promessi sposi personaggi

 


 

promessi sposi personaggi

 

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promessi sposi personaggi

 

PERSONAGGI DEI PROMESSI SPOSI

Don Abbondio: è un curato di Lecco si è fatto prete non per vocazione ma per godere dei privilegi di una classe forte e per vivere al riparo dai pericoli.
Egli vive come in un limbo tormentato dalla paura, vede ostacoli e insidie anche dove non ci sono. Se si trova costretto a partecipare tra i due contendenti sceglie il più forte facendo vedere all’altro che egli non gli era volontariamente nemico.
Critica gli uomini che non si comportano come lui, quando però tale critica potesse esercitarsi senza pericoli.

Don Rodrigo: è un signorotto locale che si vuole invaghire di Lucia per poi sposarla per una scommessa fatta con il cugino Don Attilio. È un personaggio che vive nel crimine e nella malvagità ed è circondato dai Bravi.
È il simbolo della generazione della classe diligente che prevale nella Lombardia seicentesca.

Perpetua:. È una donna vivace, una fedele servitrice sempre legata e attenta alle faccende che interessano la vita e l’attività del curato Don Abbondio.

Lucia Mondella: è una ragazza umile di fede religiosa basata sul principio della provvidenza. Ella si oppone a tutto ciò che la sua coscienza non può approvare in modo attivo agendo nella direzione del bene usando la fede religiosa.
È orfana di padre e vive con la madre Agnese ed è la promessa sposa di Renzo.

Renzo Tramaglino: è rimasto orfano di madre e padre durante la giovane età è riuscito a badare a sé stesso rendendosi indipendente. È il compagno della sua sposa prescelta: Lucia.
Al contrario di Lucia, Renzo ha temperamento impetuoso e inclina a scatti di ribellioni improvvisi.
Lavora come filatore di seta ed è un ragazzo che conosce la vita solo nei suoi aspetti più semplici e consueti, la fatica del lavoro e la forza degli affetti.

 Bravi: Sono sotto il comando di Don Rodrigo; indossano una reticella verde al capo, due lunghi mustacchi arricciati in punta, una cintura di cuoio lucido e da essa spuntano due pistole. In un taschino tengono un coltello e a penzoloni sul petto hanno un corno che contiene polvere da sparo.

Agnese: è la madre vedova di Lucia sulla media età. Appare come una popolana, piena di buon senso, pronta a proporre nuove soluzioni pratiche per superare le difficoltà. È un personaggio statico, cioè non cambia né atteggiamento né concezione della vita.

 

Fra Cristoforo: il suo nome di battesimo è Lodovico. La sua giovinezza è stata piuttosto movimentata.
Il padre era un ricco mercante che si era ritirato dal commercio per darsi alla vita da nobile, aveva trascorso i suoi ultimi anni angustiato dalla vergogna della propria origine. Il suo unico figlio, educato come un nobile era cresciuto fra gli agi e con abitudini signorili, la sua natura era buona ma violenta, insofferente di un’ ingiustizia, il desiderio di amicizia si tramutò in competizione.
Ben presto divenne protettore dei deboli per amore della giustizia, girava armato circondato da Bravi. Un giorno ebbe uno scontro con un nobile, Lodovico cercava di disarmarlo ma l’altro lo voleva uccidere così colpì Cristoforo un vecchio servitore di Lodovico che si mise in mezzo.
Dopo la morte del servo, alla quale gli era affezionato, Lodovico decide di farsi frate nel convento di Pescarenico.

Azzecca-Garbugli: è l’avvocato che rappresenta la giustizia nel ‘600 perché sta dalla parte dei potenti. Viene chiamato così perché la parola indica che è un uomo corrotto e confuso.
È un personaggio caratteristico per la sua perbosità e per la sua inconsistenza intellettuale umana.

Grisio: è il capo dei bravi.

Tonio e Gervasio: sono i testimoni di Renzo e Lucia per il matrimonio a sorpresa. Tonio era un amico che aveva debiti con Don Abbondio.

 

Fonte: http://soluzztutto2d.altervista.org/alterpages/files/personaggideipromessisposi.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

I Promessi Sposi- I personaggi
Nei “Promessi Sposi” il Manzoni presenta personaggi storici e inventati per rappresentare il modello di vita di quel tempo.
I rapporti fra i personaggi sono caratterizzati dallo schema del romanzo storico e del romanzo d’avventura: accanto all’eroe Renzo compare l’antagonista Don Rodrigo e l’oggetto del desiderio Lucia che li contrappone.
Oltre a questi ci sono i sostenitori dell’ una e dell’altra parte, i “buoni” e i “cattivi”. Nel racconto compaiono personaggi statici e dinamici. Quelli statici o piatti non modificano la propria personalità nel corso della narrazione, come ad esempio Don Abbondio nel quale si riflettono i difetti degli uomini e, soprattutto, le paure e gli egoismi dei mediocri; un altro esempio  è Lucia che rimane fedele a se stessa e Don Rodrigo che è il simbolo dell’eterna staticità del male nella sua essenza.
Quelli dinamici o a tutto tondo si evolvono e cambiano nel corso della storia, come l’Innominato oppure Renzo.
I personaggi storici dei Promessi Sposi sono figure fortemente suggestive: l’Innominato è modulato sull’immagine di Bernardino Visconti, un feudatario di quel periodo. Per merito di Federigo Borromeo cambiò vita e dopo aver congedato i suoi bravi,  visse con onestà gli ultimi anni della sua vita.
La monaca di Monza era Marianna de Leyva figlia di Don Martino, costretta alla monacazione con il nome di suor Virginia. Un altro personaggio storico, protagonista di una delle più vivaci sequenze durante i tumulti di Milano è il gran cancelliere Antonio Ferrer, che viene presentato con le sue caratteristiche storiche ma anche con le sue connotazioni psicologiche.
Il critico ottocentesco Francesco De Sanctis (1817-1883) ha notato un particolare curioso: il protagonista del romanzo è tutto il secolo, il Seicento, illustrato nel suo carattere di epoca piena di contraddizione, dove i nobili ostentano sfarzo, dove i sentimenti piu’ umani e profondi cedono all’orgoglio, dove possono avvenire prevaricazioni, in cui un giovane onesto che vuole difendere un suo diritto viene cacciato dall’avvocato abituato a difendere soltanto malfattori.
Il Seicento viene “illustrato” attraverso alcune descrizioni che hanno il fascino delle stampe d’epoca. Manzoni è maestro nel ritrarre gli usi dei nobili, riuniti per assistere ad una cerimonia e intanto sfoggiare i loro abiti sontuosi, le scene di duello per le strade, i banchetti e le conversazioni, i discorsi dove non si dice ma si sottintende un accordo che, per allusioni, viene siglato.
La riflessione sul Seicento, non è solamente dettata dall’interesse di Manzoni per la storia. Egli vuole aiutare i suoi contemporanei a prendere coscienza degli squilibri politico-sociale delle gigantesche ingiustizie e dell’inefficienza burocratico-amministrativa che ha frenato in passato, ma frena anche al presente, il processo di crescita economica della Lombardia insieme all’unificazione nazionale degli stati italiani. E’ un invito agli intellettuali del primo Ottocento a riflettere sulla necessità di un ricambio della classe al potere: la borghesia sembra la più idonea a superare la crisi, a promuovere una nuova realtà, nella quale i diritti civili siano rispettati e le energie popolari possano esplicarsi senza soprusi, violenze e privilegi mortificanti.

