrontare l’imperialismo mentre più tardi e soprattutto più recentemente, si assiste alla rivalorizzazione delle culture e alla dimostrazione degli elementi positivi che si trovano nel loro rifiuto del sistema di vita nazionale, di origine europea e poi d’impronta nordamericana.
Un esempio della prima fase è raza de bronce (1919), del boliviano Alcides Arguedas. Di una visione ugualmente semplicista è il conosciuto romanzo huasipungo (1934), del prolifico scrittore ecuadoriano Jorge Icaza, uno dei romanzieri realisti ispanoamericani di maggior forza espressiva, che, dopo che sugli indigeni, scrive sui cholos, meticci discendenti da indigeni e spagnoli. El mundo es ancho y ajeno del peruviano Ciro Alegría cerca invece di mostrare una coscienza indigena e le relazioni di questi popoli col mondo naturale. Questo romanzo prospetta soluzioni dei problemi degli indigeni attraverso la creazione di una coscienza politica.
Ognuno di questi tre scrittori considera comunque gli indigeni all’interno di un quadro politico, secondo le loro capacità in relazione ad un cambiamento ed al progresso.
Fuori dalla corrente del realismo, si riscontrano avvicinamenti più intimi alla mentalità indigena, come in balún canán (1957), della messicana Rosario Castellanos, in cui un bambino di origine europea, allevato da una balia indigena, narra la propria storia. In oficio de tinieblas (mestiere di tenebre), ella adotta invece l’originale punto di vista delle donne, che sono protagoniste sia di una ribellione, sia di una reazione.
Nella linea testimoniale che più tardi seguirà Miguel Barnet con gli afrocubani, s’iscrive juan pérez jolote (1952), dell’antropologo messicano Ricardo Pozas. Entrambi rimangono i più noti antecedenti dei racconti autobiografici dell’indigena guatemalteca Rigoberta Menchù (premio nobel per la pace 1992), raccolti da Elizabet Burgos (mi chiamo rigoberta menchù e así me nació la consciencia), sul genocidio del suo popolo. La stessa più tardi narrerà, sempre in prima persona ma attraverso la penna di Dante Liano, storie e ricordi della sua infanzia in uno stile accessibile ai bambini: la bambina di chimel e, nel 2003, il vaso di miele: la storia del mondo in una favola maya.

 

realismo e regionalismo

Nell’Ottocento era riapparso in ispanoamerica il genere picaresco, attraverso narrazioni in prima persona. L’argentino Roberto Payrò, a metà strada tra questo genere e il realismo, prende in giro la corruzione e i costumi provinciali; come anche il messicano José Rubén Romero, che presenta, in una visione nichilista, dei personaggi mai veramente cattivi, frutto di esperienze autobiografiche; ed il cileno Manuel Rojas, che si basa su aneddoti più che sulla tecnica narrativa. Gli autori del genere tendono a sfidare l’imposizione di norme, perché vogliono mostrare il carattere casuale e disordinato dell’esperienza.
La maggior parte dei romanzieri di questa corrente verista ispanoamericana subì l’influenza di un positivismo ancora più determinista di quello europeo. Il lettore delle loro opere, piuttosto allegoriche, rimane un osservatore passivo, obbligato ad accettare le conclusioni dell’autore.
Il messicano Mariano Azuela dà inizio alla prosa realistica del Novecento con quelli di sotto del 1915, amaro romanzo in cui i fatti seguono un corso analogo a quello della rivoluzione del suo paese, in uno stile asciutto, simile a quello della cronaca. Ogni modo di parlare è la voce di una classe, per cui rappresenta un condizionamento. Le sue opere offrono un quadro completo della rivoluzione, ma da un’unica prospettiva; e perciò egli viene considerato tra i rappresentanti più “chiusi”, nella cui opera il violento processo dà un nuovo senso alla vita individuale di personaggi archetipici, che stabiliscono un quadro di valori e non hanno nessuna possibilità di scelta. Un connazionale, Martín Luis Guzmán, con l’aquila e il serpente, del 1928, approfondisce il genere biografico-romanzesco con enfasi sociopolitica.
José Vasconcelos, antizapatista, inaugura la prima tappa rivoluzionaria della novellistica con due racconti autobiografici: ulises criollo, del 1933 e la tormenta, del 1936, in cui esalta le sopravvivenze azteche ma anche il sangue europeo in contrapposizione all’imperialismo statunitense e all’indigenismo, che considera un prodotto culturale nordamericano creato per disprezzare la cultura spagnola.
Prima degli anni ‘40, se la natura non è al centro delle opere, le sue forze distruttive sono collocate in un contesto di preoccupazione per la giustizia sociale.  Scappare dal contesto urbano non significa andare nel grembo di una natura saggia e materna, bensì feroce e implacabile, inesorabilmente ostile. I migliori rappresentanti di questo genere sono: il colombiano José Eustasio Rivera, con il suo “romanzo della selva” la voragine, intensa testimonianza sulla fine di una concezione latinoamericana della natura differente da quella europea; e l’uruguaiano Horacio Quiroga, per la sua visione storica delle relazioni uomo-natura. 
Quiroga s’iniziò come poeta modernista e romanziere, ma è soprattutto un autore di racconti, raccolti in diversi volumi, come cuentos de amor, de locura y de muerte (racconti di amore, di pazzia e di morte) del 1917, cuentos de la selva (racconti della selva) del 1918, el salvaje (il selvaggio) del 1920, anaconda (1921), il deserto (1924), los desterrados (1925), molti dei quali sono ambientati in un ambiente tropicale, del nord dell’Argentina (misiones) e nel Chaco.
Alla ricerca di un’originalità e di un’identità nazionale distinta, il romanzo regionalista si nutrì di tutti gli aspetti che rendevano la vita ispanoamericana diversa dall’europea, mentre il saggio ariel, di José Enrique Rodó (1900) prende posizione sul modello di vita ispanoamericano e su quello europeo. La sua importanza risiede nell’avere comparato la tradizione mediterranea con l’utilitarismo nordamericano, inclinandosi verso la prima, con la quale identificava l’america latina.
Negli anni ‘20 è José Vasconcelos, con la razza cosmica (1925), che annuncia i tempi futuri, nei quali l’era estetica sostituirà la tecnologia e allora si assisterà al trionfo della rivoluzione culturale latinoamericana. Si cercano degli elementi positivi nel contesto rurale invece di denunciare l’arretratezza della vita contadina. Si punta verso un autentico spirito nazionale che sia più prossimo alla vita della campagna che a quella urbana.
L’opera di maggiore risalto nel genere fu comunque don segundo sombra, di Ricardo Güiraldes, nella quale un mandriano gaucho fa trasformare un giovane dissoluto in un uomo, in un gaucho appunto, permettendo il suo reinserimento nella società. Il mondo fisico e naturale viene superato dall’uomo che impara a dominare se stesso, in un percorso sia fisico che spirituale.
Il messaggio dei romanzi del venezuelano Rómulo Gallegos (per breve tempo presidente della repubblica) è notevolmente analogo: la trasformazione spirituale del paese è requisito per una trasformazione della sua politica e del suo governo.
Nelle opere di questi due autori si dispiega una struttura di ricerca che mescola la realizzazione personale con la rigenerazione nazionale. Qualunque sia la sua regione (pampa, selva, pianura), l’uomo vive secondo modelli preesistenti alla società oppure possiede delle norme sociali arcaiche. La rigenerazione diventa prioritaria per i loro simbolici personaggi, capaci di trascendere la loro natura animale; la vita selvaggia e indomita dell’america latina, invece di essere pregiudiziale per la vita dello spirito, in fondo può essere per il continente di maggior aiuto che la civiltà urbana, coi suoi valori falsi e degradati.
I romanzi di Gallegos (reinaldo solar, doña bárbara, cantaclaro, canaima, pobre negro) scritti dal 1920 al ‘37 sono stati diffusi in tutto il mondo. In particolare doña bárbara, don segundo sombra e l’ indigenista el mundo es ancho y ajeno, sono stati i primi romanzi ispanoamericani ad attrarre l’attenzione dell’europa e del nordamerica, colpendo i lettori per i loro tratti specifici: descrizione di una natura ostile, tipi esotici e ingiustizia sociale; ma sono quelli che poi le nuove generazioni hanno rifiutato.
In effetti, se questi romanzi, assieme ai racconti di Quiroga, sono stati considerati a lungo come forme caratteristiche della letteratura ispanoamericana, le generazioni più recenti si sono ribellate di fronte a quello che considerano romanzo documentario e di denuncia eccessivamente semplificata. E’ per questo che alcuni datano la maturità del romanzo ispanoamericano a partire dalle prime opere che mostrano complessità e ambiguità.

