Letteratura latina

 

 

 

Letteratura latina

 

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Letteratura latina

 

CENNI DI STORIA ROMANA IN ETA’ IMPERIALE

Augusto muore nel 14 d.C. Il principato augusteo fu caratterizzato da un ritorno all’ordine, alla tradizione, le leggi furono rigide e tesero e ritornare ad un tradizionalismo che ormai si era perso.
Gli autori riescono a lavorare in autonomia anche senza andare contro le idee del principe, e per la letteratura ci fu una crescita con l’introduzione dell’epica, dell’elegia...
Il successore di Augusto è Tiberio che regna fino al 37 d.C. il nuovo principe risulta una persona oscura e crudele. E’ un momento di stasi culturale. Nasce solo una storiografia filosenatoria che non rimane perché i lavori vengono distrutti e gli autori uccisi. Gli unici scritti che ci giungono sono quelli di Velleio Patercolo e Valerio Massimo che sono rappresentanti del partito della parte del principe, e scritti scientifici e astrologici di Manilio e la storia di Alessandro Magno scritta da Curzio Rufo.
Tiberio è un imperatore sospettoso e non riesce a governare in nodo stabile tanto che bisogna formare delle corti pretorie. Viene rispolverata una legge che aveva come scopo di salvaguardare gli interesse del principe e che permette a Tiberio di mandare a morte un numero considerevole di persone.
Roma ha problemi sia all’interno che all’esterno con i Galli che premono a causa di una dura pressione fiscale.
Nel 33 si ha una crisi economica, per cui Tiberio non continua le opere pubbliche e al posto di spendere tesaurizza facendo circolare sempre meno moneta.
Nel 37 Tiberio muore e al suo posto sale al trono Caligola uno dei due figli che Tiberio aveva adottato.
Caligola soffre di epilessia e aveva delle manie.
Fino al 41 cerca di non compromettere il rapporto con lo Stato, impone nuove tasse alle provincie per finanziare opere pubbliche e fa una politica estera finalizzata alla conquista della Britannia.
Indice anche una persecuzione violenta contro gli Ebrei in Palestina, tanto che il suo successore dovrà istituire una legge per tutelare il loro diritto di commercio e di religione.
Gli succede Claudio, che ha tendenze concilianti, concede donati in denaro o in frumento al popolo e si circonda di liberti. Tenta quindi di ingraziarsi il popolo.
E’ sfortunato nella scelta delle mogli: si sposa quattro volte e una delle mogli è Agrippina, mamma di Nerone che nel 54 gli succede al trono.
Quando sale al trono Nerone è troppo giovane per governare da solo per cui gli si affiancano la madre e Seneca. Fino al 59 la sua politica è sana, poi la sua indole lo porta a compiere gesti ingiustificati, come l’uccisione della stessa madre.
La sua politica è volta a ingraziarsi il popolo attraverso donati e il senato delegando certi poteri.
Fa costruire la DOMUS AUREA spendendo tutti i soldi dello Stato. Inoltre provoca la svalutazione del denario, coniando monete che non sono realmente d’argento.
Nerone si suicida quando si rende conto di essersi attirato le ire del Senato e del popolo, lasciando Roma in estrema povertà.
Nel 68 si ha un periodo di anarchia e nel 69 si succedono al trono quattro imperatori: Galba, Otone, Vitellio e infine Vespasiano (fondatore della stirpe dei Flavi).
In questo periodo si tenta di riportare un ordine e una pace tipiche dell’epoca di Augusto. La politica è volta al risparmio e si tenta di riportare un ordine personale con la costruzione di monumenti che esternassero la potenza del principe (Colosseo).
Tito regna per pochi anni e poi sale al potere Domiziano fino al 96.
La sua politica è rivolta alla persecuzione dei cristiani, e viene definito un imperatore crudele.
Si tenta di ristabilire un rapporto tra principe e Senato.
Per quanto riguarda la letteratura si ritorna ai generi classici come l’epica privilegiando un certo formalismo.
La grande fioritura letteraria si ha però con l’impero di Nerone che era amante delle arti. Aveva promosso varie gare tra artisti, poeti e musicisti. Nerone vuole fare da mecenate ma è troppo incline all’ira e all’invidia tanto che mette a morte letterati solo perché invidioso della loro opera. (Come Seneca, Lucano, Petronio). Queste notizie ci giungono da Tacito e Svetonio.

 

SENECA


Seneca nasce a Cordoba in Spagna forse nel 4 a.C. in una famiglia equestre e quindi da un ceto ricco; suo padre era un retore.
Roma lo attrae ma sente anche il desiderio di isolarsi; studia filosofia e retorica.
Intorno ai 30 anni si reca in Egitto per motivi di salute e quando torna a Roma intraprende la carriera politica e forense, dandosi quindi non solo alla filosofia ma anche all’oratoria.
Sotto Claudio viene coinvolto in uno scandalo e viene mandato in esilio per otto anni in Corsica dal 41 al 49.
Nonostante approfitti di questa situazione per isolarsi come lo stoicismo dettava, voleva tornare a Roma e per questo scrive la Consolatio ad Polybium, una consolazione a Polibio liberto di Claudio per la morte di un fratello.
Viene richiamato a Roma da Agrippina, madre di Nerone per affiancare il nuovo imperatore al potere.
Nel 65 viene costretto da Nerone a uccidersi perché ritenuto partecipe alla congiura dei Pisoni..
Le sue opere sono di carattere filosofico divise in Dialoghi, in 12 libri, che toccano vari temi di natura filosofica, morale, psicologica...; 3 consolationes, genere di origine antica che ha come scopo la consolazione; il De Clementia trattato filosofico politico dedicato a Nerone, 9 tragedie coturnate.