 

Fonte: http://adotom.files.wordpress.com/2012/02/i_personaggi_manzoni.doc

autori : vari

 

I PROMESSI SPOSI

 

GENESI DELL’OPERA E STORIA DELLA COMPOSIZIONE.
Manzoni iniziò la prima stesura del romanzo nel 1821 e la portò a termine nel 1823 ; a questo manoscritto venne dato il titolo provvisorio di Fermo e Lucia.
Il Fermo e Lucia viene oggi considerato dalla critica non come un abbozzo dell’opera, ma come un vero e proprio romanzo autonomo. Non appena terminato il manoscritto, l’autore lo sottopose ad un’attenta revisione ed iniziò una seconda stesura del romanzo che si concluse nel 1827 : il nuovo titolo del romanzo fu I Promessi sposi (questa edizione viene comunemente chiamata Ventisettana.).
Nel passaggio dal Fermo e Lucia alla “Ventisettana”  il Manzoni attuò un rimaneggiamento radicale :

  • eliminò alcune digressioni
  • ridusse alcuni episodi e semplificò le vicende
  • spostò l’ordine dei capitoli e degli episodi attuando un vero e proprio lavoro di smontaggio e rimontaggio dell’opera
  • attuò una radicale revisione linguistica che investì tutti i livelli della scrittura : lessicale, morfologico e sintattico. 

 L’autore era consapevole del fatto che la lingua del Fermo e Lucia era una lingua artificiosa e  letteraria e voleva invece un linguaggio vivo e comprensibile a tutti. Pensò alla  lingua fiorentina, che, a suo avviso, era la più adatta e la più degna ad essere usata come lingua  nazionale. Per familiarizzarsi con questa si dedicò ad una vasta lettura di testi letterari toscani.
Pubblicato però il romanzo, si accorse che, comunque, il linguaggio usato non soddisfaceva ancora pienamente l’esigenza di una lingua  viva e quotidiana.
Iniziò dunque un’ulteriore revisione del romanzo che sfociò nell’Edizione del 1840.
Questa nuova revisione non introdusse, come la prima, cambiamenti radicali nel romanzo, ma consistette per lo più in piccoli ritocchi liguistici tesi a rendere la lingua “ancora meno letteraria” e “ancora più parlata” (l’autore infatti si recò in Toscana per venire direttamente a contatto con il linguaggio parlato).

 

STRUTTURA NARRATIVA E CONTENUTI DEL ROMANZO

Il romanzo si articola in quattro grandi parti (o macrosequenze) intervallate da tre stacchi o digressioni autonome.
Parte prima. (capp. I-VIII) L’ambiente è quello del paese e vede i due protagonisti uniti, malgrado i turbamenti che intervengono ad avviare la vicenda romanzesca. Chiude questa parte la fuga dal paese.
Riassunto : incontro di don Abbondio (parroco del paese) con i bravi di don Rodrigo (signorotto del luogo) che gli ingiungono di non celebrare il matrimonio fra Renzo e Lucia. Inutile tentativo di Renzo di avere spiegazioni da don Abbondio riguardo al suo tergiversare. Spiegazione dell’antefatto attraverso le parole di Perpetua, domestica di don Abbondio,  prima e di Lucia poi : la ragazza è oggetto del capriccio di don Rodrigo. Fallito consulto di Renzo con l’avvocato Azzeccagarbugli. Ricorso all’aiuto di  fra Cristoforo (frate confessore di Lucia), che affronta, inutilmente, don Rodrigo per indurlo a recedere dal suo proposito. Tentato matrimonio a sorpresa di Renzo e Lucia, a cui don Abbondio reagisce con prontezza impedendo ai due promessi sposi di pronunciare la formula del rito. Il suono delle campane che risveglia il paese disperde non solo Renzo e Lucia, ma anche i bravi inviati intanto da don Rodrigo per rapire Lucia. Fuga dal  paese dei due giovani con Agnese, la madre di Lucia, e ricovero nel convento cappuccino di Pescarenico. Separazione dei protagonisti : Renzo deve raggiungere il convento dei cappuccini a Milano, le due donne devono andare al convento di Monza per mettersi sotto la protezione di Gertrude, una giovane ma potente suora che nasconde un passato misterioso.

 

Digressione prima : storia di Gertrude, la monaca che nel convento di Monza offrirà ospitalità e protezione a Lucia e sua madre (capp. IX-X)

Parte seconda (capp. XI-XIX) Inizia la lunga separazione dei due protagonisti. Le loro strade da questo momento divergono, dando origine a una biforcazione della vicenda e, conseguentemente, dello sfondo ambientale e dei personaggi. La parte seconda è dedicata alle disavventure di Renzo.
Riassunto : viaggio di Renzo a Milano con una lettera di fra Cristoforo per un suo confratello cappuccino. Coinvolgimento di Renzo nei tumulti della folla affamata dalla carestia : distruzione dei forni e assalto alla casa del vicario di provvisione. Intervento del governatore spagnolo Ferrer. Arresto di Renzo da parte della polizia come capo della sommossa e sua liberazione  da parte della folla in subbuglio. Fuga del giovane che passa il confine segnato dal fiume Adda e approda nel territorio di Bergamo, appartenente alla Repubblica di Venezia. Cordiale accoglienza del cugino Bortolo e impiego in una filanda. Allontanamento a Rimini del padre Cristoforo grazie agli intrighi del potente zio di don Rodrigo.

Digressione seconda : storia dell’ Innominato, potente e crudele  signore a cui don Rodrigo ricorre per far rapire Lucia ( capp XIX- XX ).

Parte terza : ( capp. XXI-XXX)
Alla vicenda solitaria di Renzo  corrisponde simmetricamente la vicenda solitaria di Lucia, anch’essa vittima. Acquista sempre più rilievo nel frattempo lo sfondo storico collettivo che fa salire alla ribalta una folta schiera di personaggi coinvolti nelle vicende determinate dalla guerra, dalla carestia e dalla peste.
Riassunto : ricorso di don Rodrigo al potente Innominato per far rapire Lucia dal convento di Monza. Complicità di Gertrude e del suo amante Egidio, sequestro e prigionia della ragazza nel castello dell’Innominato. Drammatica notte in cui Lucia pronuncia un voto di castità e si verifica la crisi e la conversione del suo carceriere, mentre il cardinale Federigo Borromeo è in visita pastorale in quella regione. Incontro fra Federigo e l’Innominato convertito che libera Lucia : la ragazza viene accolta a Milano nella casa di una coppia altolocata, donna Prassede e don Ferrante. Intanto i  lanzichenecchi (mercenari tedeschi) calano nel territorio di Lecco : saccheggi e crudeltà determinano la fuga degli abitanti, fra cui Agnese, don Abbondio e Perpetua che trovano protezione presso l’Innominato. Alla carestia e ai saccheggi  portati dalla guerra si aggiunge il flagello della peste.

Digressione terza : (capp.XXXI-XXXII)
Parte preminentemente storica : descrizione della guerra e soprattutto del diffondersi della pestilenza.

