Scapigliatura

 

 

 

Scapigliatura

 

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Scapigliatura

 

LA SCAPIGLIATURA

Scrittori (Emilio Praga,Arrigo Boito,Ugo Tarchetti,Camillo Boito)che operano nello stesso periodo,anni 60-70 accomunati da:

  • Insofferenza verso le convenzioni della letteratura
  • I valori della borghesia

Il termine deriva dal romanzo di Cletto Arrighi “La Scapigliatura”
Il processo di modernizzazione →limita il ruolo degli intellettuali, esaltando il progresso e il profitto)

Atteggiamenti ribellistici e antiborghesi

Vita irregolare, rifiuto norme morali

Atteggiamento ambivalente nei confronti del progresso

Rifiuto →attaccamento ai valori del passato, alla bellezza, ai sentimenti

Accettazione:Rappresentazione del vero →aspetti prosaici e squallidi
(Naturalismo)

Dualismo:ideale- vero →incertezza,angoscia,disperazione esistenziale
Bene- male
Virtù- vizio

SCAPIGLIATURA E ROMANTICISMO STRANIERO

  • Esplorazione dell’irrazionale, del macabro, del nero → Hoffman(Racconti notturni) Poe.,Baudelaire
  • Ironia e umorismo Heine
  • Gusto del vero- Naturalismo
  • Tensione verso il mistero, l’inesplicabile→Decadentismo
  • Ricerca stilistica→sperimentalismo

 

Analisi del testo:La Scapigliatura

  • Declassazione
  • Modo eccentrico e disordinato
  • Rivolta contro l’ordine costituito
  • Diversità
  • Idealismo
  • Delusione

Analisi del testo:Lezione di anatomia

  • Descrizione oggettive
  • Gusto macabro
  • Compianto patetico
  • Contrasto tra ideale e vero: Ideale (Sogni e speranze giovanili,purezza)

                                                       

Vero(anatomia , materialità,cinismo,vita intesa come                 meccanismo)

 

Fonte: http://www.istitutoturoldo.it/il-portale/area-docenti/la-scapigliatura.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Parola chiave google : Scapigliatura tipo file : doc

 

Presenta il movimento della scapigliatura facendo riferimento in particolare ai due testi di Praga(vendetta  postuma) e Tarchetti(lettera U)

 

Scapigliatura

 

Nella narrativa scapigliata il primo segno di rottura col gusto manzoniano della generazione precedente venne dal gruppo degli scapigliati milanesi dei decenni 60 e 70.La loro volontà di rinnovamento e di scandalo si manifestò con la predilezione per le situazioni estreme ed eccezionali: passioni sensuali e distruttive, malattia follia casi paranormali, esperienze di incubo e delirio. I poeti della scapigliatura milanese si propongono soprattutto di scandalizzare i borghesi benpensanti ostentando una vita sregolata e “viziosa”; nella letteratura, poi, rovesciano spesso l’idealizzato amore romantico nel funebre e nel macabro.La Scapigliatura fu un movimento artistico e letterario sviluppatosi nell'Italia settentrionale a partire dagli anni sessanta dell'Ottocento; ebbe il suo epicentro a Milano e si andò poi affermando in tutta la penisola. Il termine, che si impose nel corso degli anni cinquanta dell'Ottocento, è la libera traduzione del termine francese bohème (vita da zingari), che si riferiva alla vita disordinata e anticonformista degli artisti parigini.
Gli scapigliati erano animati da uno spirito di ribellione nei confronti della cultura tradizionale e il buonsenso borghese. Uno dei primi obiettivi della loro battaglia fu il moderatismo della cultura ufficiale italiana. Si scagliarono sia contro il Romanticismo italiano, che giudicavano languido ed esteriore, sia contro il provincialismo della cultura risorgimentale. Guardarono in modo diverso la realtà, cercando di individuare il nesso sottile che legava quella fisica a quella psichica. Di qui il fascino che il tema della malattia esercitò sulla loro poetica, spesso riflettendosi tragicamente sulla loro vita che, come quella dei bohémiens francesi, fu per lo più breve.
La Scapigliatura - che non fu mai una scuola o un movimento organizzato con una poetica comune precisamente codificata in manifesti e scritti teorici - ebbe il merito di far emergere per la prima volta in Italia il conflitto tra artista e società, tipico del romanticismo europeo: il processo di modernizzazione post-unitario aveva spinto gli intellettuali italiani, soprattutto quelli di stampo umanista, ai margini della società, e fu così che tra gli scapigliati si diffuse un sentimento di ribellione e di disprezzo radicale nei confronti delle norme morali e delle convinzioni correnti che ebbe però la conseguenza di creare il mito della vita dissoluta ed irregolare (il cosiddetto maledettismo).
Negli scapigliati si forma una sorta di coscienza dualistica che sottolinea lo stridente contrasto tra l'"ideale" che si vorrebbe raggiungere e il "vero", la cruda realtà, descritta in modo oggettivo e anatomico.
La posizione della Scapigliatura nella storia culturale dell'Ottocento è quella di una sorta di crocevia intellettuale, attraverso cui filtrano correnti di pensiero, forme di letteratura straniera e temi letterari che contribuiscono a rinnovare e togliere l'alone di provincialismo dal clima culturale italiano.
Gli scapigliati con il loro culto del vero, e con l'attenzione a ciò che è patologico e deforme, e con il loro impietoso proposito di analizzarlo come anatomisti, introducono in Italia il gusto del nascente Naturalismo.

 

 

Praga (Vendetta postuma)

Il tema provocatorio è stato imitato da un sonetto di Baudelaire (Rimorso postumo) e fu anche ripreso da altri poeti scapigliati.Il confronto col sonetto di Baudelaire può essere condotto su questi punti:1)lungaggini e insistenze in Praga, forma chiusa e calcolata in Baudelaire, 2)eroismo materiale esibito dal poeta italiano, accennato allusivamente dal francese 3)ragioni della “ vendetta” o del “rimorso” più precise in Praga, più indefinite e sinistre in Baudelaire.
Il motivo ispiratore di questi versi è la volontà di scandalizzare con un impasto di elementi funebri ed erotici. Una riproposizione dell’antico binomio di amoree morte degradato al livello più materiale: il tema funebre è presentato nella prima  e nell’ultima quartina con una pesante sottolineatura degli aspetti più ripugnanti del disfacimento, e incornicia la rievocazione di un erotismo esibito come furia violenta, reso più piccante dalla sottolineatura di particolari inconsueti per la poesia ottocentesca e da un accenno ad abitudini tossiche.