Seneca scrive il De Brevitate vitae tra il 48 e il 55. In questo libro tocca il problema del tempo e della morte. Chi si lascia vivere sono detti OCCUPATI che non hanno tempo perché presi dalle loro attività. Il SAPIENS è colui che si dà all’OTIUM disdegnando gli affari pubblici come gli epicurei.

IL POSSESSO DEL PASSATO E’ DURATURO E TRANQUILLO
Nessuno, se non colui dal quale ogni cosa è stata fatta sotto il controllo della coscienza, che non sbaglia mai, si volta volentieri al passato.
Colui che molte cose ha desiderato con ambizione, che ha disprezzato con superbia, chi ha vinto in modo smodato, chi ha ingannato con insidia, che ha speso in modo prodigo, è necessario che tema il suo passato.
Questa è la porta del nostro tempo sacra e inviolabile che va oltre i casi umani, né la povertà né il timore né la malattia lo sconvolgono.
Questo non può essere turbato né sottratto, il possesso di questo è perpetuo e tranquillo.
Soltanto i singoli giorni e anche questi momento per momento sono presenti; tutti i giorni del tempo passato quando l’avrai ordinato saranno accessibili; si lasciano osservare e trattenere a tua discrezione, manca il tempo di fare ciò a chi è completamente preso dagli impegni quotidiani.
E’ tipico della mente sicura e tranquilla passare in rassegna in ogni parte della sua vita; gli animi degli occupati non possono volgersi e osservare, come fossero sotto un giogo.
Dunque la loro vita penetra nel profondo come se nulla giova, riempi pure quanto vuoi perché per quanto tu lo riempi non serve a nulla se non c’è lì sotto qualcosa che serva a questo, così non importa quanto tempo è stato dato, se non c’è dove si deposita ciò che è stato trasmesso attraverso gli animi scossi e forati.

 

Nell’introduzione al De Brevitate vitae Seneca spiega che la vita è lunga se sappiamo usarla bene.
Non è importante quanto sia il nostro tempo, ma come lo viviamo.

NON ABBIAMO POCO TEMPO MA NE PERDIAMO MOLTO
La gran parte dei mortali si lamenta della ingenerosità della natura, perché siamo generati per poco tempo, perché il tempo dato ci corre tanto

 

Le Epistole a Lucilio sono un corpo di dieci libri di lettere indirizzate a Lucilio nelle quali Seneca tratta argomenti filosofici in modo sistematico, cioè ogni lettera contiene un argomento diverso, non è un progetto unitario.
Per esempio Seneca tratta della figura del saggio anche nel “De tranquillitate animi” descrivendolo come sicuro di sé perché slegato dalle forze materiali.
Nella 28^ epistola Seneca tratta dell’angoscia interiore dell’uomo che lo porta a viaggiare, a cercare nuovi posti, ma il poeta sostiene che è l’animo che deve cambiare non il cielo sotto il quale si vive.
I romani sentivano in modo forte questo sentimento di angoscia, che si traduceva in una paura della morte, della malattia, del dolore, del passare del tempo e dell’impossibilità di godere dei beni terreni.
I poeti che tentano di convincere gli altri con i loro trattati filosofici in ultima analisi tentano di convincere sé stessi.
Altri autori hanno parlato di questi sentimenti, per esempio Lucrezio nel 5^ libro parla di chi vive una vita senza sosta solo per non avere il tempo di pensare alla propria angoscia interiore; Orazio nelle Epistole dice che chi sta bene nell’animo non ha bisogno di viaggiare.
Nella Epistola 47 a Lucilio Seneca tratta invece della condizione dello schiavo. In età arcaica lo schiavo era trattato come un oggetto, alla stregua di un animale o di un attrezzo. Verso l’età imperiale questa concezione si affievolisce e si giunge ad un’idea più umana dello schiavo, senza mai arrivare all’abolizione della schiavitù.
Seneca con il suo ragionamento sfiora l’ideale cristiano pur senza conoscerlo e pur rimanendone a grande distanza, infatti i cristiani vivevano ancora clandestini dopo le persecuzioni neroniane.

Dalla 47^Epistola a Lucilio:
“So con piacere da coloro che vengono da te che tu vivi famigliarmente con i tuoi servi: questo si addice alla tua saggezza e alla tua educazione. Sono servi ma uomini. Sono servi ma compagni. Sono servi ma umili amici. Sono servi ma compagni di schiavitù, se pensi che su loro e su di noi la fortuna ha lo stesso potere. Infatti rido di quelli che stimano disonorevole cenare con gli schiavi: per quale motivo, se non perché una consuetudine superba vuole che una folla di servi circondi il padrone che cena.
Egli mangia più di quanto possa contenere e appesantisce il ventre già pieno e ormai disabituato alla digestione tanto da rigettare con più fatica il cibo più che a ingerirlo. Ma non è lecito ai servi infelici muovere le labbra neanche per parlare; infatti è punito con la verga ogni mormorio, e neppure le cose involontarie sono esentate dalle bastonate, tosse, starnuti, singhiozzi;

 

 

 

 