Parte quarta : (capp. XXXIII-XXXVIII).
I due protagonisti si ricongiungono dopo aver superato la “prova” della peste, che invece ha tolto dalla scena numerosi personaggi.  La felice ricomposizione della vicenda viene sancita dal matrimonio contro il quale si erano levati gli ostacoli che avevano messo in moto la macchina romanzesca.
Riassunto : Malattia e guarigione di Renzo. Ritorno a Milano, devastata dalla peste, per cercare Lucia. Nuove disavventure : Renzo, scambiato per untore, viene inseguito dalla folla e salvato dai monatti ( loschi individui che trasportavano gli appestati al lazzaretto). Apprende che Lucia è vittima della peste e si trova nel lazzaretto (struttura che accoglie gli appestati) . Ritrova dapprima qui  fra Cristoforo che lo invita a perdonare don Rodrigo morente. Ritrova poi anche Lucia che il frate, prima di morire, scioglie dal voto di castità che la ragazza aveva pronunciato durante la notte in cui era stata prigioniera dell’Innominato. Guarigione di Lucia, ritorno al paese dei due fidanzati e ricongiungimento con Agnese. Matrimonio celebrato da don Abbondio. I due sposi si stabiliscono in un paese del bergamasco e hanno dei figli ; Renzo si avvia anche ad una  fortunata attività di piccolo imprenditore tessile.

 

                         

L’INTRODUZIONE O MANOSCRITTO DEL PRESUNTO ANONIMO
Manzoni non racconta direttamente la sua storia, ma ricorre ad un espediente già usato in precedenza da molti scrittori illustri. Finge infatti di aver ritrovato un manoscritto  anonimo del ‘600 e di volerlo pubblicare riservandosi solo “il modesto compito di ripulire il testo dalle incrostazioni  retoriche” del linguaggio di quell’epoca, ossia di riscriverlo in un linguaggio più comprensibile e moderno.
Questo artificio consente all’autore :

  • di muoversi su due piani narrativi distinti : quello del racconto o descrizione oggettiva dei fatti (piano dell’enunciato) e quello dell’intervento soggettivo dell’autore che li commenta (piano dell’enunciazione)
  • di, parodiando lo stile del ‘600, esprimere il suo rifiuto per una letteratura, una mentalità e una morale che caratterizzano un’epoca sulla quale il suo giudizio è negativo (la definisce “sudicia e sfarzosa”)
  • di fare una precisa dichiarazione di poetica contrapponendo una “nuova” letteratura ad una “vecchia” letteratura.

 

 

LE SCELTE ED I TEMI IMPORTANTI

LA SCELTA DEGLI UMILI COME PROTAGONISTI
Protagonisti del romanzo sono semplici popolani e questa è una scelta decisamente innovativa perché sino ad allora l’obiettivo della letteratura era stato raccontare le vicende di “grandi” personaggi.
Perché  Manzoni ribalta la situazione e si fa portavoce del mondo dei “piccoli”e dei deboli?
C’è, prima di tutto, una motivazione religiosa: il messaggio del Vangelo mette in primo piano gli oppressi, “gli ultimi” di cui “sarà il regno dei cieli”.
Ma c’è anche una motivazione di carattere storico - culturale. Manzoni, in un suo scritto, osserva che “gli storici, in genere, raccontano i soli avvenimenti principali e straordinari, e fanno la storia del solo popolo conquistatore, dei soli re e personaggi importanti (…) mentre un’immensa moltitudine di uomini passa sulla terra senza lasciarci traccia” E’ dunque per dar voce a questa moltitudine silenziosa che l’autore elabora la storia di due popolani e la inserisce in una cornice storica dove i potenti spesso hanno solo il ruolo di comparse.
E c’è infine una motivazione di ordine sociale : raccontare le vicende degli umili significa narrare una storia di soprusi operati dai potenti sui deboli, mettere in luce i rapporti tra oppressori ed oppressi, le due grandi categorie di persone che si contrappongono nel romanzo come nella vita reale.

LA SCELTA DEL 1600  COME EPOCA
Anche la scelta dell’epoca assume grande rilevanza. Il 600 è un secolo di squilibri sociali, di violenza, di ingiustizia, di contrasti, di ipocrisia: “un’età sudicia e sfarzosa” la definisce l’autore, che la sceglie proprio per poter sottoporre a feroci critiche le istituzioni politiche e culturali di quel periodo.
E’ un tempo di oppressione violenta dei nobili sul popolo, ma più in generale dell’uomo sull’uomo: violenta è la giustizia, violenti sono i signorotti sempre scortati da un piccolo esercito di scagnozzi, violenta spesso è anche la gente semplice. All’oppressione tra individui si aggiunge poi anche quella tra stati.
Ma la condanna manzoniana è anche per il grande vuoto culturale che, almeno in alcune zone d’Italia, caratterizza il 600. Oggetto delle sue critiche sono i letterati con il loro linguaggio elaborato e complesso, la superstizione e l’ignoranza diffuse, il vuoto formalismo, la logica ipocrita dell’orgoglio e dell’onore.

 

LA PROVVIDENZA
La Provvidenza è il filo conduttore che lega tutte le vicende narrate nel romanzo. Nonostante lo smaccato lieto fine della storia, non bisogna pensare però che l’intervento divino annulli il male dal mondo o garantisca sempre su questa terra un premio per i buoni e una punizione per i malvagi. Credere nella Provvidenza significa essere consapevoli che tutto trova una spiegazione nel progetto divino (anche la sofferenza) e che le disgrazie non sono che un momento di preparazione a una gioia più grande e più completa che, per alcuni, potrà giungere durante la vita sulla terra, per altri soltanto nell’altra vita a ricompensa dei patimenti terreni.

 

Fonte: http://www.galileitrieste.it/Risorse%20Studenti/Paludetto/Promessi%20sposi/I%20PROMESSI%20SPOSI.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Manzoni e I promessi sposi
Nel sistema di personaggi del romanzo, don Rodrigo e Gertrude rappresentano la funzione negativa dell'aristocrazia, che viene meno alle sue responsabilità ed usa il privilegio in modo oppressivo; il cardinale Federigo, benefico e lungimirante, costituisce invece un modello positivo; l'Innominato, che dopo la sua conversione si dedica a proteggere i deboli oppressi, indica il passaggio esemplare della nobiltà dalla funzione negativa a quella positiva.

Per quanto riguarda i ceti popolari, l'esempio negativo è fornito dalla folla sediziosa e violenta di Milano, il positivo dalla rassegnazione cristiana di Lucia.
Renzo invece, come l'Innominato, rappresenta il passaggio dal negativo al positivo, da un atteggiamento ribelle ad uno fiducioso nell’intervento divino.

Per i ceti medi, esempi negativi sono don Abbondio e l'Azzeccagarbugli, esempio positivo fra Cristoforo (che prima di diventare un cappuccino era un ricco borghese).

Se ne ricava che in un'ideale società perfetta e giusta, per Manzoni i ceti elevati dovrebbero piegarsi ad aiutare i deboli e, in particolare, dovrebbero essere le persone di Chiesa a intervenire a modificare le condizioni misere degli umili.
Quanto ai ceti più bassi, dovrebbero attendere le riforme dall'alto, senza ricorrere alla violenza e al sangue per correggere i mali della società: il popolo deve rassegnarsi a patire ma confidando in Dio e nell'azione illuminata e riformatrice delle classi superiori.
Manzoni prende ora le distanze dalle forme di lotta giacobine sperimentate nel corso della Rivoluzione francese e auspica soluzioni moderate.