 

società e documento

Altra corrente importante è stata quella del cosiddetto “realismo documentale e socialista”, per il quale il messaggio ha un’importanza schiacciante e i romanzi devono riflettere le lotte di classe. Il genere è stato attivamente sostenuto da intellettuali di sinistra, come il peruviano José Carlos Mariátegui e i membri del gruppo argentino Boedo, e la sinistra messicana.
Questa tendenza significò una fase importante nella narrativa ispanoamericana e le sue radici si fondano sul romanzo antischiavista della Cuba ottocentesca e sulla già citata opera indianista aves sin nido, ma anche sulla letteratura di protesta umanitaria che, a partire dal 1900, da parte di vari autori, in particolare cileni, ritrae la vita dei minatori o di altri lavoratori in terre lontane e sconosciute. In Perù, lo struggente romanzo di Augusto Céspedes sulla guerra nella selva, sangue di meticci, del 1936, appartiene a questo filone.
Gli scrittori realisti dell’Ecuador provenivano in gran parte da Guayaquil e spesso il loro soggetto era la vita dei montuvios (abitanti meticci della regione della costa) che fornivano le grandi masse di lavoratori alle piantagioni di riso, alla pesca, o ai porti. Uno dei più noti fu José de la Cuadra, che scrisse un saggio, un certo numero di racconti e il romanzo los sangurismas nel 1934, ambientandolo nelle pianure semiselvaggie dell’Ecuador. Altri della scuola realista di Guayaquil, alcuni successivamente conosciuti all’estero, furono Demetrio Aguilera Matta, Enrique Gil Gilbert, Joaquín Gallegos Lara, Alfredo Pareja Diezcanseco e Pedro Jorge Vera. Essi scrissero insieme los que se van (quelli che partono), opera che segnerà una nuova era letteraria nel paese, mentre a Quito Jorge Icaza pubblicava huasipungo.
In Colombia il realismo fu più apertamente polemico e propagandistico, soprattutto centrato sulla violenza regnante nel paese durante gli anni ‘40.  In Argentina, il romanzo proletario degli anni ‘20 fu subito eclissato dalla letteratura di avanguardia di Roberto Arlt, Macedonio Fernández e Jorge Luis Borges.
In Messico, alla rivoluzione seguì un’intensa campagna educativa per ridurre l’analfabetismo, per cui i numerosi romanzieri degli anni ‘30 scrissero per un pubblico nuovo e in crescita, non composto di soli intellettuali. Risalta, in questo contesto, soprattutto José Revueltas, il quale, con una concezione rivoluzionaria del tempo narrativo, in los errores, del 1964, enfatizza la critica alla rivoluzione ed anche alle degenerazioni della politica tradizionale di sinistra. Tuttavia, vale la pena considerare altri autori con stili molto diversi, come la giornalista Nellie Campobello o l’indigenista Gregorio López Fuentes.
La Cuba postrivoluzionaria, con più successo, persino riguardo all’ alfabetizzazione, ha esplorato il terreno del documentario ma anche della fantasia e della fantascienza. Un pubblico formatosi in un paio d’anni, senza nessuna tradizione e formazione letteraria, desideroso di leggere su temi vicini all’esperienza quotidiana, ricevette delle opere come biografía di un cimarrón, del 1967, di Miguel Barnett, che si basa sulla testimonianza diretta di un centenario ex-schiavo, per evocare la vita della Cuba dell’ 800.

