Orlando furioso riassunto e parafrasi

 


 

Orlando furioso riassunto e parafrasi

 

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Orlando furioso riassunto e parafrasi

 

Ludovico Ariosto
Ludovico Ariosto è uno dei padri fondatori della letteratura italiana ed europea ‘moderna’ sia per la grandiosa invenzione del Furioso, sia per la fondazione della commedia regolare, sia per il ripristino del genere satirico. E’ un intellettuale di corte  che vive con tensione e fatica la ricerca di un proprio spazio autonomo da dedicare alla letteratura. Il suo romanzo proietta Ferrara in una dimensione nazionale, diviene un best-seller letto e riconosciuto come tale, rompe le griglie normative, immette temi nuovi  come la follia, il relativismo dei punti di vista sul mondo, gli eventi mondani, l’impossibilità di gestire il desiderio. La sua opera contribuisce alla fondazione del Classicismo italiano e costituisce un esempio di rifondazione su nuove basi di generi letterari consolidati.

La vita e le opere  

Il legame con Ferrara. Ludovico Ariosto nacque a Reggio Emilia nel 1474, primo di dieci figli, da Niccolò e Daria Malaguzzi Valeri. All’età di dieci anni si trasferì con la famiglia a Ferrara, dove il padre era stato nominato tesoriere generale delle truppe (successivamente divenne capo dell’amministrazione comunale). Qui venne indirizzato dal padre agli studi giuridici (dal 1489 al 1493) e solo dopo cinque anni ebbe il permesso di volgersi ai prediletti studi letterari, in particolare alla lingua e letteratura latina, sotto la guida del monaco agostiniano Gregorio da Spoleto.

Al servizio di Ippolito d’Este. Ben presto, però, Ariosto si troverà a dover conciliare la naturale propensione letteraria con incombenze pratiche pressanti e faticose: la morte del padre, infatti, lo costrinse a dedicarsi alla cura del patrimonio familiare, piuttosto dissestato, e al sostentamento dei numerosi fratelli. E per questo, dopo aver assunto, come stipendiato di corte, un primo modesto incarico, nel 1502 Ariosto accettò il capitanato della rocca di Canossa. Infine, l’anno successivo, entrò al servizio del cardinale Ippolito d’Este, figlio del duca Ercole I. Lo stesso anno prese gli ordini minori, che gli valsero alcuni benefici ecclesiastici.

L’attività diplomatica. Negli anni 1506-1515 si intensificarono le sue responsabilità di funzionario di corte, caratterizzate da un’intensa attività diplomatica a cui si accompagnò un’altrettanto intensa produzione letteraria: intorno al 1506, Ariosto avviò la stesura dell’Orlando furioso, e nel gennaio 1507, a Mantova, raccontò la trama del poema a Isabella d’Este Gonzaga. Da allora in poi egli si dedicherà costantemente al poema, impostato ed elaborato, corretto e ricorretto senza soste per trent’anni, non abbandonato definitivamente neppure sulle soglie della morte».
La relazione con Alessandra Benucci Strozzi. Nello stesso periodo lo troviamo impegnato nell’attività teatrale di corte con la composizione e la messa in scena di due commedie in prosa: la Cassaria e I Suppositi. Dopo l’elezione di Leone X (Giovanni de’ Medici), legato al poeta e alla corte ferrarese da rapporti amichevoli, Ariosto si recò a Roma, nel 1513,  per rendere omaggio al nuovo pontefice e con la speranza, andata presto delusa, di ottenere una importante carica ecclesiastica, forse vescovile. Nel giugno dello stesso anno, nel corso di un soggiorno a Firenze, dichiarò il suo amore ad Alessandra Benucci Strozzi, già più volte incontrata e ammirata a Ferrara, e diede inizio a una relazione sentimentale che durò per tutta la vita. L’unione tra Alessandra e l’Ariosto rimane clandestina durante il periodo (breve, in verità) in cui è in vita il marito di lei, Tito Strozzi, fino a concludersi con un matrimonio segreto, celebrato tra il 1528 e il 1530, per evitare la rinuncia di lei all’usufrutto dell’eredità del marito,alla tutela delle figlie e la rinuncia di Ludovico ai suoi benefici ecclesiastici

Alle dipendenze del duca Alfonso
. Nel 1516 Ariosto pubblicò la prima edizione del Furioso in quaranta canti. L’anno successivo si rifiutò di seguire in Ungheria il cardinale Ippolito,  per non trascurare gli studi e per non troncare i legami d’affetto con Alessandra e i familiari. A questi anni risale la composizione delle Satire (1517-1525), una sorta di «autobiografia morale» del poeta. Nel 1520 pubblicò la seconda edizione del Furioso, anch’essa in quaranta canti, con lievi correzioni linguistiche e stilistiche.
Governatore in Garfagnana. Nel 1522 si stabilì a Castelnuovo in Garfagnana, dove fu inviato per ricoprire l’incarico di governatore; vi restò tre anni, dovendo fronteggiare situazioni assai spinose, a causa del brigantaggio e della turbolenza dei signorotti locali; a quanto sembra riuscì a svolgere il suo incarico con equilibrio e fermezza, mostrandosi tutt’altro che inetto agli affari pratici e politici; ma la sua indole gli faceva rimpiangere la vita ferrarese, più ritirata e tranquilla («Io ’l confesso ingenuamente, ch’io non sono uomo da governare altri uomini»).