I promessi sposi si configurano come un "romanzo di formazione" : il comportamento di Renzo si modifica nel corso della storia. All'inizio insofferente dei soprusi e pronto a farsi giustizia da sé, dopo aver attraversato una "selva" intricata (la metafora dantesca della vita errata) e sostando vicino alle acque dell'Adda (l'acqua come nel battesimo simboleggia il nuovo corso dell'esistenza), Renzo analizzandosi scopre che bisogna "affidarsi" (fides!) a Dio e al suo disegno provvidenziale, rinunciando all'azione. Giungerà persino a perdonare don Rodrigo morente per la peste nel lazzaretto, perché ormai entrato nella medesima ottica fiduciosa e credente di Lucia (> lux = la luce della Fede) e di fra Cristoforo (> fero = portare + Cristo).

Il male esiste nel mondo – questo è il "sugo" di tutta la storia -, ma è possibile affrontarlo se si ha fiducia in Dio e nel fatto che ogni dolore non è gratuito o casuale, ma rientra in un piano divino e logico, razionale, atto a fortificare il nostro essere, a renderci migliori, a provare le nostre capacità di sopportazione. Si diventa "santi" e meritevoli attraverso la sofferenza: essa determina la nostra crescita spirituale.

 

Fonte: http://www.liceogrigoletti.it/docenti/doc07/files/Manzoni%20e%20I%20promessi%20sposi2.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Promessi sposi

 

capitolo

vicende

personaggi

Introduzione

Manoscritto secentesco dell’Anonimo

 

Primo

Il matrimonio impedito (7 novembre 1628)

 

Vicende borghigiane

Secondo

Renzo scopre chi impedisce il matrimonio

Terzo

L’Azzeccagarbugli

Quarto

Storia di padre Cristoforo (Ludovico)

Quinto

Fra’ Cristoforo al palazzo di don Rodrigo

Sesto

Il progetto di matrimonio a sorpresa

Settimo

Preparativi del rapimento e del matrimonio a sorpresa

Ottavo

La notte degli imbrogli (10 novembre 1628)

Nono

Storia di Gertrude

La monaca
di Monza

Decimo

La monaca di Monza

Undicesimo

Renzo entra a Milano

 

 

Renzo

Dodicesimo

L’assalto al forno

Tredicesimo

Ferrer salva il vicario di provvisione

Quattordicesimo

Renzo all’osteria della Luna piena

Quindicesimo

Renzo catturato viene liberato dalla folla

Sedicesimo

Renzo in fuga verso il confine

Diciassettesimo

Renzo passa l’Adda e raggiunge Bortolo (13 novembre)

Diciottesimo

Attilio e il conte zio

Nobiltà e Chiesa

Diciannovesimo

Colloquio tra il conte zio e il padre provinciale

Ventesimo

Il rapimento di Lucia (20 novembre)

 

 

lucia

Ventunesimo

Lucia scuote l’Innominato (voto di Lucia e preludio alla conversione dell’Innominato)

Ventiduesimo

Federigo Borromeo

Ventitreesimo

Incontro tra Federigo e l’Innominato: conversione

Ventiquattresimo

Lucia liberata si ricongiunge alla madre in casa del sarto

Venticinquesimo

Lucia accolta in casa di donna Prassede

Ventiseiesimo

Federigo rimprovera don Abbondio – l’Innominato dota Lucia che però è legata dal voto

Ventisettesimo

Renzo riceve da Agnese metà della dote perché rinunci

Ventottesimo

Calata dei Lanzichenecchi (settembre 1629)

 

Lanzichenecchi

Ventinovesimo

Agnese, don Abbondio, Perpetua e la gente della zona si rifugiano nel castello dell’Innominato

Trentesimo

Ritorno al villaggio devastato dalle truppe tedesche

Trentunesimo

La peste comincia a imperversare a Milano e nel contado

 

 

Peste e ricongiungimento
degli sposi

Trentaduesimo

Si diffondono contagio e paura: processi agli untori

Trentatreesimo

Don Rodrigo contagiato è tradito dal Griso – Renzo supera la malattia e torna al paese dove incontra don Abbondio

Trentaquattresimo

Renzo rientra a Milano, vaga per la città (episodio patetico della madre Cecilia), è scambiato per untore

Trentacinquesimo

Renzo al Lazzaretto, fra’ Cristoforo e don Rodrigo morente

Trentaseiesimo

Renzo ritrova Lucia (30 agosto 1629) – fra’ Cristoforo la scioglie dal voto

Trentasettesimo

La pioggia purificatrice – morte di fra’ Cristoforo

Trentottesimo

Don Abbondio sposa Renzo e Lucia (novembre 1630), che con Agnese si trasferiscono a Bergamo (gennaio 1631)

 

Cronologia dei Promessi Sposi

7 Novembre 1628       Don Abbondio incontra i bravi.

8 Novembre 1628       Renzo si reca dall’avvocato Azzeccagarbugli.

10 Novembre 1628     tentativo fallito di matrimonio tra Renzo e Lucia (fuggono dal loro paese e si dirigono verso Monza e Milano).

12 Novembre 1628     Renzo viene arrestato e fugge verso l’Adda.

20–25 Nov. 1628       Lucia viene rapita dall’Innominato e conversione dello stesso.

Inverno 1628-1629     carestia a Milano.

Settembre 1629          la calata dei Lanzichenecchi sul Milanese.

Fine Sett. 1629           primi casi di peste a Milano.

22 Ottobre 1629         primi casi accertati di peste.

Marzo 1629                viene eretto il Lazzaretto dai frati cappuccini.

11 Giugno 1629         A Milano viene effettuata una storica processione per scongiurare la peste.

30 Agosto 1629          Presso il Lazzaretto si trovano Renzo e Lucia, Fra Cristoforo e di lì a poco muore Don Rodrigo.

Novembre 1630          Al paese natale Renzo e Lucia si sposano.

Dic.-Genn. 1631         I due sposi si trasferiscono nel Bergamasco.

 

Fonte: http://graficogadda.wikispaces.com/file/view/Promessi+sposi.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

 

IL PERSONAGGIO DI DON ABBONDIO

Il primo personaggio del romanzo che compare in scena, nel capitolo I, è don Ab­bondio: personaggio indimenticabile, senz'altro uno dei più riusciti dei Promessi sposi. Tutt'altro che esemplare come figura di religioso, anzi certamente incapace di svolgere il suo compito di curato con zelo di carità e preoccupazione per i suoi parrocchiani, don Abbondio, tuttavia, suscita nel lettore più compatimento che condanna. Vediamo come il critico Giovanni Getto commenta le pagine del capito­lo I che tracciano la biografia del curato, traendone spunto per riflessioni sul suo carattere, ma anche sull'epoca storica in cui gli é toccato di vivere.