LO STOICISMO DI SENECA

Lo stoicismo è un movimento che nasce nel III^ secolo a.C. fino al II^secolo d.C. fondato da Zenone in Grecia.
L’unica parte che interessa ai Romani è l’etica, anche se per Seneca la stessa logica e la fisica assumono un ruolo importante. Il cosmo è formato dal LOGOS che è la parte attiva e dalla materia, che è la parte passiva.
Il saggio si avvicina al logos attraverso il distacco dalle cose materiali.
Tra i saggi e i non saggi si configura una terza via : il PROFICIENS, colui che migliora. Il periodo in cui si sviluppa questa nuova concezione è l’età di mezzo del periodo stoico.
Panezio di Rodi contribuisce alla formazione del concetto di umanitas e si rivolge all’uomo pratico, quello impegnato nell’attività politica. Prima la vita politica veniva ignorata, ora si tende a conciliare l’otium con il negotium.
La filosofia deve essere una condotta di vita. Tra il I^ e il II^ secolo si sviluppa il neostoicismo, dove trionfa una linea moderata che cerca di legittimare le istituzioni e gli interessi verso la vita politica.
Secondo lo stoicismo l’uomo deve sopportare il dolore e reagire con uno stato d’animo che superi le debolezze della natura umana. Il suicidio è un atto buono quando è socialmente utile o è fatto per la libertà e non per sfuggire ai doveri.

Seneca scrive tre consolationes che sono collocate tra le sue prime opere.
La Consolatio ad Marciam è scritta tra il 37 e il 41 ancora sotto il regno di Caligola.
Questa consolatio è stata scritta per la matrona Marzia, figlia della storico Cremuzio Cordo, che era stato mandato a morte per le sue idee filosenatorie e i suoi libri furono distrutti.
Il genere della consolatio ha antiche radici greche. Già nelle opere di Omero si trovano elementi di consolazione e poi ci fu un’opera, la Consolazione alla moglie di Plutarco che sarà di modello per Seneca.
La consolatio sparisce con l’avvento del cristianesimo, perché agli elementi laici di consolazione si sostituisce la speranza cristiana.
I temi delle consolaziones sono apportati dalla filosofia stoica e cinica e sono: l’inutilità del dolore, l’infondatezza dei motivi di afflizione, la vita troppo lunga può essere un danno, la morte non è un male......
le altre due consolationes di Seneca sono Ad Polybium, scritta per adulazione per tornare a Roma e Ad Helviam matrem scritta per consolare la madre per la sua assenza a causa dell’esilio.

 

 

Parole di consolazione di Seneca a Marcia, addolorata per la morte immatura del figlio
Pensa quanto di buono ci sia in una morte avvenuta in un momento opportuno, quanto abbia nuociuto a molti essere vissuti più a lungo. Se la malattia avesse portato via a Napoli Gneo Pompeo, decoro e stella dell’impero, sarebbe morto come principe indiscusso del popolo romano.
Ma ora un’aggiunta di un breve periodo ha portato via costui dai propri onori: vide le legioni massacrate davanti a lui e dalla stessa battaglia nella quale la prima linea fu il senato, quali infelici sopravvissuti! Vide lo stesso imperatore essere sopravvissuto; vide il carnefice egiziano e affidò il sacrosanto corpo anche al vincitore ad un personaggio minore, ma se fosse rimasto incolume si sarebbe pentito della salvezza: che cosa infatti sarebbe stato più turpe che Pompeo vivesse al beneficio del re?
Se Cicerone fosse morto nel tempo in cui evitò i pugnali di Catilina, con i quali lo aggredì insieme con la patria, se liberato lo stato, conservatore di quella, se poi avesse seguito la morte di sua figlia allora avrebbe potuto morire felice: non avrebbe visto le spade strette contro i suoi concittadini né i beni delle vittime divisi tra gli uccisori, così che morissero del suo, non avrebbe visto colui che vende all’incanto i beni dei consoli , né le stragi, né i latrocini ai beni pubblici, le guerre, i saccheggi tanto grandi dei congiurati di Catilina.

 

PETRONIO

 

Petronio insieme ad Apuleio è il primo romanziere dell’età romana. Il suo romanzo, il “Satyricon” ci è giunto frammentario, ma è sufficiente per capirne la beffa contro il romanzo d’amore alessandrino.
Tacito parla di Petronio per la sua eleganza, la sua forma e  i suoi modi e per esaltarne il coraggio di uccidersi per volere dell’imperatore, anche se al momento della morte scriva una lettera nella quale elenca tutti i vizi dell’imperatore stesso.
Ma Tacito non scrive riguardo il suoi romanzo.
Il Satyricon è un romanzo che si presume molto lungo. La trama non è conosciuta ma è importante perché Petronio inserisce dei trattati circa problemi morali e filosofici che ci servono per ricostruire la società e il pensiero del periodo neroniano e valutarne gli usi i costumi e le classi sociali.
Il titolo può avere varie interpretazioni: alcuni pensano ai SATIRI che sono personaggi mitologici metà uomo e metà capra che erano il simbolo della fecondità; altri hanno pensato invece alla SATIRA come composizione scritta in prosa e in versi.
Il frammento più lungo pervenuto è quello riguardante la “cena di Trimarchione” un ricco signore che alleste una cena durante al quale succedono degli episodi di ogni genere.
Questo spezzone è importante perché descrive l’interno di una abitazione e riporta gli usi della società del tempo ormai corrotta.
Quella di Petronio non è però una critica morale, ma una denuncia al cattivo gusto, cioè alla mancanza di eleganza e alla continua corruzione della società.
Petronio inserisce anche digressioni e storielle come quella della Matrona di Efeso, esempio di donna integerrima che non si dà pace dopo la morte del marito.
Soprattutto in queste storielle si ritrovano elementi della FABULA MILESIA di Aristide che presentava situazioni imbarazzanti in cui si proponeva una visione diversa dell’amore.
L’assenza di un giudizio morale contro i comportamenti dei personaggi, fatto ammirato invece dalla critica dell’800 e all’inizio del ‘900.
La parodia che si ritrova nel Satyricon verso gli autori come Seneca, Ovidio e Omero riprende lo stile dei CARMINA PRIAPEA, una tradizione diffusa nel I^ secolo a.C.
Il linguaggio di Petronio è difficile perché inserisce dei termini dialettali e ricalca il parlato dei servi, che erano di origine orientale.