Gli ultimi anni a Ferrara
. Lasciata la «fossa profonda» della Garfagnana nel 1525, tornato a Ferrara, Ariosto acquistò una casa in contrada Mirasole (oggi via Ariosto), sulla cui facciata un’iscrizione, citando Orazio, recitava: «Parva sed apta mihi» (“Piccola ma adatta a me”); qui trascorse serenamente i restanti anni della sua vita, confortato dall’affetto di Alessandra Benucci e del figlio Virginio (nato da una relazione precedente con una governante). Ormai in grado di vivere di rendita, Ariosto poté finalmente dedicarsi a tempo pieno all’attività letteraria e in particolare alla revisione del suo capolavoro. Nel 1528 scrisse la sua commedia migliore, la Lena. Nel 1532, dopo un decennale lavoro di revisione linguistica, stilistica e di ricomposizione strutturale, pubblicò la terza e ultima redazione del Furioso, in quarantasei canti con l’aggiunta di nuovi episodi.
Il 6 luglio 1533 Ariosto si spense per una enterite. Fu sepolto nella chiesa di San Benedetto e, nel 1801, le sue spoglie furono traslate nella sala maggiore della Biblioteca Ariostea di Ferrara.
Ariosto e le contraddizioni del rinascimento
Ludovico Ariosto e il suo Orlando furioso sono stati tradizionalmente riconosciuti come l’autore e l’opera più rappresentativi della cultura umanistico - rinascimentale, cultura che a lungo la critica ha interpretato alla luce delle categorie di armonia e razionalità, individuandone il nucleo essenziale in una perfetta consonanza fra uomo e mondo. In realtà, l’intera civiltà rinascimentale andrebbe riconsiderata come un’epoca di conflitti ed è un dato di fatto che il suo tentativo di accordare il divino con l’umano si è svolto tra dubbi e incertezze anche irrisolvibili. In ogni caso, poi, è difficile pensare che un periodo così tormentato per la storia politica e civile della Penisola non abbia lasciato tracce nel poeta più sensibile e moderno della sua epoca.     
Bisogna dunque riconoscere ad Ariosto e alla sua opera, come del resto accade per tutti i classici, una complessità e una ricchezza che difficilmente si lasciano definire ed etichettare in modo certo; quello che conta è però notare come i valori più profondi dell’umanesimo, il laicismo, la tolleranza, la disponibilità ad accogliere la diversità come ricchezza, siano alla base di tutte le opere ariostesche.
Come si è detto nel profilo biografico, Ariosto ha concentrato tutte le proprie forze sul suo capolavoro, ma questo non significa che le opere cosiddette «minori» vadano davvero considerate come tali; soprattutto, è opportuno rilevare come, anche quando si cimenta nella scrittura teatrale o in quella lirica, l’autore del Furioso sia sempre presente tra le righe e sempre di più la critica, in tempi recenti, ha sottolineato la novità delle commedie, delle Rimeariostesche  o delle Satirecome opere che rinnovano profondamente e in modo assolutamente originale i modelli cui si rifanno.