 

I1 ritratto-biografia aiuta a chiarire il significato della figura di don Abbondio, la quale non può evidentemente ridursi a1 tema comico della paura. Si è stabilita, e per molto tempo ha avuto fortuna, una facile equazione fra questo personaggio e la paura [...] In cima al ritratto Manzoni propone effettivamente un'immagine che potrebbe giustificare questa interpretazione: «Don Abbondio... non era nato con un cuor di leone». Ma essa non deve trarre in inganno. L'immagine che subito segue suggerisce qualcosa di diverso: «Ma, fin da' primi suoi anni, aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a que' tempi, era quella d'un animale senza artigli e senza zanne, e che pure non si sentisse incli­nazione d'esser divorato». A questa immagine si ricollega, al termine del ritratto dei tempi, una nuova immagine, la più significativa, il vero emblema del nostro curato: «un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro». Queste immagini riflettono vivamente il senso della violenza nell'ordine fisico, l'offesa della realtà corporea e lo strazio della carne, e proprio per questo mantengono un sottinteso di compassione nei confronti del povero don Abbondio così premuroso per la sua persona, per la «pelle» com'egli dirà, per la «vita» e la dolcezza della vita, con la sua passeggiata e la sua casa, il suo seggiolone e il suo vino prediletto. Come all'inizio del capitolo si ha la descrizione del­l'ambiente geografico e, situata in esso, la descrizione della passeggiata di don Abbondio, così ora viene disegnato un ambiente storico e quindi il metaforico viaggio della vita intrapreso da doti Abbondio in quell'ambiente. Le prime pagine illustravano una condizio­ne fisica in cui si respirava un senso di pace e di benessere. Queste altre pagine illustrano invece una condizione morale in cui domina la violenza. L'esame della situazione del seco­lo si svolge in ripresa della ironica documentazione delle erige sui bravi e a commento della scena dell'incontro con essi. Così il capitolo rivela una notevole sapienza di composizione Il tono delle considerazioni sulla violenza ha una gravità che mancava ai primi cenni ad essa. In queste riflessioni si sente la partecipazione di Manzoni per «l'uomo tran­quillo, inoffensivo», per «i pacifici e i deboli», per "l'uomo bonario», per «gli uomini paci­fici e senza difesa». E don Abbondio, in quanto appartenente a questa categoria, gode della indulgente benevolenza dell'autore. Manzoni, che per Gertrude avverte severamente il problema della vocazione, sembra per don Abbondio passare con una certa indulgenza sul consenso da lui dato al desiderio dei «parenti, che lo vollero prete», e per valutare con una bonaria comprensione i fini della sua scelta (« ... procacciarsi di che vivere con qual­che agio, e mettersi in una classe riverita e forte...»). Il distacco ironico si verifica soltanto di fronte a quel desiderio di quiete divenuto pensiero dominante («Don Abbondio, assor­bito continuamente ne' pensieri della propria quiete...» ed elevato a sistema di vita (un sistema di quieto vivere, ch'era costato tant'anni di studio e di pazienza») e garantito da quella sua sentenza prediletta: «... che a un galantuomo, il qual badi a sé, e stia ne' suoi panni, non accadon mai brutti incontri». Don Abbondio non è una vittima ridicola della paura, ma un eroe del quieto vivere. Perciò il suo spazio è la casa e il suo tempo è il riposo: [...] C'è in lui un doppio volto: il volto in pubblico e il volto in privato. Accanto all'uomo della «neutralità disarmata», della «retroguardia», della dissimulazione e degli inchini, sta l'uomo che ha bisogno di «un po' di sfogo», l'uomo del «mal umore lungamente represso», che si cava «la voglia d'essere un po' fantastico», che grida a torto. In coerenza a questi due volti il capitolo ha come due versanti narrativi, che confluiscono nei due opposti dia­loghi, quello con i bravi e quello con Perpetua.

G. Getto, Letture manzoniane, Sansoni, Firenze 1964.


LA STORIA DI GERTRUDE: IL PUNTO DI VISTA DI MANZONI

I capitoli nei quali Manzoni presenta il personaggio di Gertrude, tracciando la sto­ria di una vita e di un'anima, sono a ragione tra i più ammirati nel romanzo. Il pas­so che offriamo alla tua lettura, di Attilio Momigliano, analizza con efficacia l'atteggiamento del narratore nei confronti del suo personaggio.

I1 Manzoni traccia la storia di Gertrude con una pietà che non gli vieta una giusta condan­na. Comprende ma non solo assolve. Il Manzoni, pur senza cedere alle lusinghe della tri­ste e appassionata poesia della vita, penetra con una potenza ignota ai romantici nell'anima oscillante della giovane, nello «splendido ritiro» della sua mente che, abbattuto dalla volontà feroce del padre, finisce naturalmente in una «tenerezza fantastica di divozione»; guarda con una compassione vigile contro gli inganni del sentimentalismo, tanto il castello fatato e insidioso della adolescenza morbida, quanto il romitaggio della voluttuosa rinunzia, e vede sotto le apparenze poetiche di entrambi lo stesso germe peccaminoso: l'incapacità di volere. La fonte poetica dell'episodio è il senso di pietà diffuso con cui il Manzoni guarda il formarsi di quell'esistenza colpevole e triste e il sorgere della deformità spirituale di Gertrude; la commossa imparzialità con cui segue l'intrecciarsi della colpa e della sventura in quel destino, la fiacchezza di quello spirito, il dolore di Gertrude fanciulla - muto e soffocato fra l'imperiosità del padre, la disattenzione del mondo, le pompe e le formalità - 1a disperazione della recluta che si dibatte contro 1e porte della prigione, il delitto passivo, la schiavitù del male contro cui repugna invano un debole ma sincero desiderio d'espiazione Dal principio alla fine della storia si svolge anello per anello, una catena che sembra fatale e non è, perché la volontà sicura di Gertrude potrebbe spezzarla in qualunque momento ma Gertrude è fiac­ca, e tutti i fiacchi sono travolti alle tremende risoluzioni da un protesse; a catena, da una serie di atti di inerzia che finiscono per strappare l'unica decisione energica di cui sia capace un debole: l'accettazione d'un destino aborrito. «Dopo dodici mesi» di noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti si trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva, o dire un no più strano, inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripeté, «e fu monaca per sempre». È la conclusione inevitabile d'una psicologia tremendamente logica; ma c'è nelle ultime parole un ricordo pietoso degli splendori sognati e perduti; e pur mentre il poeta non assolve, gli s'affaccia allo sguardo la bellez­za sbattuta, sfiorita», «scomposta» che compare dopo qualche anno dinanzi a Lucia.
[...] La monacazione è i1 centro di questo dramma ineluttabile: da essa comincia la catastrofe. L'anima di Gertrude, oppressa dalla malvagità e dall'indifferenza del mondo, incapace di «continuare con sapienza ciò ch'è stato intrapreso per leggerezza», si inacerbisce. In quel chiuso ribollire di risentimenti, di ribellioni, di fervidi rimpianti, la «potenza misteriosa, che solleva, adorna, rinvigorisce tutte l'inclinazioni, tutte l'idee», compressa, perde quello che ha in sé di «molle e d'affettuoso», diventa una smania furibonda e, avve­lenata dall'astio, si fa delittuosa. L'anima, vuota in quell'esistenza che essa non può rifiuta­re e a cui non sa rassegnarsi, non dominata da nessuna cura costante, divisa fra l'istinto irritato e la coscienza inquieta, si fa strana, volubile, discontinua. Egidio coglie Gertrude in questo momento terribile: «La sventurata rispose»: nell'epiteto si confondono la pietà e la condanna.