 

Tarchetti (Lettera U)

Nella Lettera U, le invenzioni dell’autore sono molto evidenti e certe sue soluzioni stilistiche anticipano il verismo. Per consentire al lettore di essere sempre più concentrato sullo sviluppo della narrazione, il racconto fantastico dell’800 utilizza abitualmente un linguaggio tradizionale, non innovativo. In un mondo caratterizzato dallo sconvolgimento di molte certezze, il lettore deve poter contare su forme narrative consolidate. Nella Lettera U invece il linguaggio pare essere strettamente condizionato dai disturbi psichici del protagonista. Specialmente nella prima parte della vicenda, che spiega in modo dettagliato la relazione ossessiva del protagonista con la lettera U, viene utilizzato un linguaggio che ripercorre passo a passo i ritmi e la progressione dei deliri del pazzo e che rivela una sperimentazione linguistica legata al suo stato psichico disturbato. Davanti alla fragilità grafica di questa vocale, lo scrittore elabora immagini metafisiche del tutto inattese, originate dalla paura che la lettera gli trasmette. Questa semplice lettera dell’alfabeto viene persino accreditata di possedere una natura infernale, di incarnare in sé tutti i mali della natura e di essere portatrice di sventura non solo per il personaggio ma, in quanto presente nell’alfabeto, per tutta l’umanità. L’uso di frasi spezzate ed il delirio di cui la scrittura è imbevuta danno al lettore la sensazione di una nevrosi totale. Il ricorso a questa scrittura verista consente all’autore di imitare stilisticamente, in ogni passo del racconto, la pazzia del protagonista. E’ una scrittura nevrotica che si ripete in modo concitato rivelando una personalità schizoide.

 

Fonte: http://gadda09.wikispaces.com/file/view/scapigliati+salvadore.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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Presenta il movimento della scapigliatura facendo riferimento in particolare ai due testi di Emilio Praga “vendetta postuma” e di Tarchetti “la lettera u”.

La scapigliatura è un movimento artistico letterario nato nel nord Italia, in particolare si sviluppa a Milano e a Torino, durante la seconda metà dell’ottocento.
Tutti gli esponenti del movimento scapigliato hanno uno stile di vita anticonformista si oppongono alla società borghese, alla religione e agli usi del tempo e sono assolutamente contrari alla corrente del romanticismo italiano, anzi voglio distinguersi dal modello del romanzo manzoniano preferendo il racconto breve e trattando temi macabri e fantastici, affrontando lati della vita oscuri e sconosciuti ad esempio follia, malattia, delirio esperienze da incubo.
Il metodo di racconto e prevalentemente in prima persona e l’uso del reale si oppone a parti di racconto fantastiche con soggetti allucinati e malinconici, tutto cio accentuato dall’uso di droghe e in particolare dall’uso di alcool.
Nella poesia di Emilio Praga spicca subito oltre alla volontà di scandalizzare, l’uso di un tema macabro tipico della letteratura scapigliata, il poeta si sente tradito dalla morte della donna che aveva giurato di essere per sempre la sua musa, pensa che sia bugiarda dato che è morta lasciandolo senza ispirazione, per cui è contento di sapere che ora il suo corpo all’interno della tomba viene pian piano mangiato dai vermi. È presente anche un riferimento all’uso di droga e subito dopo un altro riguardante la sessualità della donna, il lessico è formale( la donna viene definita “stecchita” nella tomba).
Il testo di Tarchetti: “la lettera u” ha un carattere innovativo rispetto ai testi di quel momento, il linguaggio e strettamente condizionato dai problemi psichici dell’autore che è disturbato innanzitutto dalla debole forma grafica della lettera U, e partendo da questo elabora pensieri fortemente influenzati dal terrore e dallo sconforto che questa lettera provoca all’autore, a questa semplice lettera dell’alfabeto viene persino attribuita la colpa di possedere una natura infernale, di incarnare in sé tutti i mali della natura e di portare sventura sia al personaggio ma siccome è presente nell’alfabeto anche a tutta l’umanità. Inoltre all’interno della poesia sono presenti momenti di ironia mischiati a impulsi di pazzia.
Gli artisti scapigliati condussero una vita volutamente sregolata per dare scandalo e smuovere il pensiero dei “benpensanti”, per sfuggire alle regole di una vita civile impeccabile, per richiamare l’attenzione  sul bisogno di superare i vecchi canoni della vita e dell’arte. Dediti all’alcool ed agli stupefacenti, molti morirono giovani di tisi o di alcoolismo, dopo aver vissuto in miseria e al di fuori di ogni consuetudine civile. La loro protesta ebbe sicuramente un gran peso fu molto utile a favorire il superamento delle posizioni romantiche più antiche, ma non ebbe la forza di dichiarare con chiarezza un programma di rinnovamento. Gli scapigliati avvertivano drammaticamente il bisogno di un rinnovamento, e hanno sicuramente dato una spinta ad esso.

 

Fonte: http://gadda09.wikispaces.com/file/view/dario+italiano.doc

Autore del testo: Silva

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La Scapigliatura fu un movimento artistico e letterario sviluppatosi nell'Italia settentrionale a partire dagli anni sessanta dell'Ottocento e fu il primo movimento dove venne presentato il  disagio dei letterati italiani all’interno della società borghese. Ebbe il suo epicentro a Milano, in quanto centro editoriale nazionale, affermandosi successivamente in tutta la penisola. Il termine è la libera traduzione del termine francese bohème (vita da zingari), che indicava l’ambiente degli artisti francesi emarginati costretti a una vita povera e disordinata (sfidarono le regole morali della società), nei bassifondi delle grandi città.
Gli scapigliati, seppur in maniera disorganizzata, erano giovani letterati ed artisti animati da uno spirito di ribellione nei confronti della cultura tradizionale, da una volontà di rinnovamento e di scandalo. La loro sfida alle convenzioni sociali si manifestò in una condotta di vita sregolata, spesso pagata con la morte in giovane età a causa dell’eccesiva consumazione di droghe ed alcool.
Le attività tra gli scrittori scapigliati alternavano poesia, giornalismo e narrativa. Essi vollero distinguersi dal modello del romanzo manzoniano preferendo scrivere racconti brevi e cercarono di manifestare la loro ricerca di novità con la polemica letteraria e sociale. Infatti è soprattutto nella poesia che la loro sfida alle convenzioni tradizionali si fece palesemente provocatoria, in un insieme di temi scabrosi, macabri, funebri, erotici (“Vendetta postuma”) , affrontando lati della vita oscuri e sconosciuti come ad esempio la follia  e il delirio (“La lettera U”), la malattia e altre esperienze drammatiche e ripugnanti, gettando in faccia al pubblico borghese la cruda realtà, distinguendo il crudo contrasto tra l’“ideale” che si vorrebbe raggiungere e il “vero” della situazione sociale del Paese.
Emilio Praga (1839-1875) è l’esponente più noto di questa generazione, per la vita “maledetta” e sregolata (egli fu fin da giovane un alcoolista). Nelle sue poesie alterna temi realistici a temi provocatori e/o sensuali.
Nella poesia “Vendetta postuma” spicca subito la volontà dell’autore di scandalizzare i lettori. Il poeta utilizza un lessico formale, inserendo riferimenti riguardanti l’uso di droga e alla sessualità della donna di cui il protagonista è innamorato; temi innovativi (come appunto droga ed erotismo) che ebbero un forte impatto sulla borghesia benestante. Nel racconto il protagonista è in preda alla follia; egli si sente tradito dalla morte della donna che aveva giurato di essere per sempre la sua musa, lasciandolo solo e senza ispirazione, perciò è contento di sapere che il suo “corpo stecchito” all’interno della tomba verrà pian piano mangiato dai vermi.                                      
Tra i maggiori esponenti della Scapigliatura c’è anche Iginio Ugo Tarchetti (1839-1869).
Una delle sue opere più note è “La lettera U”. Il tema principale è la pazzia e il manicomio. Questo testo ha un carattere innovativo;  il linguaggio è strettamente condizionato dai problemi psichici dell’autore che è disgustato dalla lettera U. Egli, dopo averne prima eseguito un analisi grafica, attribuisce a questa vocale  la colpa di possedere una natura infernale, di incarnare in sé tutti i mali della natura e di conseguenza di tutte le sciagure della sua vita: dall’emarginazione dalla società fin da giovane, ai matrimoni falliti fino all’aggressione della sua ultima compagna che lo condannò a trascorrere il resto della sua vita rinchiuso in un manicomio.