Dal Satyricon di Petronio:
“Dunque ci sdraiamo mentre dei servi alessandrini ci versavano sulle mani acqua gelata e altri si stendevano ai nostri piedi e con grande capacità ci tagliavano le unghie, neppure in questo compito noioso tacevano, ma intanto cantavano.
Io volli provare se tutti i servi cantassero e quindi chiesi da bere. Prontissimo un servo mi esaudì accompagnando con un canto non meno fastidioso.
Così  a chiunque venisse chiesto di portare qualcosa, avresti potuto pensare che si trattasse di un coro di pantomimi non di un signore.
Ci fu portato un antipasto molto ricco; tutti si erano sdraiati tranne Trimalchione al quale era riservato il posto d’onore (solitamente era riservato ad un ospite), inoltre su un vassoio c’era un asinello corinzio con una bisaccia che portava da una parte olive bianche e dall’altra olive nere. Due piatti da portata coprivano l’asinello nei quali sui lati c’era scritto il nome di Trimalchione e un peso d’argento. Dei ponticelli con armature di ferro sostenevano ghiri cosparsi di miele e papaveri. (i romani amavano i gusti contrastanti come dolce-salato). C’erano involtini che friggevano sopra una graticola d’argento e sopra c’erano prugne siriache e granelli di melograno punici.
Mentre eravamo tra queste raffinatezze Trimalchione viene introdotto con accompagnamento musicale  e posto tra cuscini provoca tra noi che non ce l’aspettavamo il riso.
Da un palio rosse veniva fuori una testa rasata e intorno al collo infagottato di panni aveva avvolto un fazzoletto orlato di rosso con frange che perdevano di qua e di là.
(la fascia rossa solitamente orlava la veste del senatore).
Aveva anche al mignolo sinistro un grosso anello placcato d’oro mentre sull’anulare un anello più piccolo tutto d’oro, come mi pareva, tempestato di stelline di ferro. (l’anello d’oro era simbolo di dignità del cavaliere). Per non mostrare solamente queste ricchezze aveva il braccio destro ornato di un braccialetto d’oro e d’avorio legato con una lamina splendente.”

Il testamento di Trimalchione
Durante la cena c’è una messa in scena di un funerale e un continuo riferimento alla morte. Trimalchione stende così un testamento e Petronio rovescia qui un precetto filosofico che si era trovato in Seneca sulla “umanità” degli schiavi.

Trimalchione disse: “amici, i servi sono uomini e allo stesso modo hanno bevuto lo stesso latte, anche se il destino li ha oppressi, tuttavia se io sono libero, presto gusteranno l’acqua della libertà.
Alla fine libero tutti loro nel mio testamento”.
Allora guardando Abinna disse:” Cosa dici amico carissimo? Edificherai il mio monumento nel modo in cui te l’ho ordinato? Ti chiedo fortemente di scolpire presso i piedi della mia statua la mia cagnolina, corone e profumi e tutti i combattimenti di Petraito, affinchè dopo la morte grazie al tuo beneficio mi tocchi ancora vivere; inoltre che siano di fronte 100 piedi e in profondità 200.
Inoltre voglio che ci siano presso le mie ceneri ogni specie di frutto e vigne in quantità.
Infatti è proprio una cosa errata che quando siamo vivi le nostre case siano ben curate e dove dobbiamo abitare più a lungo non siano curate.
E poi prima di tutto voglio aggiungere “Questo monumento non spetta all’erede”.
Sarà mio interesse badare nel testamento di non ricevere alcuna ingiuria da morto.
Infatti pongo davanti al mio sepolcro uno dei liberti in custodia affinché il popolo non corra al mio monumento per insudiciarlo.

 

LUCANO
Lucano nasce a Cordova, in Spagna, nel 39 d.C. e muore nel 65 d.C. quando viene scoperta la congiura dei Pisoni antineroniana.
La sua formazione risente della tradizione spagnola, studia a Roma filosofia e si appassiona soprattutto della corrente stoica.
Insieme ad altri autori fa parte della corte di Nerone, il quale probabilmente era anche geloso di Lucano. Accusato di aver partecipato alla congiura dei Pisoni gli viene ordinato di svenarsi.
L’unica opera che abbiamo di Lucano è il BELLUM CIVILE o PHARSALIA.
Quest’opera sarà importante per il Medio Evo per ricostruire le guerre tra Cesare e Pompeo dato che non erano conosciute le due opere di Cesare.
E’ difficile conoscere la formazione culturale di Lucano perché è morto giovane e non si sa se dopo l’opera abbia cambiato qualche sua concezione.
La Pharsalia è un poema epico anche se si differenzia da questo stile prima di tutto per il numero dei libri, che sono 10 al posto di 6 o 12 o 24. Inoltre l’autore presenta un argomento attuale, cosa che è strana perché l’epica prevede un contenuto che guardi al passato.
Lucano tratta delle guerre tra Cesare e Pompeo che diventa trasportato nell’ambiente del tempo una lotta tra il potere imperiale incarnato da Nerone e le idee repubblicane. Sotto la figura di Cesare forse si nasconde Nerone.
Un altro personaggio importante è Catone l’Uticense, che assume il ruolo del saggio che lotta in modo “titanico” per la libertà.
La critica lo colpisce quindi nello stile, nel contenuto e nella forma. Spesso più che come un’opera epica viene vista come un’opera storica in versi.
I retori hanno posto delle censure perché la Pharsalia abbonda di sentenze concettose che avvicinano l’opera all’oratoria, più che all’epica.
Inoltre abbonda di immagini e situazioni truculente, di cattivo gusto: morti, feriti, ecatombe....
C’è in particolare l’immagine dei soldati pompeiani che muoiono per il morso di serpenti che farà scatenare la fantasia dantesca.
Nella storia della letteratura romana precedente Virgilio aveva il ruolo di modello da seguire. Lucano crea nella Pharsalia un’opera anti Eneide .
Uno degli elementi di distacco tra la Pharsalia e l’opera di Virgilio è la mancanza nella prima dell’elemento mitologico e degli interventi diretti delle divinità. In Lucano si trova solo la presenza del fato che ha una forza tale da rendere impossibile ogni reazione umana o divina.
Probabilmente Lucano va incontro ad una delusione politica : prima infatti è convinto che Nerone avesse il potere di riformare lo Stato; in un secondo momento si rende conto del mal governo dell’Imperatore e questo lo porta ad un pessimismo e alla considerazione dell’universo diviso tra forze del bene e forze del male.