A. Momigliano, Alessandro Manzoni Principato, Milano 1948.


L’INNOMINATO

Il ritratto morale dell'innominato (gli storici del tempo velano il personaggio di un mi­sterioso riserbo ignorandone il nome) si impunta sul fortissimo carattere dell'uomo, divorato da una irrefrenabile sete di potere e di signoria che non conosce confronti: "Fare ciò ch'era vietato dalle leggi, o impedito da una forza qualunque; esser arbitro, padrone negli affari al­trui, senz'altro interesse che il gusto di comandare; esser temuto da tutti, aver la mano da co­loro ch'eran soliti averla dagli altri...". Una siffatta volontà superomistica, che lo pone al di là del bene e del male secondo le norme legali e morali degli esseri comuni (egli agisce "in onta dell'equità e dell'iniquità"), comporta lo scotto di una superba e penosa solitudine, per­fettamente messa in risalto (nel cap. XX) dall'aspro e desertico paesaggio in cui si innalza il suo castello. Eroe puro del negativo, ha qualche tratto dell'attivismo sdegnoso di Lodovico in gara con i tiranni per difendere i deboli, ma senza complessi di inferiorità sociale e unica­mente appagato della propria ambizione di dominio.
A. Marchese da Come sono fatti i Promessi sposi, Mondadori, Milano 1986

 

La solitudine tremenda di cui qui si parla non è la solitudine dell'uomo tra gli uomini, ma la solitudine dell'uomo davanti a Dio, solitudine religiosa dunque non più mondana. Non possiamo quindi seguire quegli interpreti che mediocremente intendono della solitudine del­l'innominato in mezzo agli uomini per essere egli uscito dalla turba degli onesti, per questa specie di fosco primato e di terribile sovranità che egli si è conquistata. Ma invero si tratta qui di ben più profonda e paurosa solitudine: della solitudine dell'uomo, cena difesa, senza protezione al cospetto del Giudice Eterno. [...]
Gli pareva sentirlo gridar dentro di sé: Io sono però. Iddio viene di dentro come la morte. Non dall'esterno e per insegnamento altrui, ma dall'interno e per intuizione insoffocabile nasce Iddio nel cuore degli uomini, come sentimento della morte prima, come sentimento della giustizia poi, e infine come sentimento della sua eterna presenza Questo punto è importante che sia fissato per combattere l'interpretazione di alcuni critici cattolici, che attribuiscono la conversione dell'innominato agli occhi di Lucia prima, e alle parole cate­chistiche del cardinale dopo. Per il Manzoni, una conversione viene sempre dal di dentro, gli incontri ed i colloqui con gli altri uomini sono soltanto la parte fenomenica, contingen­te, di quella conversione.
L. Russo la Personaggi dei Promessi sposi, Laterza Bari, 1956

"Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia!": la frase celebre incornicia l'affan­nata supplica di Lucia all'innominato; collocandosi praticamente all'inizio preceduta dalla formula di un'invocazione) e in perfetta chiusura e acquistando così una chiara rilevanza. Le altre richieste ("mi lasci andare... dica una parola, la dica"), le altre considerazioni ("Non torna conto a uno che un giorno deve morire di far patir tanto una novera creatura") sono su­bordinate a questa iniziale aspirazione di cui il Manzoni pare voglia farci intendere l'effica­cia colta da Lucia nello sguardo, nel comportamento dell'innominato ("... vedo che si nove a compassione..."), così da indursi a ripeterla come finale ribadimento come ulteriore confortante conferma. Da qui, da questo seme gettato dall'impaurita Lucia, da questo improvviso irrompere nella coscienza di una parola che apre orizzonti impensati e insospettati - o sempre caparbiamente rifiutati - ha inizio il momento decisivo della conversione [...].
Le parole di Lucia vengono ripetute dall'innominato negli istanti più cupi della disperazione, riscoperte anch'esse d'improvviso, al punto giusto, si direbbe, come al punto giusto era­no state pronunciate per provvidenziale ispirazione [...] "A un tal dubbio, a un tal rischio, gli venne addosso una disperazione più nera, piùgrave, dalla quale non si poteva fuggire, neppur con la morte. Lasciò cader l'arme, e stava con le mani ne' capelli, battendo i denti, treman­do. Tutt'a un tratto, gli tornarono in mente parole che aveva sentite e risentite poche ore pri­ma: - Dio perdona tante cose, per un'opera di misericordia! - E non gli tornavan già con quell'accento d'umile preghiera, con cui erano state proferite; ma con un tono pieno d'auto­rità, e che insieme induceva una lontana speranza".
Sentite e risentite: allora la ripetizione era stata avvertita e voluta dal Manzoni: il perdono e la misericordia: le due ineffabili realtà avevano concluso la risposta di Lucia di fronte alla ribellione dell'innominato per il continuo ricorrere al nome di Dio, quasi lo si volesse inti­morire ("Cosa pretendete con codesta vostra parola? Di farmi...) e aveva mostrato di quel Dio minaccioso il volto paterno e paziente dell'indulgenza [...]
Abbiamo appena visto la posizione e la qualità  della frase nei Promessi Sposi, emergente quando ogni strada è preclusa; anche il suicidio, ultima risorsa umana per "finire una vita divenuta insopportabile", si è rivelato gesto inane: il fantasma, il dubbio, il rischio di un'altra vita non lascia spazio che a una disperazione assoluta, alla quale neppure la morte offre una via di uscita. Qui s'alza la memoria alta e solenne del perdono, che gli giunge con un altro suono, un "suono pieno d'autorità". Un'autorità ben diversa da quella che gli era ve­nuta dall'esercizio del crimine [...] E piuttosto il suono imperioso della voce che gli gridava dentro: "Io sono però". Ma la voce autorevole questa volta associava la parola "perdono" al­la parola "speranza" e apriva nel cuore nero della disperazione il baluginìo di altri cieli, un sof­fio d'aria. In questa tesa situazione non stona per nulla la metamorfosi di Lucia che, da vitti­ma supplichevole, gli appare "in atto di chi dispensa grazie e consolazioni...".
S. Jacomuzzi, da “In man recando il prezzo del perdono” in AA.VV, Letture manzoniane 1987, Centro nazionale Studi manzoniani. Milano 1988.


Francesco De Sanctis
Manzoni scrittore realista
Francesco De Sanctis ha il merito di aver messo a fuoco, nei suoi studi su Manzoni, il realismo dei Promessi sposi. Nel Romanzo egli riconosce il cul­mine dell'arte dello scrittore che riesce a calare in un'opera di invenzione personaggi verosimili, sullo sfondo di un ambiente storico vero.