 

Fonte: http://gadda09.wikispaces.com/file/view/Scapigliatura+-+Rossi+Daniele.doc

Autore del testo: Rossi

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Il Verismo , Decadentismo e Positivismo.
Le radici culturali del Verismo.
Il Verismo nasce in Italia nella seconda metà dell’800 come conseguenza degli influssi del Positivismo che suscitò negli intellettuali fiducia nel progresso scientifico. L’influenza del Positivismo si manifestò in vari settori, fra i quali la letteratura. Esso è un movimento filosofico che nasce in Francia attorno alla metà dell’800 e si diffonde grazie al francese A.Comte e all’inglese Darwin.

IL VERISMO
Verso la fine degli anni ’70, grazie all’impegno critico di Luigi Capuana e al genio narrativo di Giovanni Verga (Fig. 3), si afferma il Verismo.
Fra i principali motivi che contribuirono all’affermazione di questo movimento vi fu prima di tutto la crescente attenzione verso lo sviluppo del sapere scientifico, che sembra fornire gli strumenti più adeguati all’osservazione e alla spiegazione dei fenomeni naturali e dei comportamenti umani. Il secondo elemento determinante fu l’emergere della questione sociale in genere e in particolare, il diffondersi dell’interesse per le condizioni di vita del Meridione, un argomento che costituiva la materia privilegiata per quell’analisi oggettiva della realtà che i nuovi orientamenti della cultura consideravano un’esigenza primaria. Un ulteriore motivo di diffusione fu la volontà di favorire la crescita del livello culturale dei ceti popolari.
La dottrina del Verismo fu elaborata nel centro culturale più vivace di quel periodo, l’ambiente milanese. Colui che ne enunciò per primo i canoni teorici fu L. Capuana e il suo romanzo "Giacinta",può essere considerato un vero e proprio manifesto programmatico della nuova poetica. Sulle sue teorie esercitarono il loro influsso i modelli del realismo inglese, ma soprattutto i romanzi del naturalista francese Emile Zola. Le idee del Capuana sul romanzo, ebbero una palese influenza su tutto il gruppo della Scapigliatura lombarda e in particolare su G. Verga, che fu spinto verso il definitivo abbandono della maniera tardo romantica.
Il Verismo che si diffonde in Italia, deriva direttamente dal Naturalismo, ma è fedele alla indicazioni provenienti dalla Francia più nella teoria che nell’applicazione concreta. Verismo e Naturalismo condividono una narrativa realistica, impersonale e scientifica, che non lascia trapelare nessun intervento né giudizio da parte del narratore, mentre differiscono per quanto riguarda i contesti dove sono ambientate le vicende. Il Naturalismo si focalizzava di norma su ambienti metropolitani e classi (dal proletariato all’alta borghesia) legate alle grandi città e al loro sviluppo; il Verismo invece, privilegiava le descrizioni di ambienti regionali e municipali e di gente della campagna. La piccola provincia e la campagna, con la miseria e l’arretratezza, gli stenti e le ingiustizie sociali divennero i luoghi e i temi prediletti de esso e contribuirono in modo decisivo a svelare aspetti profondi o addirittura sconosciuti della realtà sociale.

LA SCAPIGLIATURA

In Italia tra il 1860-70 nasce a Milano il movimento della "Scapigliatura".
Il nome che significa spostato, scapestrato, deriva da un romanzo del 1862, "La scapigliatura e il 6 Febbraio" di Cletto Arrighi.
Di quest’opera riporto alcune frasi tra le più significative:
….."Questa casta, vero pandemonio del secolo; personificazione della follia che sta fuori dai manicomi; serbatoio del disordine, della imprevidenza, dello spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli ordini stabiliti - io l’ho chiamata - la Scapigliatura"…..
….."La Scapigliatura è composta da individui di ogni ceto, di ogni condizione, di ogni grado possibile della scala sociale. Proletariato, medio ceto e aristocrazia; foro, letteratura, arte e commercio; celibato e matrimonio, ciascuno vi porta il suo contingente, ciascuno vi conta qualche membro d’ambo i sessi; ed essa li accoglie tutti in un complesso amoroso, e li lega in una specie di mistica consorteria, forse per quella forza simpatica nell’ordine dell’universo attrae fra di loro le sostanze consimili. La speranza è la religione degli scapigliati, che i contemporanei italiani si ostinano a chiamare i boemi, con orribile gallicismo; la fierezza è la loro divisa; la povertà il loro carattere essenziale. Ma non la povertà del pitocco, che stende la mano all’elemosina, bensì la povertà di un duca a cui tocca di licenziare una dozzina di servitori, vendere molte coppie di cavalli e ridurre a quattro le portate della sua tavola, perché, fatti i conti coll’intendente, ha trovato di non avere più a questo mondo…che cinquantamila lire di rendita."…..
Ciò che caratterizza questo movimento è la fine degli entusiasmi risorgimentali, il rifiuto della tradizione borghese e del romanticismo patriottico e sentimentale che aveva caratterizzato la cultura italiana della prima metà del secolo e la ricerca del nuovo.

NATURALISMO.
In Francia dalla fusione delle idee del Positivismo e del realismo si sviluppa ed afferma il Naturalismo, il cui esponente principale è Emile Zola.
Egli puntava sul romanzo non più come invenzione fantastica, ma come strumento di indagine sull’uomo e sul suo ambiente, attraverso l’osservazione diretta dei fatti narrati. Il romanzo che ne esce è definito "sperimentale"; l’aggettivo tuttavia non indica, come nelle successive avanguardie, una ricerca di novità ("sperimentalismo"), ma l’uso di una scrittura che studia la realtà attraverso il metodo scientifico.
L’artista deve essere impersonale, deve agire con la stessa freddezza del chirurgo, ritagliando pezzi di vita senza pretendere di giudicare il bene e il male. Più egli scomparirà dietro le cose che narra abbandonando i suoi presupposti morali per far posto alla verità anche se brutta, più l’opera d’arte acquisterà una vita autonoma, dando l’illusione di essere indipendente anche da chi l’ha creata. Possiamo quindi affermare che il Naturalismo è caratterizzato da:

  • Concretezza nella scelta dei temi;
  • Popolarità della forma;
  • Spostamento dell’attenzione dal passato storico alla società presente.