Il realismo di Ariosto. Ariosto è un grande osservatore della realtà e questo è evidente in tutte le sue opere, sia che parli della propria esperienza d’amore, come avviene nelle Rime, sia che inserisca nelle sue commedie personaggi e vicende della Ferrara contemporanea, sia che ritragga con un’ironia impietosa i vuoti rituali cortigiani in cui si ritrova suo malgrado coinvolto, come accade nelle Satire. Tale costante esercizio realistico mira a cogliere gli aspetti immutabili dell’animo umano, si ritrova nel poema maggiore ed è tanto più mirabile perché applicato alla pura invenzione fantastica, a personaggi volutamente poco «credibili» in quanto poco elaborati sul piano psicologico.
I tanti personaggi di Orlando furioso sono dei «tipi», nessuno di loro è realmente il protagonista del poema, perché è l’intera umanità a esserlo; eppure le loro vicende così fantastiche ci sembrano vicinissime, le loro imprese straordinarie ci appaiono ordinarie, la geografia fantastica e simbolica del poema appare più vera di quella reale. Come dice il poeta per conoscere il mondo basta viaggiare con la fantasia, se essa è costantemente nutrita dall’analisi di tutto ciò che la quotidianità ci svela del carattere umano.
La lettura dei classici, da Catullo a Plauto e Terenzio per le commedie fino al prediletto Orazio, modello per le Satire e a Omero, Virgilio e Ovidio, che hanno tra le fonti del Furioso un posto fondamentale, si ritrova come una costante in tutta l’opera ariostesca. Si tratta, anche in questo caso, del classicismo più autenticamente umanistico, dell’atteggiamento per cui il classico viene concepito come un fratello maggiore con cui gareggiare, cioè da reinventare secondo la propria sensibilità, dopo averlo profondamente assorbito.
La prima composizione del Furioso risale quasi certamente al periodo 1504-1505. Sappiamo con certezza che Ariosto racconta una parte del romanzo ad Isabella d’Este Gonzaga nel febbraio del 1507. Il 3 febbraio Isabella scrive da Mantova una lettera al fratello Ippolito per informarlo che aveva trovato piacevolissimo il romanzo dell’Ariosto. La prima edizione del Furioso appare il 22 aprile 1516, a Ferrara, con una tiratura di 1300 esemplari, dei quali Ludovico stesso cura la diffusione. Il romanzo, in ottave, è dedicato al cardinale Ippolito. Il successo dell’opera è immediato anche al di fuori dell’area ferrarese. Tra il 1524 e il 1532 si ha un fitta serie di ristampe della seconda redazione, non controllate direttamente dal poeta. La terza edizione viene stampata a Ferrara in circa 2750 esemplari, alcuni dei quali in pergamena. Vi sono numerosi interventi dell’Ariosto in tipografia che apporta correzioni in corso d’opera.. La genesi e la storia redazionale del Furioso fanno di quest’opera un ‘classico per la stampa’, nato e concepito per la tipografia e per la diffusione popolare.
Breve sinossi dell’Orlando Furioso
Orlando furioso è un poema cavalleresco  Il poema, composto da 46 canti in ottave,  ruota attorno al personaggio di Orlando, a cui è dedicato il titolo, e a numerosi altri personaggi.
L'opera, riprendendo la tradizione del ciclo carolingio e in parte del ciclo bretone, si pone a continuazione dell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo. Caratteristica fondamentale dell'opera è il continuo intrecciarsi delle vicende dei diversi personaggi che vanno a costituire molteplici fili narrativi, tutti armonicamente tessuti insieme.
La trama ruota intorno a tre vicende principali: l'aspetto epico è dato dalla guerra tra pagani (musulmani) e cristiani che fa da sfondo all'intera narrazione e si conclude con la vittoria cristiana in seguito allo scontro tra gli eroi avversari.
La vicenda amorosa si incentra invece sulla bellissima Angelica, in fuga da numerosi spasimanti, tra i quali il paladino Orlando; tuttavia Angelica incontrerà il pagano Medoro e lo sposerà felicemente, causando l'ira e la conseguente follia di Orlando (risanata solo in conclusione).
Il terzo motivo, quello celebrativo, consiste nel difficile amore tra Ruggero, guerriero pagano, e Bradamante, guerriera cristiana, che riusciranno a congiungersi solo dopo la conversione di Ruggero, al termine della guerra: da questa unione discenderà infatti la Casa d’Este.

 

Fonte: http://profmaestranzi.xoom.it/testi%202/Ludovico%20Ariosto.rtf

Sito web: http://profmaestranzi.xoom.it/

 

“IL FURIOSO”:   POEMA SIMBOLO DELLA CULTURA RINASCIMENTALE

 

Il tema essenziale de “L’Orlando Furioso” riguarda il conflitto tra l’ideale che si sogna e la dura realtà che invece si deve vivere.
La contrapposizione tra ideale e reale è un tema ricorrente nella cultura rinascimentale, nella quale, infatti, coesistono due visioni del mondo diverse e, a volte, contrapposte:

  1. la tendenza propria dell’Umanesimo ad idealizzare la realtà elaborando modelli astratti e perfetti per ogni attività umana, imitando i modelli classici, modelli perfetti per eccellenza;

 

  1. la tendenza al realismo , allo studio attento della realtà e alla sua rappresentazione concreta, anche se poco edificante.

Questo contrasto tra ideale e reale è presente nella vita dello stesso Ariosto che desiderava, per esempio, la pace degli studi letterari ed è invece obbligato a fare il, funzionario di corte. La stessa vita di corte, da molti vista come il modello ideale del mondo, sede privilegiata di armonia, arte, raffinatezza, ordine e valori ai quali la cultura rinascimentale aspira, in realtà è sede di intrighi, falsità, ipocrisie, clientelismi.
Il desiderio di qualcosa, dunque, si scontra sempre con la sua irraggiungibilità e così è per l’amore, la gloria guerresca, o letteraria.