 

psicologia e romanzo

La presentazione dei problemi psicologici non è stata una tematica molto sfruttata dalla letteratura ispanoamericana, e ciò si attribuisce al fatto che, in un contesto dove ha predominato il realismo, il personaggio risulta meno importante della situazione totale e le questioni nazionali sembrano avere più peso. L’isolamento dell’individuo rispetto alle preoccupazioni pubbliche risulta più difficile in un ambiente dove lo sviluppo umano si è visto con troppa frequenza frustrato, a causa di dittature o di situazioni di anarchia sociale.
Tuttavia, la letteratura modernista esplorò psicologie aberranti, per esempio nei primi racconti di Horacio Quiroga, come “la gallina strozzata” e “lo spillo”.  Ciò vale anche per il cileno Eduardo Barrios, da el niño que enloqueció de amor (il bambino che impazzì d’amore), del 1915, a los hombres del hombre, del 49.
Negli anni ‘20 diverse scrittrici analizzarono la sensibilità femminile e la separazione – tradizionale nelle classi alte dell’america latina - tra vita pubblica, essenzialmente maschile, e vita privata. La stessa identificazione della letteratura come progetto nazionale, operata da chi operava nella vita pubblica, lasciava le donne al margine dei movimenti intellettuali. Non stupisce, dunque, che i romanzi scritti da donne si centrassero sulla vita familiare e sui rapporti interpersonali.  Le memorie della critica argentina Victoria Ocampo, fondatrice della celebre rivista sur, rendono abbastanza bene l’idea della vita di una donna di classe alta, come anche quelle della venezuelana Teresa de la Parra e della cilena Maria Luisa Bombal, che ci presenta una visione più struggente della condizione femminile.
Il romanzo psicologico, che queste donne iniziavano, va oltre i limiti del realismo e il sogno che in esso si accenna aprirà le porte ai mondi fittizi dei posteriori autori latinoamericani.
L’argentino Ernesto Sábato, per esempio, scriverà uno dei romanzi più originali della tendenza: el túnel, del 1948, continuando ad esplorare gli animi tormentati degli abitanti delle aree urbane in sobre héroes y tumbas (su eroi e tombe) del 1961.

 