In Inghilterra si hanno in questo periodo opere in prosa che ritraggono la quotidianità di una società pragmatica e borghese e con l’avvento della civiltà industriale viene sollecitata l’attenzione per i problemi delle classi più umili. Tutto ciò è racchiuso nelle opere di Charles Dickens amante della semplicità e dell’umorismo.

Charles Dickens (1812-70). Life, Personality:

GIOVANNI VERGA      - Vita: Nasce a Catania il 2 Settembre del 1840 in una famiglia di agiate condizione economiche e di origine nobiliare. I tipi di educazione ricevuta sono sul piano politico, patriottica e risorgimentale; sul piano letterario, sostanzialmente romantica.
Fondamentali nella sua vita sono gli anni fiorentini (1865-72), dove avviene l’incontro con L. Capuana, con il quale inizia un rapporto d’amicizia e un sodalizio letterario. Più tardi si trasferisce Milano, città in cui vivacissimi sono gli scambi letterari; nasce proprio in quegli anni la Scapigliatura. La fase milanese coincide con la maturità dello scrittore e con la grande stagione dei capolavori. L’ultima fese della vita del Verga (Fig. 4) è caratterizzata dallo scambio epistolare con la contessa Dina di Sordevolo, conosciuta a Roma e amata per tutta la vita. Muore a Catania nel 1922.
Personalità: Discreto, solitario e riservato pur mantenendo sempre un tratto cortese, contrario a qualsiasi forma di pubblicità, chiuso in una sorta di costante malinconia: erano questi gli aspetti del Verga.
Ne emerge l’immagine di un uomo sensibile, ma dal carattere difficile, per il quale l’approdo al Verismo, rappresentò forse il mezzo ideale per nascondere se stesso dietro la propria opera. Egli visse in un’epoca di transizione, caratterizzata dal passaggio dall’idealismo dell’Italia risorgimentale allo scetticismo positivistico dell’Italia post-unitaria, tanto vero che questa rinuncia all’idealismo romantico in nome di un atteggiamento di fiducia nella scienza si tradusse nel Verga in una forma di rassegnazione e accentuò la sua visione pessimistica della vita, vista come una drammatica lotta in cui solo il più forte è destinato a vincere e il più debole, fatalmente a soccombere.

Positivismo: caratteri generali.
Il Positivismo è l’espressione ideologica della borghesia al potere e della società industriale che si andava affermando. Esso nega ogni prospettiva religiosa e basa la metodologia conoscitiva sull’osservazione e sui dati dell’esperienza: positivo è tutto ciò che è "sperimentabile" e quindi "dimostrabile".  La scienza, ed essa solamente, è la sola capace di spiegare oggettivamente la realtà in tutti i suoi aspetti, compresi quelli sociali. Da questa fiducia nella capacità della ragione e della scienza deriva la visione ottimistica di "progresso", apportatore di pace, benessere e prosperità. Con Darwin, il Positivismo assume un carattere evoluzionistico, cioè gli esseri viventi per l’ereditarietà dei caratteri, le capacità di adattamento all’ambiente e la selezione naturale si evolvono le forme in forme sempre più evolute e biologicamente più complesse. Da ciò deriva la considerazione che anche la psicologia umana: l’attività mentale e il comportamento sono il risultato delle condizioni ambientali.
In letteratura in questo periodo predomina il realismo, caratterizzato dall’aderenza al "vero", dall’impersonalità dell’arte e da una particolare attenzione verso la società che viene rappresentata in modo oggettivo soprattutto nel romanzo.
Positivismo: scoperte scientifiche.
Nei primi decenni dell’800 si verificò, in particolar modo in Francia un vigoroso sviluppo delle scienze. L’entusiasmo per il progresso scientifico, nel cuore della stagione positivista fu enorme. L’invenzione della fotografia aveva messo in discussione le arti figurative e la pittura si volse a usare la fotografia come strumento di rilevazione del vero. L’interesse per il mezzo fotografico venne impiegato anche da poeti realisti (esempio il Verga), come rilevatore di documenti umani. Le indagini astronomiche e fisiche di questo periodo, risposero con l’obbiettivo di estendere il modello newtoniano di spiegazione dei fenomeni celesti, in base alla legge di gravitazione e alle forze di attrazione e repulsione, anche ai fenomeni della fisica terrestre, giungendo ad una formulazione in termini matematici delle leggi che presiedono a tutti i fenomeni naturali. Si aprono nuovi campi di indagine, come la teoria del calore e della sua propagazione (J.Fourier), la termodinamica, l’elettrodinamica con la scoperta della pila da parte dell’italiano Alessandro Volta, l’elettrodinamica con il concetto di corrente e quantità elaborato da A. Ampere.

DECADENTISMO L’ORIGINE. S può considerare come la fase estrema del moto romantico, ebbe la sua concreta origine e la sua prima manifestazione letteraria in Francia, dove si sviluppò in aperta polemica con la letteratura naturalistica, diffondendosi poi nelle altre nazioni europee.
Come primi esponenti del decadentismo sono da considerare i poeti e gli scrittori simbolisti, che operavano in Francia nella seconda metà dell’Ottocento (tra il 1880 e il 1890), e che intendevano la poesia come una forma di vera e propria rivelazione.
Il primo interprete della nuova sensibilità poetica è Charles Baudelaire (1821-1867), mentre tra i poeti più significativi della poetica simbolista, si possono poi ricordare Stéphane Mallarmé (1842-1898), che fece valere il mito della poesia pura; Paul Verlaine (1844-1896), che fece valere il principio della poesia come musica; e Arthur Rimbaud (1854-1891), che fu una singolare figura di poeta maledetto.

ETIMOLOGIA

Il termine "decadentismo" viene coniato dalla critica di indirizzo realistico e naturalistico per indicare spregiativamente un gruppo di giovani intellettuali francesi, il cui atteggiamento viene considerato dagli avversari come espressione di una degradazione culturale. Questi giovani intellettuali, che si riuniscono a Parigi sulla riva sinistra della Senna, la "Rive Gauche", accettano tale termine e ne assumono la definizione facendosene un vanto; infatti il poeta Paul Verlaine in un suo verso famoso afferma: "Je suis l’empire à la fin de la décadence" ("Io sono l’impero alla fine della decadenza"), e una delle più autorevoli riviste porta proprio il nome "Le décadent".