Orlando diventa folle proprio perché non riesce ad accettare questo divario tra ideale e reale, né che  “la divina e perfetta” Angelica sia una donna terrena, reale e sottoposta alle conseguenti passioni.
Orlando è uno sconfitto dalla vita. Perdendo Angelica, ha perso in colpo molti ideali: si è comportato da perfetto cavaliere rispettando e proteggendo Angelica, ma lei si è data ad un altro, ha difeso i valori di amicizia e fedeltà e la donna da lui amata è stata messa in palio come premio.
Orlando è l’ironico simbolo del destino umano: tanta fatica per non stringere nulla!

Per Ariosto, invece, il contrasto tra ideale e reale può trovare la sua sintesi nell’arte in generale e nella letteratura in particolare, grazie all’ironia che permette di comprendere le cose a fondo, mantenendo però un distacco superiore.
La letteratura non deve, quindi, essere solo divertimento e mezzo per fuggire dalla realtà , ma anche la più alta espressione della dignità umana e della capacità dell’uomo di comprendere e dominare la realtà anche quando è negativa e dolorosa. Per Ariosto l’uomo deve essere capace di guardare la vita con serena e laica tolleranza, senza cadere nell’ottimismo o nel pessimismo estremi.
La dignità e la saggezza dell’uomo stanno anche nell’accettazione dei propri limiti, nella consapevolezza dell’esistenza di contraddizioni che vanno affrontate, però, a testa alta.

 


LA PERDITA DELL’OGGETTO DEL DESIDERIO: LA FOLLIA FURIOSA

Il titolo del poema ariostesco: ”0rlando furioso” , mira a sottolineare il collegamento con la tradizione cavalleresca (Orlando) , ma vuole anche proporre uno dei temi tipici della cultura rinascimentale: quello della follia.
Ariosto, infatti trasforma le vicende personali del grande paladino di Francia in un’allegoria della più generale follia umana. Ma cosa si intende, nel Rinascimento per follia?

Nel’500 è in corso una mutazione profonda nella valutazione della sofferenza umana: il laicismo emergente sta modificando la percezione medievale della povertà ed anche della pazzia.
Nel Medioevo, infatti, poveri e folli erano simboli religiosi, erano, cioè, l’immagine terrena di una realtà ultraterrena. Il povero rappresentava Cristo pellegrino in terra, mandato da Dio a morire per cancellare il peccato originale. La povertà e il vagabondaggio non erano dunque, nella mentalità medievale elementi di disordine, ma, al contrario,   garanzia dell’ordine.

Anche la follia era collegata alla dimensione ultraterrena , con un duplice significato, però. Essa si coniugava contemporaneamente sia col mondo del diabolico, che con quello del divino. La dimensione diabolica era quella delle tentazioni, della magia nera e da questo punto di vista , la follia diventava il luogo della perdizione. Ma essa era anche il suo contrario: l’incontro col divino, il mistico abbandono della terrena razionalità per perdersi nell’infinito di Dio. Il rifiuto di ogni forma di razionalità e di sapere umano permetteva di avvicinarsi maggiomente alla verità della Rivelazione.
La follia che giunge nel Rinascimento dal Medioevo , dunque , è una realtà terrena che rimanda però ad altro, ad un aldilà fuori dalla Terra.

La cultura del ‘500 modifica questa visione e segna una frattura con la mentalità medievale. Il laicismo, infatti priva la povertà e la follia del rimando ultraterreno ed esse divengono solo un terreno disordine umano. Esse sono, quindi un problema di ordine pubblico. Non a caso, è proprio nel ‘500 che compaiono le prime leggi contro la mendicità ed il vagabondaggio. Per quanto riguarda la follia il problema è ancora più serio. Essa riguarda la profondità dell’animo umano ed è difficile ridurla ad un problema di ordine sociale (questo avverrà nel secolo successivo, quando negli Stati nazionali assoluti verranno costruiti degli appositi edifici nei quali poveri, vagabondi e folli, indistintamente, verranno rinchiusi e trattati come un problema da risolvere con misure di Polizia)

Nel ‘500 la follia viene generalmente considerata come compagna dell’avventura umana: (è del 1509 “L’Elogio alla Pazzia” di Erasmo da Rotterdam). E su questa linea si pone Ariosto. Egli pensa che la follia non abbia nulla di divino e nemmeno di diabolico, ma che faccia parte dell’uomo ; è un modo di stare al mondo. A volte, però, l’uomo va oltre il limite della “normale pazzia” che gli serve per vivere e viene trascinato fuori dal sentimento, diventando “furioso”. Questo avviene quando non accetta di non poter raggiungere l’oggetto del suo desiderio , quando cerca a tutti i costi di raggiungere un sogno irraggiungibile e non accetta quindi la realtà.  A tutti gli uomini capita prima o poi, di inseguire una qualsiasi Angelica, o di perdersi in un palazzo di Atlante; ogni uomo insegue un  ideale irraggiungibile e quindi tutti siamo condannati a non veder realizzato il nostro desiderio.
Esiste, tuttavia, una via di uscita: l’autoinganno (si dà la colpa a qualcun altro, al destino, alla malasorte…). Ci si autoconvince cioè, di avere ancora la possibilità di raggiungere l’oggetto del desiderio e si nega l’atroce verità che esso non ci sia più.