poesia tra due secoli

Tradizione e cambiamento hanno i suoi massimi rappresentanti nei poeti José Martí, cubano, e Manuel González Prada, peruviano.
Per Martí è impossibile essere felici in una società ingiusta, che i successi personali non possono fare dimenticare. Il barbaro è l’uomo, qualunque sia la sua classe sociale o il suo livello d’istruzione, se acconsente tacitamente a quelle ingiustizie.
Malgrado il suo amore per la poesia, molto originale, un romanzo inconcluso e alcuni racconti, la maggior parte dei suoi scritti è di carattere pratico: saggi su eroi del passato e suoi contemporanei, senza scartare i “diversi”, con grande fedeltà alla storia. proclama che gli indigeni e i neri dovranno integrarsi pienamente nelle loro nazioni e guarda senza pessimismo alle società multietniche.
Mette l’uomo al centro della natura, in costante progresso grazie alla sua autoeducazione e come protagonista di un processo storico, ciò che lo separa dei suoi contemporanei modernisti.
nNel saggio la nostra america Martí sostiene che la debolezza delle nazioni ispaniche sia dovuta all’abisso che separa le classe dirigenti e intellettuali da un popolo rispetto al quale sono alienate. La poesia per lui è affermazione, non maschera, non rituale, non alternativa all’azione politica; e di tale concezione sono esempi: ismaelillo, del 1886, dedicata a suo figlio, versi semplici e versi liberi.
González Prada, da parte sua, ritiene che lo scrittore debba essere impegnato nell’attacco vigoroso all’imitazione servile dello spagnolo della penisola iberica e propugna l’urgente bisogno di una lingua letteraria nuova e vigorosa. Le sue opere più famose sono baladas peruanas, scritta tra il 1871 e il ‘79, minúsculas, del 1900 ed exóticas. Intermittentemente, è uno scrittore militante ma risulta meno rivoluzionario e raffinato nella prosa e meno attento agli aspetti formali nella poesia di quanto non lo sia Martì.
I primi poeti sensibili alla rivoluzione estetica che vivevano l’europa e gli Stati Uniti sono il citato Lugones, il cileno Pedro Prado, autore di flor de cardo, l’uruguaiano Carlos Sabat Ercasty, assieme al messicano Juan José Tablada che, al suo ritorno dal Giappone, pubblicó delle versioni in spagnolo degli hai-kai e degli ideogrammi. 
Il più discusso è il cileno Vicente Huidobro, figura tipicamente d’avanguardia, che si dichiara inventore del “creazionismo”, movimento della liberazione, delle nuove combinazioni della parola e dell’individualità del singolo verso. La sua opera più importante rimane altazor, in cui insiste sul fallimento della ricerca nell’uomo moderno. Il “domani legato” e il viaggio fallito ai quali allude saranno frequenti anche in Neruda e Vallejo.
Spesso si considera che per la poesia il Novecento inizi veramente nel 1922, con la pubblicazione dell’ironico, sperimentale ed ermetico trilce, del peruviano, cholo, César Vallejo, un antilirico che non fu né regionalista, né vocalista, ma chiaramente americanista. Nei quattro grandi libri dei suoi versi gioca con i numeri, con gli avverbi, parla di una umanità disumanizzata e alienata. Egli visse la crisi dell’individualismo fino ai suoi limiti estremi, dove l’infanzia è chiamata “il diminutivo” e la maggiore età viene qualificata come “invalida”. La sua poesia si rivolta contro la tradizione, distruggendo gli antichi miti.
Due anni più tardi vedono la luce i più romantici e soggettivi venti poemi d’amore e una canzone disperata, capolavoro del cileno Pablo Neruda. Adolescenziali, aggressivi ed egocentrici, questi poemi sono comunque stati subito accolti con entusiasmo, diventando popolarissimi - al contrario dell’opera di Vallejo - forse per la loro naturalità, libertà e spontaneità.
Neruda parte da una relazione complessivamente distinta con la cultura moderna, e la sua poesia è, fino all’ultimo, espressione diretta di una forza naturale. Canto generale, del 1950, in cui diventa voce dell’umanità stessa, è composto da 15 canti che partono dall’invocazione all’america prima ancora dell’apparizione dell’uomo sul suo suolo, per arrivare all’affermazione finale della propria responsabilità come militante politico e come poeta. Neruda diventa voce delle vittime silenziose anonime ed oppresse delle civiltà precolombiane, andando poi ad evocare le figure dei conquistatori, liberatori e traditori che forgiarono la storia di america, fino alla sua propria vita e credo, passando per canti ai lavoratori e al suo Cile natale. Sebbene la prospettiva sia nuova, molti aspetti del poema appartengono alla tradizione dell’epopea ispanoamericana, da Bello e Gutiérrez, fino a Lugones.
La sua poesia ha sempre seguito i ritmi naturali della vita umana: aggressiva nell’adolescenza, ossessionata dalla morte nella prima gioventù, politica e sociale nella maturità; e durante la vecchiaia, fluidamente sfrenata di fronte alle tenebre del tempo, con una luce di speranza nel risveglio generale o nel sogno perpetuo. La sua eredità venne ripresa dalla canzone cilena dei suoi ultimi anni, di Violeta Parra e Víctor Jara, prima ancora che dalla poesia vera e propria.
Sia Neruda che Vallejo, che ebbe più breve vita, colpirono dai loro inizi per le loro esplorazioni nelle forme e per il lessico, oltre che per le influenze dei movimenti d’avanguardia europei (cubismo, dadaismo e ultraismo ispanico), utilizzati come strumenti di liberazione, alla ricerca di novità. Come molti altri autori di quell’epoca, però, Neruda non rientra in nessun movimento o scuola letteraria propriamente detta.
Il cubismo, tuttavia, permise di creare interesse per l’arte non europea, soprattutto africana, da cui derivò l’afrocubanismo; il futurismo orientò molti intellettuali verso il mondo tecnologico. Con il dadaismo arte e letteratura non sono più fatti sacri ma qualcosa di sovversivo, di rivoluzionario, di autodistruttivo; col surrealismo diventano forze capaci di cambiare l’uomo e la società, liberando le forze occulte della creatività.
Anche in Messico e all’Avana, dove  fiorirono movimenti d’avanguardia negli anni ‘20, si mescolavano la “semplicità” nella sperimentazione e l’interesse per la poesia popolare. All’epoca, la capitale cubana in particolare fu centro di lotte politiche e letterarie. Si lavorò nelle correnti del sencillismo (semplicismo), del futurismo e del primitivismo.