 

LA SATIRA

Nel ‘700 nasce una critica che giudica la letteratura latina una brutta copia di quella greca e quindi sostiene una dipendenza totale della prima dalla seconda.
Come sottolinea Quintiliano, retore di età flavia, la satira invece è un genere letterario autonomo.
Lucilio è ritenuto l’inventore della satira, ma di lui si hanno poche fonti.
Grande autore di satire (sermones) è Orazio, che scrive due libri di satire in esametri, nelle quali non prende di mira le singole persone, ma i difetti dell’umanità proponendo però un modo per uscire da essi. Il metodo di vita è quello della AUTARKEIA o MODO in latino, cioè dell’auto sufficienza.
Durante l’età imperiale però alcune situazioni mutano per esempio la dipendenza dal princeps.
Augusto infatti era aperto ai letterati anche a quelli che non erano sempre dalla sua parte.
Da Nerone in poi l’imperatore non protegge più i letterati e la situazione generale è pervasa da un senso di pessimismo. Anche i contenuti delle opere cambiano. Autori come Persio e Giovenale si limitano a una critica aspra nei confronti di personaggi e situazioni ma senza cercare un rimedio.
La loro è un’invettiva spesso cruda e grottesca per descrivere una situazione irreversibile, nella quale si perdono certezze, costumi e punti di riferimento.
La corruzione diventa la norma ed è difficile ridare un ordine ad una situazione caotica.
C’è un vuoto anche dal punto di vista religioso, dilagano una serie di credenze che si fondono e dagli strati bassi della società comincia ad emergere il cristianesimo che viene perseguito prima da Nerone e poi da Domiziano.
Sono presenti anche teorie filosofiche che cercano di rispondere a certe esigenze e che si rifanno allo stoicismo.

 

PERSIO

Vive dal principato di Caligola a quello di Nerone quindi tra il 34 al 62 d.C. Lascia un libro di 6 satire in uno stile oscuro e difficile. 
Il suo pensiero abbraccia lo stoicismo e quindi è forte l’idea di integrità morale.
Prima delle satire c’è un prologo che consta di COLIAMBI nei quali polemizza sulle mode del tempo. Le satire trattano dei vizi della società, delle mode letterarie, come quelle neoteriche e della poesia lirica, dell’ipocrisia della società, della necessità della preghiera come incontro personale con la divinità. Tratta poi di un giovin signore che vive frivolo e ozioso senza seguire una vita morale.
Il moralismo a volte si carica di immagini ossessionanti come quella di tutto ciò che è corporeo: immagine del ventre, del cibo che rende l’uomo simile ad un animale.
Ispirata alla Epistola a Lucilio di Seneca l’immagine del ricco signore che muore nel bagno.
Nelle satire di Persio si ritrova una fenomenologia del vizio, ma l’atteggiamento generale è quello dogmatico, l’autore si erge a MAGISTER di riflessione e descrive le situazioni dal di fuori.
Lo stile è rusticus, difficile, la lingua è dura e forse sente influssi dialettali.
Persio avrà molta fortuna durante il Medio Evo.

 

GIOVENALE

Nasce tra il 50 e il 60 d.C. e muore dopo il 127, in età adrianea.
La sua produzione consta di 16 satire divise in più libri.
La sesta satira è la più lunga in assoluto ed è contro le donne di tutte le classi sociali, contro le matrone e tutti gli esempi positivi fino ad ora inculcati.
FACIT INDIGNATIO VERSUS Quello che Giovenale critica in Orazio e Persio è la mancanza di un rimedio al vizio, mentre lui sembra provare piacere a descrivere il vizio.

 