IL PALAZZO DI ALTLANTE : GLI UOMINI PRIGIONIERI DEL DESIDERIO

 

Il Palazzo di Atlante, luogo magico e metaforico in cui i destini dei cavalieri (uomini) si incrociano e si intrecciano è per Ariosto un’allegoria dell’esistenza stessa. In esso tutti hanno qualcosa da inseguire, nessuno raggiunge mai niente, tutti perdono.

Al centro della riflessione di Ariosto sull’uomo sta la coraggiosa consapevolezza della fragilità umana. Gli uomini possono sbagliare e perdersi vanamente nei propri sogni , ma lo fanno con coraggio e sincerità. Lo fanno con l’eroismo di chi e prigioniero di un gioco dal quale non può uscire : la vita (palazzo di Atlante). Essi non l’hanno scelta , ma una volta dentro, devono viverla con dignità. Gli uomini devono darsi uno scopo nella vita che la giustifichi e questo è il desiderio , l’ideale che ognuno deve porsi. Senza una meta da raggiungere l’uomo è perso (es. Orlando quando perde Angelica).

Il tema della ricerca è tipico della letteratura romanzesca, tuttavia nel “Furioso” , esso assume toni diversi rispetto, per esempio, i romanzi cortesi o arturiani. In Ariosto la ricerca non porta mai a nulla, non è un percorso di formazione , è spesso una ricerca a vuoto, l’inseguimento di un sogno vano, correndo dietro al quale ci si può perdere  nel labirinto della vita

Ariosto, poeta di corte e disincantato, spinge il lettore a convivere col suo sistematico scacco di fronte alla realtà. L’uomo è  prigioniero del proprio desiderio, ma può vivere questa situazione con distacco superiore, con ironia, con un senso della misura e dell’armonia. E’0 questo il messaggio dell’Umanesimo: l’uomo deve essere cosciente della propria grandezza percependo i propri limiti.

 

ANGELICA:     SIMBOLO DELLA VARIETA’ UMANA

Angelica è descritta da Ariosto con pochi tratti e non ha una personalità ben delineata. L’unica costante, nel suo personaggio è la fuga. Ella fugge in continuazione e il variare dei suoi sentimenti non dipende da lei, ma da  una condizione esterna.
Più che una donna in carne ed ossa, è un puro simbolo dell’Eros, è l’oggetto del desiderio che coinvolge tutti e sconvolge l’ordine sociale.
Angelica è inafferrabile, sfuggente, tenera e diabolica, astuta ed ingenua, preda e cacciatrice. E’ una cosa ed il suo contrario, è il simbolo della varietà umana. Non solo: Angelica è metafora  della vita stessa, in quanto tutti la inseguono per dare pienezza al proprio essere , ma nessuno la raggiunge mai, è l’inafferrabile oggetto del desiderio.
Angelica rappresenta, inoltre, l’amore, ideale irraggiungibile, ma anche primo motore delle nostre azioni. L’amore è il sentimento che dà pienezza all’esistenza ed è capace di spingerci a grandi imprese, pur rimanendo però, sempre un passo avanti , vicino, ma irraggiungibile. Il filo conduttore di tutto il poema di Ariosto è dunque l’amore come scopo a cui tendere.
La descrizione dell’amore come desiderio non appagato ha un forte valore metaforico: l’uomo è un essere sognate e desiderante e ognuno ha il suo fine da raggiungere per dare senso alla vita. Angelica è il simbolo dello scopo di cui ogni uomo ha bisogno per sapere di esserci. Per questo Angelica è perennemente in fuga. Lei dà senso alla storia finché è irraggiungibile. Quando un Medoro qualsiasi  la possiede , lei esce dalla narrazione. Questo vuol significare che l’ideale, una volta conquistato non è più importante, non dà più senso alla vita. All’uomo che è privato dell’oggetto del desiderio non rimane più nulla  se non la rabbia, la furia, la perdita della ragione.

 

Fonte: http://digilander.libero.it/artisticopiazza/lezioni/dibernardo/IL%20FURIOSO%20dispensa.doc

Sito web: http://digilander.libero.it/artisticopiazza/

Autore del testo: Di Bernardo C.