Anche quest’ultimo dà il suo contributo all’afrocubanismo, il cui massimo rappresentante è Nicolás Guillén, con l’affermazione, dagli anni ‘30, del suo orgoglio per il proprio passato nero e la sofferenza dei suoi antenati. Uno dei suoi poemi più famosi è la “balada de los abuelos”, contraddistinta dalla naturale accettazione di quanto c’era di africano e di spagnolo nel suo sangue, come anche del mito e della cultura africana (quale la religione yoruba, diventata santería cubana), senza per questo rifiutare la cultura dei bianchi; egli considera comunque l’africa e la Spagna come parte del passato, cioè delle radici di Cuba.
In questo periodo, l’antropologo Fernando Ortiz e la folklorista Nydia Cabrera fanno scoprire la ricchezza e l’importanza del contributo africano alla cultura cubana. Tuttavia, siccome i neri erano i più emarginati e analfabeti all’interno della popolazione cubana, solo un poeta di quest’origine è uscito dall’afrocubanismo: Marcelino Arozameno che, oltre ad alcuni poemi satirici, ha composto dei poemi in cui descrive i riti della santería, come “canción negra sin color”, del 1939. 
Altre tendenze nascono nell’isola intorno a riviste letterarie fondate dal poeta ermetico José Lezama Lima, di cui la più nota è orígenes, che permette di scoprire l’opera di Eliseo Diego e Cintio Vitier. Bisogna dire che in america latina l’insorgere di una nuova generazione spesso è inquadrato dall’apparizione di una nuova rivista letteraria. E, come a Cuba, questo accade ugualmente in Messico e Argentina.
Nella vicina Puerto Rico, Luis Palés Matos introduce dei ritmi afroamericani nella poesia in tuntún de pasa y grifería, del 1937, ma Julio Soto Ramos rimane il maggior rappresentante avanguardista, mentre Julia de Burgos e Rosario Ferré affrontano il problema della donna con singolare forza.
Come reazione al verso fiorito dei modernisti, ci fu anche un avvicinamento ad un linguaggio piatto, persino colloquiale, a una specie di “trasparenza” della parola, di cui l’esempio più noto è quello della cilena Gabriela Mistral, vincitrice del premio nobel, la cui poesia è particolarmente centrata sulla frustrazione dell’amore e della maternità.
I suoi tre grandi libri, desolación del 1922, tala del38 e lagar del ‘54, includono canzoni infantili, ninne nanne e poemi per bambini ritenuti molto riusciti nell’identificazione con la mentalità infantile. Ma la Mistral è anche la poetessa della morte, del dolore e della separazione, che seppe cogliere i paesaggi americani, sia quelli tropicali dei Caraibi che quelli della foresta australe della sua terra.
L’uruguaiana Juana de Ibarbourou pubblicò diverse collezioni di poemi tra 1919 e 1930, al pari delle argentine Alfonsina Storni, dal 1916 a metà degli anni ‘30, e Norah Lange, definita “ultraista”.
Il Messico, dove lo “stridentismo”, movimento futurista il cui massimo esponente fu Manuel Maples Arce, ebbe breve vita, predominano invece, negli anni ’20, le influenze dei movimenti inglesi e nordamericani.
Furono anni estremamente fecondi per la poesia messicana, interessata ai temi archetipici, gli stessi in cui Alfonso Reyes, con la sua visione “arielistica” della cultura, dedica notevoli saggi alla visione mitica dell’america.
Dei grandi poeti latino-americani, l’unico a dare un contributo importante alla teoria poetica è stato un altro messicano, il premio nobel Octavio Paz, grande anche come saggista e romanziere. Le sue opere più famose sono il labirinto della solitudine, del 1950, l’arco e la lira e pietra di sole, raccolta di poesia che segue la forma circolare del calendario azteco, con un numero di versi corrispondenti ai suoi anni. Nella sua variata opera, egli esplora le nozioni di corpo, i diversi settori della cultura orientale e il suo contrasto con l’occidentale, si sforza nella creazione di una poesia che assomigli alla musica o la pittura, scrive anche sull’infanzia.
Dopo il modernismo, la poesia latinoamericana segue le concezioni poetiche di Paz, oppure sceglie le vie dell’ironia o dell’impegno.
Sono numerosi i poeti messicani di grande prolificità. Tra le donne risalta Rosario Castellanos, i cui poemi si alternano tra la visione satirica o delusa del ruolo femminile. Notevoli anche i più giovani Thelma Nava e José Emilio Pacheco.
In Venezuela l’avanguardismo è rappresentato da José Ramos Sucre; mentre in Colombia affiora il movimento “dadaista” (movimento del niente) con Jaime Escobar Jaramillo e Alvaro Mutis, tra gli altri.
La percezione sensoriale - e non il sapere - diventa la porta di accesso al mondo naturale per cogliere la sua identità in poeti come l’ecuadoriano Jorge Carrera Andrade, considerato postmodernista, che tra le altre cose adattò il hai-kai al castigliano, e per il quale la poesia è una zona di salvezza in un mondo degradato, come per molti altri autori attivi tra la fine della seconda guerra mondiale e la guerra fredda.
Il maggiore poeta argentino della tendenza “impegnata” è Juan Gelman e alcune fra le donne più note del periodo sono Alejandra Pizarnik e Juana Bignozzi. In Nicaragua, in contrapposizione alla tendenza elitaria di Pablo Antonio Cuadra si sviluppano opere come quella di Ernesto Cardenal, il quale non solo aspira a fondare le basi di una nuova poetica ma anche di un movimento di democratizzazione della letteratura. Vanno in questa stessa linea le salvadoregne Claribel García e Gioconda Belli.
La strada dell’ironia, che sottolinea la corruzione del linguaggio, viene scelta dal cileno Nicanor Parra per denunciare il ricatto morale imposto dalla tradizione, l’età, i costumi e l’ordine stabilito, mentre il peruviano Carlos Germán Belli opta per lo spagnolo arcaico, in una delle forme più originali della poesia recente, per l’estrema sensibilità con cui vede l’irruzione del mondo moderno nella sfera privata.
Insomma, in questo panorama ci sono da osservare i profondi contrasti, per esempio tra l’ironia e l’umore dei poeti di Buenos Aires come César Fernández Moreno o Francisco Grondo, la poesia religiosa del venezuelano Rafael Cadenas, oppure – in tutt’altro genere - quella dei peruviani influenzati dalla beat generation.
La poesia è comunque uno dei generi più coltivati negli ultimi decenni, e numerosi sono i concorsi e riviste a diffusione nazionale e iberoamericana.