IL DECADENTISMO IN EUROPA

Il movimento del Decadentismo ebbe -come sappiamo- la sua concreta origine in Francia con i simbolisti, ma fu un fenomeno di carattere europeo che interessò ben presto anche l’Inghilterra e la Germania. I più significativi rappresentanti del Decadentismo inglese furono Oscar Wilde(1854-1900), che scrisse notevoli opere di tono estetizzante, e William Butler Yeats (1865-1939), che fu un poeta di intima vena simbolistica; mentre, tra gli esponenti del Decadentismo tedesco, si possono poi ricordare Stefan George (1868-1933) e Rainer Maria Rilke (1875-1926).

I CARATTERI DEL DECADENTISMO

Il complesso movimento culturale del Decadentismo si può considerare –nei suoi caratteri generali- come lo svolgimento e, contemporaneamente, la crisi dell’idealismo e del soggettivismo romantico. Anche la civiltà spirituale del Decadentismo si manifesta nel campo del pensiero e della vita morale come un’inquieta e sempre più accentuata sfiducia nelle forze della ragione, che assume le forme di una vera e propria crisi esistenziale :

  • Esasperazione dell’individualismo e dell’egocentrismo;
  • Visione pessimistica del mondo e della vita umana;
  • Polemica contro il positivismo;
  • Scoperta dell’inconscio e del subcosciente;
  • Tormentoso senso della solitudine e del mistero.

E’ opportuno precisare che l’arte del Decadentismo -nelle sue complesse e contraddittorie esperienze- rappresenta senza dubbio la crisi della civiltà e della società europea tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento; ma rappresenta anche, in un certo senso, la coscienza e la denuncia di questa profonda crisi esistenziale.
Scuole di pensiero, come quella del Binni, affermano che "(…)è proprio il caso di vedere il decadentismo storicamente, di separarlo dal concetto astratto di decadenza, di dargli lo stesso valore storico che diamo al romanticismo(…). Parlare quindi di decadentismo facendo pesare la sua comunanza etimologica con decadenza è criticamente inopportuno e troppo spesso confina con una condanna moralistica, con una critica che è più di costume che non letteraria".

LA POETICA DECADENTE
Nell’età del Decadentismo si maturò una nuova sensibilità poetica: nella crisi pressoché totale dei tradizionali valori etici e conoscitivi, la poesia apparve allora come il solo mezzo di intendere e svelare la realtà.
Uno dei più rilevanti caratteri dell’arte decadenteè da vedere, appunto, nello straordinario raffinamento della tecnica e dei mezzi espressivi: la parola, negli esempi più originali e qualificanti dell’arte decadente, tende a sottrarsi ad ogni vincolo di natura logica e concettuale per risolversi nell’incanto lirico di una pura suggestione fonica e musicale:

  • Nuova esperienza metrica del verso libero;
  • Significativo ricorso al linguaggio simbolico;
  • Senso della poesia come illuminazione e folgorazione lirica.

IL DECADENTISMO IN ITALIA
Il Decadentismo italiano ha le sue prime e non ancora ben definite manifestazioni nell’opera poetica di Giovanni Pascoli, opera tutta impregnata da un intimo senso del mistero; e nella varia opera artistica di Gabriele D’Annunzio, caratterizzata -nelle sue linee generali- da forme di esasperato individualismo (mito del "superuomo").
Fu però solo più tardi, nei primi decenni del Novecento, che il movimento del Decadentismo venne a caratterizzare, in modo sempre più intenso e consapevole, le diverse correnti artistiche ed ideali della nostra letteratura.
Altri due autori fondamentali per il movimento decadente italiano furono Italo Svevo e Luigi Pirandello.

IL QUADRO STORICO
Per "età del Decadentismo" si intende il periodo che va dagli ultimi anni dell’Ottocento allo scoppio della prima guerra mondiale. Questa fase storica è contrassegnata da fondamentali vicende politiche e sociali, nella quale da una parte giungono a compimento i processi ideali e culturali dell’Ottocento, dall’altra emergono le tendenze che si svilupperanno poi nel corso del Novecento.
L’età del Decadentismo è anche un periodo di grandi tensioni internazionali, che tuttavia non esplodono in conflitti diretti tra le maggiori potenze europee, come era avvenuto in passato, bensì covano sotto la cenere per sfociare poi nella tragedia della prima guerra mondiale.
Da un punto di vista economico i decenni di fine secolo fanno da sfondo ad una crisi di vaste dimensioni. E’ la cosiddetta "grande depressione", che succede al periodo di espansione e di crescita degli anni 1850-1873, e che protrae i suoi effetti sino al 1896, quando l’economia europea entra in un nuovo ciclo di espansione. Questa difficile congiuntura è caratterizzata dal crollo dei prezzi industriali e agricoli, da un generale ristagno produttivo e da un forte aumento della disoccupazione. Di fronte a questa situazione i governi rispondono con una serie di misure che, se da una parte rendono più tollerabili gli effetti della crisi, dall’altra concorrono ad innescare tensioni e contrasti che appesantiscono ulteriormente il clima politico e sociale europeo e mondiale.
La prima misura economica che attuano tutti i paesi è quella del protezionismo, cioè della chiusura delle proprie frontiere ai prodotti esteri. Così si contribuisce alla salvaguardia dell’industria e dell’agricoltura nazionali, le quali operano in regime di monopolio e non di concorrenza; però nello stesso tempo si creano degli scompensi nei settori che lavorano per l’esportazione e che vedendosi preclusi i mercati tradizionali, piombano in una profonda crisi, non riuscendo a ristrutturarsi per il mercato interno. Non solo, ma nel tentativo di trovare sbocchi alle proprie economie, oltre che per motivi di opportunità interna e di "scelta culturale", i principali stati europei -Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Belgio, Olanda, Spagna, Portogallo- intraprendono una politica imperialistica.
L’opzione imperialista è sostenuta anche dalla cultura del tempo, che diffonde negli strati più ampi della società l’amore e il gusto per la guerra, per lo spirito di conquista e di potenza. Si introducono così nell’immaginario collettivo miti superomistici, razzistici, irrazionali e impregnati di violenza, che costituiscono il "retroterra culturale" del primo conflitto mondiale.