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Orlando Furioso  -   Canto I, 5-22

Angelica e i suoi inseguitori

       Riassunto - Orlando e Rinaldo, i due cugini paladini, sono entrambi innamorati di Angelica, la principessa del favoloso Catai, bellissima e inafferrabile; dato che i Saraceni sono alle porte di Parigi, re Carlo, che ha bisogno del braccio dei due suoi più forti paladini, affida Angelica al vecchio Namo duca di Baviera, promettendola a quello dei due cugini che meglio si comporterà in battaglia; ma i Cristiani vengono sconfitti.
     Angelica che non vuol saperne di Orlando e odia e teme Rinaldo, approfitta della confusione per fuggire, ma nella fuga si imbatte in Rinaldo, che la rincorre. 
      Durante l’inseguimento, nei pressi di un fiume, Rinaldo si trova davanti il saraceno Ferraù anche lui innamorato di Angelica; così inizia un feroce duello tra i due. Ad un certo punto per evitare che Angelica fugga definitivamente, i due duellanti, si accordano per rinviare la sfida fino al momento in cui l’avranno raggiunta e si lanciano insieme all’inseguimento sul cavallo di Ferraù, essendo Rinaldo in quel momento appiedato. (II poeta, giustamente esaltando lo spirito cavalleresco dei due guerrieri, esprime, sotto forma di apostrofe, il celebre commento: “Oh gran bontà dei cavalieri antiqui!”)

[5] Orlando che per lungo tempo fu innamorato della bella Angelica, e per lei in India, in Media, in Tartaria aveva compiuto infinite prove di valore, era ritornato con lei ad Occidente, dove ai piedi dei monti Pirenei, con le genti di Francia e Germania(Lamagna)  re Carlo aveva messo le tende in campo aperto (alla campagna),

 [6] per far schiaffeggiarsi da soli [cioè pentirsi amaramente](battersi ancor la guancia) ai re Marsilio ed Agramante di aver condotto con folle ardire, l’uno[Agramante] tutti gli uomini d’Africa in grado di portare spada e lancia; l’altro[Marsilio] di aver spinto avanti i Saraceni di Spagna per distruggere il bel regno di Francia.  E così Orlando arrivò al momento opportuno(a punto): ma subito(tosto) si pentì d’esservi giunto;

  [7] poiché qui [gli] fu tolta la sua donna: ecco il giudizio umano come spesso sbaglia(erra)! Quella donna che dalle sponde dell’estremo occidente[dove spunta la stella Espero] a quelle orientali [dove sorge l’aurora; eoi per “aurora” deriva dal greco “eos”] aveva difeso con una così lunga lotta, ora gli viene tolta in mezzo ai suoi amici, senza usare la spada, nella sua patria. Il saggio imperatore che volle spegnere la grave contesa(incendio) [scoppiata tra orlando e Rinaldo], fu colui che gliela tolse.

  [8] Pochi giorni prima era scoppiata una lite(gara) tra il conte Orlando e il suo cugino Rinaldo, che avevano entrambi il cuore caldo di desiderio amoroso per la non comune(rara) bellezza [di Angelica]. Carlo, a cui non era gradita questa lite, perché gli rendeva il loro aiuto meno saldo, prese questa giovinetta, che ne era la causa,  e la consegnò(diè in mano) al duca di Baviera;

 [9] promettendola in dono a colui che nella battaglia campale(gran giornata), avesse ucciso il maggior numero (più copia) di pagani e  con la sua mano avesse fatto imprese(opra) più gradite. Ma i risultati(successi) poi furono contrari alle speranze(voti); e i cristiani(la gente battezzata) furono messi in fuga,  e  insieme a molti altri il duca cadde prigioniero e la tenda(padiglione) restò incustodita.

 [10] Dove, dopo che era rimasta la giovane, che doveva esser il premio(mercede) del vincitore, s’era messa a cavallo e quando fu il momento adatto(bisognò) fuggì, prevedendo che la sorte quel giorno sarebbe stata avversa(rubella) ai cristiani: entrò in un bosco, e nell’angusto sentiero incontrò un cavaliere che andava a piedi.

 [11] Indossava la corazza, l’elmo in testa, la spada al fianco e teneva uno scudo in mano; e correva per la foresta più rapido(leggier) di [quanto non faccia] un contadino mezzo nudo per [raggiungere nelle gare di corsa] il drappo rosso. Una paurosa pastorella non fuggì(volse il piede) mai così veloce(sì presta) dinnanzi ad un serpente velenoso(crudo), di come Angelica tirò le redini(il freno), appena si accorse di quel guerriero che veniva a piedi.