L’originalità del romanzo è in questo, che l'ideale non è una idea del poeta, un suo proprio mondo morale foggiato dal suo spirito e che faccia stacco nel rac­conto, ma è membro effettivo ed organico d'una storia reale e concreta. Non è un ideale realizzato dall'immaginazione con processi artificiali, ma è un ideale di­venuto già una vera realtà storica, e colto così come si trova in una data epoca e in un dato luogo, onde nasce la perfetta obbiettività del racconto, e la concordia e l'armonia della composizione nella maggior semplicità dell'intrigo, sicché tu leggi tutto di un fiato sino all'ultimo, e il disegno ti rimane innanzi e non lo dimentichi più [...]. Ciò che Manzoni andava cercando, e che gli parve non raggiunto e non possibile a raggiungere, cioè l'unità della composizione e l'omogeneità dei suoi ele­menti, ancorché alcuni storici e alcuni inventati, è perfettamente conseguito, anzi è qui la sua originalità, qui il grande posto che tiene nella storia della nostra Lette­ratura. Il suo romanzo storico non è solo un bel lavoro artistico, ma è un vero mo­numento che occupa nella storia dell'arte quel medesimo luogo che la Divina Com­media e l'Orlando Furioso.
Questa nuova posizione presa dall'arte sotto la forma di romanzo storico, e pe­netrata ora in tutti i rami, ha questo effetto, che non hai più un ideale che si appro­pria natura e storia come una sua manifestazione, ma un vero mondo storico nel tal tempo e nel tal luogo, che dà non ad una idea estranea e mentale, ma al «suo idea­le», il limite e la misura, cioè a dire vita piena e concreta. [...] Ma se ciascun indi­viduo ha un ideale suo, segue che ci ha di ogni sorta di ideali, belli e brutti, buoni e cattivi, e che don Abbondio e don Rodrigo, e fin Tonio e Griso sono personaggi non meno ideali e non meno poetici che Lucia e Borromeo. [...] Base così dell'arte co­me della vita è non il perfetto, ma l'imperfetto, se è vero che l'ideale, perché viva, deve essere un individuo, avere le sue miserie, le sue passioni e le sue imperfezioni. Cosa dunque farà l'artista? Cercherà non l'ideale, ma l'individuo, così com'è; avrà innanzi un modello non mentale, ma vivente; terrà dietro non alle idee, ma alle for­ze che mettono in moto natura e storia, e producono l'individualità, cioè a dire la vita. E chi guarda alla storia dell'ideale nel mondo moderno, vedrà che dalle cime del più astratto ascetismo essa è uno scendere lento, ma assiduo verso la terra, in­corporandosi sempre piú ed entrando in tutte le differenze e le sinuosità della vita.
In questo cammino noi ci siamo lasciati oltrepassare, rimasti stazionari e vuoti e oziosi arcadi, più sognando che vivendo; ora ci siamo risvegliati, e cominciamo una nuova storia, e la pietra miliare della nostra nuova storia è questo romanzo dove ri­suscita con tanta potenza il senso del reale e della vita. [...] Ora Manzoni ha pochi pari nella finezza e profondità di questo senso del limite o del reale, che è il segno caratteristico di un mondo adulto e virile. Tutto ciò che esce dalla sua immagina­zione, ha il carattere severo di una realtà positiva, esce cioè limitato, misurato, così minutamente condizionato al luogo, al tempo, ai caratteri, alle passioni, ai costumi, alle opinioni, che ti balza innanzi una individualità concreta e piena, un vero esse­re vivente. I più studiano ad abbellire, a produrre effetti maggiori del vero; il suo stu­dio è a limitare disegni, proporzioni, colori, secondo natura e storia, sì che tu dica: - E vero -. Il meraviglioso e l'eroico, il perfetto, ciò che dicesi l'ideale, non lo allet­ta, anzi lo insospettisce, e mette ogni cura a ridurlo nelle proporzioni del credibile e del naturale. Dove i più si affannano ad ingrandire, lui si affanna a ridurre in giusta misura. Onde quel suo mondo religioso e morale, preconcetto nella mente con tan­ta perfezione, entrando nella storia tra avvenimenti veri o finti, vi si innatura e vi s'incorpora, imperfetto appunto perché vivo. O per dir meglio, se quel mondo si può chiamare imperfetto di rincontro alla sua esistenza logica e mentale, è perfettissimo come mondo vivente, e perciò mondo dell'arte.
F. De Sanctis, A. Manzoni, in La letteratura italiana nel secolo XIX, 1, Laterza Bari, 1953.

 

Fonte: http://www.inpicciolettabarca.it/italiano/Critiche_%20Promessi_Sposi.doc

Sito web http://www.inpicciolettabarca.it/

Autori : indicati nei testi


 

 

“personaggi nei promessi sposi”

 

 COMMENTI DEI PRINCIPALI PERSONAGGI DE “I PROMESSI SPOSI”

Don Abbbondio:
A prima vista Don Abbondi mi pare un uomo molto pauroso. La contraddizione tra il suo dovere e la sua paurosità genera una discreta situazione comica e vivace. La sua natura è buona e pacifica e questo fa il punto di forza di Don Rodrigo che con grande  facilità riesce a corromperlo. Facendosi corrompere Don Abbondio va contro i suoi ideali di prete. Nel colloquio con Renzo dimostra la sua superiorità culturale parlando in latino e cercando cosi di prolungare l’arrivo delle nozze e quindi raggirare l’ostacolo di Don Rodrigo. L’umorismo di Don Abbondo sta nel suo disprezzo e nel suo compatimento. Dal romanzo poi riusciamo a capire che lui era diventato prete solo per non aver problemi, infatti a quei tempi la vita era molto più complicata di adesso, e per non lavorare eccessivamente e per avere una vita agiata si era fatto prete. Il rapporto con gli altri personaggi non e molto forte. Fino a ora Manzoni ha messo in rilievo solo la sua fiducia verso Perpetua, la sua serva che però si dimostra tutt’altro che discreta e, pettegola com’era fa capire il piano segreto di Don Abbondio a Renzo che in seguito lo andrà a minacciare. Il suo ruolo iniziale è quello di aiutante dei promessi sposi, ma in fine aiuterà l’antagonista nel suo scopo. Le mie impressioni su Don Abbondi sono molto negative, anche peggiori di quelle di Don Rodrigo che al contrario di Don Abbondio non va contro i suoi principi.

Renzo:
La figura di Renzo è una delle più simpatiche figure del romanzo. Grazie alla sua forza e alla sua perspicacia è reso molto amabile. E’ abbastanza impulsivo e vivace ma allo stesso tempo e molto religioso e generoso. Crede, come del resto fa anche Lucia nella Provvidenza Divina, che nel romanzo svolge un ruolo fondamentale. Renzo è l’uomo semplice e vero, l’onesto lavoratore che vive alla giornata fuori dalla politica ma che la politica va a disturbare nel suo angolo privato. Come ogni altro contadino dell’epoca si crede furbo, e pur non essendo all’altezza di Tonio riesce a mettere nel sacco uno che il furbo lo fa di mestiere. Ci tiene ad essere un operaio qualificato e a far bene il suo lavoro di filatore di seta. Nel brano il rapporto con gli altri è abbastanza buono, soprattutto nei confronti di Lucia. Nei confronti di Agnese assume un comportamento superiore, criticando molto spesso le sue idee. Nel colloquio con Don Abbondio è messa molto in risalto la sua parte + impulsiva, infatti quando il frate gli parla in Latino per confonderlo, lui mette la mano sul coltello come per avvertire il frate di stare attento. Nel colloquio con Perpetua invece è messa in risalto la sua furbizia, riuscendo a farsi raccontare le vicende di Don Abbondio. Le mie impressioni su Renzo sono del tutto positive, provo molto dispiacere x lui che si trova al centro della vicenda senza rendersene conto.