 

prosa contemporanea

La prosa contemporanea rappresenta una ribellione e una liberazione. La ribellione, iniziata dagli avanguardisti dagli anni venti, è contro i concetti di realismo e di realtà.
Contro tutte le tendenze della sua generazione, dal realismo e dal criollismo all’avanguardismo, si mostra il venezuelano Julio Garmendia, che nel 1927 pubblica il suo primo libro di racconti: la tienda de muñecos (il negozio di bambole), col quale inaugura la narrativa fantastica ispanoamericana, e che tuttavia ebbe un riconoscimento tardivo.
In questa avanguardia, Buenos Aires svolge un ruolo fondamentale per essere all’epoca la città meno radicata nella tradizione. Non potendo elaborare una tradizione culturale a partire da un passato indigeno (come in cambio era possibile nella maggior parte dei paesi), si doveva guardare avanti e creare degli stili propri. Non c’era nemmeno modo di mettere in relazione tutti gli immigrati che popolavano la metropoli con i gauchos e gli allevatori delle sue impervie regioni.
L’opera dagli strani titoli e nomi di Macedonio Fernández influenza quelle dei notissimi Jorge Luis Borges, Julio Cortázar e molti altri. Anche gli esperimenti di Roberto Arlt, dalla stravagante immaginazione, ritraggono il mondo apocalittico delle società urbane.
Borges è stato il più noto rappresentante dell’ultraismo di Buenos Aires, uno dei più attivi membri dell’avanguardia degli anni venti, con una poesia precisa limpida e intemporale. Poi si avvicinò al racconto attraverso dei saggi. I suoi racconti assumono la forma di un’argomentazione o tesi, con delle analogie con la logica (spesso falsa) simulando l’esposizione di una teoria mentre in realtà puntano verso l’assurdo. Arriva, dunque, al racconto per la strada del saggio, del suo interesse per l’idealismo, i problemi metafisici, il cinema, oltre che per la sua generale intuizione nell’arte. Nel 1935 pubblica storia universale dell’infamia, con la quale inizia la letteratura fantastica nel sud.
Ognuno dei racconti di ficciones, del 1944, è un piccolo capolavoro, incentrato sull’idea di fatalità, evidenziata da inutili ripetizioni che lo rendono ancora più intenso.
Poi, i romanzi di Leopoldo Marechal sembrano rappresentare il raro fenomeno del romanzo religioso e metafisico, mentre i saggi ed i romanzi, anche simili a tesi, di Eduardo Mallea dipingono la ricerca dell’autenticità con personaggi molto svariati dell’Argentina “visibile” e quella “invisibile”, ma anche dell’isolamento e dell’incomunicabilità (come in fiesta en noviembre, del 1938, che lo consacra).
Questi tre ultimi autori si caratterizzano per la loro erudizione eclettica all’interno della tradizione letteraria ispanoamericana iniziata con Bello, passata dal modernismo e che culmina con l’opera del cubano José Lezama Lima. Questo ecletticismo nella sradicata Argentina è quasi un modo di vivere, mentre nella Cuba pre-rivoluzionaria contrasta fortemente con la popolazione analfabeta o semianalfabeta, per la quale la lettera stampata non esisteva.
Lezama come Marechal utilizzano, inoltre, i miti per trattare l’infanzia e l’adolescenza anche in testi poetici densi.