[12] Era costui il famoso e valoroso paladino Rinaldo(figliuol d’Amon, signor di Montalbano), al quale poco prima il suo cavallo Baiardo per un evento straordinario(strano) era scappato. Appena egli rivolse lo sguardo verso la donna, anche se da lontano, riconobbe lo stupendo corpo (l’angelico sembiante) e il bel volto [di Angelica] che lo teneva impigliato nelle reti dell’Amore [met.:che l’aveva fatto innamorare].

 [13] La donna gira(a dietro volta) indietro il cavallo(palafreno) e lo spinge per la selva a tutta briglia; e non si cura di cercare la via migliore e più sicura dove la selva è più rada che folta: ma pallida tremando, e fuori di sé(di sé tolta),  lascia al destriero il compito(cura) di trovare la strada. Di sopra e sotto, nell’intricato bosco selvaggio girò tanto, fino a quando non giunse sulla riva [di un fiume].

 [14] Sulla riva si trovava Ferraù, tutto sudato e pieno di polvere. Dalla battaglia prima lo aveva rimosso un gran desiderio di bere e di riposo; e poi, per sua sventura(mal grado suo), si fermò qui, perché, desideroso di acqua, nella fretta, si lasciò cadere l’elmo nel fiume e non era ancora riuscito a recuperarlo.

  [15] Gridando più forte che poteva, avanzava la fanciulla spaventata. Sentendo la voce il Saraceno salta sulla riva e la guarda in viso e riconosce subito mentre arriva, anche se pallida e stravolta dalla paura ed da tanti giorni non ne aveva più notizia(novella), che senza dubbio ella è la bella Angelica.

 [16]   E siccome era cortese e forse non era meno innamorato dei due cugini [Orlando e Rinaldo], le porse tutto l’aiuto che poteva, come se avesse avuto l’elmo, coraggioso(ardito) e fiero(baldo): estrasse la spada e corse minacciando contro Rinaldo, che al pari di lui non lo temeva. Più volte s’erano non solo veduti, ma conosciuti attraverso il confronto delle armi.

 [17]   Cominciarono lì un feroce duello, appena si trovarono vicini, con le spade(brandi) sfoderate(ignudi): ai loro colpi non solo non  avrebbero retto le piastre [dell’armatura] e la sottile maglia [di ferro], ma neppure le incudini. Nel frattempo, mentre l’uno contro l’altro duellano, [per Angelica] è il momento opportuno(bisogna) che il cavallo affretti il passo; spronandolo a più non posso,  lei lo spinge verso il bosco e la campagna.

 [18]  Dopo che s’erano stancati[a combattere] a lungo inutilmente i due guerrieri per sopraffarsi a vicenda, dato che nessuno dei due era meno esperto(dotto) dell’altro nell’uso delle armi; fu Rinaldo (il signor di Montalbano) che per primo si rivolse a Ferraù, così come colui che ha nel cuore tanto ardore che brucia tutto e non trova pace(loco).

 [19]   Disse al pagano: - “ Avrai creduto [di danneggiare] me soltanto e invece insieme a me(meco) sarai rimasto danneggiato anche tu: se questo[duello] accade perché gli occhi(rai) luminosi di Angelica ti abbiano fatto innamorare(il petto acceso), che ci guadagni a farmi attardare qui? Poiché quand’anche tu mi abbia ucciso o catturato, la bella Angelica non sarà tua, perché mentre noi indugiamo, ella se ne va via.

 [20] Quanto sarebbe meglio, dal momento che tu la ami, che tu le vada a sbarrare la strada, per trattenerla ed arrestarla, prima che se ne vada più lontano! Quando l’avremo in [nostro] potere, allora si decida con la spada a chi debba appartenere(di ch’essere de’):  diversamente, mi pare inevitabile(non so) che da tante fatiche, non potrà venircene che danno”.

 [21] Al pagano la proposta non dispiacque; così il duello fu rimandato; e tra di loro subito nacque una tregua, l’odio e la rabbia vengono dimenticati(va in oblivione) a tal punto che il pagano allontanandosi dalle fresche acque [del fiume] non lasciò a terra Rinaldo: lo invita con preghiere e infine lo fa montare sul suo cavallo e galoppano sulle tracce di Angelica.

[22] Oh gran bontà degli antichi cavalieri! Erano nemici, erano di religione() diversa, e avvertivano sul corpo ancora il dolore per le ferite ricevute (aspri colpi iniqui); eppure per boschi ombrosi e sentieri tortuosi, vanno insieme senza aver sospetto. Spinto da quattro speroni il cavallo arriva ad un bivio(ove una strada in due si dipartiva). 

 

Fonte: http://www.liceoodierna.it/default,htm/LETTERATURA%20ITALIANA/ariosto/Angelica%20e%20i%20suoi%20inseguitori.doc

Autore del testo: Amato

 

L’ORLANDO FURIOSO

Ariosto ha lavorato a questo poema per quasi trent’anni, iniziato nel 1504 e terminato solo un anno prima della sua morte.