ETA’ FLAVIA

L’età flavia copre gli anni tra il 69 d.C. e il 96 d.C. e comprende gli imperi di vespasiano, Tito e Domiziano .
Gli autori del periodo sono quelli che si occupano di epica come Stazio (presente in due canti del Purgatorio dantesco), Plinio il Vecchio che si occupa di scienza, Quintiliano per la retorica e Marziale.
Nell’anno 69 si succedono quattro imperatori fino a che viene eletto vespasiano per acclamazione imperiale da parte dell’esercito.
Vespasiano non era un nobile, ma un oculato uomo d’affari e la sua politica si muove verso la buona amministrazione e la stabilità politica. Ha il compito difficile di ristabilire le finanze e la politica distrutta da Nerone che si era alienato il Senato.
La politica estera consiste invece nel 70 nella debellazione della rivolta dei Galli e di quella della Palestina che porta alla distruzione del Tempio di Gerusalemme e alla diaspora degli ebrei.
Il principato di Vespasiano si delinea come un principato che riprende la politica tradizionalista di Augusto, ma solo nella forma. Promuove attività culturali limitando le spese pubbliche e diminuendo l’esercito. Vengono però potenziate le opere pubbliche come terme, acquedotti, strade che fanno acquistare prestigio all’imperatore e opere di grande monumentalità che indicano la grandezza del princeps come il Tempio di Giove capitolino, l’arco di Tito, e il Colosseo.
Le dimostrazioni dell’apprezzamento di queste opere è dimostrato dalla presenza di iscrizioni onorarie.
Nel 79 il regno passa a Tito che regna solo per tre anni. La fonti parlano di una certa crudeltà dell’imperatore che però si rivela saggio e si prodiga durante l’eruzione del Vesuvio durante la quale perde la vita Plinio il Vecchio.
Nel 81 il regno passa a Domiziano che governa fino al 96. Domiziano si occupa principalmente di politica militare e nel 83 inizia un’operazione contro una popolazione della Germania e completa l’assoggettazione della Gran Bretagna con il comandante Giulio Agricola.
Tacito fa una biografia di Agricola che muore in circostanze poco chiare e lui attribuisce la colpa all’imperatore.
Domiziano imposta la politica sull’assolutismo e impone il culto divino.
Cominciano anche le persecuzioni verso i cristiani e gli ebrei che si rifiutano di adorare l’imperatore.
Anche all’età di Caligola si era avuto un pogrom contro gli ebrei che fu un fatto isolato ma violento. Il fatto risale alla morte della sorella dell’imperatore, il quale aveva imposto che le attività commerciali fossero sospese, ma gli ebrei non accettano. La fonte che ci parla di questo è il greco Flavio Giuseppe, un ebreo che scrive in greco, nella Guerra giudaica e nell’Antichità giudaiche.
Giuseppe tenta di conciliare la cultura ebrea a quella romana.
Il comportamento di Domiziano ha condotto a una congiura che lo porta alla morte.
Dal punto di vista culturale c’è una volontà di monumentalità. Nella ritrattistica e nella scultura prevale un gusto realistico.
La restaurazione della situazione politica è seguita anche sul piano culturale. L’arte dell’età flavia ripudia lo stile barocco dell’età neroniana e riprende il classicismo di Cicerone e Virgilio.
Si prediligono l’epica e la prosa.
Questi autori flavi arrivano ad un formalismo, riprendendo gli aspetti formali della cultura augustea, ma senza accettarne i contenuti.
I flavi cercano di promuovere la formazione culturale dei giovani tanto che viene affidato a Quintiliano il compito di proporre modelli di educazione dei fanciulli che riprendono i modelli di Cicerone. (Quintiliano rifiuta l’asianesimo).
Marziale è l’unica voce di dissenso, ma ciò che scrive sembra finalizzato ad un’ottica commerciale perché il suo umorismo è spesso grottesco e di maniera.
Gli autori come Stazio assumono come modello Virgilio. E’ autore si due poemi: Tebaide e uno incompleto Achilleide. Esiste anche una raccolta di brevi liriche di stampo ellenistico: SILVE, che sono opere di erudizione.
PLINIO IL VECCHIO  scrive la storia naturale nel 77 in 37 libri dedicati a Tito.
Tratta di numerose materie: medicina, geografia, biologia….l’opera ha carattere enciclopedico. E’ un’opera di carattere compilativo frutto di curiosità, priva di valore scientifico perché confonde la scienza con   l’osservazione.
Era di Como e era un uomo di grandi ricchezze, nasce intorno al 24 e muore  nel 79 a causa delle esalazioni dovute all’eruzione del Vesuvio.
In quel periodo Plinio era prefetto navale a Misano e per curiosità si reca sul posto dell’eruzione, fa evacuare le persone dal posto ma muore.
La NATURALIS HISTORIA mischia elementi scientifici a fatti strani, però è importante per la ricostruzione del contesto storico e per avere notizie su usi e costumi e sulla religiosità. Non c’è ricerca stilistica.
MARZIALE scrive degli epigrammi ispirati non da una genuinità, ma da una critica ipocrita della società. Tratta una vasta gamma di temi che hanno tutti una prefazione.
Nasce nel 40 in Spagna e giunge ventenne a Roma per fare il cliente presso i nobili.
Questa condizione non lo soddisfa ma non riesce a staccarsi dall’Urbe.
Nell’80 viene inaugurato il Colosseo e Marziale scrive un epigramma “Liber de spectaculis”. La costruzione era iniziata sotto Vespasiano nel 70 e è stata portata a compimento in 10 anni.
E’ alto 50 m. e disposto su quattro piani in travertino e ferro. Poteva contenere circa 50000 persone.
C’erano passaggi sotterranei fittissimi che arrivano fino alle caserme imperiali.
L’inaugurazione fu uno spettacolo imponente e crudele: durante le venationes furono uccisi più o meno 5000 animali.
Marziale definisce il Colosseo una meraviglia del mondo anche migliore delle piramidi.
I romani non sono più attratti dal teatro, ma da spettacoli cruenti.
Una giornata tipo al circo prevedeva combattimenti fra animali feroci, esposizioni di animali esotici, combattimenti tra uomini e animali, l’esecuzione dei criminali che venivano costretti a recitare e i combattimenti uomo contro uomo che finivano con la morte di uno dei due.