GIOVANNI PASCOLI      LA VITA
Nacque a San Mauro di Romagna il 31 Dicembre 1855. I suoi studi si svolsero dapprima ad Urbino al Collegio Raffaello ed in seguito a Firenze. Poi si iscrisse alla facoltà di lettere di Bologna dopo aver vinto una borsa di studio sostenendo l’esame con Carducci, di cui sarà allievo.
La prima parte della sua giovinezza fu tormentata da una serie di lutti familiari. Amico di A. Costa si avvicinò al socialismo, ma dopo l’arresto per "grida sovversive", abbandonò la politica simpatizzando negli ultimi anni per il nazionalismo. Laureatosi nel 1882, fu insegnante di greco e latino nei licei di Matera, Massa e Livorno, dove si riunì alle sorelle Ida e Maria.
Dopo il 1906 subentrò al Carducci nella cattedra di letteratura italiana di Bologna che tenne fino al 1911. Morì a Bologna il 6 Aprile del 1912.
L’ARTE E LA PERSONALITA’
Fu interprete d’eccezione della crisi dell’uomo contemporaneo, della precarietà e del dramma della condizione umana e si rifece ai moduli e alle tematiche tardoromantiche e decadenti; sfiduciato dai valori borghesi, si rifugia nel mondo contadino, più autentico. In Pascoli coesistono la lezione classica impartita dal Carducci e l’intenzione comunicativa coincidente con una poesia umile la cui parola ha l’intenzione di riscoprire piccoli mondi nascosti e gli ambienti contadini.
Per quanto riguarda la poetica troviamo una sintassi frantumata, immagini improvvise, frasi di breve respiro, aspetti fonico-simbolici e di conseguenza una lingua vergine alogica e pregrammaticale.
LE OPERE        Per quello che riguarda la produzione poetica è difficile considerare le raccolte di Pascoli separatamente poiché sono state frutto di continui interventi in tempi successivi. La prima raccolta di un certo rilievo è Myricae, i cui temi principali sono gli aspetti familiari e la campagna. E’ composta (nell’edizione definitiva) da 165 componimenti e ci sono notevoli innovazioni metriche.
Pascoli fa uso sia del sonetto, che della ballata e del madrigale. Un andamento narrativo più disteso è nei Poemetti in cui Pascoli narra la storia d’amore tra Rosa e Rigo, sullo sfondo di un ambiente contadino, i cui cicli naturali si susseguono in simbiosi con la vita dell’uomo. I lavori di quel modo perduto sono nella memoria degli emigranti che li fanno rivivere nelle terre lontane dove la miseria li ha sospinti. La guerra in Libia inoltre è vista come esigenza di uno spazio vitale per i lavoratori italiani e la stessa emigrazione è condannata in quanto allontana il contadino dalla sua terra. Con i Canti di Castelvecchio, Pascoli ritorna ai temi di Myricae. Infatti, tra i temi troviamo il rapporto con le sorelle, la morte, trattata nei canti dedicati al padre, e l’infanzia che ritorna alla memoria del poeta nel periodo in cui vive a Castelvecchio.
Dal punto di vista della lingua è insistente il ricorso all’onomatopea. Nei Poemi Conviviali è trattato il mondo classico, biblico e medievale, cercando di ricostruire il percorso storico dell’umanità. Viene usato l’endecasillabo, metro classico della poesia epica. In Pascoli fu costante anche l’impegno verso la poesia latina; la raccolta dei suoi scritti, Carmina, racconta attraverso una serie di personaggi la civiltà romana dalle origini fino alla brutalità delle invasioni barbariche. Tra le opere del poeta possiamo ricordare anche scritti di contenuti patriottici. Fra le riflessioni pascoliane sulla poesia merita maggiore attenzione sicuramente quella uscita sul Marzocco nel 1897 e poi rielaborata in seguito nel 1903: il Fanciullino.
In questa opera il poeta coglie gli avvenimenti del mondo con l’animo vergine di un bambino. In questo modo Pascoli indica come solo un poeta sia in grado di far parlare il fanciullino che c’è in ognuno di noi, ritrovando l’infanzia, la solidarietà e la bontà.

 

GABRIELE D’ANNUNZIO     VITA - Nacque a Pescara nel 1863. Studiò a Firenze presso il Liceo Cicognini e conseguì la licenza liceale, s’iscrisse alla facoltà di lettere di Roma. Dal 1897 al 1903 si dedicò interamente alla produzione teatrale. Nel 1910 si trasferì in Francia dove scrisse testi teatrali in francese. Nel 1925 ritornò in Italia e partecipò alla Prima Guerra Mondiale come volontario. Promosso tenente colonnello, guidò spericolate azioni tra cui il noto volo su Vienna nel 1918. A guerra finita si fece interprete dell’insoddisfazione per la "vittoria mutilata" e alla testa dei legionari di Ronchi occupò Fiume e nel 1920 proclamò la reggenza del Quarnaro. Nel 1921 lasciò la politica attiva e si stabilì sul Lago di Garda nella villa da lui chiamata il "Vittoriale degli italiani". Nel 1924 Mussolini lo nomina principe di Montenevoso. Morì il 1° Marzo del 1938.