La prima edizione, strutturata in 40 canti, è del 1516. Il contenuto dell’opera è già quello definitivo, le modifiche che l’autore farà in seguito riguarderanno solo il piano della forma.

La seconda edizione appare nel 1521, ed è una rielaborazione formale della prima.

Nell’ultima edizione del 1563, Ariosto aggiunge 6 canti all’Orlando furioso, portando i canti a 46.

La perpetua insoddisfazione per la sua opera che lo porta ad un continuo labor limae avvicina Ariosto al Petrarca.

Ariosto ha scelto come metro per scrivere il poema l’OTTAVA che verrà soprannominata dai critici OTTAVA D’ORO per la perfezione e l’equilibrio formale.

Secondo l’Autore, il sonetto e la canzone non erano adatti per esprimere temi amorosi, pertanto per il suo poema ha creato questa forma metrica che meglio si adattava al tipo di contenuto epico scelto.

Ariosto si ispirò per la sua opera all’ “Orlando innamorato” di Matteo Maria Boiardo ed afferma che modestamente che l’Orlando furioso non è altro che una  “gionta” (aggiunta) all’opera del Boiardo.

Nell’opera del Boiardoi protagonisti si innamorano un po’ tutti di Angelica per avere bevuto ad una fontana magica.

L’Orlando furioso si può dividere in tre filoni principali che si intrecciano tra loro continuamente:

  1.  il filone della guerra tra Carlo Magno ed i Saraceni. I Paladini riescono a mandare via dalla Francia i Saraceni che rimarranno in Spagna fino alla Reconquistas quando vi sarà la cacciata dei moriscos

 

  1.  il filone dell’amore tra la bella Angelica, principessa del Katai (Cina), ed Orlando che viene contesa con Rinaldo. Angelica fugge tra i boschi facendosi inseguire dai due Paladini innamorati, Rinaldo e Orlando.

La principessa, durante la fuga, si innamora però di un terzo uomo: uno sconosciuto soldato saraceno ferito, Medoro, che cura amorevolmente.

I due innamorati si erano rifugiati in una caverna e sull’albero davanti alla spelonca incidono un cuore con scritto A M

Orlando venendo a sapere di questo amore impazzisce, perdendo il senno.

  1. Nel terzo filone, Astolfo avrà il compito di andare sulla luna per recuperare il senno perduto di Orlando.

 

Per compiere l’impresa Astolfo partirà con il cavallo alato Ippogrifo, per andare sulla luna dove vi si trovano, contenuti in ampolle, i senni di tutti coloro quelle che sulla terra hanno perso la ragione.

Nel medesimo filone si inserisce l’elemento encomiastico (che loda) costituito dall’elogio che Ariosto fa alla famiglia degli estensi narrando dell’amore tra Ruggiero, un eroe saraceno, e Bradamante, una donna guerriera cristiana.

In Ruggiero l’Ariosto identifica il capostipite della famiglia degli estensi Ercole I° d’Este.

Per sposare Bradamante Ruggiero si convertirà al cristianesimo e nell’ultimo canto si assisterà al matrimonio tra i due innamorati.

Nell’opera si può passare tra un personaggio, come Orlando, che esprimeva la propria devozione al re ad un Orlando che, dimenticando la propria devozione, corre dietro ad Angelica.

Per quanto riguarda il senso della “cortesia” (codice d’onore) tra pagani e cristiani, nel poema si passa da scene in cui questo codice è rispettato ad altre in cui invece è calpestato.

Per quanto riguardo l’amore l’Ariosto passa, indifferentemente, dal sentimento all’erotismo.

Queste strategie narrative, oltre all’inserimento nel poema di innumerevoli colpi di scena, mirano a conquistare e a tenere desta l’attenzione del lettore.

Ciò non lascia spazio all’autore per un approfondimento psicologico reale dei protagonisti.

Un elemento importante che Ariosto inserisce nel poema è quello del “meraviglioso” ovvero il ricorso nella storia ad elementi magici.

Nell’Orlando Furioso vi è infatti il personaggio del mago Atlante che risolve alcune situazioni ricorrendo alla magia per aiutare i saraceni.

Anche Astolfo ricorrerà ad un libro magico per riuscire a combattere l’incantesimo del mago Atlante gli impediva di recuperare il senno perduto di Orlando.

Tra gli elementi magici, troviamo anche gli interventi divini e il ricorso a figure angeliche e demoniache inserite, più che per motivi religiosi, per variare l’invenzione e per essere spunto di piccante ironia.

Pagg. 304 – 306

 

Fonte: http://www.paolomalerba.it/Didattica/Orlando%20furioso.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

 

 

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