Marziale può essere considerato la voce del dissenso sia per il genere con cui scrive sia per il contenuto.
Molti componimenti sono stati scritti per celebrare avvenimenti importanti, ma in generale hanno un carattere di occasionalità.
Per esempio ci sono due raccolte: “Xenia” e “Apophoreta” dove sono racchiusi biglietti di invito.
L’epigramma in Grecia era utilizzato come commemorazione dei defunti, mentre con Marziale acquista sfumature satiriche e ironiche. E’ evidente l’aggressività e il senso del grottesco, sottolineati anche dall’uso della figura dell’APROSDOKETON cioè del cambiamento improvviso.
Ci sono aperte denunce ai vizi dell’umanità, ma non viene mai trovato un rimedio.
Non tutti gli epigrammi hanno carattere satirico, alcuni sono degli epitaffi come quello dedicato alla morte di una bambina di nome Erotion.
Alcuni epigrammi hanno anche carattere paesaggistico e mostrano la nostalgia dell’autore3 verso la Spagna, terra di origine.
E’ evidente il senso di inquietudine che alcuni autori riescono a colmare con la filosofia o le religioni orientali, mentre altri lo mantengono vivo.
QUINTILIANO nasce in Spagna nel 35, ma si trasferisce a Roma sotto Galba. Studia retorica e si occupa di oratoria e di pedagogia.
Scrive l’unica opera rimasta INSTITUTIO  ORATORIA, dove viene sistemata l’oratoria e introdotta una novità sui metodi educativi.
Quintiliano raggiunge la sua grandezza sotto Vespasiano tanto che viene stipendiato dal princeps e intanto si occupa anche di legge e frequenta il foro.
In un altro scritto che però è andato perduto, DE CAUSIS CORRUPTI ELOQUENTIAE, Quintiliano ritiene che l’oratoria sia ormai decaduta nel periodo posteriore all’età imperiale. Infatti non era più praticata nel foro, ma in sale di lettura e quindi era scienza per pochi e ormai ristretta a argomenti non inerenti alla realtà, ma semplici esercizi.
In quest’opera l’autore vuole trovare le cause di questa decadenza e non le mette a fuoco nella corruzione politica, bensì nella mancata riforma dell’insegnamento.
Questo verrà superato da Tacito il quale troverà solo motivazioni morali.
Quintiliano reagisce a due tendenze: il  Neoasianesimo, che prevedeva uno stile ampolloso e il SENECHIANO che invece era ricco di metafore e prediligeva una sintassi spezzettata.
Quintiliano propone un modello diverso, quello di Cicerone.
Ci sono però delle differenze tra l’idea di Cicerone e quella di Quintiliano. Cicerone crede che l’oratore perfetto debba avere una cultura generale profonda oltre ad una cultura filosofica e inoltre debba conoscere la tecnica e i metodi per convincere. Per Quintiliano l’oratore incarna un modello più antico, quello catoniano, del VIR BONUS DICENDI PERITUS, dove vengono meno la componente culturale e quella filosofica.
Ciò che accomuna i due oratori è quindi la forma e non il contenuto.
A Roma esistevano due tipi di educazione: quella pubblica e quella privata.
Quella privata prevedeva che fosse il maestro a recarsi alla casa dello studente, mentre in quella pubblica erano un gruppo di allievi, circa sette o otto, a recarsi alla casa del precettore.
Gli studi elementari prevedevano l’insegnamento dei primi rudimenti da parte del LITTERATUM, quelli medi prevedevano l’insegnamento della stenografia da parte del GRAMMATICUS e lo studio a partire dai testi poetici spesso imparati  a memoria di lingua latina e greca.
Gli studi superiori erano tenuti dal RETOR e prevedevano una scuola di eloquenza. Si studiavano direttamente testi di prosa greca e latina e si facevano esercitazioni scritte o orali.
Le SUASORIE erano discussioni a partire da un tema scelto a caso nelle quali gli allievi dovevano convincere gli ascoltatori delle loro tesi.
Le CONTROVERSIE erano invece ragionamenti tra due allievi che creavano e smontavano tesi a vicenda e avevano come spettatori un pubblico vasto di genitori e amici.
La retorica era uno spettacolo vero e proprio e per questo Cicerone diceva che erano importanti la mimica, la commozione e la persuasione.
Nell’opera di Quintiliano è quindi evidente anche il carattere pedagogico, venivano infatti espressi metodi educativi. Quintiliano riteneva che fosse necessario che il maestro abbandonasse i metodi coercitivi, per abbracciare la persuasione, l’esempio…

 