Lucia:
Lucia sin dalle prime pagine assume il ruolo della santa, di una donna molto sensibile e con un gran senso del pudore. Forte d’animo, coerente, possiede una grande forza di volontà e una personalità eroica. In molte occasioni ci appare molto concentrata, nobile d’animo, innocente e molto saggia. Anche lei come il fidanzato lavora nella fabbrica di seta ma allo stesso tempo aiuta in casa sua madre. La Provvidenza e la religiosità che coronano tutto il romanzo sono impersonificate in lei, ha il dovere di far ricordare sempre a Renzo che ad aiutarli sarà la provvidenza e la fede in Dio. Il rapporto con gli altri è buono, lei riesce a sopportare tutto e tutti e non si fa intimidire proprio da nessuno. Sembra molto affezionata a sua madre anche se alcune volte proprio come fa Renzo non accetta le sue idee, come quella del matrimonio a sorpresa. Ama terribilmente il suo fidanzato Renzo e al contrario di sua madre sembra accettare le sue ingegnosità. Manzoni non ne fa una grande descrizione fisica, descrive solo le sue ciglia e i suoi capelli neri. Secondo me, Manzoni ha ingrandito troppo il personaggio di Lucia , facendo sembrare una semplice contadina come un vero angelo in terra.

Padre Cristoforo:
Padre Cristoforo è l’aiutante di Renzo  e Lucia, lui ci appare immediatamente come un grande uomo di rara bontà e umiltà. Lui svolge al meglio il suo mestiere di frate, al contrario di Don Abbondio che diventa l’aiutante di Don Rodrigo. Di certo la sua condizione sociale non era delle migliori, essendo un cappuccino non poteva che essere un uomo umile. Come sappiamo bene il suo ruolo era quello di aiutante dei promessi sposi, in tutti i modi infatti cerca di far pentire Don Rodrigo giungendo perfino alla maledizione e alla minaccia, andando anche contro i suoi principi. Il rapporto con gli altri è buono, dal brano è facilmente intuibile che egli è amato dalle altre persone, a tal punto che anche i 2 promessi sposi si affidano a lui e alla provvidenza divina che egli predica. E’ un uomo di circa 60 anni, con la barba e i capelli bianchi. Il suo abbigliamento era quello tipico di un frate cappuccino, con una corda legata alla vita. Personalmente mi piace il personaggio di Padre Cristoforo che dopo un drammatico passato sceglie di prendere la retta via dell’amore e della bontà. 

Agnese:
Il personaggio di Agnese non è particolarmente importante nel brano. Lei era la tipica contadina dell’epoca, un po’ ignorante. E’ messo in risalto il suo umorismo e la sua bontà. Agnese viveva grazie all’agricoltura e in quanto a denaro di certo non poteva competere con Don Rodrigo. Il suo ruolo, come quello di padre Cristoforo, è di aiutante. Infatti è lei a consigliare a Renzo sia l’incontro con l’Azecca-Garbugli sia l’idea del matrimonio a sorpresa. I suoi consigli però non raggiungono l’effetto sperato, persino Renzo che non è di grande cultura, rifiuta le sue idee. Il rapporto con gli altri è buono, soprattutto con sua figlia, le due infatti sembrano avere uno stupendo rapporto. Sembra che lei, al contrario di Lucia, non abbia una grande fede nella provvidenza divina. La sua fisicità non è molto descritta da Manzoni. Le mie riflessioni sono abbastanza buone, alcune volte provo pena per lei perché disprezzata dagli altri personaggi per le sue idee non molto buone.

Don Rodrigo:
Secondo me Don Rodrigo reincarna la negatività e la cattiveria. Lui è la causa dei problemi di Renzo e Lucia e a causa di una sciocca scommessa fatta con il cugino, il conte Attilio. Verso la fine del Romanzo, con la sua morte, Manzoni mette in risalto la pietà che prova per lui. Lui raffigura quello che in quel tempo era il tipico nobiluomo di provincia, che opprime le persone + deboli, com’erano i promessi sposi. Ovviamente il suo ruolo è quello dell’antagonista, senza di lui infatti i promessi sposi si sarebbero potuti sposare tranquillamente, e con una stupida scommessa lui rovina la vita ai due giovani. Il rapporto con gli altri non è buono, tranne con i frequentatori del suo palazzotto. Il ruolo dell’Azecca-Garbugli è molto strano, lui infatti nella disputa durante la cena con Fra Cristoforo, parassita com’era, non vuole dar ragione a nessuno dei disputanti per non far torto a nessuno. Sinceramente io provo dispiacere per lui, soprattutto quando Padre Cristoforo gli lancia la maledizione, e lui per un attimo prova un senso di rimorso. Penso che egli sia solo vittima della sua ricchezza e della sua posizione sociale. 

 

“personaggi secondari nei promessi sposi”

 

CARATTERIZZAZIONE

 

DEI PERSONAGGI SECONDARI DE “I PROMESSI SPOSI”

 

Tonio:
Tonio è un contadino amico di Renzo, che con il fratello Gervaso prende parte al tentativo del matrimonio a sorpresa. Tipo estroso, accetta con entusiasmo la proposta di Renzo perché sa che in cambio potrà ricevere l’estinzione del debito che aveva con Don Abbondio. Lui fa parte, assieme al fratello Gervaso, di quel mondo secondario, formato da umili e sventurati.

Griso:
Il Griso è il capo dei bravi di Don Rodrigo al quale venivano affidate le imprese + rischiose e malvagie; è infatti il Griso  a doversi incaricare del rapimento di Lucia. Si dimostra abile nel travestimento e quindi nel far credere ad Agnese che era un mendicante con lo scopo di studiare i dettagli del piano. Tutti gli altri bravi agiscono ad ogni suo comando, possiamo intuire la sua natura malvagia non solo dalla missione affidatagli ma anche dal modo losco e a tratti inquietante in cui Manzoni ce lo presenta.

Menico:
Menico è un giovane ragazzo di circa 12 anni che per via di alcuni cugini e cognati risultava nipote di Agnese. E’ ingenuo, anche a causa della sua giovane età, tuttavia mostra una certa vivacità mista di allegria. Menico compie la missione affidatagli da Agnese grazie anche ai soldi offerti dalla donna.

Oste:
L’oste è un personaggio che viene presentato nel capitolo 7 del quale non abbiamo nessun tipo di descrizione fisica. E’ un uomo vile che per alcuni tratti assomiglia a Don Abbondi, lui infatti quando viene interrogato da Renzo per farsi spiegare chi fossero i loschi forestieri, risponde per ben due volte che non li conosce e inoltre che il suo mestiere non gli permette di raccontare i fatti dei suoi clienti. In seguito, interrogato dai bravi, indica loro Renzo, Tonio e Gervaso indicandogli inoltre il loro lavoro e i tratti del loro carattere. Non riesce ad uscire dal cerchi del suo interesse privato, è intrigante, birbone e malizioso. L’oste si avvicina cosi alla maggior parte degli uomini e si schiera con quelli che avevano l’aspetto da birbanti.

 

Fonte: http://supertia.altervista.org/FILES/personaggi.doc

http://supertia.altervista.org/FILES/personaggi2.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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