 

il “reale meraviglioso”

Non è questa una scuola letteraria, bensì un’espressione che proclama la convinzione da parte di un certo numero di autori che la realtà americana abbia un carattere distinto da quello dell’europa. I principali rappresentanti di questa corrente (il cubano Alejo Carpentier, il guatemalteco Miguel Angel Asturias ed il paraguayano Augusto Roa Bastos), provenienti da paesi piccoli che non avevano conosciuto la massificazione del lavoro nelle fabbriche, interpretano il “meraviglioso” ma in modo diverso dai contemporanei surrealisti e dal “realismo magico” di Massimo Bontempelli.
Carpentier, musicologo, introduce dei leit motiv musicali in diversi suoi racconti e romanzi. Egli scrive un romanzo-documentario sull’afrocubanismo e anche poesia e teatro su questa linea.
Con il regno di questo mondo, del 1949, ambientato nell’Haiti pre e post rivoluzione francese, si prende anche delle libertà rispetto alla storia; in i passi perduti, del 1953, come anche ne il secolo delle luci, del 1962, sostiene che la forza creatrice della latinoamerica deve mantenersi senza tornare alla preistoria.
Con lui si abita in un tempo cosmico in cui la tragedia individuale sembra un particolare di un insieme molto più vasto e piuttosto semplice. Sebbene abbia scritto molto, il più stimato dei suoi romanzi fu l’ultimo, la consacrazione della primavera, del 1978.
Come altri scrittori latino-americani, il premio nobel Asturias organizza i suoi romanzi intorno ai miti, ma partendo da quelli precolombiani e non da quelli europei: così è in leggende del guatemala, del 1930, in cui ricrea narrazioni maya e del periodo coloniale.
Il signor presidente, del 1946, considerato il suo capolavoro, è un romanzo sulla dittatura, più che su un personaggio storico concreto, rappresentata attraverso la rappresentazione del mondo caricaturale di una città oppressa. E’ strutturato seguendo uno schema mitico, con echi universali, oltre che latino-americani e maya, in cui gli esseri umani sono ridotti ad animali o a burattini.
Gli uomini del mais, del 1949, tratta della distruzione di un sistema organico di vita, quello degli indigeni, da parte dei ladinos, i quali invadono le terre comunali per coltivare il mais a loro profitto. Gli indigeni hanno come armi la magia e il mito, che permettono loro di trasformare la realtà. Nel 1963, con la mulatta senza nome, inizia una trilogia sulle piantagioni di banane.
Augusto Roa Bastos e José María Arguedas scrissero romanzi molto aderenti alla realtà, in cui la crudeltà dei fatti descritti è mitigata dal lirismo dello stile, in parte derivante dall’uso di parole indigene e dal ritmo di queste lingue.
Roa Bastos utilizza liberamente espressioni guaraní nel suo famoso romanzo hijo de hombre, del 1985, che copre cento anni di resistenza paraguaiana, da metà Ottocento alla guerra del Chaco, negli anni ‘30 del Novecento.
I fatti non vengono raccontati in stretto ordine cronologico, ma si raggruppano attorno a figure o ad avvenimenti. Persino i fatti più brutali vengono descritti con tenerezza, senza mai sacrificare la dimensione umana.
Yo el supremo, del 1974, riferito all’epoca del pluridecennale dittatore Francia, è una delle opere maggiori della letteratura del continente e rappresenta un cambiamento sostanziale nel suo sviluppo.
Come Roa Bastos, il peruviano José María Arguedas si appoggia su miti popolari e usa espressioni quechua, cercando, nel suo primo romanzo agua del 1935, persino di inventare uno spagnolo sulla base grammaticale di questa lingua.
Yawar fiesta, del 1941, è il più rappresentativo dei romanzi indigenisti e di protesta sociale, ma nei suoi romanzi successivi ríos profundos del 1958 e todas las sangres, del 1964, i personaggi cercano di equilibrare i due mondi, le due culture che hanno dentro.
Comala, Macondo e Santa María sono luoghi di finzione, inventati dal messicano Juan Rulfo, dal colombiano Gabriel García Márquez e dall’uruguaiano Juan Carlos Onetti. Persi in un deserto anonimo, i tre luoghi si trovano in un qualche punto nella frontiera tra realtà e fantasia. Per altri aspetti i tre luoghi sono diversissimi, perché ogni autore ha creato un mondo immaginario interamente distinto, coerente e riconoscibile per le sue peculiarità.
Rulfo è l’iniziatore della corrente fantastica e mitica nella narrativa contemporanea ispanoamericana, e costruisce un’immagine del Messico tragica e desolante. Diversi racconti della raccolta el llano en llamas (pianura in fiamme), del 1952, e il romanzo pedro páramo, del 1955, considerato uno dei più bei libri della letteratura messicana, hanno come scenario Comala, una grande pianura dove non piove mai, formata da ardenti vallate e circondata da montagne inavvicinabili, abitata da gente solitaria, la cui vita si trova in qualche parte del futuro o del passato, nutrita da colpe e vendette.
In queste opere i personaggi sono eternamente perseguitati o persecutori; la sua lingua è stilizzata a partire da elementi regionali e il tempo della narrazione scorre su diverse linee, e l’humour nero prevale persino nelle scene più macabre. Assieme a quelle dell’uruguaiano juan Carlos Onetti, le prose di Rulfo costituiscono una geografia morale dell’america latina.
I personaggi di Onetti vivono al bordo della disperazione in la vida breve, juntacadáveres e el astillero, mentre le opere di Mario Benedetti, romanziere e autore di molti racconti, descrivono relazioni umane in conflitto con strutture sociali.
Sembra che non sia esagerato dire che cento anni di solitudine sia risultato tanto popolare nel mondo ispanico come il Chisciotte.  La creazione della città immaginaria di Macondo fu un lungo processo, durante il quale Gabriel García Márquez (premio nobel per la letteratura nel 1982) scrisse diverse altre opere, come el coronel no tiene quien le escriba (1962) nelle quali si accennano, sempre con grande umorismo, i temi che lì confluiranno. E’ un’opera mitica - che tratta di un’emigrazione e della fondazione di una città - la quale rappresenta una tragedia ad un livello più profondo di quello sociale. Questo romanzo rompe col realismo per tornare alle fonti dell’immaginario che si trovano nel mito e nel racconto fantastico, facendo uso delle forme di chi narra un racconto popolare. La magica ricreazione del passato è stata seguita da molte altre opere dello stesso autore, come il suo altro capolavoro, l’autunno del patriarca, fino agli ultimissimi anni. Recenti sono anche alcuni saggi brevi, come un manuale per essere bambino, del 1995, proposta di orientamento per genitori ed educatori.
I messicani Agustín Yánez, con al filo del agua, del 1947 e Carlos Fuentes, con la morte di artemio cruz, del 1962, analizzano invece il passato e lo confrontano col presente. Come Rulfo, adottano nuove tecniche narrative, sotto l’influsso di Joyce e Kafka.
Fuentes, di cui è da evidenziare cambio di pelle, del 1967, è il più fecondo del Novecento. E’ autore tra l’altro di moltissimi racconti, in cui  la preoccupazione principale è la decadenza, in particolare della nuova società uscita dalla rivoluzione, che viene descritta con tecniche sperimentali per esprimere stati di sogno e allucinazione.
Un altro messicano, José Revueltas, è il primo a proporre il romanzo sperimentale in senso proprio, ma nel paese esistono anche la tendenza umoristica e quella politica.
Il peruviano Mario Vargas Llosa riscosse grande successo con le sue opere, tra le quali la ciudad y los perros, 1963, la casa verde, 1966,  pantaleón y las visitadoras, la tía julia y el escribidor, 1977, elogio de la madrastra, 1988, e molte altre; è uno dei migliori esempi di sperimentazione, con grande capacità di manipolazione dei tempi narrativi. Frequentemente, le sequenze cronologiche sono distrutte; spesso il contesto è la selva, ma può anche essere la corrotta città, a volte descritta con molta ironia.
Ci sono comunque molti altri narratori importanti, nel Perù contemporaneo, come Julián Ramón Ribeyro, Manuel Scorza e Alfredo Bryce Echenique.
Come a Vargas Llosa, ció che più preoccupa l’argentino Julio Cortázar è l’autenticità, ma anche la percezione e l’estetica. I racconti contenuti in bestiario (1951) contengono molto materiale aneddotico. Rayuela (1963) è l’opera più famosa, che rappresenta la disintegrazione di tutto ciò che è cultura e moralità, dimostrando il carattere convenzionale del pensiero, dell’azione e dell’attività letteraria. Il romanzo si aggruppa intorno a due punti geografici, Parigi e Buenos Aires, senza che ci sia una trama nel senso proprio del termine, né alcuna serie di fatti che implichino uno sviluppo della vicenda. La novella è composta da incidenti e conversazioni, abbondano la parodia, l’ironia e la costante impugnazione del linguaggio.
Il cubano Guillermo Cabrera Infante (tres tristes tigres, 1967) inventa dei sistemi di linguaggio come parodia della società, frutto della sensazione che esista un abisso tra i romanzieri e i loro pubblico. La sua opera suggerisce che la cultura cubana è il disperante frutto del riflesso della civiltà europea e nordamericana.
Malgrado il relativamente piccolo mercato, la regione centroamericana annovera narratori importanti, come Carlos Luis Fallas e Carmen Naranjo del Costa Rica, Augusto Monterroso del Guatemala (che propone il minimalismo per contrastare il “gigantismo” coltivato da alcuni autori latinoamericani), Sergio Ramírez del Nicaragua e Manlio Argueta del Salvador. Alcuni movimenti, come il chapinismo o guatemaltenismo ricevono l’influenza di culture autoctone, compresa quella maya-quiché.
Il cileno José Donoso scrisse il suo capolavoro l’osceno uccello della notte nel 1970 e prosegue con diverse altre opere sull’esperienza dell’espatrio e del ritorno, di cui il giardino accanto, del 1981. Risaltano anche in Cile Jorge Edwards (persona non grata, del 1973), Mauricio Wacquez, Poli Délano, Antonio Skármeta e diversi altri. Isabel Allende raggiunse la celebrità dal 1982 con la casa degli spiriti, seguito da altri romanzi, di cui l’ultimo è la città delle bestie, col quale inizia una trilogia sulla foresta amazzonica. Ancor più recente è la popolarità di Luis Sepúlveda, autore da sempre impegnato in difesa dei diritti democratici, di quelli dei lavoratori e dell’ambiente, celebre, se non altro, per il vecchio che leggeva romanzi d’amore e storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare.
In Venezuela il romanzo del Novecento si centra sulla politica e la storia, attraverso Miguel Stero silva, Guillermo Meneses, Arturo Uslar Pietri e Adriano González León, mentre il romanzo urbano si vede rappresentato da Salvador Garmendia. Arturo Uslar Pietri, che dagli anni ‘20 scrive numerosi racconti orientati verso il “realismo magico”, contribuisce con innovazioni decisive alla narrativa ispanoamericana col romanzo di ambientazione storica las lanzas coloradas, del 1931. Scriverà senza sosta in ogni genere fino agli anni ‘90.
Un altro prolifico scrittore è Juan Bosch, la figura più nota – anche come uomo politico - del secolo nella Repubblica Dominicana.
Il romanzo raggiunge dimensioni totalmente nuove in ispanoamerica anche grazie all’argentino Ernesto Sábato, con la sua materializzazione del dramma storico della nazione, e con Manuel Puig, che approfondisce il tema della dimensione sociale della sessualità, dimostrando le potenzialità della parodia. Gli autori interessanti sono comunque numerosi, persino tra quelli scomparsi durante l’ultima dittatura, e trattano argomenti quali l’esilio, anche in senso interiore, la marginalità urbana, le grottesche figure politiche, l’universo di regimi oppressivi.
A seguito del movimento del ‘68 apparvero nel continente parecchie opere di narrativa e di testimonianza politica, in una riconquista civile di una letteratura che richiami alla memoria collettiva la voce degli oppressi e la registrazione delle catastrofi, le radici della cultura popolare e l’identità del latinoamericano medio, sempre in costante cambiamento. In questo senso sono da segnalare, tra molti altri, le messicane Angeles Mastretta ed Elena Poniatowska.
altri generi