ETA’ TRAIANEA

Con la morte violenta di Domiziano nel 96 si apre un periodo con caratteri innovativi e si conclude il principato Flavio. Viene eletto imperatore Nerva , senatore esperto in campo amministrativo.
Inizia così il principato per adozione , infatti Nerva era stato un imperatore illuminato e aveva nominato suo successore Traiano (98-117), uno spagnolo proveniente dalle file dell’esercito; sotto di lui Roma vive un periodo di libertà e benessere.
Gli storici come Tacito, nati in età flavia, ma vissuti nella nuova, notano i cambiamenti in meglio e considerano il principato di Traiano tollerante e illuminato.
In realtà neanche Traiano sarà tollerante, soprattutto verso le minoranze religiose, come cristiani e giudei.
Nerva era un personaggio prestigioso che dà prova di grande rettitudine. Interviene in campo giuridico per abolire i processi per lesa maestà e istituisce commissioni che regolino la spesa pubblica.
Vive in modo concorde sia con il Senato che con la nobilitas.
A Traiano sono legate molte e importanti opere in tutti i campi della politica del principato.
Prima di tutto il risanamento delle campagne italiche: infatti dopo la conquista di alcuni territori come l’Egitto i prodotti agricoli venivano importati e non prodotti sul suolo italico, perché era più conveniente. Inoltre a causa delle guerre le terre vengono coltivate ancora meno e questo porta a un forte calo demografico.
Traiano quindi per favorire l’agricoltura organizza le ISTITUTIONES ALIMENTARIAE, cioè dei finanziamenti ai contadini che avevano famiglie numerose per incrementare le nascite.
I fondi per i finanziamenti arrivavano dagli interessi sui prestiti fatti ai grandi latifondisti da parte dello stato.
Per quanto riguarda la politica estera quella di Traiano fu una politica di espansione coronata dal controllo dell’Armenia e dei territori dei Parti, oltre alla conquista della Dacia.
I rapporti tra il princeps e il senato furono di reciproca convivenza, inoltre Traiano era appoggiato dalle truppe.
Traiano si configura quindi come un monarca illuminato e mostra una grande tolleranza, ma è lui a gestire tutto e concede solo per avere riconoscenza. Il princeps dice di accettare di portare tutto l’ONUS dello stato.
Tacito ricorda la grande libertà concessa soprattutto agli scrittori, anche se il suo entusiasmo è velato di pessimismo dato che vede in questi periodo migliori il germe della decadenza, infatti si insinua la dolcezza dell’inerzia.
Per quanto riguarda le arti figurative si afferma la tendenza all’illusionismo nella scultura. Sono importanti il fregio dell’arco di Costantino e la colonna Traiana dove le figure sono scolpite a spirale e di scorcio. Questi caratteri sono profondamente diversi dalla scultura equilibrata dell’età augustea.
Anche quest’arte possiede però caratteri celebrativi e diventa così simbolo del potere.
Vengono costruiti però anche edifici di utilità pubblica come la biblioteca Traiana, la basilica ulpia, acquedotti, ponti….
Nel Medio Evo Traiano è ricordato come un grande imperatore tanto che nasce il mito che papa Gregorio Magno per far convertire Traiano al cristianesimo e farlo andare in Paradiso, dopo la sua morte lo resuscita e lo battezza.
Gli autori di età traianea si formano in età flavia. Quelli più importanti sono Giovenale con la satira, Plinio il giovane, nipote di Plinio il vecchio, che mostra aspetti confidenziali del suo rapporto con l’imperatore; scrive lettere in cui chiede al princeps come comportarsi con i cristiani.
Giovenale mette in luce gli aspetti negativi senza vedere una soluzione, non per pessimismo, ma perché la sua analisi della società lo porta a capire che non ci sono alternative.
Tacito è uno storico pessimista, che vede nell’epoca traianea un momento di libertà e tolleranza, ma intravede già i germi della decadenza.
Tacito prosegue la storiografia di carattere moralistico di Sallustio.
Quindi i generi maggiori dell’età traianea sono la storiografia e la satira. Plinio scrive lettere, è alunno di Quintiliano, ma la sua analisi della società è scarsa.
Tacito invece propone un’analisi dell’impero profonda: vede la conciliazione di due termini antitetici come la libertà e il principato, infatti il principato è simbolo di tirannia, per cui la libertà è apparente dato che tutte le decisioni vengono dall’alto.
Gli Annali sono importanti proprio perché ci mostrano la valutazione della situazione e le ipotesi su come sarà il destino dell’impero.
Tacito prevede ciò che c’è al di là della sua epoca, intuisce che i Germani creeranno problemi ai romani.

TACITO
Nasce o a Terni o in Gallia forse nel 55 d.C. e muore dopo Traiano, nei primi anni dell’impero di Adriano. La sua formazione avviene in età flavia e fu forse scolaro di Quintiliano; studia retorica e studi giuridici.
Nel 78 sposa la figlia dio Giulio Agricola, personaggio influente nella burocrazia, che sotto Domiziano fu forse fatto uccidere per ordine dell’imperatore stesso. Tacito riporta questa come ipotesi.
La carriera di tacito si svolge soprattutto in età traianea, fu proconsole in Asia nel 112-113. Tornato a Roma, dopo la morte di Traiano non si hanno più sue notizie.
Oltre agli Annali scrive tre volumetti.
Il DIALOGUS DE ORATORIBUS tratta in modo ciceroniano della corruzione dell’oratoria, così come aveva fatto Quintiliano. Egli proponeva come causa la perdita dal modello ciceroniano, mentre Tacito sostiene che la causa sia la corruzione morale e politica della società.
Alcuni dubitano della paternità di quest’opera, ma forse lo stile di Tacito non era ancora personalizzato a causa della sua giovane età. 
Il DE VITA IULI AGRICOLAE tratta invece della biografia di Agricola, suo suocero.
Scandisce le tappe significative della sua vita: la sua formazione, il cursus honorum, la spedizione in Britannia, la morte… Si pensa che l’opera sia da considerare un elogio funebre o un encomio (lode al personaggio), ma è più probabile che sia un’opera di storiografia perché presenta un carattere monografico come le opere di Sallustio.

 

Dal De vita iuli agricolae, cap III

“Ora finalmente ritorna il coraggio; e in verità nonostante al primo sorgere di questa beatissima età Nerva Cesare abbia congiunto cose un tempo inconciliabili, il principato e la libertà, e Nerva Traiano accresca giorno per giorno la felicità dei tempi e nonostante la sicurezza pubblica esprima non solo speranze e voti, ma abbia espresso solida fiducia nei suoi stessi voti, tuttavia per la natura della fragilità i rimedi sono più tardivi dei mali e come i nostri corpi lentamente crescono, rapidamente si estinguono, così l’ingegno e gli studi saranno più facilmente oppresse che risvegliate.

 

Fonte: http://www.webalice.it/forluca/materials/appunti/LATINOLETT.doc

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