L’ARTE E LA PERSONALITA’  Come si può notare la sua vita è stata caratterizzata dal desiderio di un vivere inimitabile e di non restare mai nell’ombra.  Molteplici sono i generi presenti nell’opera dannunziana: poesia lirica, poesia epica, romanzo, novelle, teatro, scritti di critica, cronaca giornalistica, prosa d’arte. Ciò potrebbe dare un’impressione di dispersività della sua produzione, ma in realtà questa è data dalla sua grande apertura mentale, verso i più svariati campi. Egli sa, infatti, combinare modelli antichi e moderni contraffacendoli secondo le proprie strategie. Nei confronti della letteratura contemporanea, egli fu pronto a far proprie le tendenze più recenti; alla fine dell’ottocento, manipolando una serie di letture francesi, finì col costruire una sorta di monumentale enciclopedia del decadentismo europeo, la cui rappresentazione più significativa resta il romanzo "Il piacere", assieme alle raccolte poetiche "Intermezzo di rime", "l’Isotteo" e la "Chimera". Grande importanza rivestì poi in Italia la divulgazione della filosofia nietzscheana e in particolare del motivo del Superuomo. D’Annunzio apprese il pensiero del Superuomo in maniera indiretta e semplificatoria cioè attraverso la mediazione degli spettacoli di Wagner.
Egli si rivela inoltre, prima dei futuristi, il letterato italiano più attento alla modernità ed è con Pirandello il primo scrittore italiano ad intuire le grandi capacità espressive del teatro e del cinema e a lavorare per la nascente industria cinematografica.
Un’altra grande capacità del D’Annunzio è quella di sapersi reinventare: egli riesce più volte a rinnovare la propria figura presso l’opinione pubblica come anche a rigenerare la propria creatività in forme nuove.
Una costante di tutta l’opera dannunziana è la sua obbedienza all’estetismo decadente, nei suoi due aspetti prevalenti. Per lui, l’estetismo è aspirazione ad un’esistenza di eccezione, al vivere inimitabile, a fare della propria vita un’opera d’arte, infatti, egli mirava ad una fusione tra vita e scrittura: la sua vita assume pose estetizzanti, l’arte ricalca di continuo esperienze esistenziali. Estetismo è anche culto delle sensazioni, culto del corporeo e dell'istintivo, in senso irrazionalistico e anticristiano. Il culto della sensazione tende a collocare la vita dell’uomo dentro la vita della natura assimilando l’una e l’alta in una visione metamorfica; inoltre porta a frantumare la realtà in una miriade di oggetti senza più ordine nè gerarchia.
Dall’estetismo dannunziano deriva il programma del poeta inteso come "supremo artefice" ovvero come colui che produce gli oggetti dell’arte sottoponendoli a una lunga elaborazione tecnica. L’arte è per D’Annunzio il prodotto di una mente superiore. Egli stesso si definiva l’"Imagnifico", creatore di immagini, attraverso suoni e parole ricercatissimi. Egli giunge ad un’idea eterna della poesia, come sottratta al tempo: per questo preferisce i termini arcaici e sottolinea i rapporti con le etimologie greche o latine delle parole che usa.
Se l’idea del poeta-artefice sembra avvicinare D’Annunzio alla tradizione classica, egli però, se ne distacca per l’indifferenza che mostra rispetto ai messaggi e ai contenuti, cui la poesia classicistica mirava: l’unico messaggio, è proprio l’assenza di messaggi, in quanto il fine dell’opera d’arte è d’imporre la propria bellezza, suscitando inebrianti sensazioni nei lettori. La parola è tutto, sostituisce il mondo e sta per esso.D’Annunzio si propone quindi come intellettuale di tipo nuovo e ciò diventa un fenomeno di costume.
LE OPERE      iI primo romanzo dannunziano, Il piacere (1889), nasce nel clima della raffinata e mondana esperienza romana e segna la compiuta espressione del decadentismo italiano. L’autore si autoritrae con ingenuo entusiasmo nel giovane Andrea Sperelli, che disprezza ogni forma volgare di vita. Dominato dall’artificio e dalla finzione, Andrea intrattiene un rapporto ambiguo, ora passionale, ora distaccato, con gli oggetti e le persone che lo circondano. L’autore orienta i lettori verso una sbalordita ammirazione per il bello di cui il romanzo confeziona molteplici immagini, dagli ozi edonistici del protagonista agli scorci monumentali di Roma.
Il Trionfo della morte (1894) è narrato in terza persona con il solito stile fastoso e musicale. Dominano i toni cupi e tutto è pervaso da un senso funereo di orrore. Con questa opera D’Annunzio vuol creare la prosa moderna in cui si fondono scrittura d’arte e lirica, e in cui siano prevalenti i valori formali ed autobiografici.
Il capolavoro del D’Annunzio lirico è costituito dalle Laudi. Motivo unitario delle "Laudi" è la cadenza musicale che esprime in forma di canto continuo l’istintiva felicità originata dalla funzione corporea con la natura. L’Alcyone è il terzo libro delle "Laudi" è giudicato il capolavoro della produzione poetica dannunziana. In una serie di ottantotto componimenti di metro e lunghezza varia, lo scrittore celebre la grande estate, da giugno a settembre 1902, e canta soprattutto la parabola discendente della stagione estiva, il suo prossimo esaurirsi nell’autunno e il progressivo venir meno dell’energia vitale e dell’ottimismo. Il poeta si immerge nella natura versiliese e si dissolve in essa: ne interpreta le voci segrete, interroga le misteriose presenze femminili che essa evoca, modula la propria voce all’unisono con l’infinita varietà dei toni e delle voci della pioggia, del mare, del vento. In Alcyone le cose sfumano per lasciare il posto alla musica dei suoni.
Tra le altre opere poetiche citiamo: Primo vere, Canto novo, Il poemaparadisiaco. Tra i romanzi ricordiamo: L’innocente, Le vergini delle rocce, Il fuoco, Forse che sì forse che no.

ITALO SVEVO    LA VITA

Pseudonimo di Aron Hector Schmitz, nacque a Trieste da una famiglia di origini ebree il 19 Dicembre 1861. Dopo aver compiuto gli studi medi in Germania dove apprese la lingua tedesca, intraprese successivamente gli studi commerciali; in seguito fu impiegato di banca e socio di un’impresa industriale. Dopo aver scritto le sue prime due opere "Una vita" e "Senilità", che resteranno peraltro a lungo ignorate, Svevo conobbe James Joyce e tale fatto ebbe un’influenza immediata e decisiva sulla sua vita e sulla sua attività di scrittore. Dopo la guerra intraprese la stesura del suo romanzo più noto "La Coscienza di Zeno" che ottenne i primi riconoscimenti all’estero e che fece sì che Svevo acquistasse improvvisamente popolarità. Morì in un incidente stradale il 13 Settembre 1928.
L’ARTE E LA PERSONALITA’   Italo Svevo si presenta come un letterato atipico, che rispecchia la sua condizione di borghese declassato. La sua fu una formazione internazionale, la Trieste aperta di fine 1800, crocevia di razze e di culture tra cui quella tedesca, protestante e raffinata, quella italiana, segnata dal problema della lingua e con fremiti irredentisti, quella slava, legata al mondo contadino, e quella ebraica che costituiva un caso particolare con il suo atteggiamento arguto e tragico, fantasioso e realista. Le sue influenze culturali vanno ricercate in Freud, in Schopenhauer e in Nietzsche da cui ricava l’idea che la malattia sia una condizione intellettualmente positiva, senza la quale non si potrebbe analizzare la propria psiche e non si potrebbero superare le certezze dei "sani".
Di Marx, Svevo accetta il materialismo storico, anche se non crede ad un miglioramento sociale, mentre del determinismo Darwiniano accetta la teoria secondo la quale il comportamento umano è dovuto a leggi immutabili. In campo letterario Svevo si lega ai grandi realisti dell’ottocento come Balzac e Flaubert, oltre che a Proust e a Joyce che lo apprezzò soprattutto per la sua capacità di analizzare la personalità umana. Nei suoi romanzi (ma anche nelle novelle più riuscite) Svevo raccontò l’impossibilità, che è tipica dell’uomo moderno, di inserirsi nella società e spiegò come questo mancato inserimento derivasse da motivazioni e disagi non solo individuali, ma universali determinati da fattori non solo psicologici ma anche sociali ed economici (la lezione di Marx è ben viva, in questo senso): egli raccontò, distruggendo la forma-romanzo elaborata dal naturalismo, la fine dei grandi imperi e la crisi della piccola borghesia, ma anche la solitudine di piccoli uomini; fu quindi una delle voci più alte di quel periodo che si suole indicare come "età della crisi". Svevo va inserito in questo contesto e così si può spiegare l’incomprensione subita e la fatica a imporre la propria opera: la cultura italiana era troppo legata a modelli carducciani o dannunziani per capire Svevo, con i suoi radicali ripensamenti sull’uomo e sulla società, con la sua attenzione a svelare le menzogne e gli autoinganni con cui l’uomo moderno ammanta scelte ideali; con la sua ironia, davvero insolita nella nostra tradizione.
Oltre all’evidente diversità tra il romanzo sveviano e il romanzo tradizionale italiano, un altro fattore che contribuì al suo insuccesso iniziale nel nostro paese fu il contrasto tra i suoi temi dominanti, che andavano dall’autoinganno, all’inettitudine e all’autoironia, e le ideologie fasciste tese ad innalzare i miti della razza e del superuomo evidentemente opposte.
LE OPERE       La crisi della borghesia, la sfiducia in un radicale cambiamento sociale e politico e l’inettitudine sono temi ricorrenti sia nelle sue novelle sia nei suoi romanzi. L’uomo sconfitto e rassegnato ad una vita piatta e monotona lo si ritrova sia in "Senilità" sia in "Una Vita", oltre che nella che ne "La Coscienza di Zeno".
Temi già trattati ed atmosfere borghesi e squallide, sono ripresi in molti dei suoi racconti come "L’Assassinio di Via Belpoggio" e "Corto Viaggio Sentimentale".
La produzione teatrale, rimasta per molto tempo ingiustamente sconosciuta, comprende tredici commedie in cui vigono personaggi tormentati della società di fine ottocento.