Nella storia delle idee sono da considerare i riferiti saggi facundo, di  Sarmiento, l’ariel di Rodó e nuestra américa di Martí, che influenzarono la narrativa del continente fino agli inizi del Novecento.
Successivamente sono da ricordare quelli di Octavio Paz (premio nobel per la letteratura 1990) come el laberinto de la soledad (il labirinto della solitudine, 1950), quelli di Alfonso Reyes (visión de anáhuac, 1950) o dell’argentino Ezequiel Martínez Estrada, che rappresentano le diverse tappe della lunga pugna per raggiungere un’identità che i traumi della conquista e della colonizzazione hanno reso inevitabile.
Negli ultimi decenni il genere è ricco di proposte di riflessione su storia e identità in moltissimi paesi del continente, come nel caso dell’ uruguaiano Eduardo Galeano.

Il teatro, dal canto suo, ha una lunga storia in latinoamerica., dato che esistevano già dei drammi danzati nel periodo precolombiano, come il rabinal achí. Dopo la conquista, lo splendore del teatro spagnolo si riflette in tutti i domini dell’impero. Nelle americhe diventa persino un ausilio alla religione, con la rappresentazione, per esempio, di passaggi del vangelo, sebbene fiorisca al tempo stesso anche il genere profano. Anche nella lunga traversata dell’Atlantico, venivano messe in scena delle opere drammatiche. Alcune grandi figure dell’america coloniale, come sor Juana Inés de la Cruz, scrissero alcune opere teatrali, sia profane che religiose. In tutti le corti dei vicereami l’arte del palcoscenico divenne intrattenimento dell’aristocrazia ma fu a Lima che vide la luce, alla fine del Settecento, una delle più importanti opere del periodo coloniale: ollantay, dramma quechua di autore anonimo, che fonde tradizioni precolombiane e convenzioni ispaniche. Come produzione caratteristicamente meticcia, esso incorpora molte canzoni tradizionali e forme di versificazione quechua; inoltre, con sorprendente equilibrio tra le due tradizioni, armonizza il lirismo quechua con la struttura drammatica spagnola, rimanendo purtroppo un’opera isolata e unica.
Dopo l’independenza il teatro continuó ad essere punto d’incontro delle classi più agiate e si creano gli edifici di maggior prestigio delle più importanti città, come il “colón” di Buenos Aires e il « bellas artes » di Messico. Tuttavia, queste istituzioni non favorirono la produzione autoctona perché il pubblico preferiva le compagnie e le opere straniere.
Qualche tentativo di teatro romantico e storico ebbe luogo in Messico con Fernando Calderón; ed in Perù si sviluppò qualcosa del teatro satirico e didattico, con Felipe Pardo y Aliaga e Manuel Ascensio Segua.
Fu Buenos Aires, invece, a sviluppare un teatro genuinamente popolare dal 1870 circa, parallelo alla programmazione del colón e generalmente basato sui gauchos, come nel caso del famoso juan moreira. Poi, a cavallo fra i due secoli, tre opere di Florencio Sánchez riflettono il conflitto tra l’Argentina degli immigranti e l’Argentina creola. Negli anni ‘30 si cercò di creare un teatro più originale e di maggior livello artistico, e il suo promotore fu il romanziere Roberto Arlt, mentre in Messico questo rinnovamento inizia col gruppo Los contemporáneos.
Cile e Uruguay spiccano tra i diversi paesi che cercano, dalla seconda metà del secolo, di produrre un teatro sociale, e più tardi politico; e tentativi analoghi riguardano l’Ecuador e la Colombia, come anche Porto Rico, alla ricerca della propria identità, specie di fronte agli Stati Uniti.
Tra gli anni Settanta e Novanta, il Venezuela conobbe un ventennio d’importanti festival, che favorì la creazione di molti gruppi, di ogni genere. I prodotti più originali del teatro cubano, che lo fecero uscire dalle città verso le campagne dopo la rivoluzione, si espressero invece con l’aggiunta di musica, mimica e ballo.

 

Fonte: http://www.scuolenuoveculture.org/MaterialiScaricabili/LingueCulture/stili_e_modi.doc

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