LUIGI PIRANDELLO        LA VITA  Luigi Pirandello, nato ad Agrigento nel 1867, compì i suoi studi a Palermo, Roma e si laureò in lettere presso l’università di Bonn (in Germania) nel 1891. Tornato in Italia nel 1892, prese residenza a Roma, dove trascorse poi gran parte della sua vita, collaborando a vari giornali e riviste, e insegnando per oltre vent’anni letteratura italiana presso l’Istituto superiore di Magistero (dal 1897 al 1922). E’ da notare che nel 1904 ebbe inizio una grave crisi mentale della moglie (afflitta da una forma morbosa di gelosia), che costituì per lo scrittore una vera e propria tragedia familiare, e che non rimase, forse, senza influsso sulla sua dolorosa concezione del mondo.

Negli anni del dopoguerra si dedicò sempre più decisamente all’attività teatrale e fu così che nel 1925 fondò a Roma il Teatro d’arte, dando vita - per alcuni anni- ad una propria compagnia drammatica.
Nel 1934, mentre si faceva sempre più largo e profondo l’interesse suscitato in tutto il mondo dalla sua opera teatrale, gli fu conferito Premio Nobel per la letteratura. Morì a Roma, in seguito ad un attacco di polmonite, nel 1936.
LE OPERE
Pirandello iniziò la propria attività letteraria componendo alcune interessanti raccolte poetiche, tra cui si possono ricordare:

  • "Mal giocondo"(1889), in cui il poeta esprime il suo amaro sentimento della vita;
  • "Pasqua di Gea"(1891), una serie di liriche legate al suo soggiorno in Germania all’amore per una giovane tedesca;
  • "Elegie renane"(1895), in cui il poeta riprende volutamente le "Elegie renane " di Goethe;
  • "Zampogna"(1901), una serie di liriche dal tono distesamente discorsivo;
  • "Fuori di chiave"(1912), in cui il poeta esprime il suo atteggiamento ironico e sarcastico di fronte alla vita.

Pirandello scrisse anche vari romanzi, nei quali rappresentò la sua visione pessimistica della vita e del mondo, mettendo in evidenza una sua nota di umorismo triste ed inquieto. Tra i suoi vari romanzi si possono ricordare, in primo luogo, i seguenti:

  • "L’esclusa"(composto nel 1893 e pubblicato poi nel 1901);
  • "Il turno"(composto nel 1895 e pubblicato poi nel 1902);
  • "Il fu Mattia Pascal" (1904);
  • "I vecchi e i giovani pubblicato "( parzialmente in rivista nel 1909 e poi in edizione integrale e riveduta nel 1931);
  • "Uno, nessuno e centomila" (1926).

L’ARTE E LA PERSONALITA’
Pirandello come Svevo viene definito uno scrittore isolato, difficile da inquadrare in un movimento letterario ben definito. Nelle sue opere sono rappresentate le riflessioni sull’esistenza e sul ruolo dell’uomo nella società, affermando che non è possibile trovare alcuna soluzione positiva alla crisi che coinvolge e sconvolge i singoli individui, il tessuto sociale e le istituzioni. Pirandello rifiuta il Positivismo e si reputa testimone attento e consapevole della crisi della sua epoca.
La poetica pirandelliana si basa su alcuni nuclei concettuali: il vitalismo e il caos della vita. Il vitalismo è la tesi secondo cui la vita non è mai né statica né omogenea, ma consiste in un’incessante trasformazione da uno stato all’altro.
Nella vita e nel suo flusso eterno, Pirandello avverte, da un lato disordine, causalità e caos, dall’altro percepisce disgregazione e frammentazione. Egli sente i rapporti sociali inautentici, rifiuta le forme e le ipocrisie imposte dalla società; a questo proposito, il pessimismo dello scrittore è totale e ciò lo si nota anche -nelle sue opere- dai personaggi, i quali sono posti sempre in situazioni paradossali, svelando così la contraddittorietà dell’esistenza umana.
Dal rifiuto della società organizzata nasce una figura ricorrente in Pirandello, quella del "forestiero della vita", l’uomo cioè si isola e si esclude, è colui che guarda vivere gli altri e se stesso dall’esterno con un atteggiamento "umoristico", in una prospettiva di autoestraniazione.
Il relativismo nel sostenere che è impossibile giungere a stabilire una verità, insieme al soggettivismo, legano Pirandello al clima culturale del primo Novecento, cioè alla fase in cui si compie la crisi del Positivismo. Egli interpreta in modo originale l’atmosfera decadente, traendo dall’esperienza concreta del suo tempo i suggerimenti per un’analisi lucida ed amara della natura della realtà; ma, se per alcuni motivi la sua posizione rientra nell’ambito di quello che si è soliti definire Decadentismo, sotto altri aspetti egli lo ha già superato.
Pirandello è stato considerato un autore "filosofico" più attento ai contenuti che alle soluzioni stilistiche e che non si limita a teorizzare le sue concezioni, ma le usa come materia, ne fa l’oggetto delle proprie composizioni. Con le sue opere, la letteratura italiana esce dall’ambito nazionale e acquista respiro europeo.
CRITICHE ED INTERPRETAZIONI
Il primo rilevante tentativo di un’interpretazione dell’opera pirandelliana è da vedere nel saggio del Tilgher (1922), il quale ha posto l’accento sulla filosofia implicita nell’arte del Pirandello, insistendo sul fondamentale dualismo tra la vita e la forma, che ne costituirebbe la base e il problema centrale. Il Tilgher affermò poi che il pensiero del Pirandello "…non rimane astratto e puramente teorico, ma si fonde con la passione, e l’impregna di sé e a sua volta si colora alla sua fiamma (…)".
Come giudizio conclusivo, oltre al convinto riconoscimento delle sue autentiche doti poetiche e della sua lucida coscienza critica e culturale, è peraltro da rilevare l’eccezionale importanza del Pirandello anche nella storia della tecnica teatrale, sia per quanto riguarda la modernità e la complessità dei problemi affrontati, sia per novità del linguaggio e delle forme di rappresentazione (lingua molto espressiva; sintassi analitica; ecc.). E’ proprio vero "…senza il suo esempio, non si spiega gran parte del teatro moderno, non tanto italiano, quanto europeo ed americano (…); (Sapegno).

 

Fonte: http://vgg.labcad.di.unimi.it/cbus/webscu/2005/FAUSER/protetti/Italiano1.doc

Sito web da visitare: http://vgg.labcad.di.unimi.it

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